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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

sabato 28 dicembre 2013

The Big Bang Theory - Chuck Lorre, Bill Prady

The Big Bang Theory è uno di quei casi in cui sapere certe cose ti mantiene schermato e riparato rispetto a certi messaggi subliminali-pubblicitari-mediatici-di fondo con cui i realizzatori di un prodotto hanno deciso di investirti, volente o nolente.

Passo a spiegare perché, cominciando a dire che The Big Bang Theory è una delle sit-com degli ultimi anni di maggior successo, vincitrice di numerosi premi ed esportata un po’ in tutto il mondo, giunta alla sua sesta serie per un totale di 135 episodi e non ancora conclusa.

Per chi non lo sapesse, le sit-com sono le serie comiche alla Friends, Dharma & Greg, Will & Grace, I Robinson, Will il principe di Bel Air, etc.

Mi sono accostato alla prima puntata non sapendo minimamente chi avesse prodotto la serie televisiva, quali fossero i protagonisti, di che argomenti trattasse, etc. Ci sono dunque arrivato “pulito”, senza alcun pregiudizio. 

Ancora prima di vedere il primo episodio, mi ha colpito la sigla piena zeppa di simboli e concetti massonico-esoterico-iniziatici, sparati peraltro in forma di fotogrammi ad alta velocità, tanto che nel giro di 30 secondi c'erano tante immagini parecchio significative, cosa che peraltro ricorda molto i loro tipici mezzi subdoli.

Veniamo all’elenco, che non spiegherò lasciando a chi già sa il sorriderci su, e a chi non sa eventualmente fare ricerche per conto proprio.
La sigla di 30 secondi, tra le altre cose, raffigura: la teoria del big bang, la teoria dell'evoluzione, sauri e primati simpaticamente visualizzati gli uni dopo gli altri, l’Isola di Pasqua, Stonehenge, le piramidi di Giza, una piramide sudamericana, la Tour Eiffel, la Statua della Libertà, il simbolo massonico di squadra e compasso, una foto dell’uomo sulla Luna, un’immagine di Gesù Cristo, l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, svariati presidenti americani e chissà quanti altri volti del giro che io non conosco, la piramide massonica sul dollaro con il noto occhio che tutto vede, le caravelle di Cristoforo Colombo, il documento del congresso americano del 4 luglio 1776, che tra l’altro è l’anno di fondazione degli Illuminati di Baviera.
Curioso notare poi che, non bastando tutto questo, la sigla mostra in rapida successione i simboli di alcune branche di influenza e manipolazione dell’élite in questione: la medicina, il cinema, la musica, la storia, la scienza, i videogiochi.
Come dire: noi siamo questi, e noi vi controlliamo tramite questi.
Un po’ troppe coincidenze per i miei gusti.

In questo senso, non mi ha sorpreso affatto vedere che nella serie alcune cose venivano regolarmente messe in ridicolo: il vegetarianesimo, il contatto con la natura, l’omeopatia e la medicina alternativa, l’astrologia e la spiritualità in generale, la creatività, l'amore di tipo elevato.

E che, parallelamente, alcune cose venivano invece esaltate: il sesso al suo livello più basso e istintuale (mentre di amore e affetto c’è pochissima traccia, quasi nulla), cinismo, freddezza e calcolo mentale,  la sperimentazione sugli animali, abitudinarietà e tradizionalismo, l'abuso di alcol, l'abuso di farmaci, l'esasperazione del quoziente intellettivo (in luogo di saggezza, cuore e intuizione, praticamente assenti), il presentare come normali fobie o sociopatie (o anche malattie).
In effetti, se qualcuno avesse dei dubbi su cosa fare nella propria vita (a livello di alimentazione, comportamenti, stile di vita), potrebbe tranquillamente vedere quello che fanno i protagonisti di The Big Bang Theory e fare il contrario.

In tutto ciò, non mi ha stupito sapere, a posteriori, che il cast di produttori e attori aveva a che fare con sionismo, olocausto, confraternite, Clinton e i democratici, omosessualità, Belgio, etc. 
E, anche qui, lascio al lettore rifletterci o ricercare per conto suo.

Detto questo, che mi sembrava doveroso, vengo ora alla serie tv come prodotto di intrattenimento: la serie è bellissima e divertentissima ed è veramente un prodotto di alto livello e umorismo. Fatto che ci si poteva aspettare, dal momento che uno degli ideatori-produttori è Chuck Lorre, già produttore di Dharma & Greg, un’altra serie in cui spiritualità, vegetarianesimo, stile di vita naturale e cultura alternativa venivano messi alla berlina (che coincidenza), e il cui attore principale figura in film "curiosi" come Eyes wide shut, altra coincidenza... mentre il protagonista di The Big Bang Theory invece ha fatto una comparsata in un altro film "curioso" che vedeva come protagonista sempre Tom Cruise, noto anch'esso per la sua vicinanza a circoli esoterici: Vanilla sky. Come sempre, in questi ambiti, le coincidenze si sprecano (altra coincidenza: ogni tanto compaiono indizi non vocalizzati, come il libro The secret, in una puntata preso "distrattamente" in mano da Leonard).

Ma torniamo a The Big Bang Theory: i personaggi principali sono i quattro amici Leonard Hofstadter, Sheldon Cooper, Howard Wolowitz e Raj Koothrappali (quest'ultimo, probabilmente non a caso,  ricorda molto il personaggio straniero della sit-com That 70's show: entrambi sono gli stranieri del gruppo, entrambi sono imbranati e fissati col sesso, entrambi hanno difficoltà col genere femminile, entrambi sembrano palesare tendenze omosessuali latenti, entrambi hanno fama di avere un certo gusto... e si somigliano pure!), tutti ricercatori di materie scientifiche dall’alto quoziente intellettivo ma un po’ imbranati nella vita sociale, tanto da essere dei veri e propri nerd, dediti essenzialmente a fumetti, videogiochi e tecnologia in generale (e al contrario decisamente poco propensi al contatto con la natura, al movimento, al cibo sano e in generale ad uno stile di vita sano).

I primi due sono anche coinquilini, e un bel giorno nell’appartamento di fronte al loro va ad abitare Penny, ragazza di provincia trasferitasi lì per cercare di diventare un’attrice di successo.
Leonard si invaghirà all’istante della ragazza, molto avvenente, e comincerà così una sorta di mix tra i loro modi di vivere la vita.

Tra l’altro, già conoscevo e apprezzavo la bella Kaley Cuoco-Penny per la precedente sit-com 8 semplici regole, anch’essa assai divertente (e più tradizionalista, stile "vecchia maniera e vecchi valore").

In conclusione: The Big Bang Theory è una sit-com di alto spessore dal punto di vista di umorismo, dialoghi e caratterizzazione dei personaggi… e se la si guarda schermati dal punto di vista che ho evidenziato si evitano quei condizionamenti poco carini cui ho accennato... o magari li si guarda non con rabbia o fastidio, ma con tenerezza.

Nel caso, buona visione, e mi perdonino i fan della serie per ciò che ho evidenziato, ma d’altronde già dalla sigla, senza aver visto un solo fotogramma, ero sicuro di cosa vi avrei trovato dentro, giacché i simboli non sono mai utilizzati a caso.

Fosco Del Nero



Titolo: Big Bang theory (Big Bang theory).
Genere: comico, situation comedy, serie tv.
Ideatore: Chuck Lorre, Bill Prady.
Attori: Johnny Galecki, Jim Parsons, Kaley Cuoco, Simon Helberg, Kunal Nayyar, Mayim Bialik, Melissa Rauch.
Anno: 2007-2019.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 26 dicembre 2013

The fountain - L’albero della vita - Darren Aronofsky

The fountain - L’albero della vita è un film arrivato per caso, che mi è stato consigliato e che, per pura coincidenza, ha seguito un altro film dello stesso regista, cosa ancor più rara dal momento che non si tratta di un regista famoso né di un regista prolifico: Darren Aronofsky
Il film precedente, per la cronaca, era Pi greco - Il teorema del delirio.

Giacché ci sono, cito un altro film del medesimo regista divenuto discretamente famoso e che ho visto anni fa, prima di aprire questo blog: Requiem for a dream; nonché il suo ultimo film, Il cigno nero, anch'esso avente ottenuto un ottimo riscontro di pubblico e critica. Il regista, insomma, sa il fatto suo.

Tutti e quattro i film sono piuttosto immaginifico-psichedelici, e affrontano temi impegnativi, e persino metafisici: la droga, la malattia, la morte, il divino.

