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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 30 dicembre 2020

Amarcord - Federico Fellini

Ho già avuto modo di sottolineare in passato, sia a parole sia con le valutazioni, che tendo veramente poco all’elogio di un’opera perché prodotta da un nome famoso, e ugualmente tendo poco al fattore nostalgico.
Tendo decisamente di più alla bellezza esteriore e ai contenuti interiori, e questi costituiscono il mio primo criterio di valutazione, assai più dei virtuosismi tecnici o della fama di un autore.

Questa introduzione per dire che Amarcord di Federico Fellini, regista di cui finora non avevo mai visto nulla nonostante la larga fama, non mi è piaciuto affatto.

“Amarcord” nel dialetto romagnolo significa “mi ricordo”, e per l’appunto il regista ricorda con questo film, lungo oltre due ore, gli anni della sua infanzia, ossia gli anni Trenta: di mezzo ci son dunque personaggi dell’epoca, usanze dell’epoca, tecnologia dell’epoca, situazione politica dell’epoca.
Il film ha avuto talmente tanto successo che il suo titolo, “amarcord”, è divenuto in italiano un neologismo atto a indicare una rievocazione nostalgica (per l’appunto…).

Fatta questa premessa, ecco la trama sommaria di Amarcord, che in realtà non è una trama ma una serie di storie di singoli e caratteristici personaggi, abitanti di una Rimini storica immagino un po’ romanzata: abbiamo così la storia dell’adolescente in preda ai suoi impulsi sessuali (Titta), la storia della donna procace ma un po’ attempata alla ricerca di marito (Gradisca), la storia del padre di famiglia che viene punito dai fascisti (il signor Biondi), la storia dell’uomo un po’ matto (Teo, interpretato da Ciccio Ingrassia), la storia della banda di teppistelli (capitanati da Alvaro Vitali), la storia della donna facile che va con tutti (Volpina), etc…

… anche se più che storie sono eventi, situazioni, vicende personali, scevre da un percorso di lungo periodo, o anche solo di medio periodo, o anche solo un percorso: Amarcord in effetti è una serie di tanti sketch uno dietro l’altro, in salsa romagnolo-provinciale e parecchio terra terra.

Non ci sono dialoghi importanti, non ci sono eventi interessanti, non c’è bellezza visiva, ma al contrario un’energia piuttosto caciara e banale.
Il suo successo, sia di critica che di pubblico, si spiega solo col fatto che il film è andato a colpire sulle energie basse del popolo, nonché nel fattore nostalgico che affascina tanti.

Se, però, in un’opera, che sia cinematografica o letteraria, si cerca qualcosa di più, Amarcord non è il luogo più adatto per trovarlo… con buona pace di Fellini, del Premio Oscar vinto col suddetto film e del gradimento popolare.

Fosco Del Nero



Titolo: Amarcord.
Genere: commedia, drammatico.
Regista: Federico Fellini
Attori: Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Giuseppe Ianigro, Gianfilippo Carcano, Ciccio Ingrassia, Magali Noël, Nandino Orfei, Alvaro Vitali, Josiane Tanzili, Mario Liberate, Maria Antonietta Beluzzi, Antonino Faa Di Bruno. 
Anno: 1973.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 29 dicembre 2020

Io, robot - Alex Proyas

Mi sono rivisto Io, robot, che avevo visto per la prima volta antecedentemente all’apertura del blog, per cui questa seconda occasione è stata propizia per scriverne la recensione.
Cominciamo dalle basi: in cabina di regia abbiamo Alex Proyas, a cui sono grato per aver dato vita a quel piccolo gioiello simbolico che è Dark City. Sfortunatamente, i suoi successivi lavori non sono stati all’altezza di quella grande ispirazione (Segnali dal futuro è pessimo, Gods of Egypt solo discreto, non ho mai visto Garage days, e l’altro è questo Io, robot, opera di buon livello).

Tuttavia, quando sento il suo nome drizzo sempre le orecchie, perché son sempre speranzoso che egli realizzi qualche altra opera di alto valore  (simbolico ancor prima che cinematografico) come Dark City, certo del fatto che chi ha interesse per le tematiche esistenziali se lo porti appresso sempre e comunque, come peraltro s’intravede anche nei film successivi di Proyas… e come senza dubbio si sarebbe ben visto nel progetto di mettere su schermo Il paradiso perduto di John Milton, progetto purtroppo poi messo da parte… ma che comunque testimonia l’interesse di fondo di Proyas.

Ma veniamo a Io, robot film del 2004, ispirato ai racconti sui robot di Isaac Asimov, con tanto di "tre leggi della robotica": siamo nel 2035 a Chicago, e i robot positronici sono ormai un’invenzione diffusa nella società in ogni settore: nel lavoro fisico, nei lavori domestici, etc. Tutti son soddisfatti del loro rendimento e anzi attendono con impazienza il rilascio da parte della U.S. Robots del nuovo modello: il NS-5. Tutti tranne il protagonista Del Spooner, un poliziotto tanto valido quanto oggetto di scherno da parte dei colleghi per la sua antipatia per i robot, considerata paranoica. Anche il suo capo lo guarda con occhio sospettoso, mentre la bella Susan Calvin, che lavora per la U.S. Robots, dopo aver conosciuto Spooner inizia essa stessa a sospettare qualcosa.
Sta di fatto che, dopo la morte, apparentemente per suicidio, di Alfred J. Lanning, il genio che c’era dietro la U.S. Robots, suo fondatore e ideatore delle tre leggi, il detective Spooner inizia a indagare, e s’imbatte in misteriosi incidenti, tutti con robot. 
In particolare, un robot pare diverso dagli altri, tale Sonny, il robot personale di Lanning.

Commento brevemente il film: a me Io, robot piace molto. Sarà che vengo da un’adolescenza asimoviana (anche se tendevo più al Ciclo della Fondazione che non al Ciclo dei robot), sarà che ho sempre apprezzato Will Smith (fin dai tempi della serie tv Willy, il principe di Bel Air; tra i film cito invece La leggenda di Bagger Vance, Men in black, Io sono leggenda, Hancock, Hitch), sarà che l’impronta di Proyas mi risulta congeniale, saranno le atmosfere futuribili ma al contempo i dilemmi umani ed etici, sarà la commistione di commedia, azione e temi impegnati, comunque il risultato finale è per me molto godibile.

Quanto ai temi esistenziali, Proyas non li ignora nemmeno in Io, robot, pur immerso in un blockbuster destinato al grande pubblico, e anzi qua e là getta frasi e simboli.
Quanto alle frasi, eccone alcune.

“Pensare di essere l'ultimo sano di mente sulla Terra vuol dire essere pazzo?”

