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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 27 ottobre 2021

Into the woods - Rob Marshall

Into the woods partiva con buoni pronostici, dati gli elementi di partenza, ma purtroppo non si può dire che sia stato un successo da ogni punto di vista.

Partiamo dal regista, Rob Marshall, il che comprende anche il genere: il musical.
Marshall, per chi non lo conoscesse, ha già diretto film-musical come Chicago, Nine, Il ritorno di Mary Poppins. In relazione al genere, è quasi un marchio di qualità.

C’è anche Johnny Depp, per quanto in una piccola parte.

Ecco la trama sommaria di Into the woods, che in pratica è una miscelazione di varie fiabe, unite da un filo conduttore: una coppia di panettieri un giorno riceve la visita di una strega, che li informa che non possono avere figli per via di una maledizione che lei stessa ha scagliato tempo fa contro il padre di lui, reo di averle rubato delle verdure dal suo orto (…). L’incantesimo si può rompere solo se entro tre giorni i due riusciranno a trovare una scarpetta dorata, un mantello rosso, dei capelli coloro granturco e una mucca bianca.
La scarpetta dorata è quella di Cenerentola, il mantello rosso è quello di Cappuccetto rosso, i capelli dorati son quelli di Rapunzel, e la mucca bianca è quella di Jack, il ragazzo dei fagioli magici. A loro volta, tali quattro personaggi son tutti insoddisfatti della loro vita e ambiscono a qualcosa di più.
Le storie si mescoleranno così tra di loro, comprendendo anche principi, giganti e via discorrendo.

Va da sé che tale miscelazione è molto meticcia, e anzi le fiabe famose non vengono tratteggiate che in piccola parte, un po’ per motivi di tempo e un po’ per non annoiare lo spettatore con storie ben note; la trama principale è dunque quella dei panettieri, e il tutto è farcito, letteralmente farcito, di canzoni.

Forse persino troppe, tanto che alla lunga un po’ stancano, nonostante la discreta qualità media. Peraltro, son state mantenute in inglese, il che significa che per guardare il film occorre munirsi di sottotitoli in italiano o in inglese… a meno che, ovviamente, il vostro inglese non sia tanto buono da comprendere perfettamente le canzoni originali, le quali come detto son tante e son parte integrante del narrato e de recitato.

Ottimi i costumi, ottima la scenografia, buona qualche recitazione, ma il film come detto ha anche dei difetti: la sceneggiatura non è esaltante e anzi è un po’ balbettante, la colonna sonora, pur buona, alla lunga stanca un po’, il tutto è piuttosto frettoloso, il film vorrebbe forse trasmettere una sua morale psicologica, ma è deboluccio anche su questo versante.

Insomma, Into the woods non è malaccio, ma non è nemmeno granché, e per via della tara delle canzoni in inglese è difficilmente usufruibile dai bambini, cui forse si sarebbe adattato meglio come prodotto in generale (beh, per i bambini anglofoni è perfetto).

Fosco Del Nero



Titolo: Into the woods (Into the woods).
Genere: fantasy, musicale, commedia.
Regista: Rob Marshall.
Attori: Meryl Streep, Emily Blunt, James Corden, Anna Kendrick, Chris Pine, Johnny Depp, Christine Baranski, Tammy Blanchard, Also David Garrison, Donna Murphy, Tracey Ullman, Daniel Huttlestone, Billy Magnussen.
Anno: 2016.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



martedì 26 ottobre 2021

Mom - Chuck Lorre, Eddie Gorodetsky, Gemma Baker

Sono sempre stato un grande fruitore delle sit-com, il sottogenere delle serie televisive basate sull’umorismo, e se so di qualche prodotto di buon successo ne guardo qualche episodio per vedere se mi piace.
Tuttavia, difficilmente avrei anche solo iniziato a vedere la sit-com Mom se non ci fosse stato dietro il nome di Chuck Lorre, colui che, tra ideazione, sceneggiatura, produzione, ha messo la firma su capisaldi del genere quali Pappa e ciccia (mi piaceva parecchio da ragazzino) e Dharma & Greg (lo adoravo e lo adoro tuttora), per non parlare della sit-com più lunga della storia della televisione, quel The Big Bang theory (forse il top del divertimento… pur essendo fortemente diseducativo su praticamente ogni aspetto) che ha battuto ogni record, superando persino il colosso Friends (altra opera che ho adorato, forse più di tutte).

