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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

martedì 30 gennaio 2018

Io sto con gli ippopotami - Italo Zingarelli

Io sto con gli ippopotami è uno dei diciotto film che hanno visto protagonista la coppia Bud Spencer-Terence Hill, e probabilmente è uno di quelli che ho visto di meno…

… giacché, come ho spesso sottolineato, ho sempre avuto una netta predilezione per i film metropolitani, come Nati con la camiciaI due superpiedi quasi piatti o Pari e dispari (ma anche Altrimenti ci arrabbiamo!Non c’è due senza quattro).

A tale filone si contrapponevano altri due filoni: lo spaghetti western (Lo chiamavano Trinità, Continuavano a chiamarlo Trinità, etc) e i film in zone più o meno esotiche, come per l’appunto Io sto con gli ippopotami (e poi Porgi l’altra guanciaChi trova un amico trova un tesoroPiù forte, ragazzi!).

Ecco subito la trama di Io sto con gli ippopotami: siamo nell’Africa coloniale britannica, nello Swaziland per la precisione, nell’anno 1950. 
Tom e Slim sono una coppia di cugini, cresciuti insieme da una donna nativa, visto che i genitori sono morti quando erano piccoli. I due però hanno due caratteri e due stili di vita molto differenti: Tom è più abitudinario, vive sul posto e organizza dei safari per turisti, cui carica i fucili a salve perché comunque ama gli animali; Slim, al contrario, è un giramondo, ed è appena tornato in paese.
Ciò che i due hanno in comune è una forte antipatia per le persone prepotenti, approfittatrici e violente… compresi coloro che trattano male gli animali, come il potente Jack Ormond, signorotto locale che va avanti a forza di affari loschi, corruzione e violenza per l’appunto.
Va da sé che Ormond, peraltro omone e buon pugile, se la vedrà con i due cugini.

Il copione del film è il solito: umorismo, visivo e verbale, scazzottate e buon cuore… anche se in questo film l’ideale animalista cozza fortemente contro i due protagonisti ripresi a banchettare con le carni di animali che affermavano di amare tanto e di cui si facevano affettuosi protettori.
Ma siamo nel 1979, e la consapevolezza vegetariana era ancora ben lontana, come peraltro lo è anche oggi per la gran parte della popolazione, per cui sorvoliamo.

Oltre al solito copione, c’è la variante dell’ambientazione: non una città americana, non uno scenario western, ma l’Africa, con la sua natura, i suoi animali per l’appunto, e ovviamente le genti locali.

Globalmente parlando, Io sto con gli ippopotami è un film discreto: a mio avviso è abbastanza lontano dai migliori film del duo italiano, ma comunque è gradevole, divertente e sufficientemente vario, tanto da meritarsi una buona valutazione.

Fosco Del Nero 



Titolo: Io sto con gli ippopotami.
Genere: commedia, comico.
Regista: Italo Zingarelli.
Attori: Bud Spencer, Terence Hill, Joe Bugner, May Dlamini, Hugh Rouse, Dawn Jurgens, Ben Masinga, Lee Marcowitz, Malcolm Kirk, Nick Van Rensburg, Sandy Ngkomo,
Anno: 1979.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 23 gennaio 2018

Miami supercops - Bruno Corbucci

Mi duole assegnare un’insufficienza a un film del duo Bud Spencer e Terence Hill, ma proprio Miami supercops non regge il confronto con i cugini nobili I due superpiedi quasi piatti e Nati con la camicia… nonché con altri film della mitica coppia.

Non a caso, credo che avessi visto Miami supercops - I poliziotti dell’ottava strada solamente una volta, a fronte della decina e oltre dedicata ai due film summenzionati.

Ma andiamo con ordine, partendo dalla trama sommaria del film, che è il penultimo dei film girati insieme dai due attori (il quindicesimo su sedici, per la precisione): lo sveglio Doug Bennet lavora ancora in polizia, mentre il burbero Steve Forrest la ha lasciata perché disgustato da burocrazia e politica.
Tuttavia, rientrerà nei ranghi per risolvere l’unico caso che la coppia non era riuscita a risolvere al tempo: quello della rapina in banca da venti milioni di dollari messa a segno da tre complici, di cui solo uno arrestato, Joe Garret
… il quale muore pochi giorni dopo essere uscito dal carcere, presumibilmente andando alla ricerca del denaro mai ritrovato.
I due uomini si metteranno al lavoro, come sempre in modo poco burocratico e molto alla mano.