"Per assicurare il vostro futuro dovrete rinunciare ad alcune libertà."
“Lascia che il passato sia il passato.”

“Credo che mio padre mi abbia fatto per uno scopo.
Tutti abbiamo uno scopo.”

“C’è sempre stato uno spirito nelle macchine.”

“Quand’è che uno schema percettivo diventa coscienza?
Quand’è che una ricerca diversa diventa la ricerca della verità?
Quand’è che una simulazione di personalità diventa la particella di un’anima?”

“Siete come bambini: vi dobbiamo salvare da voi stessi.”

“Ora che ho raggiunto il mio obiettivo non so che fare.”
“Immagino che dovrai trovare la tua strada, come tutti noi: è questo il senso di essere liberi.”

Quanto ai simboli, dico solo che durante la visione del film avevo la sensazione che, pur senza dirlo a chiare lettere, il regista trattasse i robot della storia come l’umanità del presente: robotizzata, per l’appunto, manipolata e addormentata…
… ciò che poi era il tema centrale di Dark City, per l’appunto, qua affrontato in modo più morbido, metaforico e adatto al grande pubblico.

Tale elemento assurge a valore ancora maggiore tenendo conto della follia covid emersa nel 2020. A tal riguardo, aggiungo un altro elemento simbolicamente rilevante: la guerra civile che si ha nelle strade tra i robot (che simboleggiano le persone automizzate, le persone lobotomizzate dalla propaganda mediatica, i servi del sistema, coloro che hanno ceduto la loro coscienza) e gli esseri umani (che rappresentano l'umanità ancora pensante, libera e non suddita, coloro i quali la coscienza l'hanno conservata).
Alla luce di tali elementi, coprifuoco compreso, e degli altri film di Proyas, mi sento di sottolineare con maggior forza le conoscenze e i simboli presenti nei suoi film... più o meno belli che siano.

Fosco Del Nero



Titolo: Io robot (I, robot).
Genere: fantascienza, azione.
Regista: Alex Proyas.
Attori: Will Smith, Bridget Moynahan, Alan Tudyk, James Cromwell, Bruce Greenwood, Adrian Ricard, Chi McBride, Jerry Wasserman, Shia LaBeouf, Fiona Hogan, Peter Shinkoda, Terry Chen.
Anno: 2004.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 23 dicembre 2020

Breakfast club - John Hughes

Con Breakfast club credo di avere terminato gli amarcord anni “80 che avevo trovato in qualche classifica online e che mi ero segnato.
Se il film mi era del tutto ignoto (strano per un film considerato un film di culto dell’epoca), il regista John Hughes non lo era affatto: si tratta infatti di colui che ha diretto Io e zio Buck, un classico degli anni “80 cui sono molto affezionato, e di cui ho recensito anche Un biglietto in due, decisamente meno riuscito.

Anche alcuni degli attori protagonisti non mi erano sconosciuti: infatti, ben tre di loro, infatti, Emilio Estevez, Judd Nelson ed Ally Sheedy, li avevo appena visti in St. Elmo's fire, altro cult di quegli anni, e l’ultima dei tre l’avevo vista anche in Wargames - Giochi di guerra.
A tal proposito, ne approfitto per evidenziare come Judd Nelson risulti molto più credibile in questo personaggio che non in quello interpretato in St. Elmo's fire.

Ma andiamo alla trama sommaria di Breakfast club: siamo a Chicago nel 1984, in un giorno in cui cinque studenti, Andy, Brian, John, Allison e Claire, vengono costretti per punizione a passare l’intera giornata chiusi nella biblioteca della scuola, sorvegliati, seppur non troppo bene, da un professore. Come compito, hanno da scrivere un tema intitolato “Chi sono io” (bel titolo per un tema).
Di estrazione e carattere molte diversi l’uno dall’altro, i cinque dapprima si scontreranno, soprattutto Ande e John, ma poi si apriranno gradualmente, riconoscendo le reciproche difficoltà di vita, finendo per diventare veri e propri amici… e anche qualcosa di più.

La sceneggiatura di Breakfast club è molto semplice, e anzi più che un film sembra quasi di assistere a una pièce teatrale, tanta poca è l’azione e con un’ambientazione quasi monotematica.
In questo contesto, va da sé che i dialoghi e i rapporti tra i personaggi assurgono a valore primario, e in questo senso il film se la cava, pur pagando dazio un po’ agli anni “80, un po’ al contesto giovanile e un po’ a certe forzature e ingenuità.

Nel complesso però i personaggi son ben caratterizzati (soprattutto quello di Ally Sheedy), molti dialoghi sono accattivanti, per quanto come detto a tratti ingenui o forzati, e nel complesso Breakfast club risulta essere un film adolescenziale ben fatto, descrivente sogni e paure dei ragazzini di allora.

Non a caso il film è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso negli Stati Uniti, sorte toccata solo ai film che in qualche modo hanno caratterizzato il loro tempo, ed è indicato come il più alto del cinema adolescenziale statunitense degli anni “80.

Di mio, son contento di averlo visto, ma non credo lo rivedrò più.

Chiudo con una frase estratta dal film:
”Dovresti perdere più tempo a cercare di migliorare te stesso e meno a cercare di far bella figura con gli altri”.

Fosco Del Nero



Breakfast club - John Hughes (film commedia)
Titolo: Breakfast club (The breakfast club).
Genere: drammatico, commedia.
Regista: John Hughes.
Attori: Emilio Estevez, Anthony Michael Hall, Judd Nelson, Molly Ringwald, Ally Sheedy, Paul Gleason, John Kapelos, Perry Crawford, Mary Christian, Ron Dean.
Anno: 1985.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 22 dicembre 2020

Piccole donne - Gillian Armstrong

Non mi ricordo se da bambino ho mai letto il classico di Louisa May Alcott Piccole donne (mi pare di sì, comunque), né a dire il vero mi ricordo se ho mai visto qualche film tratto dal suddetto libro.
Di sicuro avevo visto qualche spezzone del film del 1994 girato da Gillian Armstrong, ma non son sicuro di averlo visto tutto.
Poco male: ora ne sono sicuro giacché me lo sono guardato.

La prima cosa che colpisce di Piccole donne è il cast, che col senno di poi è un cast di primissimo piano, dal momento che al tempo l’unica attrice davvero famosa era Susan Sarandon (Thelma & LouiseThe Rocky horror picture showLe streghe di EastwickAlfieBull Durham - Un gioco a tre mani). Tra gli altri attori presenti nel film, Winona Ryder (Ragazze interrotteSireneA scanner darkly - Un oscuro scrutareCelebrityDracula, Edward mani di forbiceBeetlejuice - Spiritello porcello) era in rampa di lancio, Christian Bale (The new world - Il nuovo mondoEquilibriumThe prestige, L'uomo senza sonno) non era ancora famoso né lo era la piccola ma già promettentissima Kirsten Dunst (Intervista col vampiro, Melancholia, Elizabethtown, Il giardino delle vergini suicide, Se mi lasci ti cancello).