Temi impegnativi e non troppo allegri, e in effetti questo stesso L’albero della vita non è proprio un film gioioso, come si evince dalla trama: Tomas Creo (Hugh Jackman; Tre prestige, Scoop, X-MenVal Helsing) è un dottore ricercatore, e la ragione principale della sua ricerca medica è la moglie Isabel (Rachel WeiszConstantine, Il grande e potente Oz, La mummia), malata di un tumore in fase avanzato.
Se da un lato il film segue le vicende del dottore e della sua giovane moglie, dall’altro lato esplora due filoni fantastico-onirici, simbolici di quanto sta accadendo nella vita della coppia e visivamente molto belli: uno vede l’uomo nelle vesti di un monaco meditante accanto all’albero della vita, mentre l’altro segue l’uomo nei panni di un guerriero spagnolo alla ricerca di un’antica piramide maya in Sud America, ciò ispirato da un romanzo scritto dalla stessa Isabel.

I tre filoni narrativi si intrecciano, con il "filone realtà" che perde man mano peso nel corso della storia. Alla fin fine, gli unici elementi in comune sono l’amore del protagonista, sempre intento a salvare qualcuno, che egli sia dottore, monaco o guerriero, e la morte, che incombe inevitabilmente, nonostante le sue-nostre lotte e le sue-nostre paure.

La parte più interessante del film è certamente quella più spirituale, con tanto di posizione del loto, visioni new age, luci mistiche, etc, e che rappresenta, a un certo punto anche visivamente, la tensione all’ascesa spirituale dell’essere umano (da un lato; dall'altro lato invece vi sono gli attaccamenti e i desideri terreni).

In questo senso, nonostante il film sia piuttosto triste, dentro vi è anche un’energia di resa-accettazione (quella di Isabel, che si è già riappacificata con la vita… e quindi con la morte) e un’energia di forza (quella di Thomas, che cerca la sua centratura interiore al fine di affrontare le difficoltà della sua vita).

Che il film sia animato da un certo tipo di energia metafisica è provato non solo dalla filmografia del regista, ma anche da alcuni dettagli, come il negozio intitolato "Divine Words", ossia "Parole Divine", o come la scena di epifania/rapimento/estasi che la protagonista ha proprio dentro il suddetto negozio, subito dopo esser finita in un fascio di luce.
La donna in seguito la descriverà in questo modo: "Quando sono caduta, ero completa... sostenuta". C'è quindi una caduta/abbandono/resa, e poi l'integrità/completezza/unità, oltre che l'abbraccio dell'esistenza.

Quanto al marito, a un certo punto dice: "Fermare la morte è l'obiettivo". Lui intende la morte fisica ma, contando la natura del film, la frase è interpretabile anche in senso metafisico, nel senso quindi dell'immortalità dell'anima e del risveglio.

Nel complesso, The fountain - L’albero della vita mi è piaciuto: buona tensione narrativa, buone recitazioni, begli effetti speciali e un senso di profondità raro da incontrare in un film. 
Normalmente evito i film tristi e drammatici, ma questo a mio avviso val la pena di vederlo.

In conclusione di recensione, ecco alcune (altre) frasi tratte dal film.

"La morte è la via dello stupore."

"I nostri corpi sono prigioni per le nostre anime."

"Questi sono tempi bui, ma ogni ombra, per quanto profonda, è minacciata dalla luce del mattino."

"La morte è la strada per l'assoluto."

"Non ho più paura ormai."

"Combattiamo tutta la nostra vita per essere completi, sperando nel momento in cui arriva la morte di aver raggiunto uno stato di grazia. 
Pochi ce la fanno; molti di noi se ne vanno così come sono venuti al mondo: scalciando e urlando."

Fosco Del Nero



Titolo: The fountain - L’albero della vita (The fountain).
Genere: psicologico, drammatico, esistenziale, sentimentale.
Regista: Darren Aronofsky.
Attori: Hugh Jackman, Rachel Weisz, Stephen McHattie, Mark Margolis, Ellen Burstyn, Fernando Hernandez, Sean Patrick Thomas, Cliff Curtis.
Anno: 2006.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 19 dicembre 2013

Chi ha incastrato Roger Rabbit - Robert Zemeckis

Credo non vi sia nessuno che non abbia ancora visto Chi ha incastrato Roger Rabbit, ma approfitto comunque di questa mia ennesima visione del film culto del 1988 per scriverne una recensione.

Ci sarebbe molto da dire su questo film, ma cercherò di essere sintetico.

È un film a tecnica mista, che unisce dunque recitazione con attori in carne ed ossa e animazione.
Tra gli attori in carne e ossa abbiamo Bob Hoskins (Sirene, Brazil) e Christopher Lloyd (Ritorno al futuro, Interstate 60La famiglia Addams), mentre tra i personaggi animati abbiamo letteralmente di tutto, visto che il film ha ospitato personaggi della Disney, della Warner Bros, della Paramount Pictures, etc.
In mezzo ai vari Topolino, Paperino, Bugs Bunny, Daffy Duck, Titti, etc, i protagonisti sono comunque altri: sul versante umano abbiamo il detective Eddie Valiant e la fidanzata Dolores, e su quello non umano Roger Rabbit e l'affascinante e celebre moglie Jessica.

Le storie delle due coppie si incroceranno per due motivi: il primo sono le dicerie secondo cui la conturbante Jessica avrebbe tradito il marito coniglio, e il secondo è il presunto testamento scritto da Marvin Acme, il proprietario dell’ACME Corporation, le cui proprietà ospitano la città di Cartoonia, sita vicino a Hollywood, California, in cui vive la gran parte dei cartoni, anche se molti altri vivono a Los Angeles, ben integrati con gli uomini.
Tuttavia c’è qualcuno che a dire il vero odia i cartoni, e lo stesso Eddie Valiant non prova una grande simpatia per loro, visto che è stato proprio un cartone a uccidere suo fratello…

Più di lui, comunque, sembra odiarli il Giudice Morton, l’inventore della salamoia, una sostanza capace di uccidere i cartoni liquefacendoli, laddove invece fino ad allora si era pensato che non potessero morire.
A proposito della salamoia e della sofferenza fisica e psicologica che i cartoni-creature viventi provano quando sono immersi in essa: ricorda molto la questione degli animali e delle tante torture cui li sottoponiamo (allevamenti, macelli, sperimentazioni, etc).

Chi ha incastrato Roger Rabbit è uno spettacolo da diversi punti di vista: visivo innanzi tutto, nonostante l’età ormai avanzata del film, dal momento che offre paesaggi e momenti di grande impatto, ma anche a livello di umorismo e di trama il film si difende molto bene, tanto che lo si riguarda sempre volentieri, anche grazie alla simpatia dei due suoi protagonisti, Eddie Valiant e Roger Rabbit.

Non a caso, è un film che ha segnato la storia del cinema, e che ha fatto scuola, con tanto di imitatori più o meno velati: si pensi al di poco successivo, ma non tanto riuscito, Fuga dal mondo dei sogni… anche se è solo più avanti negli anni, col migliorare della tecnologia, che animazione e recitazione sono state fuse con buoni risultati, laddove al tempo questo era stato un esperimento-scommessa.

Vinta, evidentemente.

Fosco Del Nero



Titolo: Chi ha incastrato Roger Rabbit (Who framed Roger Rabbit).
Genere: commedia, animazione, fantastico.
Regista: Robert Zemeckis.
Attori: Bob Hoskins, Christopher Lloyd, Joanna Cassidy, Frank Sinatra, Stubby Kaye, Betsy Brantley, Pat Buttram, Joe Alaskey, Mae Questel.
Anno: 1988.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

lunedì 16 dicembre 2013

Un sogno per domani - Mimi Leder

Ormai mi accosto con una certa curiosità ai film in cui recita Kevin Spacey (o a quelli in cui figura come produttore) dal momento che l’esperienza mi ha insegnato che si tratta sovente di film non banali e con dei contenuti importanti: penso ai vari American beauty, K-Pax - Da un altro mondo, The big kahuna, L’uomo che fissa le capre.

Un sogno per domani conferma la regola di fondo, e il film si rivela storia, oltre che ben fatta, anche importante nei contenuti.

Andiamo subito a tratteggiare la trama per sommi capi: Trevor McKinney (Haley Joel Osment, il bambino de Il sesto senso) è un ragazzino undicenne parecchio sveglio… e che la vita stessa ha contribuito a “svegliare”, dal momento che i suoi genitori sono divorziati e che sua madre è un’ex alcolizzata che ogni tanto ci ricasca.
La madre Arlene (Helen Hunt; La maledizione dello scorpione di giada), dal canto suo, ha una vita difficile, e per tirare avanti porta avanti due diversi lavori, nessuno dei due gratificante.
Nella loro vita si inserirà Eugene Simonet (Kevin Spacey), nuovo insegnante di Trevor, col tutto che parte da un compito che il docente assegna ai suoi alunni: fare qualcosa per cambiare il mondo in positivo. Trevor lo prende alla lettera, e lancia "passa il favore" (che in realtà in inglese sarebbe "pagalo dopo": ossia ora tu ricevi un favore, e in seguito ripagherai qualcuno per esso), sorta di catena che farà il giro degli Stati Uniti, facendo persino finire in tv il bambino.