Miami supercops per certi versi segue il copione di successo della coppia più fortunata del cinema italiano (e una delle più fortunate in assoluto a livello mondiale): il compare svelto di testa e quello svelto di braccio, un’ingiustizia e un mistero da risolvere, azione e scazzottate, il tutto in un tono generale da commedia e in uno scenario di città americana, stavolta Miami come suggerisce il titolo.

Tuttavia, al film manca la leggiadria e la leggerezza degli altri film del duo, forse perché il regista, Bruno Corbucci, fratello di quel Sergio Corbucci che li aveva diretti con ben migliore esito in Pari e dispari o in Chi trova un amico trova un tesoro, si prende troppo sul serio, e anzi cerca di costruire un giallo poliziesco piuttosto che una commedia umoristica.

Il risultato è che il film non fa quasi mai ridere, nemmeno quando tenta di scimmiottare le gag tipiche di Bud e Terence, e anzi sfugge a una regola non scritta dei due buoni per eccellenza del cinema italiano: si usano pistole invece che pugni… il che stona parecchio, occorre dirlo.
Tra l’altro in questo film Bud e Terence hanno rispettivamente 55 e 45 anni, e iniziano già a risultare un po’ stagionati per scazzottate e scene d’azione, o almeno risulta ancora meno credibile che in due sgominino bande di dozzine di persone, se vogliamo dirla così.

Ma non è questo il punto che mina il film nelle sue fondamenta, quanto quello esposto in precedenza: il regista commette l’errore di metterci più giallo-poliziesco, peraltro un po' artefatto e poco fluido, e meno commedia, tanto che Miami supercops risulta poco divertente, e non è un caso che sia uno dei film meno apprezzati della coppia, e non solo da me, e che abbia in pratica chiuso la carriera dei due... poi definitivamente chiusa a distanza di tempo con Botte di Natale.

Fosco Del Nero




Titolo: Miami supercops - I poliziotti dell’ottava strada (Miami supercops).
Genere: azione, poliziesco, commedia.
Regista: Bruno Corbucci.
Attori: Bud Spencer, Terence Hill, Jackie Castellano, Ken Ceresne, Buffy Dee, William Jim, Richard Liberty.
Anno: 1985.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

domenica 21 gennaio 2018

The congress - Ari Folman

Avevo trovato il film The congress in un elenco dei migliori film d’animazione di sempre e, fiducioso, me lo sono in seguito visto.

In realtà, non si tratta di un classico film d’animazione, giacché l’opera parte come un normale film recitato, per poi passare all’animato dopo circa tre quarti d’ora di film (sulle due ore totali).

Tale anomalia è bissata da un’altra forte originalità: l’attrice protagonista, Robin Wright (indimenticabile ne La storia fantastica, ma vista anche in Unbreakable - il predestinato, La leggenda di Beowulf, La vita segreta della signora Lee), impersona la se stessa di un ipotetico futuro in cui la sua carriera è ormai agli sgoccioli, anche a causa del suo carattere bizzoso, e in cui la Miramount (mix tra le reali Paramount e Miramax) le propone un contratto assai innovativo: la cessione totale dei diritti d’immagine di Robin, la quale sarebbe stata renderizzata totalmente e utilizzata in qualsivoglia film futuro, senza che la Wright avrebbe dovuto e potuto mai più recitare.
Insomma, finiva la carriera reale dell’attrice, e cominciava una carriera fittizia, con la donna che avrebbe potuto dedicarsi nel mentre a ciò che più le piaceva… o semplicemente prendersi cura del figlio Aaron, affetto dalla grave sindrome di Usher, che deteriora udito e vista in modo progressivo, fino a sordità e cecità totali.
La donna infine accetta, e passano così i vent’anni di cessione dei diritti previsti dal contratto posto in essere, che in effetti sono molto proficui e fanno di lei una delle attrici più note al mondo.
Dopo tali vent’anni, Robin è invitata a un congresso della Miramount, per entrare nel quale viene costretta a bere una sostanza da una fiala: trattasi di un composto liquido che porterà Robin in una sorta di allucinazione personale ma anche collettiva.
Durante il congresso, all’attrice vien proposto di cedere nuovamente i suoi diritti di immagine, e stavolta in modo ancora più totale: grazie ai progressi della chimica, chiunque berrà certi composti potrà non solo partecipare a un mondo virtuale come già possibile, ma persino divenire chi o cosa vuole… compresi gli attori famosi, elemento che vien proposto di inserire nel nuovo contratto.
Robin rifiuta, e in un modo o nell’altro finisce che passano altri vent’anni, stavolta sotto ibernazione.
Si risveglia, ormai anziana, e deve affrontare la decisione di dove vuole continuare a vivere, se nell’allucinazione fittizia (fittizia, ma comunque riflettente la sua coscienza, quindi per lei molto reale) o nella realtà fisica, nella quale sono rimaste ormai poche persone.