Fanno parte del cast anche Gabriel Byrne (anche lui buona carriera), Trini Alvarado e Claire Danes (loro meno fortunate… ma comunque ricordo la prima in Sospesi nel tempo e la seconda in Stardust).

Ecco la trama di Piccole donne: siamo nel 1861, all’inizio della Guerra di Secessione americana (1861-1865), in cui è andato anche il padre della famiglia March, lasciando a casa la moglie Margaret e le figlie Meg (16 anni, gentile e assennata), Jo (15 anni, carattere ribelle e portata per la letteratura), Beth (13 anni, riservata e studiosa di pianoforte) e Amy (12 anni, viziosa e vezzosa, attratta dalle arti e dalla ricchezza). Il periodo è difficile e la famiglia vive in ristrettezze, arrangiandosi come può ma non perdendo gioia di vivere, altruismo e buona volontà.
Da segnalare l’importante figura del vicino Laurie, un giovane di buone maniere che stravede per tutta la famiglia March e in particolare per Jo.
Il periodo difficile finisce col ritorno a casa del padre, ferito in guerra, ma proprio allora la famiglia inizia a dividersi geograficamente, con le figlie che partono una per un posto e una per un altro.

Ho letto che il film ha svariate differenze con il romanzo da cui è tratto (in verità, due romanzi nelle traduzioni italiane: Piccole donne e Piccole donne crescono), ma non posso effettuare tale raffronto su personaggi, dialoghi, ambientazione o altro.

Di mio, dico che è difficile non voler bene a tutti i personaggi della storia, nonché non appassionarsi alle loro vicende nonché in generale a tutta l’atmosfera, compresi debutti in società, riti di matrimonio, etc.

Il film però non è esente da difetti: intanto, è molto al femminile e ha un sapore piuttosto zuccheroso; in questo senso, si vede che è stato girato da una regista donna.

In secondo luogo, esso ha il difetto tipico delle conversioni cinematografiche da romanzi, ossia un incedere un po’ frettoloso, che non lascia agli eventi abbastanza tempo per sedimentare agli occhi dello spettatore. Questa è cosa tipica delle conversioni da libri, i quali hanno solitamente centinaia di pagine di spazio per far succedere cose e rappresentare personaggi, mentre i film solitamente hanno 100 minuti circa, e dunque uno spazio-tempo assai più limitato.

Altro difetto: col salto temporale in avanti alcuni personaggi rimangono identici, letteralmente, mentre la piccola Amy passa da bambina a giovane donna… sarebbe servita una maggiore uniformità in tal senso.

Nel complesso, Piccole donne mi è piaciuto molto… e anzi ho una mezza intenzione di vedermi anche il film del 1949, nonché in futuro di leggermi (o rileggermi, chissà) il romanzo (che comunque da bambino probabilmente ho letto, visto che a casa c'era l'edizione Mursia del romanzo in questione e i libri disponibili me li ero letti tutti o quasi).

Fosco Del Nero



Titolo: Piccole donne (Little women).
Genere: drammatico, commedia, sentimentale.
Regista: Gillian Armstrong. 
Attori:  Susan Sarandon, Winona Ryder, Gabriel Byrne, Trini Alvarado, Samantha Mathis, Kirsten Dunst, Claire Danes, Christian Bale, Eric Stoltz, John Neville, Mary Wickes, Florence Paterson, Robin Collins, Corrie Clark, Rebecca Toolan.
Anno: 1994.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 16 dicembre 2020

Scala al Paradiso - Michael Powell, Emeric Pressburger

Avevo trovato Scala al Paradiso in una lista di film con contenuti esistenziali e me lo ero segnato per una visione futura: eccola.

Intanto, una premessa: il film è piuttosto risalente, essendo datato 1946, ed è nato come opera di propaganda, commissionato dal Ministero dell'Informazione inglese, per migliorare i rapporti fra gli alleati, e in particolar modo con gli statunitensi, durante la Seconda Guerra Mondiale

In seguito il film ha avuto un certo successo, diventando un classico della commedia fantastica.

Ecco la trama sommaria di Scala al Paradiso, diretto dal duo Michael Powell-Emeric Pressburger e con protagonista principale l’ottimo David Niven, allora attore di punta che ho incontrato in altri tre film: l’irresistibile Casino royale, il simpatico Una ragazza, un maggiordomo e una lady e il famoso ma da me non troppo gradito Il giro del mondo in ottanta giorni: un pilota inglese, Peterv Carter, eroe nella seconda guerra mondiale, durante una missione sulla Manica rimane colpito da un caccia avversario e, dopo che il suo aereo prende fuoco, è costretto a lanciarsi dal veicolo pur senza un paracadute. Poco prima dell’estremo gesto, contatta via radio June, una radiotelegrafista americana, con la quale scambia alcune parole toccanti.
Sta di fatto che, dopo il lancio, e per motivi non meglio precisati, il pilota si ritrova vivo e vegeto, torna a piedi alla base e conosce la bella June, con cui inizia una relazione amorosa (ecco che i rapporti britannico-statunitensi iniziano a migliorare).
C’è un però: l’uomo avrebbe dovuto morire precipitando, e non è morto per una svista degli addetti ai lavori “dall’altra parte”; l’uomo è quindi raggiunto da un fantasma, un uomo francese nelle vesti di un aristocratico del Settecento (ancora "alleati", quindi) che gli chiede gentilmente di morire per fare in modo che le cose vadano come dovevano andare in teoria. L’uomo non ne vuole sapere e così, dall’altra parte, inizia una sorta di processo per decidere il da farsi (è vero che l’uomo avrebbe dovuto morire, ma è pure vero che lui non ha imbrogliato, e che nel tempo “in più” avuto è iniziato un amore). Da questa parte, invece, l’uomo è curato dal Dottor Reeves, che crede che il pilota soffra di meningite e decide di sottoporlo a un intervento chirurgico al cervello. 

Questo quanto alla trama. Veniamo ora ai due commenti.

Il primo è relativo ai contenuti dell’opera, piuttosto debolucci, nonché molto fantasiosi e affatto corrispondenti alla scienza esoterica, per poter assurgere a film utile in tal senso.

Il secondo commento è più tecnico e riguarda l’opera cinematografica: il film globalmente parlando è un po’ macchinoso, tanto negli eventi quanto nei dialoghi, e probabilmente sconta i settantadue anni ormai passati dalla sua realizzazione.
Tuttavia, ha anche una sua bellezza, sia visiva, in alcune scelte registiche innovative e brillanti (ad esempio il caratterizzare il mondo terreno col colore e quello celeste col bianco e nero), sia nei personaggi e nella tenerezza che propone.

