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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 29 dicembre 2021

Parasite - Bong Joon-ho

Parasite è il primo film che vedo di Bong Joon-ho, regista sudcoreano ormai piuttosto famoso, per via di film come The host, Snowpiercer, Okja e lo stesso Parasite, che ha addirittura vinto il Festival di Cannes del 2019 (primo film sudcoreano a farcela) nonché ottenuto numerosi premi e nomination in concorsi quali Golden Globe, Satellite Awards, Critics' Choice Awards, etc.

Anche il pubblico ha premiato il prodotto in questione: degli 11 milioni di dollari di budget si è passati ai 110 milioni di dollari di incassi nel mondo, decuplicando così l’investimento iniziale.

Il film peraltro ha mosso il dibattito afferente le diverse classi sociali, l’agiatezza e la povertà… anche se lo ha fatto in modo discutibile, come vedremo poi.

Cominciamo con la trama di Parasite: Ki-taek, Chung-sook, Ki-woo e Ki-jung, rispettivamente padre, madre, figlio e figlia, sono una famiglia povera di Seul, che vive in un piccolo, misero e sporco scantinato e va avanti a forza di sussidi statali e piccoli lavoretti, utili a sbarcare il lunario. Al momento son tutti disoccupati e si arrangiano con piccole cose, come confezionare i cartoni per il cibo da asporto… ma nel loro pressapochismo spesso fanno le cose male.
Giunge però inaspettata un’occasione: un amico di Ki-woo, che faceva l’insegnante privato di inglese della figlia di una ricca famiglia, gli offre il suo posto, dal momento che lui deve andare all’estero per un po’ di tempo. Ki-woo accetta e conosce così la famiglia Park, la quale abita in una villa dalla struttura magnificente, non a caso costruita da un famoso architetto. Il ragazzo viene accettato come insegnante e intravede un’ulteriore possibilità, quella di spacciare sua sorella Ki-jung per una giovane ma ricercatissima insegnante d’arte, da abbinare al piccolo della famiglia, un bambino dotato di un certo talento artistico, oltre che discretamente problematico. Fatto trenta, si fa trentuno, e i due pensano di sistemare anche i genitori, innescando però un vortice di eventi alquanto inaspettato…

Parasite dura 132 minuti, e quindi è un film piuttosto lungo: si fa seguire però piuttosto bene e desta sempre l’interesse dello spettatore sia dal punto di vista degli eventi sia dal punto di vista della sua realizzazione: la fotografia, in particolare, è davvero bella.

Tuttavia, il film ha qualcosa di poco educativo, e anzi di anti-evolutivo, nel suo affermare, sia a voce ma soprattutto nei fatti, che le persone rimangono sempre uguali e che non possono mutare la loro natura: dunque, i parassiti rimangono parassiti perché è la loro condizione, i poveri rimangono poveri perché sono poveri di spirito, e per loro non è ammesso alcun miglioramento. Non è certo un bel messaggio di fondo, pur se inserito in un’opera molto ben realizzata dal punto di vista tecnico.

La condizione di parassitismo-povertà-piccolezza interiore è visibile non solo nei personaggi principali, ma anche negli altri che gravitano intorno alla famiglia Park, che addirittura si trova circondata a sua insaputa, e persino dal basso, da siffatti esseri umani di bassa statura… e persino in modo grottesco, come a un certo punto finisce nel grottesco l’interno film.
La sua valutazione generale non può prescindere da tale fattore ed è dunque condizionata verso il basso, pur ammettendo l’ottima fattura di Parasite.

Curiosità: della colonna sonora del film fa parte la canzone di Gianni Morandi In ginocchio da te.

Fosco Del Nero



Titolo: Parasite (Gisaengchung).
Genere: drammatico.
Regista: Bong Joon-ho.
Attori: Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-Sik, Park So-dam, Chang Hyae-Jin, Jung Ziso.
Anno: 2019.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



martedì 28 dicembre 2021

Captive state - Rupert Wyatt

Il film recensito quest’oggi è Captive state, girato da Rupert Wyatt nel 2019... ossia questo stesso anno in cui scrivo.
Uno dei protagonisti è John Goodman, che non vedevo in un film da 
La papessa, ma che ricordo soprattutto per Il grande Lebowski… e ovviamente per la sit-com Pappa e ciccia, nonché per Blues Brothers - Il mito continua.
Quanto al regista Rupert Wyatt, non ho mai visto niente di lui.

Ecco la trama sommaria di Captive state, che comincia con un incipit piuttosto intenso: in un futuro prossimo, la Terra viene invasa da una potentissima razza aliena, che la sottomette quasi senza colpo ferire, installandosi in alcune zone chiuse al pubblico. La resistenza umana viene spazzata via e viene presto instaurata una sorta di dittatura incruenta: tutto continua praticamente come prima, con l’umanità che prosegue a vivere le sue vite e i Legislatori (così vengono chiamati gli alieni, giacché oramai detengono il potere) che governano grazie a degli intermediari umani.
Abbiamo quindi una dittatura morbida, dei collaborazionisti e una resistenza, divenuta nel frattempo molto sotterranea, quasi invisibile, dato lo strapotere dei nemici.

Il film, molto evocativo nel suo abbrivio, comincia con la scena della morte dei genitori di Rafe e Gabriel, colpevoli di aver tentato di fuggire da Chicago, già occupata dagli alieni; poi si fa un salto in avanti di parecchi anni, con Gabriel che vive la sua vita, monitorato dal Detective William Mulligan, ch’era amico dei suoi genitori, e il fratello maggiore Rafe dato per disperso e morto negli eventi insurrezionali.
La resistenza tuttavia non è del tutto morta, cosa di cui Mulligan pare convinto, tanto che si darà un gran daffare per scovare i suoi ultimi rappresentanti... che dal canto loro battono molto sul concetto per cui non bisogna fidarsi dei Greci, cavallo di Troia compreso.

Captive state ha evidenti pregi e altrettanto evidenti difetti.

Tra i primi, una storia ben costruita, una buona fotografia, una buona colonna sonora, una discreta tensione scenica, la simbologia della “dittatura elastica”, con tanto di élite e servitù, applicabile a molti contesti socio-politici del passato e del presente.

Tra i secondi, un carisma insufficiente, un cast di attori dalla presenza altrettanto insufficiente… e soprattutto il fatto che la storia è copiata ai limiti del plagio. Difatti, Captive state prende pari pari la sua struttura dal romanzo Gli anni alieni, di Robert Silverberg, tanto che, dopo la visione del film (ma già dopo l’introduzione a dire il vero), ero sicuro che cercando informazioni sul film avrei trovato ch’esso era tratto, o quantomeno ispirato, al suddetto libro di Silverberg, e invece niente.

Certo, le due trame sono differenti, anche perché la storia di Silverber si suddivide in due romanzi ed è piuttosto lunga, ma la struttura delle due vicende è la medesima: una razza aliena invade la Terra; la sua superiorità è schiacciante tanto che praticamente non si combatte; gli alieni si rinchiudono in alcune zone inaccessibili agli uomini; si crea una casta di collaborazionisti; la resistenza è decimata ma è ancora viva, sullo sfondo, in attesa di poter piazzare il suo contrattacco, penetrando nelle suddette zone.

La cosa mi costringe ad assegnare a Captive state una valutazione bassa… ma globalmente, tenendo conto del solo film, non sarebbe comunque stata eccellente, giacché l’opera ha i punti deboli che ho evidenziato in precedenza.
La ritengo comunque interessante in quanto inserita nel più generico filone distopico (con o senza alieni), in cui l’umanità viene asservita da qualche potere centrale e resa serva e suddita… ciò che è esattamente quello che avviene ora, e questo è esattamente il motivo per cui son stati prodotti molti film di questo tipo.

Fosco Del Nero



Titolo: Captive state (Captive state).
Genere: fantascienza, drammatico.
Regista: Rupert Wyatt.
Attori: John Goodman, Ashton Sanders, Jonathan Majors, Vera Farmiga, Kevin Dunn, James Ransone, Alan Ruck, Kevin J. O'Connor, D.B. Sweeney, KiKi Layne, Ben Daniels. 
Anno: 2019.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.



Dracula - Francis Ford Coppola

Non è certamente la prima volta che vedo Dracula di Francis Ford Coppola, ma forse la quinta o qualcosa del genere, con le varie volte ben distribuite nel tempo tra l’adolescenza e oggi.
Il film, il cui nome per intero sarebbe Dracula di Bram Stoker, è infatti uscito nel 1992, quando ero appena adolescente, ma, nonostante si sia candidato presto ad essere uno dei miei film preferiti di allora, non l’ho visto poi tante volte (ho visto molto più spesso, per dire, i vari GhostbustersLabyrinthRitorno al futuroMary Poppins, i film di Bud Spencer e Terence Hill), forse perché vederlo mi risulta-va in qualche modo impegnativo.