Un sogno per domani è un mix tra commedia, film drammatico e film di crescita personale, e si distingue bene in tutti e tre i campi, pur dando a tratti l’impressione di non riuscire a sfondare, se così si può dire, e di restare sempre a metà strada, appesantito peraltro da un certo tono melodrammatico e pesante.

Recitazione buona, trama tutto sommato scontata ma interessante, dialoghi spesso accattivanti. Con anche, come si diceva, qualche vero e proprio spunto di crescita personale, come il seguente, pronunciato proprio dal piccolo Trevor;
"Per me certe persone hanno troppa paura per pensare che le cose possano essere diverse. Insomma, il mondo non è tutto quanto merda. Ma credo che sia difficile per certa gente che è abituata alle cose così come sono, anche se sono brutte, cambiare. E le persone si arrendono. E quando lo fanno, poi tutti ci perdono".

O come il seguente:
"Eccovi qui: non potete guidare, votare, non potete neanche andare in bagno senza un permesso da parte mia. Siete incastrati proprio qui, nella seconda media. Ma non per sempre, perché un giorno sarete liberi. Ma che succede se il giorno in cui siete liberi non siete preparati, non siete pronti?".

O ancora:
"Il regno della possibilità esiste dentro ognuno di voi, perciò potete farlo".

Nel complesso, Un sogno per domani è un buon film, con diversi livello di lettura-visione, e che vale certamente la pena vedere, nonostante imperversi in esso un'aria melodrammatica che immagino sia stata usata per attirare il grande pubblico che si nutre di quel tipo di emozione.

Fosco Del Nero



Titolo: Un sogno per domani (Pay it forward).
Genere: drammatico, psicologico, commedia, sentimentale.
Regista: Mimi Leder.
Attori: Haley Joel Osment, Kevin Spacey, Helen Hunt, Jay Mohr, Angie Dickinson, James Caviezel, Jon Bon Jovi.
Anno: 2000.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

sabato 14 dicembre 2013

Django unchained - Quentin Tarantino

Ho visto quasi tutti i film di Quentin Tarantino, anche se su Cinema e film finora ho recensito solamente Le iene, Bastardi senza gloria e Kill Bill.
Oltre che Sin City, cui Tarantino ha partecipato come coregista, e Dal tramonto all'alba, cui ha partecipato come attore, diretto dal suo amico Robert Rodriguez.

Ad ogni modo, un paio di giorni fa mi sono visto anche il suo ultimo lavoro: Django unchained, film di ambientazione western con una serie praticamente interminabile di riferimenti, a cominciare dal titolo (Django, film di Sergio Corbucci, regista di svariati film della coppia Bud Spencer e Terence Hill) fino alla sigla finale (Lo chiamavano Trinità).

In mezzo, tante altre citazioni, spesso autocitazioni, nonché molte situazioni tipiche “tarantiniane”, tra violenza, sangue, ironia e legami affettivi. 

Ecco in breve la trama: il dottor King Schultz (Christoph Waltz; Bastardi senza gloria, The zero theorem), un cacciatore di taglie che va in giro con un carretto da dentista ambulante, sta cercando alcuni criminali su cui pende una taglia, e incontra per caso lo schiavo Django, che potrebbe aiutarlo nella sua ricerca.
Lo prende dunque con sé, come uomo libero e collaboratore.

Django (Jamie Foxx; Ray, Collateral), dal canto suo, ha un solo obiettivo: ritrovare la moglie Broomhilda (Kerry Washington; Ray, Lei mi odia), anch’essa schiava e finita chissà dove…

I due lo scopriranno, e inizierà così una sorta di partita a scacchi con Calvin Candie (Leonardo Di CaprioInception, Revolutionary roadThe beachRomeo & GiuliettaTitanic) e il suo capo-schiavo Stephen (Samuel L. Jackson; Pulp fiction, Die hard, Old boy).

La storia di per sé non è nulla di particolarmente originale, specialmente rispetto ai canoni di Tarantino, ma il film è praticamente impeccabile sotto ogni punto di vista: fotografia, colonna sonora, dialoghi, tanto che, nonostante sia il film più lungo del regista americano, con i suoi 165 minuti, comunque si segue più che volentieri fino alla fine.

Pur non essendo un fan sfegatato di Quentin Tarantino, devo dire che ho gradito tutti i suoi film, e così è stato anche per Django unchained, film che ha una sua bellezza, un suo incedere maestoso, e anche più umorismo di molti suoi predecessori.

Anche se, a dirla tutta, sconta una sceneggiatura non troppo brillante, nonché alcuni punti che non mi hanno convinto molto (come la scoperta della copertura dei due cacciataglie presso la fattoria di Calvin Candie), utili a far proseguire la trama in un certo modo ma un po’ forzati.

Nel complesso, comunque, Django unchained mi è piaciuto e, dettagli a parte, se tutti i film fossero così curati, gusti di genere a parte, non avremmo nulla di cui lamentarci…

Fosco Del Nero



Titolo: Django unchained (Django unchained).
Genere: drammatico.
Regista: Quentin Tarantino.
Attori: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson, Leonardo Di Caprio, Kerry Washington, Dennis Christopher, Walton Goggins.
Anno: 2012.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

domenica 8 dicembre 2013

Eyes wide shut - Stanley Kubrick

Va da sé che apprezzo molto Stanley Kubrick come regista, anche se finora nel blog ho recensito solamente Il dottor Stranamore.
Oggi faccio il bis, con un altro suo classico (ma quale dei suoi film non è diventato un classico?): Eyes wide shut, senza dubbio la sua opera più controversa, durante la lavorazione della quale, peraltro, il regista è morto in circostanze sospette (ufficialmente, per un attacco di cuore).

Il fatto che il film parli in buona sostanza di logge massoniche e di riti magico-sessuali ha fatto fare ad alcuni due più due, e non senza ragione.

In un film così tanto palese, peraltro, la ricerca di riferimenti più o meno nascosti, come il grembiulino massonico, la scultura a forma di pigna-ghiandola pineale, il riferimento all’arcobaleno, la stella di Ishtar, il nome di Sandor Szavost che riecheggia quello del fondatore della Chiesa di Satana (Szandor), la villa dei Rothschild in cui è effettivamente stato girato il rito magico-sessuale, l'utilizzo delle donne come oggetti sessuali, la liturgia cantata al contrario, il cerchio magico, l'aquila bicipite con corona (simbolo della casata appena menzionata), i numerosi specchi e maschere, assassini e suicidi simulati, manipolazione mediatica e gente che sparisce, lascia persino il tempo che trova (il massimo del simbolismo, per chi ha le conoscenze utili per comprenderlo, è la figura dell'uomo il quale, all'interno di un negozio chiamato Rainbow, fa prostituire la figlia poco più che bambina; l'uomo in questione peraltro vende maschere, altro simbolo): Eyes wide shut parla di gruppi massonico-esoterici nascosti (Illuminati e dintorni) e di riti a sfondo sessuale (utilizzo magico-nero dell'energia). Su questo non ci piove.

Così come non piove sul fatto che, stringi stringi, la vita dei due protagonisti, inizialmente due persone ignare, cambi profondamente, e non perché si siano addentrate in tali gruppi, cosa che al contrario è stata impedita a William Harford (mentre la moglie Alice l’ha vissuta… in un sogno), ma perché cambia profondamente il loro modo di concepire la vita, la coppia e la stessa sessualità.

Il dialogo finale del film rivela sul film stesso molto più di tutto il resto.
"Nessun sogno è mai soltanto sogno."
"L’importante è che ora siamo svegli."
"Spero tanto che lo resteremo a lungo."
Come a dire che prima erano addormentati, o comunque meno consapevoli delle cose.

Eyes wide shut è dunque il racconto della presa di consapevolezza di Bill e Alice, per quanto periferica e marginale rispetto ai riti intravisti da lui nella realtà e da lei nel sogno.
Ma d’altronde, quale dei due sia veglia e quale sogno è un dubbio che lo stesso protagonista si pone. 
I due, per così dire, hanno saputo per caso la parola d’ordine, hanno intravisto qualcosa, quanto bastava per cambiare il loro paradigma della vita, ma poi non sono potuti andare oltre (perché quello era un mondo inaccessibile per la gente comune, nonostante tutta la buona volontà di Bill, indirizzato ai luoghi "oltre l'arcobaleno" dall'uccellino-usignolo-Nightingale), rimanendo infatti in una situazione emotiva di turbolenza, di mancanza e di paura...