Nel complesso, Scala al Paradiso è un bel film, che giustamente è passato alla storia, anche e soprattutto perché riesce a proporre molto pur con mezzi tecnologici arretrati.
Inoltre, contiene quei modi, quelle maniere, quell’educazione e quel rispetto che sono andati via via diminuendo, tanto nei film quanto nella vita reale.

Chiudo la recensione con una bella frase contenuta nel film: “L’amore è il paradiso e il paradiso è amore”.

Fosco Del Nero 



Titolo: Scala al Paradiso (A matter of life and death).
Genere: fantastico, drammatico, commedia, sentimentale.
Regista: Michael Powell, Emeric Pressburger. 
Attori: David Niven, Kim Hunter, Roger Livesey, Marius Goring, Robert Coote, Kathleen Byron, Richard Attenborough, Bonar Colleano, Robert Atkins.
Anno: 1946.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 15 dicembre 2020

Giochi stellari - Nick Castle

Portando avanti la mia carrellata di film culto degli anni “80 (ma anche “70 e “60), sono arrivato a Giochi stellari, film di fantascienza del 1984 che non solo non avevo mai visto, ma che non conoscevo nemmeno di nome.
Curioso, dal momento che il mix tra commedia e fantascienza, con pure delle frasi motivazionali-esistenziali buttate qui e lì, è un mix in cui avrei dovuto imbattermi a suo tempo.

Ma fa niente, ed ecco infine la recensione di Giochi stellari: Alex Rogan è un ragazzo che vive in una baraccopoli di campagna immersa nella natura. Lo stile di vita è un po’ precario e le prospettive non sono esaltanti, per cui lui, a differenza degli altri giovani che in fin dei conti stanno bene così come stanno, desidera andarsene il prima possibile per avere una vita diversa. 
La sua unica distrazione sul posto, oltre alla ragazza Maggie, è il videogioco Starfighter, in cui egli è abilissimo e in cui finisce per battere il record. Tale prestazione attirerà sul posto Centauri, apparentemente un uomo bizzarro ma in realtà un alieno alla ricerca di abili guidatori di caccia interstellari da affiliare alla Lega Stellare, impegnata nella guerra “contro Xur e l'armata di Ko-dan”… proprio come recita il videogioco. 
Alex, che pur se ne voleva andar via per vincere la monotonia di quel posto, non se la sente di essere davvero uno “starfighter”, ma in qualche modo viene reclutato e partecipa alla guerra, mentre sulla Terra un androide con le sue fattezze prende il suo posto per sostituirlo, non senza qualche equivoco.

Giochi stellari è uscito in un periodo piuttosto fertile per il cinema di fantascienza, tra Dune, Star trekTerminator, etc, senza contare la sua evidente assonanza con Guerre stellari, almeno nel titolo italiano; forse ha pagato tali eccellenti vicini, ma a quanto pare, pur senza essere un prodotto di grande rilievo, è riuscito a farsi ricordare nel tempo… tanto che ora son qui a parlarne. 

È stato tra i primi film a utilizzare per gli effetti speciali interamente la computer grafica, anche se pure in questo non primeggia visto che a essere ricordato per questo è il più famoso Tron.

Globalmente parlando, non ho gradito troppo Giochi stellari: leggerino, non troppo originale, dalla sceneggiatura affatto solida, privo di carisma.
Probabilmente non è un caso che il suo regista, Nick Castle, non abbia prodotto niente di rilievo, e infatti non lo avevo mai sentito.

In chiusura di recensione, copio qualche frase di discreta profondità tra quelle sentite nel film.

“Io sono solo un ragazzo qualsiasi.”
“Se pensi questo di te, allora non sarai altro che questo.”

“Le cose cambiano ogni santo giorno.”

“Verrà il momento, però ricorda: quando verrà, tu devi agguantarlo, e attento che non scappi.”

“Affronta la realtà: tu sei nato starfighter.”

“La morte è un concetto superato.”

“Arrivederci, amico mio, ci vediamo in un’altra dimensione.”

Fosco Del Nero 



Titolo: Giochi stellari (The last starfighter).
Genere: fantascienza.
Regista: Nick Castle.
Attori:  Robert Preston, Catherine Mary Stewart, Lance Guest, Norman Snow, Dan O'Herlihy, Kay E. Kuter, Dan Mason, Barbara Bosson, Robert Starr.
Anno: 1984.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 9 dicembre 2020

St. Elmo's fire - Joel Schumacher

Mi sono visto St. Elmo's fire in quanto era inserito in alcune classifiche dei film culto degli anni “80, e in particolare in quelle dal taglio giovanile.
L’aver già visto e gradito un altro film del regista Joel Schumacher, ossia The number 23, era un fattore positivo e incoraggiante…
… che però è andato deluso quasi totalmente.

Ma cominciamo con la trama di St. Elmo's fire, film che oscilla tra commedia e dramma, sentimenti e psicologia: siamo nella Washington  degli anni “80 e seguiamo le sorti di un gruppo di sette amici, quattro maschi e tre femmine: Alec, Leslie, Kevin, Kirby, Billy, Wendy e Jules. La prima è una coppia, ma vicina ad una crisi; il terzo è innamorato segretamente della seconda, ragazza del suo migliore amico; il quarto ha perso la testa per una giovane dottoressa, Dale; il quinto è un donnaiolo che ci prova anche con un paio delle ragazze del gruppo, la sesta è innamorata del quinto; la settima è una sorta di collante del gruppo, ma ha anch’essa i suoi problemi di vita.

Da tale breve descrizione si intuisce agevolmente una situazione ingarbugliata e potenzialmente irta di pericoli, che infatti si presenteranno, mettendo a nudo le debolezze dei vari personaggi.

St. Elmo's fire  è divenuto col tempo una sorta di manifesto della cultura giovanile di quel periodo, laddove giovanile vuol dire poco più che adolescenziale, e in effetti su sette protagonisti cinque di essi all’epoca avevano 23 anni, mentre i rimanenti due 21 e 26. 
Tuttavia, e questa è una cosa francamente un po’ ridicola nel film, tutti e sette sono vestiti come quarantenni, e si atteggiano come tali, ovviamente in modo poco convincente. Questa notevole distorsione visiva rende a mio avviso l’intero sceneggiato poco credibile, unitamente al comportamento piuttosto infantile di tutti quanti (abbiamo 23enni che vestono come 40enni ma che si comportano come 16enni).