Dracula, infatti, non è un film horror, o comunque non solo: è anche un film drammatico, e fortemente drammatico; sentimentale, e fortemente sentimentale; d’azione, e fortemente d’azione. In effetti, amore, attaccamento, sentimenti, desiderio, sensualità, si fondono in maniera così tanto viscerale, comprendendo anche storie e vite passate, ch’è difficile guardarlo come un film qualunque: in ciò richiede, per l’appunto, impegno e intensità…

… a cominciare dal prologo, che è probabilmente uno degli incipit cinematografici più efficaci e intensi di tutti i tempi, per poi fare parecchi passi indietro, o avanti a seconda del punto di vista considerato, e proporre uno scenario da commedia vittoriana, per poi cambiare nuovamente termini e posta in palio, numerose volte.

Altro appunto: nonostante il titolo, il film non è in realtà troppo fedele al romanzo di Stoker; tuttavia, il suddetto romanzo l’ho letto una sola volta, e quando ero ragazzino, per cui al momento non so evidenziare differenze o eventuali migliorie o peggiorie (se quest’ultimo termine non esiste, lo sto inventando sul momento). Valuterò dunque il solo film

A cominciare dal cast di livello eccellente; per quei tempi, era davvero difficile fare meglio, dal momento che Dracula riunisce un quartetto come Keanu Reeves, Winona Ryder, Gary Oldman e Anthony Hopkins. Volendo fare un piccolo elenco di alcuni dei loro film, avremmo Matrix, Sirene, L’avvocato del diavoloPiccolo Buddha, Il quinto elemento, Ragazze interrotteHarry Potter e il prigioniero di Azkaban, Il silenzio degli innocenti, giusto per citare alcuni dei film recensiti in questo blog… anche se Dracula metterebbe in fila tutti i suddetti film, con l’eccezione di Matrix.
Tra gli attori secondari invece è da citare Cary Elwes, indimenticabile protagonista de La storia fantastica.

Anche il nome dietro la macchina da presa è parimenti importante, e infatti il film propone una trovata registica dietro l’altra… e non a caso il film ha vinto tre oscar e ottenuto la nomination per un'altra statuetta. I premi Oscar a volte non vogliono dire niente, ma quando c’è una convergenza di opinioni come in questo caso (Oscar, Bafta, Saturn Award), è facile che invece vogliano dir qualcosa.

Andiamo ora a tratteggiare la trama per chi nell’ultimo secolo non avesse vissuto sul pianeta Terra: verso la fine del quindicesimo secolo, Vlad Dracul fu prima un deciso sostenitore della fede cristiana e dei suoi territori europei contro l’invasore turco-musulmano, ma poi, a seguito della morte per suicidio dell’amata Elisabetta, indotta a quel gesto da un messaggio ingannatore, rinnegò Dio e divenne un vampiro assetato di sangue, divenuto noto come l’Impalatore e soprattutto come creatura del male, tanto che nella Transilvania la gente vive nel terrore e nella superstizione (beh, superstizione mica tanto, col senno di poi).
Circa quattro secoli dopo, il non morto s’imbatte per caso nella reincarnazione della sua Elisabetta, nelle fattezze di tale Mina, futura sposa di Jonathan Murray, e, trattenendo il suo futuro marito nel suo castello, dov’era giunto per questioni di lavoro, alla mercé delle sue serve vampire (tra cui una giovane Monica Bellucci), si reca a Londra e cerca, non senza successo, di conquistare la sua vecchia amata. 
Nel mentre ci va di mezzo la di lei amica Lucy, e così inizia lo scontro che vede da un lato Dracula e i suoi servi, vampiri e umani, e dall’altro il Professor Van Helsing con i suoi aiutanti, Jonathan in primis.

Dracula di Francis Ford Coppola è una meraviglia per gli occhi, e non solo: scenografia e costumi sono stupendi, la colonna sonora è evocativa, la recitazione è di alto profilo, la regia è bellissima, la trama è quella che è. Forse si poteva fare qualcosa di più per i dialoghi, ma sarebbe proprio andare a cercare il pelo nell’uovo.

Essenzialmente, Dracula è un film memorabile... talmente tanto che ha fissato una sorta di standard di qualità relativamente alla conversione cinematografica del romanzo di Bram Stoker, già tentata in precedenza, nonché relativamente a tutti i film sui vampiri.
Incassi di pubblico notevoli, notevole consenso della critica, e altrettanto rimarchevole buon invecchiamento nel tempo, fatto che probabilmente è maggiore indice di qualità assoluta (e non solo “stagionale”) di un film.

Chiudo evidenziando alcuni temi "esistenziali": la reincarnazione, i legami karmici, la centratura o la debolezza psichica (che rende le vittime del vampiro resistenti o refrattarie, impossibili da sottomettere o viceversa succubi), il principio dell'invito presso la propria dimora/essenza, la forze oscure e le forze luminose, il fatto che anche nelle creature più basse c'è stata e c'è ancora una scintilla dell'amorevole creazione divina, il fatto che l'amore secondo come viene vissuto può sia portare verso l'altro che condurre verso il basso, l'utilizzo del sangue umano (che è l'energia dell'uomo), in particolare delle vergini e dei bambini, a scopo nutritivo. Non poco, se ci si pensa un attimo... ciò che rende il film, oltre che assai evocativo, anche didattico.
Col senno di poi, ciò che mi ha sempre affascinato di questa storia sta proprio in tale essenza interiore.

Fosco Del Nero



Titolo: Dracula di Bram Stoker (Bram Stoker's Dracula).
Genere: horror, fantastico, sentimentale, drammatico.
Regista: Francis Ford Coppola.
Attori: Gary Oldman, Winona Ryder, Anthony Hopkins, Keanu Reeves, Cary Elwes, Bill Campbell, Sadie Frost, Richard E. Grant, Monica Bellucci, Tom Waits, Michaela Bercu, Florina Kendrick. 
Anno: 1992.
Voto: 9.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 22 dicembre 2021

California suite - Herbert Ross

Sono arrivato a California suite, film di Herbert Ross del 1978, dalla filmografia di Maggie Smith, la quale tuttavia è solamente uno degli attori co-protagonisti di questa pellicola, per la quale peraltro vinse l’Oscar come attrice non protagonista… e la cosa paradossale è che nel film recita la parte di un’attrice che non vince il medesimo Oscar, rimanendone assai delusa.

Ma andiamo con ordine, partendo dal regista, di cui ho già recensito due film: l’ottimo Provaci ancora, Sam, il meno buono Il gufo e la gattina e il pessimo, almeno per quanto mi riguarda Footlose
Il primo dei tre peraltro è stato scritto da Woody Allen, la cui influenza si percepisce distintamente in una delle coppie protagoniste del film… non a caso una coppia newyorkese, la quale rappresenta nettamente la coppia-storia più godibile tra le quattro presentate, seguita da quella dell’attrice non premiata agli Oscar. Le altre due coppie, invece (una delle quali in realtà è una doppia coppia), zoppicano alquanto.

Ecco la trama sommaria di California suite: alla vigilia della premiazione degli Oscar, cinque coppie giungono a Los Angeles, due delle quali contestualmente… e dunque le storie come dicevo sono quattro.
La prima storia in ordine di apparizione è quella della coppia divorziata Hannah (Jane Fonda) e Bill (Alan Alda), i quali hanno alle spalle un matrimonio fallito e una figlia adolescente che passa dall’uno all’altra.
La seconda storia è quella di Diana (Maggie Smith) e Sydney (Michael Caine), la prima attrice di successo e il secondo consorte compiacente ma non troppo…
La terza coppia è formata da Marvin  e Millie, i quali hanno un ospite imprevisto in camera da letto.
La doppia coppia finale è tutta di colore, e non a caso si scontra anche in un doppio di tennis: la partita è tuttavia tutta tra gli uomini, Willis (Bill Cosby) e Chauncey (Richard Pryor)

Devo dire la verità: mi aspettavo molto di più dal film, sia perché partiva con un buon pedigree, dato dai premi vinti e dal cast di livello eccellente, sia perché l’incipit (i dialoghi vivaci tra Jane Fonda e Alan Alda) prometteva scintille: scintille più intellettuali che sostanziali, ma comunque scintille.
Viceversa, in seguito tutto va a scadere: la coppia seguente è a dir poco pretestuosa, oltre che infantile, e le ultime due storie si muovono a un livello d’umorismo molto basso… tanto che durante la visione ho pensato al film come a un prodotto di passaggio tra i film di qualità di una volta (per esempio, il precedente film che avevo visto di Maggie Smith ossia La strana voglia di Jean, anticipa questo di nove anni, ed era di tutta un’altra pasta) e le commedie adatte al largo pubblico, ossia di qualità bassa, dei tempi odierni.