... che potrebbe peraltro essere quella richiamata dal titolo, gli "occhi largamente chiusi", figura stante a simboleggiare lo stato di inconsapevolezza, il quale peraltro potrebbe anche riferirsi all'uomo comune, e quindi allo spettatore che Kubrick voleva mettere in guardia, per l'appunto distratto (dalle cose della sua vita) e inconsapevole (di ciò che veramente succede intorno a lui).

Secondo alcuni Stanley Kubrick, che già dai suoi film precedenti aveva mostrato di sapere qualcosa, e quindi di essere del giro di massoneria e gruppi settari, ha rivelato troppo ed è stato per questo eliminato… proprio come succede ai personaggi scomodi del film.
Senza dubbio il regista aveva messo in conto che potesse succedergli qualcosa, lasciando in tal senso alcuni indizi nello stesso film. Per esempio, quando Bill si rende conto di essere pedinato di notte, si ferma in un'edicola e compra un giornale; poi entra in un locale e si mette a leggere il giornale, sul quale campeggia in bella vista la scritta "Lucky to be alive", ossia "Fortunato a esser vivo". La scritta è inquadrata quasi in primo piano, cosa ch'è impossibile che fosse casuale: a essere fortunato, per essere ancora vivo, era Bill nella storia o Stanley nella realtà? 
Peraltro, subito dopo aver aperto all'interno il giornale in questione, il protagonista legge un articolo tramite il quale comprende che una donna che aveva partecipato a un di quei rituali è stata uccisa, pur facendo sembrare la morte come un incidente; a conferma dell'ipotesi di cui sopra.
L'uomo che fa prostituire la figlia, commentando il sistema di sicurezza del suo negozio (una gabbia, simbolo nel simbolo), dice: "Non ci si può fidare di nessuno".

Ecco il messaggio di fondo del regista: non fidatevi delle persone che appartengono a questi gruppi di potere... ed è un messaggio ben ironico, constatando l'immediata morte del regista. Ho anche letto testimonianze dirette di persone che, poco prima che il film fosse ultimato, sentirono il regista affermare che esso sarebbe piaciuto assai poco ai produttori e che lo avrebbero ammazzato per quello; nonché litigare con qualcuno della produzione, quando il film fu mostrato allo studio. Il regista sarebbe morto a brevissimo, il giorno dopo il rifiuto di tagliare i famosi 24 minuti che alla produzione non andavano bene; così hanno riferito alcuni testimoni oculari. Un'altra testimonianza riferisce che Kubrick aveva affermato che i pedofili governano il mondo. Preso atto che quei minuti sono spariti, viene da chiedersi cosa vi fosse di così scomodo, contando che il resto del film è già piuttosto chiaro.
Ad ogni modo, l'ammonimento all'intera umanità rimane.

Altre coincidenze curiose: nel film ha una piccola parte Thomas Gibson, il Greg di Dharma e Greg, serie che mette in ridicolo la cultura alternativo-natural-spirituale, tanto quanto la serie successiva dei medesimi autori (entrambe molto ben fatte, occorre dirlo), ossia la celebre The Big Bang Theory, la cui sigla è praticamente un manifesto dell'élite massonica (e in cui è protagonista Johnny Galecki, che ebbe una parte in un altro film con Tom Cruise, Vanilla sky... lo stesso Tom Cruise non è certo lontano dagli ambienti da logge settarie, come noto).
Altra coincidenza curiosa: il testo da cui Kubrick si ispira per la sua sceneggiatura, Traumnovelle ("Doppio sogno"), proviene dalla zona austriaco-bavarese, come è originario della Baviera il gruppo degli Illuminati (ma questa forse è davvero una coincidenza).
Andiamo avanti con un'altra coincidenza, che sottolinea la parentela con i Rothschild, nota casata ebrea: anche il cognome di uno dei potenti partecipanti a tali riti, Ziegler, è di matrice germanico-ebrea (elemento in comune anche con le due sit-com appena citate). Citati i Rothschild, dobbiamo ora citare anche i Windsor, altra casata nobiliare che a quanto si dice è coinvolta in certi giri, giacché uno dei primi personaggi che compaiono nel film, dentro il villone di Ziegler, si presenta proprio come Windsor, e dice al protagonista: "Vuoi andare dove finisce l'arcobaleno?". Qua si sta parlando di manipolazione, influenzamento e controllo mentale, per chi non cogliesse il riferimento. A proposito, il padre di Nicole Kidman è stato accusato formalmente di violenze e abusi sessuali su donne e bambini ed è egli stesso morto in circostanze sospette dopo essere scappato dall'Australia a seguito delle accuse; la sua accusatrice affermò che l'uomo "è stato sacrificato per non avermi programmato adeguatamente, dato che ero una bambina vittima di controllo mentale”.

Aggiungo anche che il personaggio che nel film "sacrifica-prostituisce" la figlia bambina si chiama Milich, facile assonanza col dio Moloch, divinità cananita (rivale di Yahweh) a cui venivano sacrificati proprio i bambini, e non in un posto qualunque, ma nella località chiamata Geenna (sul lato meridionale del Monte Sion), la vallata a sud-ovest della vecchia Gerusalemme famosa prima per i sacrifici umani, poi per i sacrifici di animali, in seguito resa immondezzaio in cui venivano bruciati i rifiuti e divenuta perciò col tempo simbolo di fuoco e squallore: Gesù stesso, nei Vangeli, si riferisce al "fuoco della Geenna" come a un luogo di bruciore e dannazione. A proposito, Gesù non ha mai parlato di inferno, di purgatorio o di limbo, per chi non lo sapesse, quindi un cristiano non deve credere in alcuna di queste cose, ma solo nel raggiungimento del "Regno dei Cieli" interiore (e negli stati intermezzi di coscienza utili a raggiungerlo, ciò in cui consiste il percorso spirituale). Oggi, per la cronaca, la zona della Geenna è edificata e ospita uno dei quartieri più poveri e degradati di Gerusalemme... cosa che non sorprende dal momento che inevitabilmente avrà ereditato le bassissime energie dei millenni precedenti.

C'è un altro dettaglio che fa propendere verso la questione pedofilia: alla fine del film, in un negozio di giocattoli (ciò che piace ai bambini, ciò con cui i bambini vengono attirati), i due genitori sembrano disinteressarsi alla loro figlioletta, che lasciano andare per conto suo e che pare seguire due uomini anziani... gli stessi uomini che si sono visti sullo sfondo alla festa di Ziegler, membro della loggia oggetto del film. Peraltro, nel negozio di giocattoli campeggia in bella vista un gioco chiamato "Magic circle", nome che richiama il cerchio rituale dei riti magici. Nello stesso negozio, la bambina si imbatte e interagisce con una carrozzella che ricorda molto la famosa carrozzella di Rosemary's baby (di Roman Polanski, un altro personaggio assai vicino ad ambienti occulti, tanto nella produzione cinematografica, per cui cito anche La nona porta, quanto nella realtà, e qua cito l'assassinio della moglie e di alcuni amici avvenuto nella sua villa da parte di alcuni appartenenti alla setta di Charles Manson), film in cui un marito droga la moglie inconsapevole (Mia Farrow... e non mi metto a parlare di lei e di Allen, a proposito di tendenze e accuse pedofile, altrimenti non la si finisce più), la vende a un culto satanico e la fa accoppiare col diavolo al fine di assicurare a quest'ultimo una progenie, in cambio ovviamente di ricchezza e successo terreni.

Tali elementi fanno pensare che la coppia protagonista di Eyes wide shut  non sia sfuggita al culto e che addirittura abbia venduto la propria figlia, la quale se n'è andata coi ricchi vecchietti pedofili (sorte che forse è la stessa che ha avuto la donna interpretata dalla Kidman, che in effetti sogna i rituali orgiastici e umilianti ma non si ricorda di avervi partecipato: forse non se ne ricorda perché ha subito una programmazione mentale, come accennava l'accusatrice del padre della Kidman). O forse, più semplicemente, la scena finale della bambina che se ne va per conto suo è un ulteriore ammonimento a stare attenti a dove vanno i propri figli.

A proposito della protagonista femminile, a inizio film l'uomo il cui nome ricorda quello del fondatore della Chiesa di Satana cerca di sedurla, con tanto di unione di liquidi personali (l'uomo beve dal bicchiere di lei; lei non glielo impedisce e anzi ne pare lusingata), come a dire che cercava di sedurla il diavolo stesso, o quello che il diavolo rappresenta: la caduta nella materia, i piaceri terreni, l'egoismo, la svendita di sé e dei propri cari... e, come detto, forse è proprio ciò che è avvenuto nella storia del film, per quanto dietro le quinte: lei si è venduta, e la bambina pure è stata venduta al culto pedofilo. O forse lei ha resistito e parimenti, negli stessi istanti, il marito ha resistito all'invito della donna-Windor, pur rimanendo entrambi scossi e scioccati, col tutto rimane come avviso per le genti, le quali sarebbero parimenti scosse e scioccate se sapessero. In tale scenario, droga e prostituzione, pur abbondantissime nel film, appaiono come problemi trascurabili, trastulli di scarsa importanza.

