White oleander di Peter Kosminsky è un film che ha ottenuto buoni riconoscimenti, e che peraltro è stato preceduto da un libro, l’omonimo romanzo di Janet Finch, il quale ugualmente ha riscosso un certo successo.
Ecco la sua trama: Ingrid Magnusson (Michelle Pfeiffer; Ladyhawke, Stardust, Le streghe di Eastwick, Dark shadows) è una donna assai fiera. Ha cresciuto da sola la figlia Astrid (Alison Lohman; Big fish, Drag me to hell), è divenuta un’artista apprezzata ed è l’emblema vivente di quanto una donna possa essere forte e indipendente, valori che ha cercato di trasferire alla figlia, ancora minorenne. Tale fierezza la porta però a errori ed estremismi, come quando, in un impeto di rabbia e gelosia, uccide con del veleno il suo amante, il quale a sua volta aveva altre amanti. Risultato: condanna a 35 anni di carcere e figlia in cura ai servizi sociali, che la spediscono di famiglia in famiglia.
Così, la tenera e dolce Astrid conosce prima Starr Thomas (Robin Wright Penn; La storia fantastica, The congress, La leggenda di Beowulf, La vita segreta della signora Lee), ex spogliarellista ora convertitasi alla causa cristiana, poi Claire Richards (Renée Zellweger; Jerry Maguire, Il diario di Bridget Jones), attrice assai insicura, e infine Rena (Svetlana Efremova), una russa che vive trovando e vendendo vestiti usati se non proprio gettati nella spazzatura.
Nel mezzo conoscerà anche Paul, un ragazzo, disegnatore come lei, per cui proverà affetto.
White oleander è un film assai drammatico, di quel melodramma psicologico che va tanto di moda negli ultimi decenni… e di cui il grosso pubblico ama nutrirsi, evidentemente per alimentare il melodramma che ha dentro.
La confezione di lusso del prodotto non deve ingannare: nel film non c’è altro che sofferenza emotiva lungo tutta la sua durata, se non proprio violenza fisica o manipolazione psicologica, e un poco di speranza alla fine, ma sulla speranza il film termina.
Se i contenuti sostanziali sono questi, peraltro conditi con una psicologia piuttosto naif e facilona, assolutamente poco credibile (donne affidatarie dei servizi sociali che tentano di uccidere le ragazze affidate loro in una crisi di immotivata gelosia; donne ugualmente affidatarie che si suicidano con accanto la ragazza loro affidata per una crisi sentimentale, donne affidatarie che portano le ragazze loro affidate a rovistare nella spazzatura… per non parlare di madri dal comportamento insensato), la confezione è davvero bella: la regia è buona, la fotografia è molto bella, il cast di attori è di alto livello, e peraltro propone moltissima bellezza al femminile: al di là dei gusti personali, il quartetto Michelle Pfeiffer-Robin Wright Penn-Renée Zellweger-Alison Lohman è piuttosto notevole, soprattutto ai suoi estremi (la quarantaquattrenne Michelle Pfeiffer e la ventitreenne Alison Lohman). Viceversa, la presenza maschile è limitata al minimo, e solo per far insorgere problemi, ciò che è una gestione piuttosto curiosa della figura dell’uomo.
Il voto tutto sommato non disastroso deriva proprio da tale cura e bellezza visiva, nonché da un paio di frasi di valore che il film ospita e che propongo di seguito, a conclusione di recensione.
“Mi chiedono tutti perché ho cominciato dalla fine andando verso l’inizio a ritroso.
Il motivo è semplice: non sono riuscita a capire l’inizio fino a che non ho raggiunto la fine; c’erano troppi pezzi mancanti”
“La solitudine è una condizione naturale: sappi che nessuno potrà mai riempire quel vuoto.
Il meglio che tu possa fare è conoscere te stessa.”
Fosco Del Nero
Titolo: White oleander (White oleander).
Genere: psicologico, drammatico.
Regista: Peter Kosminsky.
Attori: Alison Lohman, Michelle Pfeiffer, Cole Hauser, Robin Wright Penn, Renée Zellweger,Patrick Fugit, Noah Wyle, Stephen Root.
Anno: 2002.
Voto: 5.
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