L’angelo sterminatore è il sesto film di Luis Bunuel che vedo, dopo La via lattea, Il fascino discreto della borghesia, Quell’oscuro oggetto del desiderio, Bella di giorno e Tristana: tutti quanti avevano ottenuto buone valutazioni, e L’angelo sterminatore non ha fatto eccezione, risultando forse il più bunueliano dei suoi film (almeno, di quelli che ho visto).
I temi solitamente affrontati dal regista spagnolo infatti son resi qui all’ennesima potenza, nonché affrontati in modo intenso visivamente ed emotivamente.
Ma andiamo con ordine, procedendo con la trama sommaria de L’angelo sterminatore, film tratto da un soggetto teatrale cui aveva partecipato lo stesso Bunuel: una sera, dopo una rappresentazione teatrale, una famiglia dell’alta borghesia invita a casa propria numerosi ospiti, anch’essi esponenti di quel mondo, per una cena. Tuttavia, iniziano fin da subito ad accadere cose insolite.
La prima è la fuga della servitù: pur senza motivi apparenti, la servitù sparisce, adducendo motivazioni poco convincenti. Rimane il solo maggiordomo, che inciampa clamorosamente servendo la prima portata. Dopo, una donna lancia un posacenere con forza contro una finestra, rompendola. Ancora: si vedono zampe di gallina, un gregge di pecore dentro il palazzo, etc.
La cosa più insolita è però un’altra: nessuno degli invitati, finita la serata, torna a casa sua, e anzi tutti si trattengono anche per la notte; verrà fuori infine che nessuno riesce ad abbandonare la villa, per una qualche invisibile forza contraria.
I giorni passano, e dall’esterno ci si rende conto che qualcosa non va… ma parimenti nessuno riesce a entrare nella villa, nonostante fisicamente non ci siano impedimenti.
La metafora è chiara ed è la solita di Bunuel: la classe borghese appare formalmente impeccabile, con i suoi begli abiti e i suoi modi eleganti, ma dentro di sé è una sentina di nequizie, le quali non tarderanno a emergere man mano che le condizioni si fanno difficili. Escon fuori così tutte le turpitudini essenziali di quegli esseri umani così impomatati: volgarità, lussuria, inganno, pochezza umana.
Il simbolo del palazzo invalicabile è ugualmente chiaro: una volta che si entra dentro quel mondo, non è possibile uscirne, poiché si è diventati come quel mondo.
Il simbolo nella storia è doppio, e va a colpire l’altro grande bersaglio di Bunuel: la religione. Una volta sciolto il vincolo del palazzo, il gruppo va in chiesa per ringraziare di essere stato graziato… e pure lì si trova imprigionato, senza poter uscire dall’edificio. Le due prigioni, quindi, sono le ipocrisie della classe borghese e della religione (quantomeno, quella di facciata e ipocrita; dubito che Bunuel ce l’avesse con i veri devoti e i mistici).
Alcuni dettagli: durante la storia muoiono alcune persone (ossia, alcune persone non reggono la falsità di quel mondo umano), mentre qualcun altro si dedica a richieste al demonio (dimostrando in ciò il proprio basso livello evolutivo); le pecore stesse, alcune delle quali vengono sgozzate (a sua volta messaggio chiaro: chi fa parte di quel mondo è disposto a violenze di ogni tipo per raggiungere i propri scopi), rappresentano il livello di gregge del grosso dell’umanità; infine, l’angelo sterminatore del titolo, che richiama i toni dell’Apocalisse, non si vede mai, ma aleggia su tutta l’opera.
Perché Bunuel non è uno dei tre-quattro registi più famosi della storia del cinema, e anzi al giorno d'oggi è misconosciuto?
La risposta sta nei suoi stessi film.
Fosco Del Nero
Titolo: L’angelo sterminatore (El angel exterminador).
Genere: surreale, drammatico, psicologico.
Regista: Luis Bunuel.
Attori: Silvia Pinal, Enrique Rambal, Jacqueline Andere, José Baviera, Augusto Benedico, Claudio Brook, Antonio Bravo, César del Campo, Rosa Elena Durgel, Lucy Gallardo, Enrique García Álvarez, Ofelia Guilmáin.
Anno: 1962.
Voto: 7.5.
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