Come vedete, niente del film di Kubrick è stato lasciato al caso, compresa la scelta dei due attori protagonisti (Scientology da un lato e setta pagano-pedofila dall'altro).
Anzi, dato tutto quel che viene mostrato, che è parecchio, sorge la curiosità sui 24 minuti mancanti, che pare siano stati eliminati dal film e che secondo alcuni son proprio la causa della dipartita del regista, il quale si sarebbe opposto al taglio della pellicola (avendo un contratto che gli dava carta bianca e che lo tutelava da qualsiasi ingerenza). Personalmente, son propenso a pensare che i suddetti minuti contenessero proprio quanto di più scabroso e meno accettabile dal largo pubblico: pedofilia e cannibalismo-sangue (l'ultimo punto si ricollega alla questione demonico-aliena, ma questa non è la sede adatta per parlarne).
Tutto ciò rivela un grande coraggio da parte del regista statunitense-britannico, che presumibilmente ha lavorato al film in solitaria, per così dire, essendo l'unico a conoscenza dei veri simbolismi presenti nell'opera, e che altrettanto probabilmente sapeva già in partenza che sarebbe stato punito per la sua audacia, preferendo comunque consegnare un messaggio all'umanità pur dovendo probabilmente sacrificare se stesso. In verità, questo è stato il vero capolavoro di Stanley Kubrick, non un certo o un talaltro film.

Fuori da tutto quello di cui si è parlato fino a ora, Eyes wide shut è un film eccellente: esteticamente è curato in modo strepitoso, e ha una forte tensione emotiva che accompagna lo spettatore per tutta la sua durata, non indifferente tra l’altro, visto che sfonda le due ore.
Ancora: la colonna sonora è strepitosa, e fotografia e montaggio sono da maestro.

La valutazione si riferisce dunque al film in se stesso… quanto al resto, vedete voi.

Fosco Del Nero



Titolo: Eyes wide shut (Eyes wide shut).
Genere: surreale, psicologico, drammatico.
Regista: Stanley Kubrick.
Attori: Tom Cruise, Nicole Kidman, Madison Eginton, Jackie Sawris, Sydney Pollack, Peter Benson, Todd Field, Michael Doven, Sky Dumont, Louise Taylor, Leelee Sobieski.
Anno: 1999.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 5 dicembre 2013

La collina dei papaveri - Goro Miyazaki

Sono da tanti anni ormai un grande fan dei film di Miyazaki, tanto che su Cinema e film sono già apparse le recensioni di quasi tutti i suoi film: Nausicaa della valle del ventoLa città incantataLupin III - Il castello di CagliostroIl castello errante di HowlPorco RossoPonyo sulla scoglieraLaputa - Castello nel cielo, Kiki - Consegne a domicilio.

Oltre che a film, sempre di animazione ovviamente, cui egli ha collaborato in qualche modo, pur non dirigendo il film: Pom PokoI sospiri del mio cuore, Arrietty.

Oltre che, ovviamente, il primo film diretto dal figlio, Goro Miyazaki: I racconti di Terramare.

Il secondo, invece, è l’oggetto della recensione odierna: La collina dei papaveri. Con cui si cambia decisamente genere, passando dal fantastico di praticamente tutti i film del padre, e dello stesso I racconti di Terramare, a un’ambientazione storica recente: il Giappone del 1963, e specificatamente la città di Yokohama.

Siamo quindi nel Giappone post Seconda Guerra Mondiale, fase di ricostruzione e di grande cambiamento. 
Cambiamento in grande a livello di nazione, ma anche nel piccolo per la protagonista della storia, Umi, ragazza di 16 anni orfana di padre e sorta di vice-madre nell’affollato dormitorio in cui vive con le sue sorelle, la nonna e due affittuarie. La madre, infatti, è professoressa negli Stati Uniti, e quindi assente quasi sempre.
Il film racconta l’avvicinamento tra lei e Shun, un 17enne che va alla sua stessa scuola, tra l’amicizia personale e l’avventura di pulizia e ristrutturazione del Quartier Latino, un vecchio immobile sede dei numerosi gruppi scolastici: dall’astrologia alla filosofia, sino a chimica e giornalino collettivo.
Subito dopo aver completato la pulizia e l'ammodernamento generale, tuttavia, giunge notizia che ai piani alti hanno deciso di smantellare l’edificio per edificare qualcos'altro.
Da un altro lato, invece, arriva una notizia ancora più difficile per Umi e Shun…

La collina dei papaveri ha un sapore un po’ melodrammatico, e il solito nippo-target giovanile ma adulto al tempo stesso (protagonisti adolescenti e tematiche adulte). In questo caso, il concetto di fondo è l’andare avanti, ma tenendo conto del passato: sia la vita dei due giovani, sia la vita del Quartier Latino ha subito dei cambiamenti, e tutto sta nell’equilibrare il vecchio e il nuovo… proprio come il Giappone di quegli anni si apprestava a fare.

Anche se, a onor del vero, il film mantiene un gusto un po’ retrò, che pare sottintendere una certa malinconia e una certa predilezione per quello che è stato: il codice nautico e le bandiere, la colonna sonora, i rapporti molto formali tra le persone, una certa educazione di fondo (molto lontana anche dal Giappone contemporaneo). In particolare, la colonna sonora, davvero bella, si rivela "vecchio stile".

Ho letto in rete commenti che consideravano La collina dei papaveri un passo avanti per Goro rispetto a I racconti di Terramare, che però personalmente ho preferito, un po' per la mia predilezione per le atmosfere fantasy, un po' perché contenente gli spunti esistenziali ereditati dai libri della Le Guin; anche La collina dei papaveri comunque si rivela un prodotto d'animazione eccellente, per quanto un paio di spanne al di sotto dei capolavori del padre, il quale, per la cronaca, ha partecipato come co-sceneggiatore a La collina dei papaveri.

Per certi versi, il film ricorda I sospiri del cuore: in ambo i casi c'è una relazione un poco travagliata  tra due adolescenti molto a modo e in gamba, che gira intorno a un qualche tipo di argomento (nel film appena menzionato intorno ai talenti personali e alla musica; nel film qua recensito attorno alla vita scolastica e alla conservazione della cultura tradizionale).

In conclusione, La collina dei papaveri è un film d’animazione che vale certamente la pena di guardare: l'animazione e la colonna sonora sono di ottimo livello, i personaggi sono ben caratterizzati, vi è un diffuso un forte senso di tenerezza e di vicinanza umana, e la sceneggiatura è interessante (sia per la storia in sé, sia come squarcio di quel periodo storico).

Un ultimo appunto: se la prima visione di ambo i film di Goro Miyazaki mi aveva in parte deluso, con le successive visioni le cose sono andate assai meglio, segno che i prodotti sono validi.

Fosco Del Nero



Titolo: La collina dei papaveri (Kokuriko-zaka kara).
Genere: anime, sentimentale.
Regista: Goro Miyazaki.
Anno: 2011.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

sabato 30 novembre 2013

Philadelphia experiment - Stewart Raffill

Philadelphia experiment è un film oramai anzianotto, del 1984 per la precisione, che non ha avuto un grande successo, né al tempo della sua uscita né in seguito, ma che si è comunque guadagnato la fama di film di nicchia, una sorta di piccolo film cult di fantascienza.
Sì, giacché la sua trama rientra a pieno titolo nel filone della fantascienza.

Andiamo subito a sintetizzarlo in grande sintesi: nel 1943, in piena guerra mondiale, gli Usa stanno facendo degli esperimenti per rendere le loro navi invisibili ai radar.
Durante uno di essi, però, qualcosa va storto, e la nave USS Elridge viene prima avvolta da onde elettromagnetiche e poi scompare.
Due militari, i giovani David e Jim, per salvarsi si buttano fuori bordo, ma una volta giunti a riva scoprono di essere finiti nel 1986.

Jim, che ha assorbito più onde elettromagnetiche dell’amico, sembra più sofferente, tanto che finisce all’ospedale… laddove poi sparisce egli stesso.
David, invece, cerca di orientarsi in un futuro che gli è ovviamente poco familiare, aiutato da Allison, una ragazza che lo aiuterà nel momento difficile.

Difficile non solo per lui: in questo futuro il mondo è minacciato da un vortice creatosi nel coontinuum spazio-temporale proprio a causa dell’esperimento del 1943, sorta di buco nero che ha già risucchiato un’intera città e che minaccia di fare altrettanto con altre.