I film sulla dicotomia tra realtà e finzione sono ormai molti, e alcuni di grande valore cinematografico e storico (cito al volo MatrixExistenzIl tredicesimo piano, Dark City), tanto che è difficile farsi notare in questo ambito.
A questo elemento, The congress aggiunge però dell’altra originalità: la parte animata, nonché l’elemento semibiografico, nonché i soliti luoghi comuni sulle società del futuro ipertecnologicizzate e in questo caso anche iperchimicizzate.

Però… non sfonda, semplicemente il tutto non va.
Un po’ perché è fortemente disomogeneo, un po’ perché in taluni punti è poco chiaro e occorre fermarsi per chiedersi cosa è successo, un po’ perché la parte animata non è particolarmente bella, fatto piuttosto grave per un film del 2013, che si fa surclassare da film più vecchi.

Il tutto sa molto di artefatto, di finto, e manca un spessore vero alla storia.
Insomma, The congress non mi ha né entusiasmato né convinto, e son ragionevolmente certo che passerà nel dimenticatoio degli esperimenti falliti abbastanza presto.

Non riescono a risollevarlo nemmeno alcune frasi dal sapore esistenziale, come la seguente:
“È andata via la luce. Tutto questo ha un senso, o è solo nella mia mente?”
“In realtà, tutto ha un senso, e tutto è nella nostra mente.”

Poi bissata da quest’altra:
“Ralph, è buio qui o è solo nella mia mente?”
“Tutto è nella tua mente. Se tu vedi il buio, è perché hai scelto il buio.”

Non basta, però… e forse non è un caso che l’altro film di Ari Folman che avevo visto, Valzer con Bashir, non mi sia piaciuto esso stesso. Evidentemente Folman non è il regista che fa per me.

Fosco Del Nero



Titolo: Il quarto tipo (The fourth kind).
Genere: fantascienza, animazione, drammatico.
Regista: Ari Folman.
Attori: Robin Wright, Harvey Keitel, Sami Gayle, Kodi Smit-McPhee, Danny Huston, Paul Giamatti, Jon Hamm, Michael Stahl-David, Michael Landes, Sarah Shahi, Ed Corbin.
Anno: 2013.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 16 gennaio 2018

Il quarto tipo - Olatunde Osunsanmi

Il quarto tipo è un film piuttosto strano, per diversi motivi.
Passo a descriverli tutti.

Tanto per cominciare, si propone come film-documentario, e lo fa in modo audace, affiancando le scene girate (in cui l’interprete protagonista è Milla Jovovich) a scene presunte di repertorio (in cui figurerebbe la psicologa che Milla Jovovich interpreta), cui sono annessi anche audio vari, sempre con la presunzione che si tratti degli audio originali di sedute psicologiche e registrazioni varie.

Il tutto è riferito ai fatti accaduti nella cittadina di Nome, in Alaska, laddove anni fa sono sparite numerose persone in circostanze misteriose, senza che tante siano state ritrovate e con l’FBI che ha svolto indagini sul posto.
Il quarto tipo collega tali sparizioni agli alieni e agli incontri ravvicinati, rapimenti compresi, cosa che dà il nome al film.

A tutto ciò si aggiungono anche i filmati in cui il regista, Olatunde Osunsanmi, statunitense di origine africana, intervista la presunta protagonista di tali eventi, la dottoressa Abigail Tyler… che però è un’attrice essa stessa, Charlotte Milchard, col tutto che dunque si riduce a un falso documentario.
Che al tempo è stato lanciato dalla casa produttrice anche con siti falsi, documentazioni e testimonianze false, etc, senza contare l’introduzione al film della stessa Milla Jovovich, che annuncia un film basato su fatti veri e accompagnato da immagini reali, probabilmente con l’intenzione di generare una sorta di effetto The Blair witch project (o forse più Paranormal activity, data l'ambientazione "casalinga").