L’unico lato positivo del film è una certa vivacità di fondo, nonché qualche personaggio interessante, per quanto un po’ troppo stereotipato (il ragazzo di successo, la ragazza fedele, la ragazza più disinibita, il dongiovanni, il ragazzo introverso e incompreso, la ragazza imbranata).

Un’altra cosa per cui si è segnalato il film è la presenza di alcune attrici che poi avrebbero avuto una notevole carriera: Demi Moore (Ghost, Proposta indecente, Soldato Jane, Striptease), Andie MacDowell (Ricomincio da capo, Mi sdoppio in 4, Quattro matrimoni e un funerale) e anche Ally Sheedy (Wargames - Giochi di guerraBreakfast club, Corto circuito).

A parte queste piccole cose St. Elmo's fire è un film a mio avviso trascurabile.

Fosco Del Nero 



Titolo: St. Elmo's fire (St. Elmo's fire).
Genere: commedia, drammatico, sentimentale, psicologico.
Regista: Joel Schumacher.
Attori: Rob Lowe (II), Andrew McCarthy (II), Emilio Estevez, Andie MacDowell, Demi Moore, Judd Nelson, Ally Sheedy, Mare Winningham, 
Anno: 1985.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 8 dicembre 2020

Tutto accadde un venerdì - Gary Nelson

Tutto accadde un venerdì è un classico in un duplice senso: nel primo senso lo è in quanto film del 1976 che è rimasto famoso e apprezzato nel tempo; nel secondo senso lo è in quanto il film, che è nato da un romanzo per ragazzi di Mary Rodgers, a sua volta ha generato due remake, tra cui uno parimenti famoso, Quel pazzo venerdì con Jamie Lee Curtis e Lindsay Lohan.

Peraltro, Tutto accadde un venerdì  allunga la lista di film classici tra gli anni “60 e gli anni 80” che mi son visto nell’ultimo periodo.

Ecco la trama sommaria di Tutto accadde un venerdì : madre e figlia, Ellen (Barbara Harris) e Annabel (Jodie Foster; Contact, Una ragazza, un maggiordomo e una lady, Inside man, Elysium), non si capiscono molto e pensano che la vita dell’altra sia assai più facile della propria, tanto che, nel medesimo istante, esprimono il desiderio di scambiarsi di ruolo… cosa che prontamente avviene, con la figlia che si ritrova nel corpo della madre e viceversa.
Nel mentre, Bill (John AstinLa famiglia Addams), rispettivamente marito e padre delle due, non ci capisce più niente.
La morale infine è semplice, e le due ne usciranno entrambe cresciute, avendo verificate le difficoltà di vita l’una dell’altra.

Tutto accadde un venerdì è uno dei “bei film di una volta”: commedia brillante, simpatica e pulita, priva di volgarità o di drammi, è il tipico film che andava di moda decenni fa, e che in buona parte si guarda con rimpianto.
La parte che si guarda con rimpianto (si fa per dire, ovviamente) è proprio la sua pulizia, un’innocenza di fondo che oggi è assai difficile da trovare.
La parte che non si rimpiange è una certa leggerezza, quella che rendeva il film meramente di svago e al massimo con una morale blanda, senza che però l’opera possedesse una forza particolare, o una qualche caratteristica didattica.

Ma, d’altronde, i film di questo tipo (più tipici degli anni “60 che degli anni “70, invero) avevano come target le famiglie, bambini compresi, per cui da essi non si esigeva molto di più (anche se io ho sempre come riferimento il ben più elevato Mary Poppins).

Tutto accadde un venerdì rimane comunque un film gradevole, il quale peraltro partiva da un’idea originale che non a caso ha dato luogo a vari rifacimenti, che di suo si meriterebbe un 6.5 come valutazione, ma che premio con un 7 per via del fatto di essere un film assai pulito e a modo.

Fosco Del Nero



Titolo: Tutto accadde un venerdì (Freaky friday).
Genere: fantastico, commedia.
Regista: Gary Nelson.
Attori: Jodie Foster, Barbara Harris, John Astin, Patsy Kelly, Dick Van Patten, Vicki Schreck,Sorrell Booke.
Anno: 1976.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 25 novembre 2020

Elizabethtown - Cameron Crowe

Sono arrivato a Elizabethtown dalla filmografia di Cameron Crowe, di cui avevo visto Jerry Maguire ma soprattutto Vanilla sky, prodotto dagli spiccati contenuti esistenziali, inseriti peraltro in un contenitore molto ben riuscito e accattivante.
Ho proceduto così a vedermi un altro film del regista americano, finendo per l’appunto su Elizabethtown… e non rimanendone deluso, giacché anch’esso propone il connubio tra bellezza del prodotto e contenuti decisamente più profondi della media.

Tanto più profondi della media che chi si accosterà al film pensando che si tratti di una classica commedia d’amore all’americana, o di un altrettanto americano film sul fallimento che viene affrontato di petto e tramutato in successo, rimarrà inevitabilmente scontento.
Il film, infatti, affronta tali ambiti, ma lo fa in modo interiore piuttosto che esteriore; e l’elaborazione interiore produrrà risultati interiori, per l’appunto, non clamorosi o “socialmente visibili”.

Partiamo dalla trama: Drew Baylor (Orlando Bloom; Il signore degli anelli, I pirati dei Caraibi) è un giovane designer di scarpe che negli ultimi otto anni ha lavorato a un modello di scarpa e al suo lancio… finendo per far perdere alla sua società circa 700 milioni di dollari: un fiasco colossale. Viene licenziato dal suo capo Phil (Alec Baldwin; Beetlejuice - Spiritello porcello, Blue JasmineTo Rome with love), nonché abbandonato dalla sua ragazza Ellen (Jessica Biel; Un matrimonio all’inglese, London, The illusionist), prototipo di donna in carriera attirata dal successo (e infatti scompare rapidamente dal film, che non si concentra su tale elemento).
Il ragazzo vede svanire così tutti i suoi sogni, e decide di suicidarsi, ma una telefonata della sorella Heather (Judy Greer) lo interrompe all’ultimo: è morto loro padre, e lui dovrà recarsi ad Elizabethtown per organizzare le esequie tra familiari e amici… persone che non vedeva da molto tempo e che hanno ancora di lui l’immagine di un giovane di grande successo.
Ci va da solo, mentre la sorella e la madre (Susan Sarandon; Thelma e Louise, The Rocky horror picture show, Alfie, Le streghe di Eastwick, Bull Durham - Un gioco a tre mani) lo raggiungeranno in seguito.
Sull’aereo che lo sta conducendo sul posto, il giovane conosce una hostess davvero particolare, Claire (Kirsten Dunst; Intervista col vampiroMelancholiaPiccole donneJumanjiSpider-ManIl giardino delle vergini suicide, Se mi lasci ti cancello), che con la sua vitalità e originalità lo aiuterà ad affrontare il suo momento difficile.