Solo David può risolvere la cosa, tornando indietro nel tempo…

Philadelphia experiment è tratto dal libro di William I. Moore e Charles Berlitz, e affronta dunque la tematica del viaggio nel tempo e dei rischi ad esso connessi, per quanto addolcita dalla freschezza giovanile del protagonista David e della sua compagna d’avventura Allison.

Certamente il film non mancherà di piacere agli appassionati di fantascienza o del sottogenere “viaggi nel tempo”, anche se, ad onor del vero, devo dire che gli manca qualcosa in termini di scorrevolezza e di brillantezza.

Oltre la trama e il rapporto tra i due protagonisti, infatti, non c’è altro, e persino i dialoghi risultano poco ispirati e un po’ fiacchi.
Inoltre, manca del tutto la componente di allegria e di leggerezza, con la storia che è pervasa da una cappa di tristezza e quasi di ineluttabilità.

Nel complesso, a mio avviso Philadelphia experiment si merita una sufficienza stiracchiata, più che altro per il coraggio nell’affrontare una trama così estrema… con tutto che secondo alcuni si tratta di una storia vera…

Fosco Del Nero



Titolo: Philadelphia experiment (Philadelphia experiment).
Genere: fantascienza, sentimentale.
Regista: Stewart Raffill.
Attori: Michael Paré, Nancy Allen, Bobby Di Cicco, Eric Christmas, Louise Latham, Kene Holiday, Joe Dorsey, Stephen Tobolowsky, Michael Currie.
Anno: 1984.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

lunedì 25 novembre 2013

Vanilla sky - Cameron Crowe

Intanto un paio di precisazioni: in primo luogo, credo che questa sia la terza volta che vedo Vanilla sky, ma la prima da che ho aperto il blog Cinema e film, da cui la recensione “ritardata”.

In secondo luogo, per chi non lo sapesse Vanilla sky è il remake americano di un film spagnolo, intitolato Apri gli occhi (regia di Alejandro Amenabar), in cui recita la stessa Penelope Cruz, ma che è ambientato a Madrid.

La versione americano-newyorkese è invece diretta da Cameron Crowe, che ha raggiunto l’apice del successo proprio con questa pellicola.

Pellicola che peraltro gode di un cast piuttosto notevole: i protagonisti principali sono Tom Cruise (Eyes wide shut, Jerry MeguireIntervista col vampiro, Minority report, L’ultimo samurai, Mission impossible, Top gunCocktailRain man) e Penelope Cruz (Nessuna notizia da Dio, Volver, Vicky Cristina Barcelona, Tutto su mia madre, Lezioni d'amore), mentre in due ruoli secondari troviamo Cameron Diaz (The boxNotte brava a Las Vegas, Tutti pazzi per MaryCharlie’s angels), Kurt Russell (Interstate 60Grosso guaio a ChinatownTango e Cash) e Jason Lee (Dogma, My name is EarlL’acchiappasogni).

Si intravedono tra l’altro anche il Codaliscia di Harry Potter (Timothy Spall), Leonard di The Big Bang Theory (Johnny Galecki), il regista-attore Kevin Smith (Clerks, Dogma), e persino Steven Spielberg e Nikole Kidman in due rapidissimi cameo.

Ma andiamo alla storia in breve: David Aames è un giovane uomo bello, ricco e di successo, anche se un po’ annoiato dalla vita e dagli intrighi aziendali.
Egli trova in Sofia, fresca e vivace ragazza di origine spagnola, una nuova ragione di vita… nonché un motivo in più per allontanarsi da Julie, una ex che lo ha stancato.
Un incidente, però, cambierà la sua vita… e molto più di quanto ci si potrebbe immaginare…

Intanto, non posso non osservare che la carriera di Tom Cruise, specie nella sua parte matura (quella in cui dunque poteva permettersi di scegliere i film in cui recitare) lo ha spesso visto protagonista di film un po’ particolari, tra Eyes wide shut, Minority report, Intervista col vampiro, Vanilla sky ed altri film che probabilmente mi sto dimenticando… e con gli ambienti particolari che frequenta il buon Tom con tutta probabilità ha interessi un po’ fuori dal comune, legati a tematiche esoterico-esistenziali. 
Come anche alcuni degli altri personaggi citati peraltro.

Vanilla sky, in poche parole, esplora il tema della dicotomia tra realtà e finzione-sogno, e quanto i confini tra le due possano essere labili.
In alcuni punti, tra l’altro, in bocca ad alcuni dei personaggi vengono messe delle frasi dal sapore assai simbolico, certamente non a caso, col tutto che assume i contorni di un film sull’esistenza più che di una storia di fantascienza.

Ad ogni modo, la storia si mantiene interessante e vibrante fino alla fine, giocando molto sulle ottime performance dei due attori protagonisti. 
Mi è piaciuta meno, invece, Cameron Diaz, per la quale non sono mai impazzito (quindi direi "Quasi tutti pazzi per Mary")… ma che per la recitazione in questo film ha vinto un Oscar, tant’è...

Questione di gusti, come per il genere e per lo stile. 
Per dire, di mio apprezzo l’originale Apri gli occhi un poco più di Vanilla sky, ma certamente per qualcuno potrà essere il contrario.
Comunque, il mio gusto mi porta a suggerire tanto l’uno quanto l’altro, sia come film in sé sia come spunti di riflessione su realtà, sogno, consapevolezza, risveglio... e anche sui confini della tecnologia, ma questo è il meno.

Chiudo la recensione con le frasi simbolico-esistenziali di cui dicevo prima, miste a frasi di buon senso comune (ma neanche tanto comune, visto che in pochi le hanno realizzate).
Peraltro, già il nome della donna che sta al centro di tutto, Sofia, indica che si sta parlando di conoscenza e saggezza, mentre il ricorrente tema del sogno, unito all'esigenza del protagonista di svegliarsi, è ugualmente chiaro, come provato anche dall'ultima frase citata, che è quella che in pratica conclude il film.

"Sono assolutamente terrorizzato dal vuoto."

"Ti succedono cose buone se sei una persona buona e con un buon atteggiamento."

"Ogni minuto che passa è un'occasione per rivoluzionare tutto completamente."

"Quando fai l'amore con qualcuno, il tuo corpo fa una promessa, che tu lo voglia o no."

"Dimmi una cosa, rispondimi: tu credi in Dio?"

"La cosa peggiore è che non riesco a svegliarmi."

"Anche nei miei sogni sono un idiota che sa che sta per svegliarsi nella realtà."
"Se solo potessi evitare di dormire... ma non posso."

"Creiamo un mondo tutto nostro: noi contro loro."

"Hai avuto un incubo?"
"È tutto un incubo."

"Scava in profondità, scava fino al limite."

"Questo è un sogno."

"David, devi svegliarti."

"David, guarda tutte queste persone: sembra che siano qui per passare la serata a chiacchierare... niente a che fare con te...
Ma forse si trovano qui solo perché sei tu a volere che siano qui: tu sei il loro Dio. Non solo: tu puoi fare in modo che ti ubbidiscano e persino che ti distruggano."

"Puoi dirmi la differenza tra il sogno e la realtà?"

"Capisci che la chiave di questa prigione è nelle tue mani?"

"A volte capita che la mente si comporti come se fossi in un sogno."

"La tua via continuerà come un vero capolavoro: dipinto da te, minuto per minuto."

"Tutto questo, ogni cosa, è creato da te."

"Qualcuno è morto... io sono morto."

"Le piccole cose... niente di più grande."

"Il dolce non è mai così dolce senza l'amaro."

"Voglio vivere una vita vera, non voglio più un sogno."

"È stato un magnifico percorso di autorisveglio."

Fosco Del Nero



Titolo: Vanilla sky (Vanilla sky).
Genere: drammatico, fantastico. Regista: Cameron Crowe.
Attori: Tom Cruise, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Kurt Russell, Jason Lee, Timothy Spall, Noah Taylor, Michael Shannon, Tilda Swinton, Shalom Harlow.
Anno: 2001.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

martedì 19 novembre 2013

Boys and girls - Attenzione, il sesso cambia tutto - Robert Iscove

Boys and girls - Attenzione, il sesso cambia tutto è una commedia sentimentale giovanile con protagonisti Claire Forlani (che molti ricorderanno nel bellissimo Vi presento Joe Black) e Freddie Prinze Jr. (che meno persone ricorderanno per l’horror So cosa hai fatto o per il demenziale Scooby Doo, e che forse alcuni sapranno essere nella realtà il marito di Sarah Michelle Gellar, l’indimenticata Buffy - L’ammazzavampiri).

I due attori, tuttavia, non compaiono subito, dato che il film ha un respiro temporale piuttosto ampio, e ci presenta prima i due bambini, dodicenni, che si incontrano per caso in un aereo… e subito litigano.

E poi i due più grandetti, al liceo, che si incontrano nuovamente per caso… e anche qui non si trovano molto.