Cosa riuscita male, come riuscito non troppo bene è il film, il quale comunque si distingue per l’originalità della sua costruzione: le scene con l’attrice principale (diciamo così) si alternano alle scene con l’attrice secondaria, le quali peraltro spesso si sovrappongono nell’immagine, in una sorta di continua alternanza.

Ma, se lasciamo da parte il bailamme del contorno, nonché la stravaganza registica, rimane una storia piuttosto banale, giacché il tema delle abduction non è certo nuovo nel cinema, priva di innovazioni, priva di mordente, e anzi con personaggi un po’ ottusi, diciamo così, fatto che non giova alla credibilità del film… a proposito di credibilità.

L’unico elemento di interesse è l’abbinamento tra alieni, abduction e storia sumera, cosa che da un lato ricorda gli annunaki di Sitchin e dintorni, o gli elohim della Bibbia che dir si voglia (ossia esseri semidei che ritengono che l’umanità sia di loro proprietà, o addirittura di loro invenzione), e dall’altro i demoni di Malanga (entità aliene che riescono a entrare in un corpo umano, dando luogo ad esigenze di esorcismo-allontanamento)… ed è un abbinamento che ha una verità di fondo, col film che per l’appunto sembra riguardare più le possessioni demoniche da parte di entità che si autodefiniscono deità rispetto all’uomo, il quale sarebbe una sorta di loro schiavo. Anche l’elemento gnostico degli arconti malvagi potrebbe trovare un qualche posto in tale finzione simbolica.
All'interno di tale simbologia, vien detto a chiare lettere che l'essere umano è una proprietà di tali entità, e vien fatto intendere ugualmente a chiare lettere che non c'è via di scampo. Non è così, ovviamente, ma loro devono farlo credere all'uomo in modo che esso non possa destarsi e continui a essere il loro cibo sottile (e a volte neanche tanto sottile).
A proposito, se il film è solamente un finto documentario, è comunque vero che nella località in questione e nei dintorni negli ultimi decenni è sparito un ingente numero di persone, improvvisamente e senza lasciare tracce (fatto statisticamente anomalo, visto che, come prevedibile, in quella zona la densità demografica è molto bassa... eppure l'Alaska è al primo posto negli USA in questa triste classifica), tanto da attirare l'attenzione e le investigazioni dell'FBI.

A parte tale elemento peculiare (che potrebbe in effetti elevare l'interesse in chi fosse propenso a tali tematiche), e a parte la tecnica registica curiosa, Il quarto tipo di Olatunde Osunsanmi rimane un film mediocre, non ha molto da offrire, e peraltro parte con la pesante tara della menzogna e del tentato inganno ai danni dello spettatore, che certamente non lo rendono meritevole di simpatia.

Fosco Del Nero



Titolo: Il quarto tipo (The fourth kind).
Genere: drammatico, fantascienza.
Regista: Olatunde Osunsanmi.
Attori: Milla Jovovich, Will Patton, Hakeem Kae-Kazim, Corey Johnson, Enzo Cilenti, Elias Koteas, Alisha Seaton, Daphne Alexander, Mia McKenna-Bruce.
Anno: 2009.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 9 gennaio 2018

The giver - Il mondo di Jonas - Phillip Noyce

La recensione odierna è dedicata al film del 2014 The giver - Il mondo di Jonas, film che rientra nel sottogenere fantascientifico della distopia, genere che ha dato vita a storie-film di grande valore come Metropolis, 1984BrazilEquilibriumV per vendetta,, lo stesso Matrix, etc. 
Quando so di film di tale genere, me li guardo sempre, anche a costo che siano film bruttini.
Il mio interesse è sia un interesse per il genere filmico in se stesso, ma anche un interesse “sociale”, diciamo così, e persino esistenziale, per vedere che tipo di contenuti ha il film.

Questo ultimo punto è quello che più mi ha intrigato di The giver - Il mondo di Jonas, ennesimo film in ambito distopia uscito negli ultimi anni. Tra i vari, ricordo In timeHunger gamesOblivionMaze runnerDivergent… e questo stesso The giver - Il mondo di Jonas, uno dei meglio riusciti a mio avviso.

