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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 26 febbraio 2020

Le avventure del topino Despereaux - Sam Fell, Robert Stevenhagen

Mi pare che mi fossi segnato Le avventure del topino Despereaux, ormai molto tempo fa, dopo averlo trovato in una classifica dei migliori film d’animazione.
Ed ecco qui il film realizzato nel 2008 dal duo Sam Fell-Robert Stevenhagen (nomi che mi dicono poco: ho incontrato solo il primo dei due come co-regista di Paranorman) e tratto dal libro per ragazzi Le avventure di Meschino di Kate Di Camillo (nome che ugualmente mi dice poco, e anzi meno ancora).

Le avventure del topino Despereaux detiene peraltro un piccolo primato: quello di essere il primo lungometraggio in computer grafica della Universal Pictures… andiamo a vedere come è andata tale primizia.

Bene, ma non benissimo, si usa dire di questi tempi, e il motteggio pare fatto su misura.

La prima annotazione è sull’animazione: discreta, ma non troppo bella, e anzi piuttosto attardata, tecnicamente parlando, rispetto alle produzioni degli ultimi anni: d’accordo, il film è del 2008, e non del 2016, ma ci si poteva attendere qualcosa di più. I fondali in stile pastello son molto migliori di personaggi e animazioni.

La seconda annotazione riguarda il genere narrativo: a dispetto del binomio così tanto diffuso animazione-film umoristico per famiglie, Le avventure del topino Despereaux esclude qualsiasi tipo di umorismo: non una battuta, non una gag, niente. Viceversa, esso ha un tono più serio, persino drammatico in certi punti, tanto in alcune scene potenziali (una folla di ratti che si accinge a divorare una ragazza viva) quanto in alcune scene interiori (i dilemmi di alcuni personaggi nel loro essere diversi dal gruppo).

Terza annotazione: questo non è un film da eroi belli e puliti, e praticamente tutti i personaggi mostrano il loro lato oscuro: la buona principessa sa essere sgarbata, il buon re può governare male, i genitori del protagonista, in fin dei conti dei bravi topi, lo abbandonano a se stesso, l’umile ragazza di campagna è semplice ma anche invidiosa, e via discorrendo.

Altra cosa da sottolineare: il film non ha un gran ritmo. Come detto, dimenticatevi delle produzioni d’animazione tipiche degli Usa, tutte dinamismo e umorismo.
Qua si pensa e ci si rattrista un po’.

Ecco in sintesi la trama de Le avventure del topino Despereaux: nel Regno di Dor è successa una tragedia: la Regina è morta affogata nella zuppa, spaventata dall’aver visto da vicino il ratto Roscuro, che peraltro non intendeva far del male ad alcuno. Come conseguenza, il Re dichiara illegali tanto le zuppe quanto i ratti, i quali così si rifugiano nel sottosuolo, in  una sorta di Mondo dei Ratti, che sta a un livello più in basso rispetto al Mondo dei Topi
In quest’ultimo, il piccolo topo Despereaux si rivela essere un topo anomalo: non ha paura, è coraggioso, e addirittura va a parlare con gli umani, nella fattispecie con la Principessa Pea, la figlia della Regina morta nella zuppa. Per questo, pur ancora piccolo, egli viene bandito dal Mondo dei Topi e mandato giù nel Mondo dei Ratti; qui egli conoscerà varie persone, tra cui il ratto Roscuro, che pure lui è anomalo come ratto (ama la luce, per esempio), e metterà in moto una serie di eventi, ovviamente strana anch’essa.

Le avventure del topino Despereaux è un film tutto sommato gradevole, e con un intento educativo persino, anche se non si rende memorabile né nell’aspetto visivo né in quello della sceneggiatura.

Da evidenziare un cast di doppiatori d’eccezione in lingua originale, tra Matthew Broderick, Dustin Hoffman, Emma Watson, Tracey Ullman e Kevin Kline… che però ovviamente non ci sono in lingua italiana.

Chiudo con un paio di frasi tratte dal film.

“Non aver paura: è buio, ma ti abituerai.”

“Un eroe non compare finché il mondo non ne ha davvero bisogno.”

“Stia tranquilla, impareranno ad avere paura: lo fanno tutti, col tempo.”

“Le nostre leggi esistono per proteggere noi e il nostro stile di vita.
Quando uno dei nostri cittadini si allontana da quello stile di vita, egli diviene una minaccia per noi tutti.”

“Si dice che il dolore sia il sentimento più forte che una persona possa provare.
Non è vero: è il perdono. Perché anche un unico atto di perdono può cambiare tutto.”