Mom nasce per l’appunto nel periodo mediano di produzione di The Big Bang theory, nel 2013, e si dimostra anch’essa serie longeva, visto che, arrivata alla sesta  stagione, non è ancora terminata e anzi sta già lavorando alla stagione successiva.

Veniamo ora ai motivi per cui di mio non mi sarei approcciato alla serie se non ci fosse stato dietro il marchio di garanzia di Chuck Lorre: Mom è un campionario di debolezze umane, di dipendenze, di difetti, di comportamenti egoici, di difficoltà e di tristezza… 

… o quantomeno, parla quasi solo di cose tristi, ma ne parla con tono allegro, minimizzando il tutto (operazione un po’ pericolosa, a dire il vero, come son pericolosi molti dei messaggi neanche tanto sotterranei di The Big Bang theory, dal momento che minimizzare dipendenze e gravi difficoltà umane non è mai saggio). 
Per la cronaca, la serie recensita quest'oggi tratta di questo: dipendenza dall’alcol, dipendenza dalle droghe, minori affidati a istituti per l’infanzia e famiglie varie, bambini cresciuti con genitori alcolizzati e drogati, gruppi di sostegno per alcolisti, dipendenza dal gioco d’azzardo, difficoltà economiche, difficoltà relazionali, sessualità sempre di bassissimo livello, etc.
In tale quadro sconfortante, le persone un po’ più equilibrate del gruppo degli Anonimi Alcolisti si ergono a campioni di normalità… ma non son molto normali neanche loro, laddove per “normale” intendo “persona stabile ed equilibrata interiormente”.

Forse al largo pubblico piace proprio questo di Mom o di prodotti simili: gli sembra così d’esser meglio di quei poveretti. 

Se trama e personaggi non sono il massimo dell’edificazione umana, umorismo e divertimento ci sono in grande quantità, anche se, devo dire, in questa sit-com si privilegia la quantità rispetto alla qualità… come suggerisce il target stesso cui si rivolge.
Gli altri prodotti di Chuck Lorre stanno qualche livello sopra, ad essere onesto, pur se anche Mom si difende bene e globalmente è un buon prodotto, capitanato, a livello di cast, dalla brava e simpatica Anna Faris (Scary movie 3, La coniglietta rosa), affiancata da Allison Janney (Juno). Tra gli attori a me familiari, cito la grandissima Mimi Kennedy (Dharma e Greg) e la vistosa Jaime Pressly (My name is Earl).

Alcune criticità nella sceneggiatura: si parte con una famiglia "madre-due figli", poi arriva la nonna, poi arriva addirittura il nonno, il quale nonostante fosse un personaggio piuttosto ben azzeccato vien fatto sparire quasi subito, poi vengono fatti sparire anche i figli senza un motivo ragionevole, e la serie passa dall’essere una sit-com ambientata in famiglia all’essere una sit-com ambientata nel gruppo degli Alcolisti Anonimi. Senza senso poi il fatto che, nonostante le due donne, madre-nonna e figlia-madre siano in un programma di recupero dall’alcol, non facciano che frequentare uomini che bevono loro davanti; addirittura il futuro marito di una delle due apre un locale alcol-friendly; davvero poco sensato.

Nonostante il target basso, nonostante un livello umano in buona parte anch’esso basso, per quanto in recupero, e nonostante qualche crepa nell’ideazione di fondo, la serie Mom si rivela di buon livello, tanto che, sulla fiducia che nutro per Chuck Lorre, mi sono guardato le sei stagioni prodotte finora…

… anche perché le sit-com di ottimo livello scarseggiano, per non parlare del fatto che stanno divenendo sempre più strumenti di propaganda di una certa agenda, fatto ch'è sia poco edificante che poco incoraggiante.

Fosco Del Nero



Titolo: Mom.
Genere: serie tv, sitcom, commedia, sentimentale.
Ideatore: Chuck Lorre, Eddie Gorodetsky, Gemma Baker.
Attori: Anna Faris, Allison Janney, Mimi Kennedy, Jaime Pressly, Beth Hall, Sadie Calvano, Matt Jones, Blake Garrett Rosenthal, William Fichtner, Kristen Johnston, French Stewart, 
Anno: 2013-2019.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 20 ottobre 2021

Tutti pazzi per amore - Ivan Cotroneo

Dal momento che non guardo la televisione in senso classico, ma la utilizzo solo come schermo su cui proiettare quello che voglio, non seguo le serie televisive che danno in onda in uno specifico momento. Tuttavia, anni fa incrociai la serie tv Tutti pazzi per amore e, dal momento che mi sembrava interessante e originale, me ne appuntai il nome in attesa di un momento futuro più propizio… che è arrivato di recente.