Pazienza, avendo voglia di cercare la qualità e la bellezza si trovano comunque. 
A proposito di qualità e bellezza, giacché ho citato un bel film di Maggie Smith (La strana voglia di Jean), ne cito anche uno bello di Jane Fonda (A piedi nudi nel parco), uno bello con Michael Caine (Gambit - Grande furto al Semiramis), uno bello con Walther Matthau (Lo strizzacervelli) e uno bello con Alan Alda (Misterioso omicidio a Manhattan: anche lui non a caso in “orbita Woody Allen”, come pure Elaine May).

Concludendo con California suite, il film è bocciato, e anzi solamente l’inizio lo salva da una valutazione più pesante.

Fosco Del Nero



Titolo: California suite (California suite).
Genere: commedia, sentimentale.
Regista: Herbert Ross.
Attori: Jane Fonda, Alan Alda, Michael Caine, Maggie Smith, Walter Matthau, Elaine May, Bill Cosby, Richard Pryor, Sheila Frazier, Lupe Ontiveros, Clint Young, Gloria Gifford, Herb Edelman, Denise Galik,
Anno: 1978
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 21 dicembre 2021

L’armata delle tenebre - Sam Raimi

Credo sia la terza o la quarta volta che guardo L’armata delle tenebre, film di Sam Raimi ch’era piuttosto in voga quando ero ragazzino, e che in realtà è discretamente famoso anche adesso, essendo col tempo divenuto una sorta di “classic b movie”.

L’armata delle tenebre in realtà sarebbe il secondo seguito del film horror-splatter La casa, il quale ha avuto un primo seguito ne La casa 2, per poi mutare titolo col secondo seguito, il quale per l’appunto è L’armata delle tenebre.

Il film parte con un riassunto de La casa 2, ma con un finale differente il quale porta a una storia differente, diversa anche come genere, passando dall’horror-splatter alla commedia fantastica grottesca, sincretismo per cui L’armata delle tenebre è divenuto famoso (oltre che per alcune battute da b-movie tipo “Dammi un po’ di zucchero, baby”, oppure “Forse non ho ripetuto ogni singola sillaba, ma grosso modo ho detto tutto”). 

Ecco la trama sommaria del film: Ash Williams, commesso di un supermercato, si trova, dopo le disavventure horror nella famosa casa, nel Medio Evo del quattordicesimo secolo con una berlina statunitense, una sega elettrica agganciata al posto della mano amputata e un fucile a ripetizione riposto nella faretra che ha sulla spalla. La sua improvvisa apparizione, nonché la sua stranezza, porta gli indigeni a crederlo un demonio, o un alleato delle forze del male, e a condannarlo a morte gettandolo in un pozzo dov’è rinchiuso un essere mostruoso ritenuto invincibile. Con l’aiuto della motosega, Ash riesce invece a batterlo, e da lì in poi egli viene identificato come l’“uomo della profezia”, colui che avrebbe ritrovato il libro del Necronomicon e sconfitto le forze del male, che nel frattempo stanno approntando il loro esercito.
Ash, dal canto suo, nel frattempo trova anche il tempo di iniziare una relazione sentimentale con la bella Sheila.

Complessivamente L’armata delle tenebre è un film gradevole e ben fatto, pieno di trovate umoristiche. Nel considerarlo, tuttavia, occorre per forza tener conto del suo genere particolare… e questo vale in generale per tutti i film di Sam Raimi, a volte drammatici, a volte orrorifici, a volte splatter, a volte umoristici e varie vie di mezzo a volte riuscite e a volte no. Di suo, ad esempio, ho già recensito l’ottimo The gift, il mediocre Il grande e potente Oz, e il pessimo Drag me to hell, quest’ultimo un esempio di pessima mescita degli ingredienti.

Quanto a L’armata delle tenebre, si tratta di un discreto prodotto, memorabile in quanto a originalità dello stile, pur non essendo un imperdibile capolavoro (dei suddetti quattro film il mio preferito rimane The gift).

Fosco Del Nero



Titolo: L’armata delle tenebre (Army of darkness).
Genere: fantasy, grottesco.
Regista: Sam Raimi.
Attori: Bruce Campbell, Embeth Davidtz, Marcus Gilbert, Ian Abercrombie, Richard Grove, Timothy Patrick Quill, Michael Earl Reid, Bridget Fonda, Patricia Tallman, Ted Raimi. 
Anno: 1993.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 15 dicembre 2021

Q and A - Mitsuru Adachi

Q and A è il settimo manga di Mitsuru Adachi che leggo, e in tempi relativamente ristretti, visto che da ragazzino avevo ignorato il fumettista giapponese, che al tempo mi sembrò un po’ scialbo.
Opinione e gradimento nettamente mutati in età adulta, dopo aver letto, nell’ordine: RoughTouchMiyukiSlow stepMisora per sempre, H2 e ora, per l’appunto, Q and A.

La valutazione media è molto alta, con le punte dei primi due manga, considerati non a caso i capolavori di Adachi, e con i minimi di Slow step, Misora per sempre e dello stesso Q and A, laddove il suddetto minimo è comunque una valutazione più che sufficiente-discreta, la quale peraltro soffre della vicinanza con i dirimpettai più quotati, nonché della somiglianza generale tra protagonisti e dintorni.

Se i protagonisti dei fumetti di Adachi, difatti, si somigliano un po’ tutti, quando molto e quando poco, anche i contesti sono simili: le scuole superiori giapponesi, il baseball, il nuoto, l’atletica leggera, fratelli e amicizie d’infanzia, innamoramenti e triangoli. Di adulti ce ne sono pochi, di lavoro pure; il tutto sa molto d’adolescenza, per quanto un’adolescenza decisamente più matura e consapevole della media, col tutto che assume sempre toni morbidi, dolci, tenui, ironici, senza mai strafare.

Ma andiamo alla trama di Q and A, manga composto da sei volumetti: Atsushi Ando e i suoi genitori sono tornati nel paese d’origine dopo sei anni d’assenza, dovuti a un trasferimento lavorativo del padre. Poco prima del trasferimento, il fratello maggiore di Atsushi, Hisashi, brillante, forte e dotato negli sport, era morto per un incidente stradale, lasciando assai triste il fratello, l’amica d’infanzia Yuho e pure il rivale storico di Hisashi, il bullo Jinno, che da quel momento in poi ha avuto campo libero e che, ora che la famiglia Ando è tornata in paese, vuole vendicarsi sul fratello minore Atsushi.
Hanno parti rilevanti nel cast anche il fratello di Yuho, lo scrittore spiantato Kosei, l’atleta di judo Shinobu e l’inquietante Kyoko, la quale ha la dote di vedere i fantasmi…
… e si dà il caso che abbia un ruolo importante nella storia anche il fantasma di Hisashi, che nel frattempo era rimasto nella casa natale della famiglia e che si fa vedere da Atsushi, generando molte gag.

Q and A è una storia che avrebbe potuto (dovuto?) essere più lunga, visto che aveva tutti gli elementi e gli spunti di base per durare di più: in questo caso sono sicuro che la qualità media dell’opera ne avrebbe giovato, visto che Adachi dà il meglio di sé nel lungo e non nel breve, o almeno io la vedo così.

Viceversa, il manga dura poco, si interrompe in modo netto, senza un finale, e anzi ritorna letteralmente sui suoi passi, e dunque il finale non è nemmeno abbozzato; il tutto lascia la sensazione di incompletezza.
Peccato, perché, come detto, vi erano tutti gli elementi per fare qualcosa di più ampio e ambizioso.

Così come stanno le cose, Q and A è un discreto manga, con personaggi ben caratterizzati, gradevole nel tratto grafico e nel tono generale, con un umorismo più spiccato rispetto alla media dell’autore, ma che cede nettamente il passo rispetto alle opere più importanti di Mitsuru Adachi, il quale rimane comunque una garanzia di una certa qualità… e anzi, come detto, la valutazione ridotta risente del confronto con le sue produzioni migliori.