Idem dicasi per il successivo incontro, all’università… anche se poi i due, per un altro caso fortuito, finiranno per fare amicizia e diventare veri e propri confidenti intimi.

Ryan e Jennifer, questi i nomi dei due personaggi, rappresentano gli eterni opposti che si attraggono, anche se si attraggono con grande ritardo in questo caso, con la storia però che è chiara fin dall’inizio e che non rivelerà molte sorprese nella trama, puntando più che altro sui dialoghi e i personaggi.

Dialoghi buoni, e personaggi ben caratterizzati, comprese le prove dei due attori protagonisti, affiancati da altri volti noti dell’Hollywood “giovanile”: il Jason Biggs dei vari American pie e la Alyson Hannigan dello stesso Buffy - L’ammazzavampiri... e degli stessi American pie (ma vista anche nella serie tv Veronica Mars).

La gradevolezza degli attori e alcuni buoni dialoghi però non sollevano da soli un film che rimane una commedia leggera senza alcuna ambizione, e che peraltro ha una gestione dei tempi che non ho gradito molto.

Anzi, a dirla tutta probabilmente senza i due volti di Freddie Prinze Jr. e Claire Forlani il film avrebbe avuto una valutazione assai peggiore.

In conclusione, Boys and girls - Attenzione, il sesso cambia tutto è una commedia sentimentale simpatichina, che va bene come film leggero da guardare per rilassarsi, ma che non rimarrà nella storia del cinema neanche nel suo genere.

Fosco Del Nero



Titolo: Boys and girls (Boys and girls).
Genere: commedia, sentimentale.
Regista: Robert Iscove.
Attori: Claire Forlani, Freddie Prinze Jr., Jason Biggs, Amanda Detmer, Alyson Hannigan, Matt Schulze, Monica Arnold.
Anno: 2000.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

venerdì 15 novembre 2013

Dylan Dog - Il trillo del diavolo - Roberto D’Antona

Normalmente non tendo a guardare produzioni indipendenti e a basso budget, per il semplice motivo che non riesco a giudicare un film indipendentemente dal suo iter di produzione: valutando solo il risultato finale, va da sé che produzioni a badget basso o quasi nullo partono nettamente sfavorite.

Ho tuttavia fatto un’eccezione per Dylan Dog - Il trillo del diavolo un po’ perché avevo letto commenti positivi, un po’ perché, pur non essendo un fan vero e proprio di Dylan Dog, ho sempre avuto una certa simpatia per il personaggio e il fumetto in questione.

Ma andiamo al film Dylan Dog - Il trillo del diavolo, produzione tutta italiana e regia di Roberto D’Antona, che poi è anche attore protagonista.

Ecco la trama in grande sintesi: Dylan Dog, indagatore dell’incubo, è in un periodo di crisi, tanto da essere anche preda di incubi.

In uno di questi, particolarmente realistico, il buon vecchio Dylan si troverà immerso in una sorta di viaggio interiore tra amici e demoni, in stile Divina Commedia, ovviamente rivisitata secondo lo stile del fumetto di Tiziano Sclavi.
A fare da Virgilio a Dylan non poteva esserci che Groucho, tra baffi, sigari e motteggi.

Come detto in apertura, conosco vagamente personaggi e fumetto, per cui non sono soggetto a delusioni da superfan, né dall’altro lato posso apprezzare citazioni e riferimenti vari.
La mia valutazione va dunque al solo prodotto cinematografico.

Ed esso è un film breve, di 50 minuti, inaspettatamente ben realizzato riguardo nel fattore tecnico, tra qualità delle riprese e scelte registiche, e che se la cavicchia anche bene in alcuni dettagli che ovviamente risentono di un budget basso, come trucco e audio…

… ma che non mi ha convinto troppo nella recitazione, soprattutto dei due personaggi principali: il primo (Dylan) è un po’ troppo arrabbiato e grugnoso, mentre il secondo (Groucho) personalmente non mi ha fatto ridere né sorridere. 

I commenti letti in rete tuttavia testimoniano praticamente tutti di una buona fedeltà ai personaggi del fumetto, per cui magari è un mio gusto personale.

Detto tutto ciò, la valutazione “numerica” di Dylan Dog - Il trillo del diavolo di Roberto D’Antona riflette questi due aspetti… ma quella “verbale” sta più in alto, e anzi incoraggia progetti indipendenti di buona qualità come questo.

E, a questo riguardo, in bocca al lupo per il prossimo.

Fosco Del Nero 



Titolo: Dylan Dog - Il trillo del diavolo (Dylan Dog - Il trillo del diavolo).
Genere: grottesco, fantastico.
Regista: Roberto D’Antona.
Attori: Roberto D’Antona, Francesco Emulo, Michele Friuli, Barbara De Florio, Ciro De Angelis, Angelo Boccuni, Francesco Santagada, Giovanni Navolio, Federica Gomma.
Anno: 2012.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

venerdì 8 novembre 2013

Fight Club - David Fincher

Ho una teoria, che tutto sommato è piuttosto semplice, tanto semplice che io dico “teoria”, ma in realtà do per scontato che sia così: i grandi film, quelli che definiamo grandi perché passati alla storia, hanno sempre dei contenuti profondi, spirituali oserei dire, e questo al di là che siano stati messi volutamente dai loro autori, o che vi siano capitati per “semplice” ispirazione.

Intanto preciso che con la parola “spirituale” intendo riferirmi non alla religione o al “volemose bene” new age, ma al percorso interiore cui tutti siamo chiamati.

La ragione del grande successo di tali film, dunque, non starebbe tanto, o comunque non solo, nella bellezza della fotografia, nella ricchezza della trama, nella recitazione degli attori, ma soprattutto nell’energia che c’è dietro. Questa energia fa da calamita, soprattutto per le persone che vi sono sufficientemente vicine da poterla recepire. È una questione di risonanza, diciamo.

E mentre vi sono film di nicchia, aventi dietro un’energia di nicchia, per la quale pochi sono pronti, vi sono viceversa altri film più generalisti, per ricevere la cui energia non occorre un grado evolutivo particolare… da cui il successo di massa di alcuni film (o libri, naturalmente il discorso vale in generale).

Questo, intendiamoci, persino se del film non si capisce mentalmente la vera essenza… il punto è che la si coglie in modo inconscio.
Mi è successo di riflettere su ciò dopo aver visto Mary Poppins, ma questa volta, l’ennesima volta, con occhi nuovi, da crescita interiore per l’appunto… e subito dopo scoprire che l’autrice del libro da cui il film è stato tratto era allieva di G. I. Gurdjieff, nonché studiosa di buddhismo, zen e sciamanesimo.
Ovviamente nulla è mai un caso e tutto riflette tutto.

Mi è capitata la stessa cosa con un altro classico, per quanto più recente: Fight Club, un vero e proprio film culto per un paio di generazioni, che io stesso a istinto avevo amato, pur senza comprenderlo fino a ora. 

Prima espongo la trama in breve, poi espongo il vero significato del film, e infine faccio seguire alcune citazioni estratte dal film stesso. Se per caso non lo aveste mai visto e voleste vederlo, forse è meglio che interrompiate la lettura, per poi magari riprenderla dopo la visione.

La trama: il personaggio principale del film, il quale è anche la voce narrante, è interpretato da Edward Norton (The illusionist, Rounders - Il giocatore, Tutti dicono I love you), che recita i panni di un giovane uomo occidentale medio: lavoro d’ufficio, appartamento in condominio, mobili di marca, abbigliamento di marca, consumismo, etc.
Il suo problema principale è l’insonnia, unita a un vago vuoto di fondo, per risolvere i quali egli s’avvicina al mondo dei gruppi di assistenza per persone con varie malattie: cancro ai testicoli, tumore all’intestino, parassiti del sangue, demenza cerebrale, etc. Come per magia, lui, che è un intruso in quei gruppi, vede sparire, forse perché di fronte alla vera sofferenza, i suoi ben meno gravi sintomi.

C’è però un problema: nei gruppi c’è un altro intruso, che come lui li frequenta da fasullo. Un’intrusa, per la precisione: Marla Singer (interpretata dalla bravissima Helena Bonham Carter; Big fish, La dea dell'amore, Alice in wonderland, Merlino). I due allora si dividono “amichevolmente” i gruppi… anche se di lì a breve l'uomo non ne avrà più bisogno, perché, dopo aver conosciuto l’eccentrico Tyler Durden (Brad Pitt; Fuga dal mondo dei sogni, L'esercito delle dodici scimmie, The snatch, Burn after reading, Bastardi senza gloria), fonderà insieme a lui il Fight Club, una sorta di club di combattimento clandestino, il quale entro breve tempo si espanderà per tutto il paese divenendo una specie di gruppo sovversivo con tante ramificazioni.
Dopo un bel po’ di tempo e tanti dubbi (non continuare a leggere se ancora non si conosce la trama e si vuol prima vedere il film), il protagonista si rende conto che Tyler Durden è lui stesso e che ha sofferto di tale schizofrenia sempre più a lungo, tanto da aver perso ormai il controllo della situazione.