Le basi: Tutti pazzi per amore è una serie televisiva ideata da Ivan Cotroneo, realizzata tra il 2008 e il 2012 e consistente di tre stagioni di 26 episodi ciascuna.
Il suo genere è quanto mai multisfaccettato: di base è una commedia, ma ha un’altrettanto forte componente sentimentale, come suggerisce lo stesso titolo; vi sono però altre componenti: quella musicale (ogni due per tre salta fuori una canzone o un balletto), quella surreale (le scene dello studio televisivo, il paradiso, i pensieri detti ad alta voce in scene alternative, etc); non mancano anche momenti di tipo drammatico, ma sono una netta minoranza.

La storia inizia quando s’incontrano le famiglie Giorgi e Del Fiore, le quali vanno a vivere nello stesso piano di un palazzo romano: Paolo Giorgi (Emilio Solfrizzi) è un quarantenne con una figlia sedicenne, Cristina (Nicole Murgia), mentre la madre è morta; Laura Del Fiore (Stefania Rocca-Antonia Liskova) è una trentottenne con due figli, il sedicenne Emanuele (Brenno Placido) e la settenne Nina (Laura Calgani); il padre dei due vive negli Stati Uniti ed è omosessuale.
Paolo lavora in un ufficio pubblico, mentre Laura, inizialmente inoccupata, trova lavoro presso un giornale femminile, Tu donna, in cui conosce Monica, Rosa, Maya, Lea ed Elio (la prima diventa la sua migliore amica). Il migliore amico di Paolo è invece Michele (Neri Marcorè), grande rubacuori e suo collega di lavoro che però presto si licenzia per aprire un ristorante.

I personaggi da citare sarebbero tuttavia numerosissimi. Tra i principali abbiamo la sorella di Laura Stefania, col marito Giulio, la madre delle due Clelia, col marito Mario, il fratello di Michele Adriano, le zie Sofia e Filomena, Viola, Raoul, Ermanno, Natascia, Camilla, Riccardo, Giampaolo, Elisa, Eva, i ragazzi della squadra di pallanuoto allenata da Paolo.

Come dimenticare inoltre la signorina Carla e il Dottor Freis, meta-personaggi al di fuori della storia?

Sarò sintetico: la prima stagione di Tutti pazzi per amore è fantastica: originale, brillante, ben recitata e ben diretta, piena di belle trovate. 
Anche la seconda stagione si mantiene su buoni/discreti livelli, anche se inizia a vedersi qualche forzatura (per esempio si inizia ad abusare degli stratagemmi come le reazioni verbali alternative, i sogni, le canzoni).
La terza stagione è invece un mezzo disastro: le trovate originali e brillanti son quasi del tutto sparite, la trama diviene a tratti ridicola, i personaggi smentiscono se stessi non comportandosi in modo coerente col loro profilo e così via. Deve essere successo qualcosa a livello di ideazione di episodi o di regia, altrimenti il peggioramento netto non si spiega. Non a caso la serie è stata interrotta a quel punto, nonostante l’augurio interno al racconto in senso opposto (il giornale femminile rischiava di chiudere per le vendite peggiorate, ma si salva all’ultimo… cosa evidentemente non riuscita alla serie tv).

Al peggioramento generale certamente ha contribuito il continuo cambio di cast e di personaggi, che in misura ridotta può essere utile a mantenere vivace una storia, ma che in misura eccessiva rende il tutto inverosimile (vedasi ad esempio i tre grandi amori di Monica, ognuno dei quali dipinto come amore della vita e poi svanito in una bolla di sapone, a volte senza nemmeno spiegazioni).
Il passaggio tra la prima e la seconda stagione da Stefania Rocca ad Antonia Liskova a mio avviso non ha giovano troppo alla serie, così come la sparizione di Neri Marcorè, e nemmeno il tono sempre più infantile (emotivamente infantile) degli eventi e dei comportamenti dei personaggi... forse il principale protagonista dello scadimento di qualità: praticamente tra adulti e bambini non c’è differenza in termini di intelligenza e tutti si comportano in modo immaturo.
Ridicole anche certe trovate come i bambini emo.