Fosco Del Nero



Titolo: Q and A (Q and A).
Genere: manga, fumetto.
Regista: Mitsuru Adachi.
Anno: 2009-2012.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.




martedì 14 dicembre 2021

Lo stravagante mondo di Greenberg - Noah Baumbach

Dico subito che il titolo Lo stravagante mondo di Greenberg è piuttosto pretestuoso, dal momento che il film non ha nulla di stravagante e nemmeno di originale, ma più che altro ha qualcosa di psicotico; non a caso il protagonista è un personaggio con disturbi mentali riconosciuti e trattati in strutture apposite. Peraltro, questo è il titolo italiano, mentre il titolo originale del film è semplicemente “Greenberg”... ch'è un titolo molto più onesto.

In cabina di regia abbiamo Noah Baumbach, che finora avevo incontrato solo per il mediocre Margot at the wedding - Il matrimonio di mia sorella, mentre davanti alla macchina da presa c’è il più noto Ben Stiller, che ho incontrato più spesso: I Tenenbaum, Tu, io e Dupree, I sogni segreti di Walter MittyTropic thunder, Zoolander, Amori e disastri, Ti presento i miei.
La co-protagonista è la sconosciuta, almeno per me, Greta Gerwig (incrociata sola una volta in To Rome with love, in cui recitava in un ruolo secondario).

Ecco in sintesi la trama de Lo stravagante mondo di Greenberg: la famiglia Greenberg, marito, moglie e due figli, va in vacanza in Vietnam per alcune settimane. Nel frattempo, la casa e il cane Mahler sono affidati alle cure del fratello di lui Roger e della bambinaia/tuttofare Florence.
Sembrerebbe tutto tranquillo, detto così, se non fosse che: Roger è stato ricoverato in passato per cure psichiatriche ed è tuttora evidentemente squilibrato e tendente alle cattive maniere; il cane Mahler inizia a stare molto male (r); Roger e Florence iniziano una strana relazione fatta di allontanamenti e riavvicinamenti che pregiudica la buona gestione dell'appartamento; l’uomo si trova in casa, a sua insaputa, una festa a base di alcol e droghe organizzata da una sua giovane parente e vi partecipa attivamente; Florence scopre di essere incinta di un suo precedente ragazzo e decide di abortire. Ed altre cose che non sto qui a raccontare per non esagerare col racconto della trama.

Insomma, alla fine della fiera Lo stravagante mondo di Greenberg racconta di cose comuni (o comunque niente di fantastico: sogni personali, problemi personali, rapporti personali) con l’anomalia di un protagonista con alcune turbe psichiche, tendente alla rabbia e alle cattive maniere.

Il film non è nulla di che, non è davvero degno di nota, con un’aggravante in più: è uno di quei prodotti che vorrebbe far apparire normali cose come i problemi psicologici, le pastiglie farmaceutiche, l'alcol, la droga, i rapporti sessuali di basso livello… cose che in realtà non sono normali per niente, se non in una società deviata e con lo stato di coscienza di un animale addormentato.

Da citare la presenza, seppur secondaria, di due attori che identifico immediatamente per via di loro precedenti film: Jennifer Jason Leigh e il bellissimo Existenz; Rhys Ifans e il particolarissimo I love Radio Rock.

Fosco Del Nero



Titolo: Lo stravagante mondo di Greenberg (Greenberg).
Genere: commedia, psicologico.
Regista: Noah Baumbach.
Attori: Ben Stiller, Greta Gerwig, Rhys Ifans, Jennifer Jason Leigh, Brie Larson, Juno Temple, Chris Messina, Mark Duplass, Dave Franco, Max Hoffman, Chris Coy, Trent Gill, Zoe Di Stefano.
Anno: 2010.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 8 dicembre 2021

Amicinemici - Le avventure di Gav e Mei - Tetsuro Amino

Amicinemici - Le avventure di Gav e Mei trae spunto da una serie di romanzi illustrati scritti da Yuichi Kimura e illustrati da Hiroshi Abe negli anni "90. Le suddette opere hanno anche vinto dei premi letterari.

Il successo del primo libro ha così portato ai suoi seguiti, poi a una raccolta, poi a una serie animata e infine al film d’animazione oggetto della recensione odierna. Il film è datato 2012 ed è stato diretto da Tetsuro Amino, nome che personalmente non mi dice nulla.

Ecco la trama sommaria del film: Mei è un capretto che vive in una comunità di capretti, la quale ha delle rigide regole di comportamento al fine di garantire la sicurezza sia dei singoli capretti che del gruppo intero.
Gav è un lupo che vive all’interno di un gruppo di lupi, il quale ha anch’esso delle rigide regole di comportamento atte a massimizzare le possibilità di ottenere delle prede durante la caccia. I due gruppi, va da sé, vivono vicini, e il secondo insidia il primo.
Accade tuttavia, una  notte tempestosa e buia, che Gav e Mei si trovino insieme dentro un capanno, totalmente immersi nelle tenebre, giunti sin lì allo scopo di ripararsi dalla pioggia battente; per un equivoco il primo pensa che anche l’altro sia un lupo, mentre il secondo pensa che anche l’altro sia un capretto, e i due, a furia di parlare e di tenersi compagnia, fanno amicizia. Scoperto il fraintendimento, ormai amici, risolvono di rimanere amici, pur sfidando i rispettivi gruppi e i loro regolamenti e ovviamente affrontando qualche problema al riguardo… in primis il fatto che al lupo viene l’acquolina in bocca quando guarda il capretto.

Amicinemici - Le avventure di Gav e Mei è essenzialmente un film d’animazione per bambini. In esso è tutto molto semplice, dalla caratterizzazione dei personaggi ai dialoghi, e anzi sfiora la banalità e il qualunquismo. Certamente vorrebbe essere un esempio di accettazione della diversità, se non proprio di vero e proprio affetto per il diverso (a tratti i due protagonisti si comportano come degli innamorati, cosa a dir poco curiosa essendo entrambi maschi e di specie diverse), ma in tale intento risulta scontato e pacchiano.

Tecnicamente il film si difende abbastanza bene, pur non avendo un classico stile da anime e mischiando un po’ le cose: le animazioni sono abbastanza “animesche”, mentre i fondali risultano più lavorati e realistici, generando un certo contrasto, non del tutto gradevole.

Avevo trovato Amicinemici - Le avventure di Gav e Mei inserito in qualche elenco online dei migliori film d’animazione degli ultimi decenni… ma evidentemente chi ha redatto la classifica in questione non si intende molto di animazione, né di film di valore in generale, o forse intendeva realizzare una classifica di film adatti ai bambini, nel qual caso la nomina avrebbe avuto anche un senso… ma avrebbe dovuto specificarlo.

Per conto mio, Amicinemici - Le avventure di Gav e Mei è bocciato, e Tetsuro Amino altrettanto.

Fosco Del Nero



Titolo: Amicinemici - Le avventure di Gav e Mei (Arashi no yoru ni)).
Genere: animazione, sentimentale.
Regista: Tetsuro Amino.
Anno: 2012.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 7 dicembre 2021

Steins Gate - Il film - Kanji Wakabayashi

Di recente ho recensito la serie animata Steins Gate, la quale a sua volta seguiva l’omonimo videogioco, una visual novel (ossia un videogioco/romanzo) a finali multipli di cui mi mancava per l’ultimo, che decisi di vedere tramite l’anime.
Avendo poi saputo che era stato realizzato un film successivo alla serie animata, successivo sia come anno di realizzazione sia come ambientazione, ho deciso di vedermelo: il suddetto film porta il titolo di Steins Gate - The movie - Load region of déjà vu, che sarebbe, in italiano  Steins Gate - Il film - Il dominio sovraccaricato del déjà vu

La storia prende le mosse dalla trama precedente, un anno dopo la quale è ambientata. Impossibile riferire in poche righe la ricchezza della trama, nonché delle possibilità narrative del gioco originario; qua si dica solo che di mezzo c’erano una macchina nel tempo, un inventore mezzo fuori di testa, un gruppo di ragazzi che gravitava attorno al suo centro di ricerca, nonché vari esperimenti con la suddetta macchina nel tempo, ognuno dei quali portava a una possibile linea temporale… in una delle quali un’organizzazione prendeva possesso della macchina del tempo e finiva per instaurare un totalitarismo degno di Orwell (...).