Fosco Del Nero



Titolo: Le avventure del topino Despereaux (The tale of Despereaux)
Genere: animazione, drammatico, commedia.
Regista: Sam Fell, Robert Stevenhagen.
Anno: 2008.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


martedì 25 febbraio 2020

Will Hunting - Genio ribelle - Gus Van Sant

Avevo già visto Will Hunting - Genio ribelle, ma secoli fa, e infatti non avevo ancora aperto il blog.
La recensione arriva oggi con questa nuova visione.

Prima di raccontare la trama sommaria del film, qualche concetto di partenza.
Il primo è il regista, quel Gus Van Sant che ha indirizzato la sua carriera verso film super-drammatico, tanto negli eventi sceneggiati quanto nelle turbe interiori dei protagonisti: si pensi a Elephant, a Paranoid Park o al recente La foresta dei sogni, tutti film premiati ma dal genere troppo drammatico e noiosamente pesante per i miei gusti.
Viceversa, nella parte iniziare della sua carriera il regista aveva prodotto film che avevano sì dei contenuti drammatici, ma non così carichi di pathos gratuito, e magari più brillanti, come questo stesso Will Hunting - Genio ribelle o Scoprendo Forrester.

Il secondo spunto è che la coppia Matt Damon-Ben Affleck mi ricorda il brillantissimo e divertentissimo Dogma
Peraltro, i due attori sono anche gli sceneggiatori del film, oltre che protagonista centrale e secondario.

Il terzo è che il film vive di coppie-confronti-scontri: quello tra il protagonista e l’amico, quello tra il protagonista e la ragazza, quello tra il protagonista e lo psicologo; tutti significativi e interessanti, anche se è quello con lo psicologo-Robin Williams che sprizza scintille.

Ecco la trama di Will Hunting - Genio ribelle: Will Hunting (Matt Damon; Rounders - Il giocatore, La leggenda di Bagger Vance, I guardiani del destino, Elysium) è un giovane scapestrato, che ha vissuto un’infanzia infelice, che ora passa il tempo con pochi amici tra birre e risse, ma che ha un’intelligenza insolitamente sviluppata. Egli apprende tutto rapidamente, ma è soprattutto in ambito matematico che la sua capacità di elaborazione si fa notare… 
… letteralmente, quando risolve un problema alla lavagna lasciato dal Professor Lambeau (Stellan Skarsgard; Medicus - The physician, Angeli e demoni, Amistad) come sfida ai suoi studenti.
Una volta individuato come l’autore della dimostrazione matematica, egli viene preso in custodia dal professore stesso, che vuole valorizzarne l’intelletto e al contempo diminuirne gli eccessi caratteriali, giacché il ragazzo ha un carattere piuttosto difficile e diffidente.

Lo sa da tempo il suo migliore amico, Chuckie Sullivan (Ben Affleck; Paycheck, L’amore bugiardoLa vita è un sogno), se ne accorge la bella studentessa Skylar (Minnie Driver; L’ultimo contratto) e vi sbatte contro lo psicologo Sean Maguire (Robin WilliamsAl di là dei sogni, L’attimo fuggentePatch AdamsL’uomo bicentenarioLa leggenda del re pescatore), l’unico che riuscirà ad avere un impatto su di lui, dopo che svariati altri psicologi avevano fallito malamente.
Alla fine della fiera, il ragazzo si troverà davanti alla scelta tra il seguire la sua voce interiore e il seguire il successo e le aspettative del mondo.

Will Hunting - Genio ribelle è un gran bel film: vivo, autentico, vivace e verace.
I personaggi principali sono ottimamente caratterizzati, e come detto le relazioni tra di loro costituiscono il motore centrale del film.
Nel quale a dire il vero non c’è molto altro (non vi sono altri personaggi di rilievo oltre a quelli descritti, né eventi rilevanti), ma quel che c’è basta e avanza per fare di Will Hunting un film di valore. E persino didattico sotto certi punti di vista (il coraggio nell’aprirsi al mondo, il coraggio nel seguire la propria vocazione).

Fosco Del Nero



Titolo: Will Hunting - Genio ribelle (Will Hunting - Genio ribelle)
Genere: psicologico, drammatico, commedia.
Regista: Gus Van Sant.
Attori: Matt Damon, Robin Williams, Minnie Driver, Ben Affleck, Stellan Skarsgård, Casey Affleck, Cole Hauser, John Mighton, Rachel Majorowski, Colleen McCauley, Matt Mercier.
Anno: 1997.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 19 febbraio 2020

Akira - Katsuhiro Otomo

Credo che questa sia la seconda volta che ho visto Akira, il film d’animazione realizzato da  Katsuhiro Otomo nel 1988 e divenuto nel tempo un vero e proprio film culto.