Alla fine la valutazione data a Tutti pazzi per amore è una media tra l’8 della prima stagione, il 6.5 della seconda e il 3.5-4 della terza.
Davvero un peccato, dal momento che si trattava, in origine, di un prodotto italiano ben confezionato, originale e brillante. Memorabili alcune scene, come il ballo con musica sudamericana, il ballo con musica indiana, il ballo al ritmo di “Macho man”.

Tra i vari, da citare il cameo di Dario Argento nel ruolo di un terribile professore liceale.

Fosco Del Nero

ADDENDUM DEL 5 OTTOBRE 2024: approfitto di una nuova visione della serie, a distanza di diversi anni dalla prima, per aggiungere qualcosa... purtroppo, qualcosa di brutto, che sulle prime non avevo notato (o che avevo notato ma sottovalutato: non ricordo).
A posteriori, difatti, mi risulta evidente che nella serie in questione venivano introdotte, seppur in modo leggero (certamente più leggero delle serie americane Netflix, tanto per fare un nome), certe tematiche della suddetta agenda. 
Vado a fare un elenco sommario: il solito femminismo dilagante (e gli uomini sono tutti deboli, traditori, inaffidabili o succubi... o più cose tra queste contemporaneamente), la solita tendenza alla sessualizzazione precoce (adolescenti e bambini compresi... e viene ripreso pure un quadro raffigurante bambini seminudi, fatto che è meglio non commentare) e di basso profilo (praticamente tutti gli adulti della serie), la solita mancanza di consapevolezza (per cui i ragazzini, persino i figli, parlano da pari a pari con gli adulti/genitori, cosa che può avvenire solo in una società del tutto stupida e inconsapevole), la solita tendenza a sminuire o scoraggiare la famiglia tradizionale (modelli familiari fallimentari se non proprio ridicoli), l'adozione di extracomunitari come anche il matrimonio con extracomunitari, l'omosessualità presentata come fatto normale (coppia gay, coppia lesbica e bisessualità, per non farsi mancare niente), la poligamia proposta come ipotesi di relazione ugualmente normale, la forte tendenza materiale/egoica e letteralmente nessun elemento spiritual/esistenziale (se non la versione ridicola della religione delle due zie, atta a sminuire quella che dovrebbe essere la parte più importante dell'esperienza umana)... e senza dubbio varie altre cose che ora non mi vengono in mente.
Altre cose francamente ridicole:
- l'abbinamento emo/veganesimo, totalmente sballato (gli emo hanno disequilibri psichici e sono tendenti alla morte e all'aspetto oscuro dell'esistenza; i vegetariani/vegani sono propensi alla vita e rifiutano di uccidere animali, e in ciò dimostrano di avere meno squilibri della media umana),
- la messa in ridicolo del personaggio donna più femminile, dolce ed elegante (il quale anch'esso parte in un modo, coerente, ma poi diviene totalmente incoerente per giustificare la trama, mentre le protagoniste centrali son praticamente tutte delle sgallettate che di femminile hanno ben poco),
- le donne malmenano sempre gli uomini (psicologicamente e a volte anche fisicamente), che subiscono e non reagiscono (così imparano a far parte del patriarcato bianco!),
- ogni tanto si intravedono simboli del mondo finto-democrratico: bandiere arcobaleno, effigi di personaggi  affiliati al mondialismo, etc (ulteriore riprova della "provenienza"),
- lo stile della serie diviene sempre più antiestetico e volgare: il modo in cui le quattro donne della rivista si presentano in chiesa, per un matrimonio, è emblematico del livello di eleganza (bassissimo) raggiunto dall'opera nella terza stagione (ma i sintomi c'erano già prima, per quanto più controllati); curiosamente, la serie si dà di continuo arie di intelligenza e cultura... quando palesa un livello di intelligenza/coscienza, come già detto, molto ridotto, praticamente adolescenziale,
Ma, tra tutte, forse la cosa più grave è la solita applicazione ottusa del principio del "bisogna accettare tutto e tutti" con la quale certi poteri stanno cercando di sovvertire i valori tradizionali: nella serie, per esempio, i genitori - modelli umani del tutto inconsapevoli, sorta di adolescenti cresciuti solo alle anagrafe - accettano qualunque atteggiamento e comportamento dei figli, anche se palesemente squilibrato, come se loro non avessero la responsabilità (umana, psicologica, persino karmica) di educare i loro figli indicando loro i modelli migliori... altro che "accettiamo tutto quanto perché siamo di mentalità moderna".
Insomma, per quanto in modo soft (la serie iniziava sedici anni fa ed era proposta a un pubblico certamente più tradizionalista di quello statunitense), certe tematiche venivano già proposte... in perfetto stile finestra di Overton.
A proposito di tale tematiche, a certificare ulteriormente la provenienza della serie, un manifesto che invita a fermare il cambiamento climatico (che non esiste come evento prodotto dall'uomo e che fa parte del disegno dell'agenda mondialista... il quale infatti negli anni/decenni seguenti ha mostrato di aver totalmente infettato la televisione pubblica).
Peccato, perché in molte cose Tutti pazzi per amore, soprattutto nella prime due stagioni, propone anche tanta bellezza e tante trovate originali.