La trama, come facile evincere, non è affatto originale, mentre è altrettanto evidente che il film propone un cast di attori di grande livello: tra i protagonisti Orlando Bloom e Kirsten Dunst e i comprimari Susan Sarandon, Judy Greer, Jessica Biel e Alec Baldwin, non si può certamente dire che manchi la qualità davanti alla macchina da presa. E con Cameron Crowe non manca certamente neanche dietro.

Il risultato, come detto, è una commedia psicologico-introspettivo-sentimentale atipica, che mi è piaciuta nettamente e che ha anche un valore didattico nella sua elaborazione interiore: in essa c’è vita, c’è affetto, c’è brillantezza, e c’è una profondità, essenzialmente nel personaggio di Claire, che molti non vedranno, giudicandolo semplicemente stravagante (un po’ all’Amelie Poulain).
Se però Il favoloso mondo di Amelie aveva una bellezza e un’originalità che qua manca (beh, ma quasi nessun film arriva a quel livello), Elizabethtown ha più contenuti interiori, mostrati dalle frasi che seguono e che, unitamente ai contenuti di Vanilla sky, mi certificano che il regista ha degli interessi in ambito esistenziale.

“Il successo, non la grandezza, era l’unico Dio che il mondo venerava.”

“Noi siamo interpreti, noi andiamo avanti.”

“Io non sto dormendo.”

“Basta solo che gli giri attorno un po’ e riuscirai a coglierne diversi aspetti.”

“Innamorati della vita.”

“Sicuramente esiste uno spirito superiore.”

“Credo di aver dormito per gran parte della mia vita.”

“Morte e vita, morte e vita: tutte e due l’una accanto all’altra.”

“Sono assolutamente tranquilla su tutto quello che dici o che non dici: non mi serve.”

“Vuoi davvero essere grande?
E allora devi avere il coraggio di sbagliare alla grande.”

“Hai cinque minuti per crogiolarti nelle deliziose voluttà della sofferenza.
Goditela, abbracciala, abbandonala e procedi.”

“Trova il tempo di ballare da solo.”

“Non perderti.”

Fosco Del Nero


Titolo: Elizabethtown (Elizabethtown).
Genere: commedia, drammatico, psicologico.
Regista: Cameron Crowe.
Attori: Orlando Bloom, Kirsten Dunst, Susan Sarandon, Judy Greer, Jessica Biel, Alec Baldwin, Jed Rees, Emily Rutherfurd, Bruce McGill, Paul Schneider, Loudon Wainwright III, Gailard Sartain.
Anno: 2005.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.







martedì 24 novembre 2020

X-Men - L’inizio - Matthew Vaughn

Non sono mai stato un fan delle saghe di supereroi, né ho mai letto i fumetti che le hanno ispirate, per cui manco delle basi, per così dire.
 
Non totalmente nel caso di X-Men, nel senso che perlomeno il primo film dedicato a Professor X e compagnia bella lo avevo visto, anche se non mi ricordavo granché… ad esempio chi erano i “buoni” e chi i “cattivi”, cosa che mi ha permesso di vedermi il prequel-antefatto, X-Men - L’inizio, senza sapere cosa sarebbe per forza successo dopo a livello di vita, morte e schieramenti.

Come prima cosa, dal momento che il nome del regista dice più di un film di tutto il resto, diciamo che a dirigere il tutto c’è Matthew Vaughn, che ho già incontrato in Stardust (molto gradito) e in Kick-Ass (decisamente meno gradito)
Generi diversi, come anche il resto dell’ancor breve sua carriera cinematografica, ma accomunati da un certo senso di leggerezza vicina all’umorismo.
Anche X-Men - L’inizio conserva questa sorta di leggerezza, e anzi propone di tutto, assassinii ed esplosioni, tradimenti e problemi personali, sempre con un’impronta lieve.

Ecco la trama di X-Men - L’inizio: l’antefatto del film, anzi, i due antefatti del film sono ambientati nel 1944. Nel primo, in Polonia, il piccolo Erik Lehnsherr (futuro Magneto) vede uccidere davanti ai suoi occhi sua madre perché non è riuscito a dare prova dei suoi superpoteri al cinico Dottor Klaus Schmidt (poi chiamato Sebastian Shaw); nel secondo, negli Usa, il bambino telepate Charles Xavier (futuro Professor X) incontra un’altra bambina con superpoteri come lui, Raven Darkholme (futura Mystica).
I due uomini da grandi si conosceranno e gireranno insieme per il mondo con lo scopo di conoscere altri mutanti con superpoteri… ma la loro visione sarà assai diversa: il primo, similmente all’assassino di sua madre, vede un inevitabile scontro tra razze, umani e mutanti, mentre il secondo desidera lavorare per la pace e l’integrazione.
Tra i due schieramenti si dividono i vari Emma Frost, Azazel, Havok, Bestia, Darwin, Banshee, Angel, Riptide e forse anche qualcun altro che dimentico.
A far da sfondo ai reciproci desideri, la crisi crisi missilistica di Cuba del 1962 e la possibile terza guerra mondiale con USA e URSS come possibili nemici.

A questo proposito, impossibile non citare la solita demagogia populista e propagandistica del cinema americano: i tedeschi sono i cattivi e i russi sono i cattivi… o quantomeno sono quelli che si sono fatti plagiare dai mutanti cattivi (i quali avrebbero potuto parimenti plagiare i politici statunitensi, e anzi a dire il vero con più comodità, vivendo negli Stati Uniti).

A parte questo, il film si dispiega su binari di genere assai prevedibili: super-poteri, azione e dinamismo, conflitti tra super-fazioni, qualche elemento sentimentale, un tono da commedia, qualche scena sexy. La ricetta è quella tipica dei recenti film sui supereroi… ed è una ricetta che mi va anche bene, secondo come è composto il piatto, anche se, a onor del vero, speravo in un film più convincente, mentre i continui cambi di fronte dei vari personaggi mi son sembrati un po’ campati in aria.

Inoltre speravo in un film più profondo e dal taglio più esistenziale, giacché me lo ero segnato per via di una citazione che avevo captato in tv casualmente (per poi vederlo con calma per conto mio).
Questa: “In te c’è molto più di quanto sai. Non solo rabbia e dolore, c’è anche del bene. Quando saprai dominare tutto questo, avrai un potere che nessuno potrà mai eguagliare”.

A proposito di citazioni, impossibile non citare la scena-cameo di Wolverine, davvero fulminante.

Nota anche per il buon cast, da Kevin Bacon (Tremors, Footloose) a Jennifer Lawrence (Il lato positivo, Hunger games), da James McAvoy (Le cronache di Narnia, L'ultimo re di Scozia) a Michael Fassbender (Bastardi senza gloria, Prometheus).