Tutto ciò, però, nel corso del videogioco-anime era stato sventato, pur al prezzo di molti eventi, ricordi e relazioni umane, con Rintaro Okabe che riprende in mano la sua vita, e stessa cosa per Daru e Mayuri, la cui morte viene definitivamente sventata. Stesso discorso (morte sventata) per Kurisu, l’“assistente” di Rintaro, nel frattempo tornata in America… e ritornata in Giappone proprio all’inizio di Steins Gate - Load region of déjà vu: essa rincontra i suoi amici del centro di ricerca… e rincontra (anche se in questa linea di realtà è la prima volta che la vede) pure Suzuha Amane, tanto per cambiare venuta dal futuro per cambiare qualcosa del passato… nello specifico la possibile sparizione da quella linea temporale di Rintaro, che ha subito troppo a lungo gli effetti del cosiddetto “reading steiner”, tanto che inizia a vedere gli eventi delle altre linee temporali… e che a un certo punto addirittura sparisce.

Steins Gate - Il film è realizzato molto bene: d’altronde, è un film d’animazione giapponese legato a un franchise di successo, il che è quasi un marchio di garanzia relativamente alla qualità tecnica.
La qualità contenutistica è un poco inferiore, tuttavia, giacché a dirla tutta il film non propone niente di eccezionale, e anzi non fa altro che riproporre il dilemma della storia originale ("déjà vu"), ma coi ruoli invertiti: nella storia originale a sobbarcarsi la fatica e lo stress del cambiamento temporale era Rintaro, mentre qui a farlo è Kurisu (“Cristina”), il che peraltro rende la narrazione più melodrammatica (forse perché è una donna, per quanto scienziata, e dunque l’hanno voluta tratteggiare così, “tsundere” o meno).

Complessivamente ho gradito Steins Gate - The movie - Load region of déjà vu, un po’ perché molto bello da vedere, un po’ per alcuni momenti divertenti (“But he’s a boy”), un po’ perché ormai mi sono affezionato ai vari personaggi… per quanto il film non sia né splendido né imperdibile.

Fosco Del Nero



Titolo: Steins Gate - The movie - Load region of déjà vu (Gekijoban Shutainzu Geto: fuka ryoiki no dejavu).
Genere: anime, animazione, fantascienza, drammatico.
Regista:  Kanji Wakabayashi.
Anno: 2013.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 24 novembre 2021

Il ritorno di Mary Poppins - Rob Marshall

Era solo questione di tempo prima che mi vedessi Il ritorno di Mary Poppins, data la mia quasi sconfinata stima e ammirazione nei confronti del primo (e unico) Mary Poppins.
Per vederlo tuttavia è occorsa una certa dose di coraggio, dal momento che realizzare il seguito di quello che forse è il film per eccellenza era opera ardita.

Peraltro, Il ritorno di Mary Poppins è una via di mezzo tra un seguito e un rifacimento, per via delle tante somiglianze col primo film, che in alcuni casi sfiorano la riesecuzione delle scene originali. Lo stesso copione di fondo è molto simile, con la bambinaia più famosa di tutti i tempi che giunge nuovamente a soccorrere la famiglia Banks, educando piccoli e grandi al contempo.

Ecco per l’appunto la trama sommaria de Il ritorno di Mary Poppins: siamo nel 1935, venticinque anni dopo gli eventi del primo film, e ora nella casa di Viale dei Ciliegi vivono Michael Banks (Ben Whishaw; The zero theorem - Tutto è vanità, Skyfall, Profumo - Storia di un assassino), i suoi tre figli Annabel, John e Georgie, la sorella Jane (Emily Mortimer; Faccia a faccia, Match point, Shutter Island, Le terrificanti avventure di Sabrina), mai sposatasi, la governante Ellen (Julie Walters; Harry Potter e la pietra filosofale, Harry Potter e la camera dei segreti), ora anziana. Quanto alla moglie di Michael, è morta anni prima, lasciando il marito affranto e la situazione domestica complicata, tanto che l’uomo rischia di perdere la casa per il pignoramento intentato proprio dalla banca in cui lavorava suo padre e presso cui lavora egli stesso, pur se con un lavoro a tempo parziale.
Tutto sembra critico... quando ritorna Mary Poppins (Emily BluntI guardiani del destinoIl diavolo veste PradaLooper,  I fantastici viaggi di Gulliver), non invecchiata di un giorno nonostante il quarto di secolo passato. Insieme a lei, compare anche il lampionaio Jack (Lin-Manuel Miranda).
Tra i personaggi secondari, e anzi in taluni casi più camei che personaggi secondari, da citare Topsy (Meryl Streep), lontana cugina di Mary Poppins, il signor Wilkins (Colin Firth), il sig. Dawes Jr. (Dick Van Dyke), la signora dei palloncini (Angela Lansbury)... tutti attori piuttosto "vintage", per non dire che hanno fatto la storia del cinema.

Detto della trama, veniamo alla genesi: la produzione del primo Mary Poppins fu una battaglia tra la scrittrice Pamela L. Travers e Walt Disney, durata svariati anni a quanto viene raccontato; la prima non voleva vedere alterato il suo personaggio e il suo romanzo, mentre il secondo aveva promesso alla figlia di realizzare il film del libro che le era tanto piaciuto.
Alla fine l’ha spuntata il produttore cinematografico, ma con gran pena; alla scrittrice servivano soldi e così si è piegata e ha dovuto vedere la sua educatrice, personaggio tutto d’un pezzo, divenuta piuttosto dolce e zuccherosa, come zuccheroso era l’intero film, decisamente più adatto alle famiglie americane che non agli studiosi di teosofia, zen e quarta via quale era per l’appunto Pamela L. Travers (allieva diretta di G. I. Gurdjieff, tra le altre cose).

Dopo la produzione del primo film, Walt Disney insistette con l’autrice per poter girare altri film tratti dai romanzi della Travers su Mary Poppins, ma questa volta l’ha avuta vinta l’autrice: o si sarebbe fatto a modo suo o niente… e per l’appunto non si è fatto niente.
Se si è fatto con Il ritorno di Mary Poppins è solo perché gli eredi della Travers, evidentemente meno rigidi sulla questione "didattica", hanno concesso i diritti di utilizzo dei romanzi successivi al primo Mary Poppins, tra cui per l’appunto Il ritorno di Mary Poppins.
 
Altra curiosità: se Dick Van Dyke, il più celebre spazzacamino di sempre, è comparso in questo seguito sotto le spoglie di Dawes Junior (lui che nel primo film interpretò oltre allo spazzacamino Bert anche Dawes Senior), Julie Andrews si è rifiutata di comparire in un cameo e il suo ruolo è andato allora ad Angela Lansbury… la quale al tempo fu la principale alternativa a Julie Andrews per il ruolo di Mary Poppins, e che nelle intenzioni della Disney ne sarebbe stata l’erede spirituale in Pomi d’ottone e manici di scopa (in cui non a caso recitava anche David Tomlinson, ossia il Signor Banks di Mary Poppins), film che riscosse tuttavia un successo molto minore. Un paio d’anni prima c’era stato un tentativo simile con un altro protagonista di Mary Poppins: Dick Van Dyke aveva recitato in Chitty chitty bang bang, altro film/musical per famiglie, apprezzato tuttavia più per l'eccellente colonna sonora che per il film in sé, decisamente meno eccellente.
Insomma, il “ruolo” è sempre rimasto vacante.

Veniamo ora al commento sul film.
Come si può sperare di realizzare un film all’altezza di un predecessore fenomenale nella sceneggiatura, nel casting, nella recitazione, nei costumi, nei dialoghi, nella colonna sonora? Forse l’unico ambito in cui si partiva favoriti era l’animazione, dati gli enormi progressi tecnologici intercorsi nel frattempo.
La scelta dei produttori è stata dunque molto coraggiosa, anche se senza dubbio spinta dal richiamo commerciale che avrebbe avuto per forza di cose un siffatto seguito (circa 350 milioni di dollari di incasso finora, senza considerare la futura vendita dei video).
Detto che anche solo avvicinarsi al primo Mary Poppins sarebbe stato un'impresa improba, e probabilmente anche anacronistica, Il ritorno di Mary Poppins si è difeso bene; molto bene, occorre dire (gli assegno una valutazione di mezzo punto superiore per il coraggio avuto nell’impresa).

Il casting è buono, anche se a mio avviso si poteva fare qualcosa in più: bene Emily Blunt in codesta difficile interpretazione, anche se all’attrice manca il carisma che aveva allora Julie Andrews. La coppia dei fratelli Banks discreta ma non ottima; benino i bambini, anche se i due bambini originai rimangono anch'essi inarrivabili. Così così il lampionaio Lin-Manuel Miranda, "sostituto" dello spazzacamino Dick Van Dyke. Abbastanza ininfluente Julie Walters, la Molly Weasley di Harry Potter.
Simpatici i due camei dei tre attori senior Dick Van Dyke, Angela Lansbury e Meryl Streep (quest’ultima un po’ meno senior e ancora abile e arruolabile).