Partiamo con un po’ di storia: il film Akira deriva dall’omonimo manga scritto da Otomo qualche anno prima, e da lui stesso riadattato modificandone lo sviluppo e il finale sino al prodotto che è divenuto famoso in tutto il mondo, e che anzi ha reso popolare l’animazione giapponese in Occidente, tanto da divenire, nell’immaginario collettivo, una sorta di Blade runner dell’animazione.

Passiamo ora alla trama sommaria di Akira: durante la Terra Guerra Mondiale Tokyo è stata distrutta per poi essere sostituita da Neo Tokyo, una città che nel 2019 è divenuta una metropoli caotica e priva di legalità, in mano a bande di teppisti e poliziotti prepotenti.
Il protagonista principale della storia è Kaneda, leader di un gruppo di motociclisti comprendente anche Kaisuke, Yamagata e Tetsuo. Durante una sfida contro una banda rivale di motociclisti-teppisti, il gruppo si imbatte in un evento che cambierà la vita di tutti loro: Kaneda vede uno strano bambino, bambino nel corpo ma con il viso di una persona anziana, mentre Tetsuo viene gravemente ferito e poi rapito dai militari, che da quel momento in poi lo usano per i loro esperimenti.
In tali esperimenti rientra la figura misteriosa di Akira, da molti invocano come una sorta di liberatore-messia che a un certo punto sarebbe arrivato per eliminare tutto il marcio della società.
Ad avere a che fare con Akira sono anche il Colonnello Shikishima, che conduce il progetto scientifico chiamato proprio “Akira”, e Kay, una giovane di cui Kaneda s’invaghisce e che fa parte della resistenza, la quale viceversa il progetto Akira vorrebbe eliminarlo.

Tale piccolo riassunto mostra già alcuni dei temi di Akira: la guerra e la devastazione, la tecnologia, la ricerca scientifica portata all’estremo, gli squilibri sociali, il potere politico e la prepotenza militare, la società svuotata di cultura e civiltà, la ribellione e il vandalismo…
… e a essi si aggiunge un filone esistenziale che rimane come sullo sfondo, coperto da azione, violenza, corse ed esplosioni, ma che pur tuttavia c’è, configurando una sorta di binomio tra fantascienza e misticismo, che poi sarebbe stato portato avanti, in modo più plateale, da opere successive come  Ghost in the shell.

Tale misticismo di fondo non afferisce tanto alle figure anomale di poteri esp, telepatia e telecinesi in primis, né alle varie dimostrazioni di nichilismo e di cultura distruttiva, ma si evince proprio da alcune frasi dal sapore decisamente esistenziale, come le seguenti.

“Ogni forma vivente è dotata di una sua energia. Parlo della forza vitale che esiste perfino nella molecola dell’acqua e dell’atmosfera, e perfino nella polvere dello spazio.
Se tutto questo si è evoluto, allora deve aver trattenuto qualche memoria al suo interno che potrebbe farci risalire fino a prima che iniziasse il tempo. Forse tutto ciò che oggi esiste possiede questa memoria…”

“Non serve a nulla nascondersi.”

“Il futuro non è una linea dritta, ma è piena di incroci.
Deve esserci un futuro che possiamo scegliere da soli.”

“Prima o poi anche noi saremo.
Quel giorno è giunto.”

Senza contare la frase finale, “Io sono Tetsuo”, divenuta celeberrima, che da un lato, quello esistenziale, riecheggia l’“Io sono”, la frase esistenziale per eccellenza, e dall’altro lato, quello materiale, appare come una sorta di nuovo big bang creativo.

Nel complesso, Akira è un film di valore, che ha mantenuto la sua bellezza nel corso degli anni… per quanto si tratta di una bellezza per larghi tratti violenta, cosa che potrebbe non piacere a molti, ma che, proprio nel contrasto tra aspetto materiale e aspetto interiore-invisibile, trova la sua essenza più intima e, molto probabilmente, la causa del suo lungo e perdurante successo di pubblico.

Fosco Del Nero



Titolo: Akira (Akira)
Genere: anime, animazione, fantascienza, drammatico.
Regista: Katsuhiro Otomo.
Anno: 1988.
Voto: 7.5
Dove lo trovi: qui.


martedì 18 febbraio 2020

Tracks - Attraverso il deserto - John Curran

Il film Tracks - Attraverso il deserto mi è stato suggerito da un lettore come film dai contenuti esistenziali e per questo me lo ero segnato e me lo sono poi visto.
Vi sono in esso tali contenuti?
No, affatto.
Il film vale almeno la pena di essere visto?
Dipende.