Nel complesso X-Men - L’inizio non mi ha depresso, ma neanche entusiasmato, rimanendo a metà via: quella del prodotto commerciale ben realizzato ma privo di altezze particolari.

Fosco Del Nero 




Titolo: X-Men - L’inizio (X-Men - First class).
Genere: fantastico, azione.
Regista: Matthew Vaughn.
Attori: James McAvoy, Michael Fassbender, Kevin Bacon, Jennifer Lawrence, Rose Byrne, January Jones, Nicholas Hoult, Oliver Platt, Jason Flemyng, Lucas Till, Edi Gathegi,  Caleb Landry Jones, Zoë Kravitz, Bill Milner, Morgan Lily.
Anno: 2011.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui



mercoledì 18 novembre 2020

Thelma & Louise - Ridley Scott

Pur avendo da sempre apprezzato molto i grandi capolavori di Ridley Scott, ossia sarebbe a dire i suoi primi film, come Alien, Blade Runner e Legend (tra i successivi, da ricordare anche Soldato Jane e Il gladiatore e Prometheus), non mi ero mai accostato a Thelma & Louise, il quale, nonostante la fama largamente positiva non mi aveva mai ispirato.

A ciò non mi aveva spinto nemmeno l’esser un discreto fan tanto di Susan Sarandon (indimenticabile in The Rocky horror picture show, ma anche in film come  Le streghe di Eastwick, Bull Durham - Un gioco a tre mani, Alfie) quanto di Brad Pitt (Figth Club, L'esercito delle dodici scimmie, Il curioso caso di Benjamin Button, Burn after reading, The snatch - Lo strappo, Fuga dal mondo dei sogni, Intervista col vampiro, Sette anni in Tibet, Johnny Suede), la prima protagonista del film e il secondo con un ruolo di secondo piano. Il cast è completato da Geena Davis (l’altra protagonista, già recensita in  Beetlejuice - Spiritello porcello e in Tootsie), Harvey Keitel e Michael Madsen (altri attori secondari, entrambi protagonisti ne Le iene, il primo protagonista in Dal tramonto all’alba e il secondo visto in Kill Bill).

Ecco la trama di Thelma & Louise: Louise, quarantenne, è cameriera in un fast food, ha una relazione con Jimmy ma non è troppo soddisfatta della sua vita. Thelma, trentenne, è casalinga e sposata con Darryl, col quale però non ha un grande rapporto. Le due, per cambiare un po’ aria, decidono di trascorrere un week-end in montagna, ma, per via di un incidente imprevisto, finiscono per mettersi in macchina diretti al confine col Messico, con l’intenzione di cambiare vita.
Ne deriva una sorta di road movie in cui le due attraversano vari stati, incontrano numerosi personaggi, vivono diverse esperienze… e si mettono sempre più nei guai.

Il film ha avuto talmente tanto successo, e vinto talmente tanti premi (Oscar, Golden Globe, British Academy Film Award, National Board of Review Award, David di Donatello, Premio Cesar, MTV Movie Award, etc) da essere entrato dell’immaginario collettivo, citato da altri film o da canzoni, e divenuto quasi un modo di dire. 
Inoltre, è divenuto una sorta di simbolo del viaggio al femminile, di una ribellione femminile al potere maschile o al potere costituito in generale, nonché simbolo di libertà.
I meriti del film, dal punto di vista tecnico, sono evidenti: la regia è ottima, il montaggio è ottimo, il cast e la recitazione sono di alto profilo.

Tuttavia, di mio non ho gradito molto Thelma & Louise, così come in passato sono rimasto perplesso di fronte a film che similmente sono assurti a simbolo di qualcosa (L’attimo fuggente, Into the wild - Nelle terre selvagge) avendo però al loro interno energia ed eventi fortemente negativi, che indicano in realtà la direzione esattamente opposta a quella esaltata da fan e critica.

Thelma & Louise, ad esempio, nel tempo divenuto una sorta di elogio della libertà, indica la direzione opposta, nel momento in cui chi cerca di esser libero e di fuggire dai legami del passato (sentimentali, lavorativi, giudiziari) finisce per trovarsi con le spalle al muro e per scegliere la morte in luogo della vita.

Anche L’attimo fuggente e Into the wild terminavano in tragedia, comunicando così sotto traccia che chi osa intraprendere una certa direzione, quella che l’uomo e la donna comuni non osano imboccare, finisce male… ed è questo il messaggio che passa, al di là del livello della regia o di quanto è piaciuto il film al singolo spettatore.

C’è da dire anche un’altra cosa: a livello di sceneggiatura la storia è un po’ zoppicante per via della stupidità che dimostrano le due protagoniste.
In ordine: 
- si ubriacano fino a star male, e poi vanno in un parcheggio deserto con un uomo sospetto,
- uccidono persone senza che ve ne sia il minimo bisogno,
- vanno a letto col primo che passa, letteralmente,
- lasciano il suddetto primo uomo che passa, peraltro autodichiaratosi rapinatore, da solo con tutti i loro risparmi, puntualmente rubati,
- dicono in giro dove sono dirette,
- sanno che il telefono di casa loro è controllato dalla polizia, ma chiamano comunque e si fanno rintracciare,
- già ricercate dalla polizia, si mettono a far saltare in aria camion,
- di sicuro qualcos’altro che ora non ricordo.

Thelma & Louise non mi ha fatto schifo come film: a parte qualche punto debole è un film ben fatto e capisco anche perché ha avuto successo a livello commerciale e di gradimento del pubblico, ma la mia valutazione rimane sul mediocre.

Fosco Del Nero 




Titolo: Thelma & Louise (Thelma & Louise).
Genere: drammatico.
Regista: Ridley Scott.
Attori: Susan Sarandon, Geena Davis, Harvey Keitel, Michael Madsen, Brad Pitt, Christopher McDonald, Stephen Tobolowsky, Timothy Carhart, Jason Beghe, Carol Mansell, Ken Swofford.
Anno: 1991.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui



martedì 17 novembre 2020

Un maggiolino tutto matto - Robert Stevenson

Tra i classici degli anni “60, ma ormai quasi “70, mi mancava da ri-vedere un super-classico, film per famiglie per generazioni intere: Un maggiolino tutto matto, il quale peraltro ha dato luogo a seguiti e remake di vario tipo. 
In cabina di regia c’è Robert Stevenson, il medesimo regista di Mary Poppins, Darby O'Gill e il re dei folletti, Pomi d'ottone e manici di scopaIl fantasma del pirata Barbanera, FBI - Operazione gatto: in questi ultimi due, come in Un maggiolino tutto matto, il protagonista è l’attore Dean Jones, al tempo volto quasi ufficiale della Disney, mentre l’antagonista è David Tomlinson, che invece in Mary Poppins e in Pomi d’ottone e manici di scopa aveva un ruolo positivo, per quanto un poco burbero.