La colonna sonora ovviamente cede largamente il passo a quella che è la colonna sonora per antonomasia: semplicemente era impossibile realizzare qualcosa all’altezza… purtuttavia le canzoni sono orecchiabili e due momenti di canto e ballo sono notevoli (quello animato all’interno del vaso e quello dei lampionai nel buio di Londra).
La scenografia e i costumi sono all’altezza, e questo era prevedibile in una produzione così importante. 

Anche l’animazione si poteva prevedere come valida, ed era forse il punto in cui il confronto col predecessore sarebbe stato più facile, e così è stato: non si è strafatto ed è stato fatto un buon lavoro.

Nella sceneggiatura e nei dialoghi, forse l’aspetto più pregnante di Mary Poppins, ciò che gli dava il carisma di film di spessore, il seguito concede giocoforza qualcosa, forse anche per una precisa scelta: piuttosto che competere con un rivale così agguerrito, era meglio alzare da subito bandiera bianca; da cui la scelta di proporre un sequel che sa anche di remake.

Vi è poi l’aspetto per me più importante, quello educativo/didattico/evolutivo/interiore. Anche se qualcosa si sarà perso dai libri originali della Travers (che prima o poi leggerò), qualcos’altro sarà rimasto, e tanto il primo film quanto il secondo offrono parecchio... pur se con questa Mary Poppins moderna si è ulteriormente addolcito il personaggio.

Ecco le frasi che mi sono segnato, tratte a volte dai dialoghi e a volte dalle canzoni.
Temi della suddette frasi: la presenza e il momento presente, la ricerca della consapevolezza, l’amore incondizionato, il destino personale, lo sguardo personale, l'illuminazione interiore, l’effetto speculare dell’esistenza. Non poco, in effetti.

“Io sto sempre attenta”

“Allora resterai?”
“Sì, resterò, finché la porta non si apre.”

“Ora forse capirai, 
e problemi non avrai,
solo se darai importanza
a quello che nel cuore hai.”

“Chi amiamo non è perso se fa parte di noi.”

“Ora o mai più: questo è il mio motto.”

“Quando il mondo si capovolge, la cosa migliore è girare con lui.”

“Quando guardi il mondo a testa in giù, cambia ogni cosa, perfino tu.”

“Abbiamo perso la strada di casa.”

“Tutto è possibile, persino l’impossibile.”

“Semmai perdessi la strada, io cercherei di farmi guidare dalla luce.”

“Il nostro compito sarà
combattere l’oscurità.
La fiamma nel buio accenderemo, 
e insieme la custodiremo.”

“Se camminiamo dentro un tunnel,
ed è buio intorno a te,
non sconvolgerti, ricordati,
che una luce in fondo c’è.”

“Ora che facciamo?”
“Seguiamo la luce.”

“Ogni dubbio rabbuiante porta un raggio illuminante.”

“Niente a cui teniamo è perso veramente.”

“Alcune persone non smettono mai di pensare.”

“È un palloncino questa esistenza,
riempito con ciò che gli dai.
Gioie e problemi, amore e esperienza,
fai bene la scelta o non volerai.
Puoi librarti più su
se ti chiedi anche tu
fin dove lui può portarti.
Tu rifletti, però,
poi domandati un po’
fin dove potrà portarti.”

“Molti hanno scelto il palloncino sbagliato. 
Accertatevi di scegliere quello giusto per voi.”

“Se nella scelta che fai 
segui i sogni che hai
ci vedrai il tuo riflesso e nel cuore saprai 
che anche tu volerai.”

“Che bello volare, nel vento oscillare, appesi ad un filo.”

“Ogni sogno è già vero.”

“Il mio cuore è felice e non ha alcun pensiero.”

“Praticamente perfetta sotto ogni aspetto.”

“È bello essere tornati.”

“Non credevo di poter provare ancora tanta gioia e meraviglia.
Credevo che quella porta fosse chiusa per sempre.”

A tali citazioni aggiungo l’episodio, meraviglioso dal punto di vista metaforico, in cui Mary Poppins blocca la lancetta dell’orologio, e quindi simbolicamente ferma il tempo (che per la cronaca è l’unico modo di raggiungere l’immortalità).

Concludo brevemente: pur con tutte le difficoltà e le criticità del caso, mi sento di congratularmi col regista Rob Marshall (Nine, Memorie di una geisha, ChicagoPirati dei Caraibi - Oltre i confini del mareInto the woods), un regista specializzato in musical chiamato a una difficile prova… superata con buon successo. Il primo film di Mary Poppins rimane inarrivabile, ma col secondo film si è fatto un buon lavoro.

Fosco Del Nero



Titolo: Il ritorno di Mary Poppins (The return of Mary Poppins).
Genere: fantasy, commedia, musicale.
Regista: Rob Marshall.
Attori: Emily Blunt, Lin-Manuel Miranda, Ben Whishaw, Emily Mortimer, Julie Walters, Dick Van Dyke, Angela Lansbury, Colin Firth, Meryl Streep, Christian Dixon, Pixie Davies, Jeremy Swift.
Anno: 2018.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



martedì 23 novembre 2021

Ramayana - The legend of Prince Rama - Yugo Sako

Conosco da molto il Ramayana, l’antico testo indiano a metà tra epica e religione, ma non lo ho mai letto. Quando mi è capitato sottomano il video Ramayana - The legend of Prince Rama ho dunque colto la palla al balzo per assistere quantomeno a una versione ridotta dell’opera indiana… realizzata peraltro in animazione, altra mia passione, per cui ho preso due piccioni con una fava.

Alcuni riferimenti: l’opera è stata realizzata nel 1992, e la distanza, dal punto di vista della tecnica d’animazione, si nota tutta… e anzi forse si nota qualcosa in più, giacché sospetto che anche al tempo dell’uscita il prodotto non rappresentasse l'apice tecnologico per l’epoca.
Tuttavia, nonostante tale distanza temporale e tecnologica, The legend of Prince Rama, diretto da Yogo Sato, si fa vedere ancora bene e propone una certa bellezza visiva.

Ecco la trama sommaria del Ramayana: dopo una parte introduttiva in cui Rama e il fratello Lakshmana, figli del Re di Ayodhya, sconfiggono un potente demone che stava terrorizzando e uccidendo un gruppo di saggi, la narrazione si sposta alla storia principale, quella in cui prima Rama viene esiliato per quattordici anni dal padre, costretto a ciò, nonostante l’amore per il figlio, da una promessa fatta a una delle sue mogli, invidiosa del titolo ereditario di Rama; poi Rama si sposa con la bella Sita, e infine deve affrontare il di lei rapimento ad opera del malvagio Ravana, che dispone di un potente esercito e di formidabili lottatori. 
Rama però è sostenuto dal popolo di Hanuman, gli uomini scimmia, ed è egli stesso un eccezionale lottatore, ispirato da Vishnu in persona, di cui è la settima incarnazione secondo la teologia indù (per la cronaca, l’ottava è Krishna e Buddha è la nona... in attesa di Kalki, che dovrebbe venire a ripristinare l'ordine spirituale in quest'epoca del Kali Yuga).

La battaglia tra Rama e Ravana per il rapimento della bella Sita di cui il secondo si era invaghito (trama che ricorda con grande facilità la guerra di Troia e il ratto di Elena) assume contorni sempre più grandiosi, comprensivi di uomini giganti, magia, macchine volanti che sparano missili, ponti miracolosi tra l’India del sud e l’isola di Sri Lanka (dove si trova il malvagio Ravana).
Sempre per la cronaca, questi due elementi, nonché altri, hanno suscitato numerose ipotesi, giacché un ponte-passaggio di tale tipo potrebbe davvero esserci stato in un lontano passato, e giacché il Ramayana non è certo l’unico testo antico che parla di macchine che volano e che sono in grado di sparare generando devastazione.

Ma rimaniamo sul prodotto The legend of Prince Rama: senza dubbio esso è una sintesi assai stringata del Ramayana originale, testo nel quale c’è molto di più (come eventi narrativi? Come consapevolezza? Come resoconti di qualcosa di reale?). In rete ho letto sia che quel che è trasposto è fedele al testo originale, sia che mancano molte cose, per cui prendo per buone ambo le affermazioni.
Di mio, ho gradito questa collaborazione giappo-indiana, che ho visto in lingua inglese per i dialoghi, coi sottotitoli in italiano e con i canti in sanscrito: melange invero curioso, che comunque consiglio a quei miei lettori che avessero voglia di procurarsi e di vedersi l’opera in questione, la quale peraltro può anche esser vista dai bambini come film d’animazione, visto che, pur contenendo qualcosa di drammatico, non è particolarmente cruento e anzi mantiene un tono dolce.