Andiamo a motivare tutto quanto, partendo dagli estremi di Tracks - Attraverso il deserto, film del 2013 diretto da John Curran (già recensito ne Il velo dipinto) e con protagonista (quasi unica) Mia Wasikowska.
Il film racconta una storia vera ed è tratto dal libro autobiografico Orme, in cui è descritta l’avventura di Robyn Davidson, che nel 1977 effettuò un viaggio a dir poco impegnativo e lungo.
Il film, peraltro, avrebbe dovuto esser girato nel 1993, e con nientemeno che Julia Roberts come protagonista, ma il progetto è stato messo da parte, per poi essere ripreso ben vent’anni dopo.

Ecco in sintesi la trama di Tracks - Attraverso il deserto: Robyn Davidson è una ragazza australiana la quale, un bel giorno, decide di attraversare buona parte dell’Australia a piedi, da Alice Springs all'Oceano Indiano, per un totale di 2700 chilometri, accompagnata da alcuni cammelli e dal suo cane Diggity. Nel mezzo, molta sabbia e molta solitudine, quest’ultima interrotta solo da sporadici incontri casuali, aborigeni compresi, e dalle “visite” di Rick Smolan, fotografo della rivista National Geographic, che finanzia il viaggio a condizione che esso sia documentato nelle sue varie fasi, da cui gli incontri circa ogni mese. 

Del film non c’è da dire nient’altro, se non che propone molti paesaggi e molte difficoltà, compresi alcuni flashback nell’infanzia difficile di Robyn, tra il suicidio della madre e l'abbandono del padre.

Contenuti interiori di valore neanche l’ombra, purtroppo, e anzi molte energie basse: solitudine interiore ancora prima che esteriore, freddezza, una certa misantropia di fondo di un personaggio evidentemente problematico, che tra l’altro non fornisce nemmeno un motivo per il suo viaggio, se non un “Perché no?” e un “Quando sei immobile da troppo tempo non ti resta che gettare tutto all’aria e buttarti”… la seconda frase un poco più convincente della prima.

Tracks - Attraverso il deserto è piuttosto deludente: non basta l’elemento documentaristico a motivare un film, ma oltre quello non c’è altro se non il timido e poco convincente tentativo di collegare il viaggio stesso all’infanzia difficile della ragazza.

Bei panorami (anche se dopo un po’, sabbia, deserto e cammelli stufano), ottima prova di Mia Wasikowska, ma nient’altro: né dialoghi di valore né energia sostenuta. E probabilmente non è un caso che la carriera del regista non ha mostrato, finora almeno, niente di memorabile.
Peccato.

Fosco Del Nero



Titolo: Tracks - Attraverso il deserto (Tracks)
Genere: avventura, drammatico, biografico.
Regista: John Curran.
Attori: Mia Wasikowska, Adam Driver, Rainer Bock, Roly Mintuma, John Flaus, Robert Coleby, Tim Rogers, Emma Booth, Jessica Tovey, Melanie Zanetti, Lily Pearl, Darcy Crouch, Felicity Steel.
Anno: 2013.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 12 febbraio 2020

Dead like me - Bryan Fuller

Altra serie televisiva recensita sul sito: è Dead like me, serie tv davvero insolita che ha vissuto solo due stagioni, dal 2003 al 2004, e poi è terminata, lasciando dietro di sé un film come spin-off e una certa sensazione di incompiutezza.

L’incompiutezza di cui sopra, tuttavia, non si deve ad una trama lasciata interrotta, giacché la serie in pratica non aveva una trama e andava avanti letteralmente alla giornata, puntata per puntata (e probabilmente ha pagato tale mancanza), ma per il fatto che un’idea originalissima e persino brillante, che avrebbe potuto dar seguito a qualcosa di davvero bello e lungo, non è stata sviluppata a dovere, finendo per durare piuttosto poco.