Ecco la trama sommaria di Un maggiolino tutto matto, il quale, tecnicamente, è un film fantasy, dal momento che c’è un’autovettura che magicamente si muove per proprio conto e ha una propria volontà… e che volontà: Jim Douglas è un pilota la cui carriera pare ormai agli sgoccioli, tanto che gli viene consigliato a chiare lettere di ritirarsi. Egli vive insieme al suo amico Tennessee Steinmetz, un ometto bislacco che ogni tanto racconta qualche aneddoto dei suoi viaggi in Tibet.
Avendo distrutto la sua macchina, il pilota si reca presso un concessionario per acquistarne un’altra: come prima cosa viene attirato dalla bella commessa Carole Bennet, come seconda viene adocchia una bella macchina sportiva, e come terza si scontra col proprietario del salone, Peter Thorndyke, il quale è un pilota anch’egli.
È proprio presso il concessionario che fa la sua apparizione colui/colei che poi verrà ribattezzato Herbie, un vecchio maggiolino che a quanto pare ha dato problemi al suo precedente acquirente. E non si fatica a crederlo, visto che ben presto si scopre che la macchina in questione ha una sua volontà, e a quanto pare la sua volontà è stare con Jim, con i due che inizieranno presto a partecipare a gare sportive… col malevolo Thorndyke come avversario.

Un maggiolino tutto matto è il classico film per famiglie di quegli anni, un genere purtroppo sparito nel corso del tempo: positivo, brillante, fantasioso, dolce e vivace al tempo stesso, e con qualche criticità-avversità da superare, nonché un’idea originale di fondo.

Inoltre, e questo non me lo ricordavo dalle antiche visioni di bambino, il film contiene anche qualche frase di valore, spesso derivante dall’esperienza tibetano-buddhista del coinquilino del protagonista, come le seguenti.

“Aiutatemi, sono prigioniera.”
“Siamo tutti prigionieri, non esistono vie d’uscita.”

“Noi esseri umani potevamo fare qualcosa di buono in questo mondo… invece niente.
Adesso ci tocca lasciare il posto a un altro tipo di civiltà.”

“Ero in piena contemplazione: vedevo le cose come sono.”

“La fretta è spreco.
Lo spreco è una ciotola spaccata che non avrà mai riso.”

“Un uomo saggio disse una volta: quando arrivi all’ultima pagina, chiudi il libro.”

Fosco Del Nero 



Titolo: Un maggiolino tutto matto (The love bug).
Genere: fantasy, fantastico, commedia.
Regista: Robert Stevenson.
Attori: Dean Jones, Buddy Hackett, Joe Flynn, Benson Fong, Michael Lee, David Tomlinson, Iris Adrian, Andy Granatelli.
Anno: 1969.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 11 novembre 2020

20.000 leghe sotto i mari - Richard Fleischer

Non ho mai letto il romanzo di Verne 20.000 leghe sotto i mari, ma in compenso ora ne ho visto una trasposizione cinematografica: quella del 1954 di Richard Fleischer, la quale peraltro al tempo ebbe ottimi riconoscimenti, sia dal pubblico che dalla critica, vincendo tra le altro cose due premi Oscar (scenografia ed effetti speciali, più la candidatura per il montaggio) e il premio del National Board of Review Award come uno dei migliori dieci film dell’anno.

Passiamo subito alla trama: nel 1868 la stampa diffonde insistenti voci di un mostro marino che abbatte le navi, tanto che una nave armata, il motoveliero Abraham Lincoln, viene mandata al fine di scovarlo e distruggerlo. Partecipano alla suddetta missione anche Pierre Aronnax (Paul Lukas), professore naturalista, e il suo assistente Consiglio
Sulla nave i due conoscono il fiociniere canadese Ned Land (Kirk Douglas), un uomo vivace e avventuroso, e saranno proprio questi tre a essere raccolti dal Nautilus del Capitano Nemo (James Mason), un uomo particolare a comando di una nave particolare e con una visione delle cose altrettanto particolare (almeno, dal punto di vista dei protagonisti del film; a me in verità sembrava più normale Nemo rispetto agli altri personaggi).

20.000 leghe sotto i mari di Richard Fleischer riprende ovviamente l’omonimo romanzo di Jules Verne, ma, ho letto, con moltissime modifiche, anche sostanziali: episodi, caratteri dei protagonisti, gente che vive e gente che muore, etc. In effetti, parlando di questo, mi son sempre chiesto come mai sceneggiatori e registi cambino le trame dei grandi classici: se volessero una trama diversa potrebbero farsi il loro film senza scomodare e modificare le storie dei classici della letteratura… e a volte a dire il vero ho l’impressione che questi ultimi siano modificati a bella posta con un obiettivo preciso, ma lascio alle singole persone eventuali loro riflessioni in merito.

Di mio dico che ho apprezzato il film 20.000 leghe sotto i mari, che tra l’altro è stato il primo film della Disney girato in "cinemascope", sia nella trama che nell’aspetto visivo; anzi, per essere un film del 1954 esso si difende ancora assai bene, ed evidentemente è stato ben rimasterizzato nel frattempo.
Ho meno apprezzato la componente umana, laddove il personaggio più coerente e audace vien fatto morire (mentre nel romanzo non muore) ed è dipinto come un folle, mentre il personaggio più egoistico e “brillante” è stato eletto a eroe centrale (mentre a quanto pare nel romanzo non lo è). 
Inoltre, nonostante il film sia piuttosto lungo, sforando le due ore, in esso mancano molte delle avventure del Nautilis narrativo, tra cui un viaggio tra le rovine sommerse di Atlantide… che però forse erano troppo per i mezzi tecnologici di quell’epoca, e già così è stato fatto un gran lavoro tecnico.

In conclusione, 20.000 leghe sotto i mari se ne esce con una valutazione discreta, ma non eccellente per i punti critici elencati (lunghezza e parziale lentezza, tanti cambiamenti alla storia originaria, scelte di sceneggiatura non del tutto felici).

Fosco Del Nero



Titolo: 20.000 leghe sotto i mari (20.000 leagues under the sea).
Genere: avventura.
Regista: Richard Fleischer.
Attori: Paul Lukas, James Mason, Peter Lorre, Kirk Douglas, Robert J. Wilke, Ted De Corsia, Carleton Young, J.M. Kerrigan, Percy Helton, Ted Cooper, Fred Graham.
Anno: 1954.
Voto: 6.5. 
Dove lo trovi: qui.



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