Ora passiamo al vero significato del film, che peraltro è tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk: il protagonista della storia, il quale non a caso non ha un nome, oltre a quelli fittizi che si è messo nei vari gruppi di sostegno, rappresenta l'ego-personalità terrena (e anzi l'insieme delle personalità, fittizie e numerose proprio come i suoi nomi finti), mentre Tyler Durden rappresenta l’anima.
Il primo è attaccato ai suoi possedimenti materiali: la casa, l’arredamento, i vestiti, il lavoro, il suo corpo.
La seconda, invece, vive in modo completamente libero, sprezzante persino della morte, di cui non ha paura perché sa che è immortale. Il primo conduce una vita regolare e tranquilla, “mondana”, mentre la seconda, una volta che ha preso piede e ci si è messi in contatto con essa, avvia un processo di evoluzione interiore che non si può bloccare, e mette la sua esistenza al servizio degli altri, sempre in sprezzo al pericolo.
Nel finale si assiste a un estremo tentativo della personalità di riprendere il controllo, il quale però fallisce: una volta che si è preso contatto con l’anima, è un viaggio senza ritorno… e alla fine la personalità, che ha tanto lottato, si arrende e si lascia andare, e tutto esplode.

Che Fight Club abbia un senso profondo-spirituale-evolutivo si capisce bene anche da certe citazioni, le quali parlano letteralmente di personalità egoica, di attaccamenti, di evoluzione alchemica, di meditazione.
Tanto che in alcuni punti sembra di leggere Osho o Tolle.

“Nulla è reale.
Tutto è lontano. 
Tutto è una copia, di una copia, di una copia.”

“Perdere ogni speranza è la libertà.”

“Ogni sera morivo, e ogni sera nascevo di nuovo, resuscitato.”

“Vi trovate all’interno della vostra caverna: entrate nella vostra caverna e camminate, addentratevi.”

“Scivola.”

“Non sei mai realmente addormentato, e non sei mai realmente sveglio.”

“Qui non c’è il nome… chi sei tu? Cornelius, Rubert, Travis, nessuno di quegli stupidi nomi che ti appioppi ogni sera?”

“Siamo consumatori: siamo sottoprodotti di uno stile di vita che ci ossessiona.”

“Io dico: evolviamoci... le cose vadano come devono andare.”

“Le cose che possiedi alla fine ti possiedono.”

“Cominciammo tutti a vedere le cose in maniera diversa: dovunque andavamo, inquadravamo subito le cose.”

“Io sono illuminato.”

“Lo hai promesso tre volte.”

“Respingo i principi base della società, soprattutto l’importanza dei beni materiali.”

“Resta col dolore, non lo scacciare!”

“Senza dolore, senza sacrificio, non avremo niente.
Non fare come fanno quei cadaveri ambulanti.
È il momento più importante della tua vita, e lo perdi perché sei altrove.”

“Ti devi arrendere, devi avere coscienza, non paura.
È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa.”

“Al diavolo quello che vuoi sapere. Devi dimenticare quello che sai: è questo il tuo problema. Dimentica quello che credi di sapere della vita. Toccare il fondo non è un ritiro spirituale, non è uno stramaledetto seminario.
Smettila di cercare di controllare tutto, pensa solo a lasciarti andare. Lasciati andare!”

“La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo, né un posto. Non abbiamo la Grande Guerra, né la Grande Depressione.
La nostra grande guerra è quella spirituale.
La nostra grande depressione è la nostra vita.”

“Niente paura. Niente distrazioni. La capacità di lasciarsi scivolare di dosso ciò che non conta.”

“Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca.”

“Abbiamo avuto un'esperienza di quasi vita.”

“Stavo dormendo?
Avevo dormito?”

“Tyler è il mio brutto sogno o io il suo?"
(ossia: la vita della personalità è il sogno dell’anima o è la personalità che si sogna l’esistenza dell’anima?)

“Che cosa vuoi?
Tornare al tuo lavoro di merda? Alla tua vita di condominio e a guardare la tv?”

“Tutto questo non è reale.”

E che dire di certi altre scene particolari?
Per esempio una delle scene clou in cui, in un pavimento a scacchi, si parla di gruppi nascosti che devono rimanere nascosti: credo di non aver mai visto in una veste narrativa un riferimento alla massoneria più chiaro di questo.
In un'altra scena viene menzionato il simbolo del tao: anche tale citazione non è casuale.

Per esempio il fatto che il protagonista si addormenta e si risveglia di continuo, proprio come accade all'essere umano nel suo essere addormentato nella consapevolezza... e anzi il fatto di avere dei momenti di veglia è una caratteristica esclusiva di chi ha iniziato a percorrere il sentiero, come per l'appunto capita al protagonista del film.

Per esempio, gli aspiranti ""guerrieri" vengono sottoposti a una prova per accedere al gruppo capeggiato dal guerriero-leader-anima, e anzi vengono scoraggiati in ogni modo (come si racconta che accadesse in antiche scuole misteriche, come quella di Pitagora)... ma se resistono per tre giorni (ancora il numero tre), allora hanno superato il test, e vengono addirittura marchiati per riconoscersi come tali.
Peraltro, che si tratti di una guerra è certificato dal termine "war" che compare su una porta della casa dell'anima-personalità, nonché dalla frase "La nostra grande guerra è quella spirituale", ma anche dal titolo del film: "fight", dunque combattimento. Un'altra citazione afferma che "Senza dolore, senza sacrificio, non avremo niente", e in definitiva è questa l'essenza del film: lo sforzo, il lavoro interiore.

Anche il progetto di Tyler Durden, il progetto Mayhem, nel suo nome riecheggia il dualismo personalità-anima, laddove contiene la parola “me” (pur se letta al contrario), la parola “mio” (pur se con una a in mezzo, e comunque la pronuncia è quella), la parola “lui” (questa al dritto), nonché il suffisso inglese che indica il “potrebbe”. E forse anche dell’altro…
Tra l’altro anche l’obiettivo del progetto Mayhem, così come elicitato dallo stesso Tyler Durden-anima, è chiarissimo: “Noi non uccidiamo nessuno, noi li liberiamo”.
A proposito ego, io e mio, la scritta “myself” (“me stesso”) compare in bella evidenza, e quadruplice copia, nel muro esterno di un palazzo, con ovviamente accanto il protagonista senza nome, quello che rappresenta l'ego (il protagonista-anima invece compare soprattutto nei luoghi chiusi e negli anfratti oscuri: cantine, stanze da letto, locali, etc).

Molto bella, inoltre, la scena in cui Tyler Durden fa promettere una cosa alla personalità per tre volte di fila: tre è il numero dell'impegno preso... come mostrano i Vangeli. In effetti, l'episodio ricorda molto quello tra Gesù e Simon Pietro, in cui il primo chiede per tre volte di fila la medesima cosa al secondo.

E che dire della canzone di chiusura del film, intitolata “Dove è la mia mente?”.
Niente di casuale, come vedete, e in questo senso mi spiego il grande successo del film, molto più bello e rilevante dentro, nel suo significato, di quanto sia bello fuori, nell’estetica del film (la quale ugualmente ha un suo evidentissimo valore, intendiamoci): ente-ego da un lato e cuore-anima dall’altro… e non a caso nel film è citato il chakra del cuore.

Fight Club è la parabola evolutiva dell’uomo medio: dalle miserie-fatiche-ambizioni del mondo terreno alla tristezza del vuoto interiore (che nella letteratura di settore è stata spesso definita l'"oscura notte dell'anima" e che in modo più prosaico è il classico "toccare il fondo"), arrivando al contatto con la propria anima, alle varie prove iniziatiche che essa ci sottopone, fino ad avere l’ambizione di essere utile all’evoluzione altrui (rappresentata nel film dal liberare l'umanità dal materialismo).
Altro significato del film, concetto ben noto nell’esoterismo: chi diviene sempre più in contatto con la propria anima diventa un faro-guida per gli altri, sviluppa grande magnetismo e viene seguito da molti.

Un’ultima cosa: l’anima-Tyler Durden produce sapone. 
A cosa serve il sapone? A ripulire. 
Cosa deve essere ripulito/cancellato? L’ego.

Fosco Del Nero



Titolo: Fight Club (Fight Club).
Genere: psicologico, drammatico, surreale.
Regista: David Fincher.
Attori: Edward Norton, Brad Pitt, Helena Bonham Carter, Meat Loaf, Jared Leto, Ezra Buzzington, Zach Grenier, Richmond Arquette.
Anno: 1999.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.

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