Ecco in sintesi di cosa parla Dead like me, serie televisiva statunitense-canadese girata a Vancouver: quando le persone muoiono non sono lasciate a se stesse, ma sono accompagnate all’aldilà dagli assistenti della morte, che poco prima della morte prelevano l’anima della persona: il corpo muore, mentre l’anima viene accompagnata al portale sull’altro mondo, che ogni volta è diverso, a seconda del carattere della persona morta.
Gli assistenti della morte, a loro volta, sono persone morte, le quali sono però rimaste in vita, in un corpo fisico diverso dal loro originario, allo scopo di svolgere il lavoro in questione.
Alla giovane Georgia Lass (Ellen Muth), morta appena 18enne e in modo alquanto bizzarro (viene colpita dalla tavoletta del water di una stazione spaziale che aveva perso i pezzi), viene per l’appunto riservato il destino di assistente della morte, e conosce così i suoi nuovi colleghi e futuri amici: il capo Rube (Mandy Patinkin, il mitico Inigo Montoya de La storia fantastica), la vigilessa Roxy (Jasmine Guy), il guascone Mason (Callum Blue), l’elegante Betty (Rebecca Gayheart) e poi l’affascinante attrice Daisy (Laura Harris).

Essenzialmente la gran parte degli episodi mostra il lavoro di tali assistenti della morte, i quali peraltro sono assegnati alle morti violente: soprattutto incidenti, e spesso “spettacolari”, ma anche omicidi… il tutto comunque in un’atmosfera da commedia vivace.
Rivestono un discreto ruolo anche le vicende della famiglia d’origine di Georgia, la quale non va molto bene dopo la di lei morte. A questo proposito, va segnalata la sua sorellina Reggie, che dapprincipio è pure simpatica nella sua ribellione, ma poi la cosa diviene tanto scontata da risultare non credibile. Importante pure il luogo di riunione del gruppo, la Waffle House, luogo di lavoro, d incontri, di chiacchiere e di cibo.

Potenzialmente l’idea di fondo di Dead like me avrebbe potuto aprire scenari quasi sconfinati, nonché dare il la ad una serie televisiva lunghissima.
Tuttavia così non è stato, e la serie è stata penalizzata da alcuni fattori. Due soprattutto secondo me.
Il primo è che mancava una trama di fondo; c’era qualche sottoplot, ma roba da poco, ed essenzialmente mancava una trama vera e propria. Una serie tv senza una trama portante non dura a lungo, perché è questa che tiene viva l’attenzione, porta ascolti e quindi finanziamenti.
Il secondo è che si tratta di una serie piuttosto intelligente, riservata a poche persone, non un prodotto di massa dunque: lo si evince nell’ironia che spesso si mostra, alternata ad umorismo invece a volte più crasso, e lo si evince anche dalle tanti citazioni del passato, tra luoghi, eventi, personaggi ormai antichi (soprattutto per via di Daisy).
Purtroppo, per quanto gradevole, senza una direzione di fondo, senza una trama da seguire, la serie ha stancato dopo nemmeno troppe puntate, 29 distribuite in due stagioni.

Davvero un peccato.

Fosco Del Nero



Titolo: Dead like me (Dead like me)
Genere: serie tv, commedia, surreale.
Regista: Bryan Fuller.
Attori: Ellen Muth, Rebecca Gayheart, Laura Harris, Mandy Patinkin, Callum Blue, Jasmine Guy, Britt McKillip, Cynthia Stevenson, Greg Kean.
Anno: 2003-2004.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


martedì 11 febbraio 2020

Vanishing on the 7th street - Brad Anderson

Rivisto il già visto in passato L’uomo senza sonno, nonché il più recente e mai veduto Stonehearst Asylum, avendoli apprezzati entrambi e avendo in generale apprezzato il talento visionario e originale di Brad Anderson, mi son deciso a vedere un terzo film del regista: la scelta è ricaduta su Vanishing on the 7th street… ma non è stata una grandissima scelta. Almeno dal punto di vista cinematografico, ma è stata una scelta interessante dal punto di vista dei contenuti.

Parto dalla trama sommaria e poi procedo col resto.
Siamo a Detroit, quando una sera un improvviso black out fa sparire quasi tutte le persone. Il primo scenario è quello di un multisala pieno di gente: scompaiono tutti tranne il proiezionista Paul, che durante il lavoro stava leggendo un libro con una lampada elettrica da scavatore fissata sulla testa.
In un ospedale in città avviene lo stesso: si salva la sola Rosemary, che al momento del black out aveva un accendino acceso.
Quanto a Luke, egli stava dormendo, e infatti si avvede di quanto successo molto tempo dopo, al risveglio; egli dormiva accanto a delle candele lasciate accese dalla sua fidanzata.
Il ragazzino James, dal canto suo, stava all’interno di un bar alimentato da un generatore indipendente, non intaccato dal black out generale.