Fosco Del Nero


The legend of Prince Rama - Yugo Sako
Titolo: The legend of Prince Rama (Ramayana: Rama-oji densetsu).
Genere: animazione, fantasy.
Regista:  Yugo Sako.
Anno: 1992.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.




mercoledì 17 novembre 2021

Steins Gate - Hiroshi Hamasaki, Takuya Sato

Mi sono guardato la serie animata Steins Gate dopo aver giocato al videogioco omonimo, il quale peraltro era l’opera originaria, seguita per l’appunto dall’anime e da altri sottoprodotti in virtù del suo successo.

Perché me la sono guardata dopo aver fatto il videogioco, peraltro molto più lungo come monte ore? Perché il videogioco ha diversi finali e all’ultimo, quello definito come “true ending” (ossia “il vero finale”), ci si può arrivare solamente se nel corso del gioco, il quale è una "visual novel", si sono fatte certe scelte specifiche nell’invio di sms (ciò che è l’unico modo di interazione col gioco, che difatti non è tanto un gioco quanto un romanzo visivo interattivo: un "racconto visivo", per l’appunto).
Se non si sono fatte quelle scelte, magari trenta ore prima, niente da fare, e occorrerebbe riprendere il gioco da capo o dall’ultimo salvataggio utile… sapendo ovviamente con certezza cosa occorre cambiare, a volte tra risposte apparentemente poco significative, cosa per la quale serve anche consultare una guida, altrimenti si sta navigando a vista e per centinaia e centinaia di ore.

Ora, per quanto la storia fosse bella e appassionante, non ne avevo voglia, ed essendomi sfuggito solo l’ultimo finale, ho deciso di accedervi per via animata e non video ludica.

L’adattamento visivo di Steins Gate è molto ridotto rispetto al gioco, che è davvero molto lungo, e si riduce a venticinque episodi di poco più di venti minuti ciascuno, riportanti molto fedelmente la trama del gioco originario… ma in modo tanto fedele quanto sommario: il grosso di eventi e dei dialoghi rimane fuori, e anzi devo dire che, se si vede l’anime senza aver fatto prima il gioco, molto sfugge o sembra frettoloso, come capita spesso quando si assiste a una conversione visiva di un’opera letteraria molto lunga (qua di fatto siamo di fronte a un’opera letteraria, per quanto narrata anche con immagini, che comunque nel gioco sono immagini statiche).

Ecco la trama di Steins Gate, opera di genere fantascientifico: Okabe Rintaro è un giovane scienziato giapponese che, nel quartiere di Tokyo di Akihabara, ha messo su un piccolo laboratorio nel quale progetta brevetti insieme al suo amico e hacker Daru Hashida. Il terzo membro del laboratorio è Mayuri Shiina, la quale non è una scienziata ma l’amica d’infanzia di Okabe, ed è ragazza positiva e allegra.
Il caso vuole che i due ragazzi inventino, praticamente per caso, una specie di rudimentale macchina del tempo, capace di spostare non il corpo ma la consapevolezza delle persone su una differente linea temporale; più che viaggi nel tempo sono dunque spostamenti nel tempo. Il problema che sorge è che la cosa non sfugge a un’importante organizzazione privata, che seguirà a distanza il lavoro dei due ragazzi e di Kurisu Makise, giovane ragazza genio che si unisce al laboratorio di lì a breve.
La cosa inquietante è che Okabe aveva visto la ragazza morta, riversa in una pozza di sangue, in un edificio in cui ci era svolta una conferenza proprio sulla possibilità dei viaggi nel tempo, prima che qualcosa cambiasse e lui si ritrovasse da solo mentre prima era in mezzo a tanta gente… e prima che nel palazzo in cui si è svolta la conferenza comparisse all’improvviso una sorta di navicella che forse è un satellite ma di cui non si sa niente.
La trama è già fitta così, ma si infittirà ancora di più… specie nel gioco, mentre la serie animata offre tutto in modalità "leggera", perdendosi in ciò parecchia roba e anche parecchia qualità.

Per giocare il gioco tuttavia occorre avere non solo uno strumento adatto, ma anche tanta pazienza, una conoscenza almeno buona dell’inglese (non è mai stato localizzato in italiano e il linguaggio è tanto e non basico) e una certa passione per la cultura giapponese, compreso il mondo degli anime, giacché sono tantissime le citazioni e i riferimenti culturali al riguardo (questo nel gioco, mentre la serie animata è stato tagliato quasi tutto).

Nel complesso, non posso non assegnare un voto positivo alla serie Steins Gate, diretta dal duo Hiroshi Hamasaki-Takuya Sato, tenendo presente però che il voto è un pallido riflesso di quello che andrebbe al gioco, che sarebbe assai più alto.

Fosco Del Nero



Titolo Steins Gate (Steins Gate).
Genere: serie tv, anime, animazione, fantascienza.
Ideatore: Hiroshi Hamasaki, Takuya Sato.
Anno: 2011-2012.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 16 novembre 2021

I segreti di Twin Peaks - David Lynch, Mark Frost

La recensione odierna è dedicata a una serie che ha fatto la storia della televisione, ma direi anche del cinema in generale dal momento che ha iniziato un nuovo modo di intendere l’intrattenimento visivo, fatto di un misto di mistero, commedia, dramma, psicologia e anche orrore: parlo ovviamente de I segreti di Twin Peaks, serie ideata da David Lynch e Mark Frost e andata in onda tra il 1990 e il 1991 per due stagioni, di cui la prima molto breve con appena otto episodi e la seconda più lunga, di ventidue episodi… ma che in effetti avrebbero potuto/dovuto essere di meno, e qua c’è l’antico conflitto tra artista e produttore che ci mette i soldi, che in questo caso ha premuto per una certa soluzione che i creatori della serie non volevano e che ipotizzavano fallimentare, come in effetti è stato tenendo conto degli ascolti calanti nella seconda stagione, dopo che l’assassino di Laura Palmer fu identificato (il motivo del contendere era proprio se svelare il mistero portante della serie oppure no).

Ad ogni modo, ecco la trama sommaria de I segreti di Twin Peaks: Twin Peaks è una località di montagna nello stato di Washington, vicina al confine col Canada, e dunque immersa in foreste, montagne, cascate e laghi. Se lo scenario paesaggistico è molto bello, è meno bello l’evento che scuote la tranquillità della comunità: la giovane Laura Palmer, una ragazza particolarmente popolare, viene trovata morta, nuda, avvolta in un telo di plastica. Un’altra ragazza del posto, Ronette Pulaski, è rinvenuta moribonda e in stato confusionale. 
È mandato a investigare l’agente dell’FBI Dale Cooper, che si integra facilmente col corpo di polizia locale, in primis con lo sceriffo Harry Truman, e anche con la popolazione, che conosce man mano.

Ugualmente, lo spettatore della serie conosce man mano la popolazione della ridente Twin Peaks, assai meno tranquilla di quanto si sarebbe detto in apparenza: in effetti, tra droga, prostituzione, violenza, assassini, incendi, affarismo senza scrupoli, scheletri nell’armadio, non c’è quasi nessuno che si salvi, che non abbia un segreto o un lato oscuro. 

In effetti la contrapposizione tra lato chiaro e lato scuro è il tema centrale de I segreti di Twin Peaks, fino al suo epilogo: la scelta tra l’amore e la paura, tra ciò che porta alla Loggia Bianca e ciò che porta alla Loggia Nera.
In ciò, sono assai evidenti le influenze orientaleggianti ed esistenziali degli autori, con i tanti riferimenti allo yoga, alla meditazione, all’intuizione, al percorso interiore (per quanto in modo semplice e alla lontana), come illustrano queste frasi, pochissime tra le tante che avrei potuto proporre.

“Sei sulla strada.
Non hai bisogno di sapere dove porta: seguila e basta.”

“Guarda verso la luce, cerca la luce.”

“Fuggire dinanzi alla paura non aiuta a superarla, anzi la rende più forte.”

“La paura e l’amore aprono le porte.”

L’altro tema centrale di Twin Peaks è la possessione, col demone chiamato Bob che di quando in quando entra nel corpo di qualcuno per fargli fare cose innominabili. In effetti, tra Twin PeaksL’esorcista non c’è tanta differenza, compreso l’epilogo della serie e il fatto che il demone entra nel sacerdote che lo stava esorcizzando per mandarlo via.

