Mi sono accostato a Dililì a Parigi per via del regista: quel Michel Ocelot già autore di capolavori (o quasi) come Kirikù e la strega Karabà e Azur e Asmar: sapevo dunque già in partenza cosa attendermi, sia a livello di grafica, sia livello di contenuti.
In effetti, Dililì a Parigi in qualche frangente ha ricordato ambo i film citati, pur avendo una storia tutta sua.
Eccola: siamo alla fine dell’Ottocento a Parigi, dove la piccola Dililì lavora in una sorta di ricostruzione di un villaggio canaco nella capitale francese. Essendo meticcia, mezzo francese e mezzo canaca (i canachi sono gli indigeni della Nuova Caledonia), viene vista con sospetto da entrambi i popoli, nonostante la sua eccellente educazione e la sua grande intelligenza.
La bambina fa amicizia col giovane Orel, un corriere che gira la città con la sua bicicletta: dapprima gli racconta la sua storia (a lui e agli spettatori), in seguito affronterà con lui la minaccia dei Maschi Maestri, un gruppo di criminali che rapina i negozi e rapisce le bambine, apparentemente facendole sparire nel nulla.
Nell’avventura la piccola incontrerà molti illustri personaggi dell’epoca: la cantante Emma Calvé, lo scienziato Louis Pasteur, il disegnatore Henri de Toulouse-Lautrec, il Principe del Galles, il costruttore di aerei Alberto Santos-Dumont, l’attrice Sarah Bernhardt… solo per citarne alcuni.
Il citazionismo storico si abbina alla ricostruzione di Parigi, basata su fotografie reali a cui è stata sovrapposta l’animazione disegnata a mano. L’effetto finale è molto gradevole e in certi casi brillante.
In effetti, dal punto di vista estetico Dililì a Parigi è davvero bello, ancor più dei precedenti film di Ocelot.
Anche la storia raccontata è interessante, e a suo modo educativa, per quanto vada a parare nel solito punto affrontato dall’animazione francese: la diversità e il rispetto per la diversità. Il che va bene come concetto di base, mentre va meno bene quando lo si vorrebbe applicare anche alla mancanza di civiltà di alcune persone o alcuni gruppi umani; viceversa, va ricordato che vi sono persone e popoli a diversi livelli di consapevolezza e di civiltà, e che non va accettato tutto quanto… proprio per niente. Va anche ricordato che è chi arriva in un posto che deve adeguarsi alla cultura locale, non il contrario.
A tale concetto ambiguo si aggiunge, in questo film, l’elemento dei “maschi padroni e fuori di testa”, in una sorta di sessismo al contrario, che stiamo vivendo nei tempi odierni, probabilmente “incentivato” da certi gruppi di potere. A proposito di certi gruppi di potere, viene citata la Porta per l’Inferno di Rodin.
Giacché sto evidenziando gli elementi negativi del film, la prima volta che Dililì si inchina per presentarsi a una persona appena conosciuta, recitando una certa formula, è carina… ma dalla settima in poi comincia a essere fastidiosa.
Detto questo, Dililì a Parigi ha molte più luci che ombre, e Ocelot si conferma regista di ottimo livello… per quanto il mio preferito tra i suoi film rimanga Azur e Asmar.
Fosco Del Nero
Titolo: Dililì a Parigi (Dililì à Paris).
Genere: animazione, commedia.
Regista: Michel Ocelot.
Anno: 2018.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.