L’elemento della luce appare dunque da subito decisivo, e lo sarà sempre di più nella storia, quando si capisce che l’intera città è sotto attacco di misteriose forze delle tenebre, le quali riescono a inghiottire/far sparire chiunque non sia al riparo di un qualche tipo di luce: i corpi spariscono e in terra rimangono oggetti e vestiti. Cosa ne sia di quanti vengono inghiottiti dal buio non si sa, ma i superstiti non intendono scoprirlo di persona… anche perché vedono delle minacciose ombre di persone-creature-demoni sui muri della città e delle case, cosa che ovviamente non risulta molto attraente e anzi parecchio inquietante.
Il problema è che le tenebre stanno guadagnano terreno e la luce diurna dura sempre meno ore, fino a una sorta di notte ininterrotta: sarà possibile salvarsi in queste condizioni?

Abbiamo dunque il contrasto luce-ombra, chiaro fin da subito.
Abbiamo il fatto che col buio si muore e ci si dimentica di se stessi, mentre con la luce si rimane vivi e ci si ricorda di sé: “Io esisto”, dicono i superstiti per farsi forza.
Abbiamo poi che le tenebre, sotto forma di persone perdute del passato, effettuano il loro suadente richiamo ai vivi, cui i protagonisti cercano di resistere: qualcuno ce la fa e qualcuno no, e qua entra il gioco il tema dell'attaccamento.
Lo stesso sottotitolo che figura nella locandina del film, "Stay in the light" (ossia, "Rimani nella luce") pare essere un invito di tipo esistenziale.
Abbiamo anche, e che ognuno lo valuti come vuole, una foto di un'esplosione atomica con sotto la scritta "new world order" (ciò con tutta probabilità conferma gli interessi del regista).

Detto così Vanishing on the 7th street sembra un film estremamente affascinante, e persino con risvolti esistenziali di grande interesse (non casuali, visto che anche in altri film di Brad Anderson si trovano validi simbolismi)… però devo dire che cinematograficamente il prodotto è piuttosto scadente.
Purtroppo, perché altrimenti il film si sarebbe di diritto inserito nel novero di quei film di nicchia e di grande atmosfera e significato che magari non hanno ottenuto grande clamore di pubblico ma che sono rimasti nella memoria come film culto: penso per esempio a Dark City, a Fight Club, a Il tredicesimo piano, a Existenz, etc.

Vanishing on the 7th street ha una bella fotografia e un bel montaggio; le location possiedono indubitabilmente una certa atmosfera… e il bar in cui i protagonisti si rifugiano, sorta di fortino contro le tenebre esteriori, come atmosfera è un piccolo capolavoro.
A ciò contribuisce anche uno stile visivo onirico e surreale, quasi da produzione degli anni “80-90.

Peccato che tutto sia rovinato da un cast non all’altezza (all'interno del cast, da citare Hayden Christensen, che ha interpretato Anakin Skywalker nella saga di Star wars e che in questo film si chiama... Luke, e probabilmente non è un caso né il nome Luke né il fatto che per questo film sia stato scelto uno dei protagonisti della saga sulla "forza", e quello che più di tutti ondeggiava tra il lato della luce e quello delle tenebre, ciò che è il tema centrale di Vanishing on the 7th street, per quanto assai romanzato), ma soprattutto da dialoghi tra i protagonisti piuttosto forzati: da questo punto di vista sembra di assistere a un romanzo di uno scrittore esordiente.
Le scene e i comportamenti sono ugualmente insensati e poco credibili: idem come sopra.

Insomma, Vanishing on the 7th street mi ha dato la sensazione di essere un’ottima cornice di un quadro scadente, tanto che a mio avviso val la pena vederlo solo se si è interessati all’aspetto esistenziale-metafisico della dualità luce-oscurità: in questo caso la sua valutazione aumenta di un paio di tacche.
Anzi, il film può risultare persino motivante per il viandante spirituale nel suo essere un perfetto simbolo della condizione umana, giacché gli ricorda che quando se ne va la consapevolezza rimane l'addormentamento, che quando se ne va la luce ci si consegna alle tenebre: un simbolo perfetto sia a livello individuale che a livello collettivo di massa.

Il fatto che si sta parlando di consapevolezza (la “luce della coscienza”) è certificato anche dai nomi scelti per i protagonisti, tutti quanti evangelici: Luca, Giacomo, Paolo e Maria (nei loro corrispettivi inglesi, ovviamente). Non a caso, il film termina in una chiesa, sorta di luogo salvifico… e si salvano solamente due bambini, ossia due puri di cuore, cosa che ricorda molto Gesù (una cui statua, non a caso, viene inquadrata nella parte finale del film). 
Molto bello anche il fatto che i demoni, le presenze oscure, arretrano con la luce: ciò da solo è un bell’insegnamento. 
Altro dettaglio: spariscono solamente gli esseri umani, ma non gli animali: ulteriore conferma del fatto che la questione centrale è data dalla dicotomia tra ego e coscienza umana.