Non a caso, viene detto anche questo, parlando di possessioni, demoni, volador o simili.

“Sapete che cos’è un parassita? È un essere che sfrutta un’altra forma di vita e se ne nutre. 
Ha bisogno di un ospite umano; lui si ciba di paure e a volte di piaceri.”

In effetti, in tutto ciò la serie, pur se molto bella e con molta bellezza su più fronti (la natura, molti spunti, una quantità spropositata di belle ragazze), propone anche molta violenza e depravazione, tanto che all’epoca fece un certo scalpore, e certamente anche questo fattore contribuì agli ascolti clamorosi che ebbe dapprincipio, con tanto di dibattiti televisivi e tra la gente comune su chi era il colpevole e su come sarebbe finita. Fu un successo clamoroso, negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo occidentale, che andò però a scemare quando la produzione si mise in mezzo, alterando la programmazione dei creatori della serie…
… i quali a loro volta sono colpevoli, dal mio punto di vista, per il finale incoerente: il sacerdote può essere invaso dal demone solo se le sue energie sono adatte, e l’agente Cooper aveva palesato energie forti e pulite, per cui il colpo di scena era fine a se stesso e incoerente col resto della storia.

In effetti, I segreti di Twin Peaks è stato innovativo anche in alcune sue parti difettose: un certo eccesso nella violenza e nel grottesco (certo, non come i lavori successivi di David Lynch, alcuni inarrivabili in tal senso), nonché un certo senso dello spettacolarismo fine al mero colpo di scena, pur se incoerente col resto del narrato, difetto che oggi si vede grandemente nel cinema e nelle serie televisive.
A questo riguardo, ne approfitto per dire che un colpo di scena ha senso solo se incastonato in un contesto che lo regge; è coerente con l’impianto narrativo, eppure fino a quel momento era difficilmente prevedibile, e in ciò ha successo. Il colpo di scena che era imprevedibile semplicemente perché incoerente con tutto il resto è un colpo di scena di livello bassissimo, che abbassa il tenore narrativo della storia, anziché elevarlo… e che si rivolge a un pubblico a digiuno di grandi storie narrative, e attratto più che altro, per l’appunto, dai colpi di scena spettacolari.
Nella serie si intravede inoltre, specie nella seconda parte della seconda stagione (dopo che il mistero portante era stato svelato in anticipo), una certa tendenza a tirarla per le lunghe, altra tendenza che in futuro si sarebbe instaurata nella maggior parte delle serie tv.

Pur con questi difetti, è impossibile sottovalutare l’importanza, ma anche la bellezza, che ha proposto I segreti di Twin Peaks, che ho recensito nelle sue due stagioni originali di proposito, lasciando il commento della stagione recente alla una successiva aggiunta.

AGGIUNTA RELATIVA ALLA TERZA STAGIONE: sapevo già in partenza, o almeno lo davo per probabile al 95%, quale sarebbe stato l’andazzo, ma ho voluto comunque vedermi la terza stagione di Twin Peaks, quella uscita nel 2017, e dunque a grande distanza dall’opera vera e propria, che difatti ho recensito in sede separata proprio per non confondere quelle che sono due cose completamente diverse e non solo distanti negli anni.
Bene, la terza stagione de I segreti di Twin Peaks è inqualificabile: la sceneggiatura è ridicola, sono ridicole, nonché inutili, moltissime scene, la recitazione è di basso profilo anch’essa, a metà tra il dilettantismo di alcuni dei soliti attori feticcio di Lynch (è riuscito a metterci dentro anche Laura Dern, come tanti altri dei suoi vecchi attori ormai più di là che di qua) e il professionismo di pochi altri (come Naomi Watts, che infatti spicca in mezzo a tanta scarsezza); il commento sonoro è invadente e fastidioso, quasi sempre inopportuno; la narrazione degli eventi è spezzettata; i dialoghi sono spesso rozzi e praticamente mai ispirati, anch’essi assai lontani da quelli dell’opera originale, la quale viceversa, pur tra drammi e violenza, aveva moltissimi punti di bellezza e ispirazione. Riguardo a drammi, violenza e volgarità: qua sono divenuti parte preponderante, tanto che praticamente si inizia con un nudo, una scena di sesso e un’uccisione efferata.
Un commento sugli attori presenti nel primo Twin Peaks: gli americani invecchiano in media molto male. Certo, sono passati 26 anni tra la fine della serie originale e la messa in onda del suo seguito, ma c’è modo e modo di invecchiare, e qua abbiamo settantenni che non si reggono in piedi e quarantacinquenni diventati bolsi e brutti laddove da giovani erano belli/e. A poco è servito poi aumentare il cast con attori più giovani o magari anche famosi o ex famosi (o magari anche ex attori), come Monica Bellucci o Jim Belushi: a parte che i nomi parlano da soli, ma se la direzione tecnica è scarsa, sarà scarso tutto quanto, al di là dei singoli ingredienti (come la brava Naomi Watts).
La carriera di David Lynch peraltro parlava da sola, e proprio per questo mi aspettavo un disastro generale: il regista statunitense ha avuto un periodo d’oro tra la metà degli anni “80 e l’inizio degli anni “90, dirigendo opere come Dune, Velluto blu e lo stesso I segreti diTwin Peaks. Da lì in poi è stata discesa, passando per film contorti ed approdando a opere squilibrate come la terza stagione di cui si sta parlando, con una forte dominanza di sessualità di basso livello, volgarità, squilibrio mentale, rozzezza, violenza, disturbo psicologico e via discorrendo. E anche scarsità tecnica vera e propria relativamente a regia, montaggio, colonna sonora, recitazione, etc. 
Non so cosa sia successo nel mentre a Lynch, ma questi sono i risultati, purtroppo.
Fa specie constatare che alcuni spettatori abbiano gradito questa terza stagione… ma ormai, nella mediocrità generale, si produce di tutto per andare incontro alla massa, per cui in fin dei conti non è nemmeno così tanto strano che un’opera che punta su sessualità, violenza e problemi psichici trovi dei fan (risonanti con quel tipo di energie).
Un ultimo paio di appunti: ridicolo il personaggio semi-autistico di Kyle MacLachlan, peraltro praticamente copiato da Oltre il giardino; ridicoli gli agenti ultrasettantenni dell’FBI che se ne vanno in giro instabili sulle gambe (son settantenni e settantenni americani, ossia ottantenni italiani) ma teoricamente pronti ad affrontare colluttazioni e violenza, e che peraltro nel tempo libero frequentano avvenenti trentenni (parlo proprio del personaggio interpretato da David Lynch, che peraltro nella serie originale, quando lui era un quarantacinquenne già ingrigito, baciava allegramente bellissime ventenni); ridicoli anche i cambi caratteriali non motivati dei personaggi, nonché il senso del grottesco che decenni fa era presente ma controllato, mentre qui assurge a elemento dominante… insieme alla violenza, abbinamento davvero poco interessante per quanto mi riguarda.
A un certo punto, però, spunta una frase di grande importanza, che ricorda i fasti dell’opera originaria, e almeno quella voglio citarla (nonostante venga fatta dire alla Bellucci): “Siamo come il sognatore che sogna e poi vive dentro il suo sogno. Ma chi è il sognatore?”.
In uno degli  ultimi episodi della stagione inoltre si sente questa frase, pronunciata da una voce fuori campo: “Noi viviamo all’interno di un sogno”.
Peraltro, proprio negli ultimi episodi la serie pare riprendere i fasti di un tempo, ma la tendenza alla violenza, alla rozzezza e allo squilibrio mostrata fino a lì è troppo grave per poterla rimediare solo con un paio di belle cose (tra cui il ritorno tra i vivi dell’agente Cooper).

Fosco Del Nero



Titolo: I segreti di Twin Peaks (Twin Peaks).
Genere: serie tv, drammatico, fantastico.
Ideatore: David Lynch, Mark Frost.
Attori: Kyle MacLachlan, Michael Ontkean, Mädchen Amick, Dana Ashbrook, Richard Beymer, Lara Flynn Boyle, Sherilyn Fenn, Warren Frost, Peggy Lipton, James Marshall, Everett McGill, Jack Nance, Ray Wise, Joan Chen, Piper Laurie, Kimmy Robertson, Eric Da Re, Harry Goaz, Michael Horse, Sheryl Lee, Russ Tamblyn, Kenneth Welsh.
Anno: 1990-1991.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



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