Premessa: il film è tratto dal romanzo The giver - Il donatore, di Lois Lowry, primo di una serie di libri… il che implica che anche il film potrebbe avere dei sequel, e in effetti termina esso stesso in modo mezzano.

Passiamo alla trama sommaria della storia: in un futuro non meglio precisato vive una società di grande armonia e pace: violenza e inganno sono stati sconfitti, e tutta la vita si svolge in modo perfettamente ordinato e civile.
Non mancano peraltro divertimento e bellezza, per cui sembra davvero che si tratti di un eden: o, per meglio dire, di una "utopia" piuttosto che una "distopia"… anche se lo spettatore è subito messo in allarme dalle iniezioni mattutine cui sono tenuti gli individui, le quali hanno lo scopo di inibire le emozioni e gli affetti profondi, compresi gli istinti sessuali (praticamente è la stessa premessa di Equilibrium, che a sua volta era fortemente ispirato al classico Fahrenheit 451).
A dirigere il tutto sono gli Anziani, i quali, tra le altre cose, assegnano a ogni individuo, al raggiungimento dei 18 anni, la mansione che egli svolgerà per il resto della sua vita, e si tratta invariabilmente di una scelta perfetta, sulla base delle propensioni mostrate dalla persona fino a quel momento.
A Jonas viene assegnato il rarissimo compito di "Accoglitore di Memorie", e per questo viene addestrato dal precedente Accoglitore, divenuto in tal modo il "Donatore di Memorie".
Durante l’addestramento, scopre le memorie antiche e il passato del genere umano, tanto le cose belle quanto le cose brutte, e prende una decisione radicale.

La situazione iniziale della storia sembra quasi paradisiaca, ma il bianco e nero onnipresente porta con sé il messaggio che manchi qualcosa: in effetti tra l’educazione forzata, l’uniformità forzata, l’iniezione giornaliera forzata, l’assegnazione forzata a un determinato lavoro, certi eventi umani obbligati, i numerosi divieti come quello di toccare le altre persone o quello di andare oltre un certo limite (per non parlare della mancanza di affetto e di compassione), si capisce abbastanza in fretta che c’è qualcosa che non va… e Jonas lo capirà rapidamente.
A proposito del bianco e nero e di qualche colore che fa capolino più avanti, il film non può non riportare alla memoria il bellissimo Pleasantville, film comunque diversissimo (anche se, tra un'ispirazione ed un'altra, non si può certo dire che The giver - Il mondo di Jonas brilli per originalità).

Il film non va molto oltre nella storia, nel senso che illustra un capitolo, per così dire, che immagino sia il primo romanzo della saga letteraria. Confido che vi sia un seguito, giacché gli eventi entravano nella fase più interessante proprio nel momento della conclusione del film, il quale comunque può essere visto anche come storia a sé stante.

Alcune altre considerazioni sul film: la fotografia è ottima, i dialoghi buoni, e il cast di livello: ai senior Jeff Bridges (Il grande Lebowski, K-Pax - Da un altro mondoL'uomo che fissa le capreLa leggenda del re pescatoreTideland - Il mondo capovolto) e Meryl Streep (La morte ti fa bellaIl diavolo veste PradaLa mia Africa, Il ladro di orchidee) si affiancano i giovani Brenton Thwaites e Odeya Rush (L’incredibile vita di Timothy Green).
Parte in ruolo secondario per Katie Holmes (Non avere paura del buio, The gift - Il dono), sfiorita in modo incredibile in questi anni rispetto a quanto era bella da ragazza.

Al film peraltro non mancano frasi e concetti ispiranti, dal sapore esistenziale, il che gli fornisce un qualcosa in più rispetto ad altri film di genere simile.
Ne ho ricopiate alcune, che propongo di seguito, e con esse concludo la recensione di The giver - Il mondo di Jonas, film che, pur se non troppo originale, ho gradito molto sia come prodotto cinematografico sia come contenuti.

A proposito, molto bella la scena in cui Jonas, non avvezzo alla violenza perché cresciuto in una società che ne è stata privata, assiste a una memoria in cui dei cacciatori di frodo sparavano e uccidevano un elefante per rubargli l'avorio da rivendere; il ragazzo rimane sconvolto da quella brutalità... come ne sarebbe sconvolta qualunque anima umana che non fosse stata educata alla violenza a cominciare dall'alimentazione. Qualunque bambino sarebbe scioccato e spaventato dalla violenza, se non lo avessero impratichito in tal senso i suoi genitori e la società in generale. La violenza è comunemente accettata solo perché è diffusa e vi partecipano quasi tutti; altrimenti sarebbe vissuta come una la barbarie che difatti è. 