Tuttavia, se volete anche un film cinematograficamente di valore, allora vi consiglio altri lidi… magari quelli citati prima.

Allego alcune frasi tratte dal film, tutte quante piuttosto significative a livello esistenziale.

"Dobbiamo restare nella luce."

"Era come se stessi lottando per respirare: stavo lottando per esistere."

"Questa non è una casualità: c'è un motivo."

"Tutto ciò mi fa ricordare che esisto."

"Io esisto."

"Questo è un nuovo inizio, non una fine."

"È una tempesta passeggera."

Fosco Del Nero 



Titolo: Vanishing on the 7th street (Vanishing on the 7th street).
Genere: horror, esistenziale.
Regista: Brad Anderson.
Attori: Hayden Christensen, Thandie Newton, John Leguizamo, Taylor Groothuis, Jacob Latimore, P.J. Edwards, Courtney Benjamin, Arthur Cartwright, Jordan Trovillion, Shawntay Dalon, Pamela Croydon.
Anno: 2010.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 5 febbraio 2020

Bella di giorno - Luis Bunuel

Mi pare che mi fossi segnato Bella di giorno, film del 1967, poiché veniva segnalato come una delle opere più importanti di Luis Bunuel, il regista spagnolo che avevo già apprezzato ne La via lattea, Il fascino discreto della borghesia e Quell’oscuro oggetto del desiderio, in ordine di visione e anche di gradimento.

Anche Bella di giorno mi è piaciuto: come bellezza visiva, intensità e indagine psicologica è un gran film, per quanto triste in quanto al suo argomento centrale.

Andiamo subito a tratteggiarne per sommi capi la trama: Séverine Serizy (Catherine Deneuve; La mia droga si chiama Julie, 8 donne e un mistero, Dio esiste e vive a Bruxelles) è la giovane moglie di un dottore, Pierre Serizy (Jean Sorel; Un piede in paradiso), e in teoria non potrebbe chiedere di più dalla vita: è giovane, bella, amata dal marito, vive nel lusso e ha tutto il tempo che vuole, non dovendo lavorare.
Tuttavia, la donna, esternamente elegante e raffinata, vive dei turbamenti interiori molto profondi, legati probabilmente a un abuso ricevuto durante l’infanzia (una delle scene censurate al tempo, insieme a scene di nudo), il quale è probabilmente responsabile del fatto che lei si sente sporca e immeritevole.
Nella vita da sveglia, pur amando suo marito, lo tiene a distanza, sia affettivamente sia sessualmente, tanto che i due dormono in letti singoli (usanza comunque non troppo strana in passato); nella vita di notte, nei suoi sogni, si immagina scene di violenza e di umiliazione, unico modo in cui riesce ad “accendersi”.
A un certo punto arriva a vivere anche da sveglia tale umiliazione, decidendo di prostituirsi in un’elegante casa di appuntamenti, gestita da Madame Anais.
Ma i nodi prima o poi vengono al pettine, sotto forma di giovane uomo, per giunta criminale, che si innamora di lei e che la vorrebbe tutta per lui, e sotto forma di conoscente di suo marito che intende riferire tutto all’uomo.

Bella di giorno al tempo ebbe molti problemi, com’era prevedibile considerando sia il tema scottante sia le scene di nudo più o meno velato (comunque inferiori alla gran parte delle produzioni odierne): il film fu censurato, persino in modo tale da farne perdere almeno in parte il senso, e a Cannes fu fischiato a fine proiezione.
In compenso, a Venezia vinse il Leone d’Oro, fu considerato eccellente dagli specialisti nella sua analisi psicologica, ed è rimasto nel tempo come uno dei film più importanti di Bunuel… e infatti l’ho trovato per questo motivo.

Bella di giorno è un film che propone molta bellezza: quella elegantissima della Parigi degli anni “60, quella di un ambiente colto e raffinato, quella della stessa Catherine Deneuve, icona di bellezza ed eleganza… e, per quanto in modo triste, anche quella di una persona che ha avuto un vissuto difficile e cerca in qualche  modo di superarlo, con una sorta di psicanalisi fai-da-te condotta nella vita reale.