“Chi sono io?”

“Conoscerai la storia segreta del mondo. Prima di me, prima di te, tornando indietro di infinite generazioni.
Nessuno nella nostra comunità ha memoria del passato.”

“Ogni cosa è connessa, è tutto un equilibrio.”

“Ascolta la voce che ti chiama da dentro.”

“Abbi fede, mi diceva il Donatore.
La fede era quello: il vedere oltre.
La paragonava al vento, a qualcosa che si sente anche se non si vede.”

“Non accettare mai come vero qualcosa solo perché a dirtelo è qualcuno che rispetti.”

“Le memorie non riguardano solo il passato: determinano il nostro futuro.
Tu puoi cambiare le cose.”

Fosco Del Nero



Titolo: The giver - Il mondo di Jonas (The giver).
Genere: fantascienza.
Regista: Phillip Noyce.
Attori: Brenton Thwaites, Odeya Rush, Meryl Streep, Jeff Bridges, Alexander Skarsgård, Katie Holmes, Cameron Monaghan, Taylor Swift, Emma Tremblay.
Anno: 2014.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

martedì 2 gennaio 2018

Il gigante di ferro - Brad Bird

Di recente mi sono visto tanti film d’animazione, e con la recensione di oggi un altro si aggiunge alla lista: Il gigante di ferro, film diretto da Brad Bird nell’ormai lontano 1999, e tratto dal romanzo L'uomo di ferro del 1968, scritto da Ted Hughes.

Per i film d’animazione l’anno di produzione vuol dire molto, giacché ovviamente il fattore temporale va ad influire notevolmente sul livello tecnologico a disposizione dei creatori del film, e quindi del risultato finale.

Se il 1999 paga certamente dazio rispetto agli ultimi anni in fatto di animazione, devo però dire che tal distanza non si vede molto, anche perché Il gigante di ferro rinuncia fin da subito a stupire con effetti speciali, e pone l’accento su tutt’altro.
L’animazione è la classica animazione da “cartone animato”: fumettosa e colorata, tanto classica nella sua bidimensionalità da sembrare quasi un videogioco degli anni "90… e lo dico in senso buono.

Ecco la trama sintetica de Il gigante di ferro: per un motivo non meglio precisato un enorme robot metallico precipita sulla Terra, ovviamente negli Stati Uniti, ed è scoperto da Hogarth Hughes, un bambino assai vivace e sveglio.
Il problema è che il robot è davvero enorme, alto circa 30 metri, si nutre di metallo, e soprattutto è ricercato dal governo degli Stati Uniti, sotto forma dell’agente Kent Mansley, che tenterà in tutti i modi di trovarlo per distruggerlo, ingaggiando in questo senso una sorta di battaglia con Hogarth.
A dare una mano al ragazzino sarà Dean McCoppin, proprietario di una discarica di oggetti metallici, che peraltro converte in opere d’arte.

Il gigante di ferro è il contrario dei film d’animazione che si sono imposti nel mercato degli ultimi decenni: non punta sulla spettacolarità, non punta sulla comicità facile, non punta su personaggi stereotipati, non punta su banalità ed effetti emotivi facili, bensì ricorda i prodotti di tanto tempo fa: per certi versi semplici, ma con un tessuto emotivo piuttosto forte, e dall’impronta educativa ugualmente marcata.

Un prodotto delicato, insomma, affatto pacchiano, che potrà forse deludere i palati più grossolani, abituati ad azione sfrenata e a comicità immediata, ma che non potrà che piacere a chi apprezza le opere cinematografiche con contenuti umani ancor prima che tecnologici.

Insomma, Il gigante di ferro mi è piaciuto: non spiega il prima e non illustra il dopo, limitandosi a fotografare un pezzo del percorso, ma comunque è un buon film d’animazione, tanto per grandi quanto per piccoli… e non a caso ha ricevuto numerosi premi e nomination.

Fosco Del Nero



Titolo: Il gigante di ferro (The iron man).
Genere: animazione, fantastico, drammatico.
Regista: Brad Bird.
Anno: 1999.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

Il mondo dall'altra parte