Unica criticità del film: esso inizia con una scena di sogno che tuttavia, sulle prime, potrebbe essere scambiata con un flashforward (quanto accade dopo, il contrario del flashback), col film che dopo ritorna sulle sue. Invece, la prima scena è uno dei tanti sogni di violenza e auto-umiliazione che prova la protagonista, che smette di sognarli verso il finale, quando il suo problema sembra essersi risolto… per quanto in modo bizzarro e critico: in questo senso, il film non spiega se l’incidente finale sia un premio o una punizione.

Ad ogni modo, Bella di giorno è davvero bella, e Luis Bunuel era un grande regista, attentissimo alle tendenze sociali e psicologiche.
Mi vedrò altrui suoi film, ripescandoli dalle pieghe non troppo conosciute del passato.

Fosco Del Nero



Titolo: Bella di giorno (Belle de jour)
Genere: drammatico, psicologico.
Regista: Luis Bunuel.
Attori: Catherine Deneuve, Francisco Rabal, Michel Piccoli, Geneviève Page, Georges Marchal,Jean Sorel, Pierre Clémenti, Françoise Fabian, Francis Blanche, Macha Méril.
Anno: 1967.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 4 febbraio 2020

La mummia - Il ritorno - Stephen Sommers

Da poco ho recensito La mummia, film che mi piacque molto quando lo vidi appena uscito, da ragazzo, e ora recensisco il suo seguito, La mummia – Il ritorno, che ugualmente vidi, una volta sola, ma il cui ricordo era molto più sbiadito.

Il ricordo sbiadito era probabilmente dovuto al fatto che il seguito, come quasi sempre capita, non è riuscito a bissare la qualità del precedente film, pur non essendo completamente un disastro.

Come prima cosa, partiamo dalla trama sommaria de La mummia - Il ritorno, diretto dallo stesso Stephen Sommers: siamo nel 1933, e dunque dieci anni dopo l’incontro dei due archeologi-avventurieri Richard O'Connell e Evelyn Carnahan (che sono sempre i bravi e belli Brendan Fraser e Rachel Weisz), i quali nell’avventura precedente avevano trovato il tempo di innamorarsi mentre salvavano il mondo dalla minaccia della resurrezione di Imhotep. Li troviamo tali e quali a prima, e in effetti in realtà sono passati solo due anni, ma con un figlio di dieci anni… prima nota stonata del film.
La seconda nota stonata è la ripetizione della trama precedente: Imhotep viene nuovamente risuscitato… e nuovamente, per ricostruire il suo corpo fisico, si nutre di tre avventurieri senza scrupoli. C’è anche Anck-su-Namun, la sua amante, così la famiglia è al completo.
Stavolta però, c’è un diversivo, sotto forma di folle condottiero del passato che ha stretto un patto con Anubi, il malvagio dio dei morti: nel 3.000 avanti Cristo tale patto ha prodotto devastazioni e morte, e ovviamente promette di produrli anche adesso…
… a meno che Richard, Evelyn, il di lei fratello Jonathan e il di loro figlioletto Alex non riescano ad impedirlo.

Nei bailamme che ne segue, tra Egitto e Londra, c’è un uso massiccio di effetti speciali, che rendono il film abbastanza spettacolare, ma purtroppo non gli danno né originalità né spessore.
Paradossalmente, ciò in cui il film si distingue più in positivo è l’umorismo ironico in salsa britannica, che caratterizzava anche il primo episodio; elemento però non sufficiente per fare di un film un gran film, specialmente quando di mezzo la sceneggiatura è poco strutturata e anzi a tratti confusa.

Anche il finale è poco credibile nel suo dipingere come più solido l’amore americano iniziato qualche anno prima rispetto a quello egiziano che aveva attraversato i millenni: confronto piuttosto pacchiano oltre che inverosimile per le stesse premesse del primo film.

Nel complesso, pur non essendo un disastro e a tratti piacevole, La mummia - Il ritorno entra nell’ampio novero dei sequel di valore inferiore rispetto al film originario.

La saga comprende anche un terzo film, La mummia - La tomba dell'Imperatore Dragone, ma non credo che lo vedrò mai.

Fosco Del Nero



Titolo: La mummia - Il ritorno (The mummy returns)
Genere: avventura, commedia.
Regista: Stephen Sommers.
Attori: Brendan Fraser, Rachel Weisz, Oded Fehr, Arnold Vosloo, John Hannah, Dwayne Johnson, Freddie Boath, Patricia Velasquez, Alun Armstrong, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Shaun Parkes.
Anno: 2001.
Voto: 5.5.
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