Titolo: Tutti pazzi per amore.
Genere: serie tv, commedia, sentimentale, musicale, surreale.
Ideatore: Ivan Cotroneo.
Attori: Stefania Rocca, Emilio Solfrizzi, Neri Marcorè, Carlotta Natoli, Sonia Bergamasco, Francesca Inaudi, Irene Ferri, Marina Rocco, Corrado Fortuna, Luca Angeletti, Clizia Fornasier, Laura Calgani, Nicole Murgia, Marco Brenno, Ariella Reggio, Pia Velsi, Luca Calvani, Carla Signoris, Piera Degli Esposti.
Anno: 2008-2012.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



martedì 19 ottobre 2021

L’uomo che visse nel futuro - George Pal

Di recente ho rivisto il film di fantascienza The time machine, e proprio nel redigere la sua recensione ho scoperto che il libro da cui esso è tratto, scritto da Herbert Wells, aveva già avuto una conversione cinematografica: L’uomo che visse nel futuro, girato nel 1960.
Mi son così deciso a vederlo, ed ecco qui anche la sua recensione.

Partiamo dalla trama del film, che è come ovvio molto simile a quella del suo successore, ma non del tutto, e anzi le differenze tra i due prodotti sono molte.

Il film parte dalla fine, nel giorno del 5 gennaio 1900, ma poi torna alle sue origini tramite un flash-back, che in pratica è lungo tanto quanto il film. Il flash-back comincia il 31 dicembre del 1899, ossia l’ultimo giorno del vecchio secolo e il giorno prima del nuovo secolo, col passaggio in questione che rappresenta anche il progresso della scienza…
… qui giunta a un punto di possibile svolta epocale: George Wells ha costruito una macchina del tempo, e anzi due. Una, piccolissima, viene mandata nel futuro davanti agli occhi di quattro suoi amici, esterrefatti ma increduli nonostante abbiano visto il piccolo congegno sparire davanti a loro. La seconda macchina è a misura d’uomo, e servirà a George per andare egli stesso nel futuro a vedere cosa attende l’umanità. 
Dopo aver visto un manichino femminile per letteralmente sessant’anni (prima cosa poco sensata del film, che ne collezionerà molte, visto che è praticamente inverosimile non solo che il medesimo negozio stia nello stesso posto così a lungo, dedicando lo stesso spazio alla stessa vetrina, mantenendo per decenni e decenni il medesimo manichino, senza peraltro che esso si danneggi), l’uomo si decide a fare quattro passi in giro, nei vari periodi temporali: casualmente scende a terra durante la prima guerra mondiale e poi, sempre casualmente, ridiscende dalla macchina durante la seconda guerra mondiale; ancora casualmente, scende a fare un giro durante la terza guerra mondiale, ipotizzata nel 1966, e casualmente pochi istanti prima che i nemici lancino un satellite nucleare. 
Nonostante l’impatto dell’ordigno nucleare (…), l’uomo riesce a ritornare sulla macchina e a farla avanzare nel tempo, fino a un lontanissimo futuro: siamo ora nell’802.701 e il mondo come da noi conosciuto è scomparso. In una sorta di eden naturale vivono due gruppi: da un lato i pacifici Eloi, tra cui spicca la bella Weena (bellissima, a dire il vero) e dall’altro i malvagi Morlock
George deciderà di aiutare i primi contro i secondi… un po’ perché scopre che i secondi catturano e mangiano i primi, un po’ perché nel mentre si innamora di Weena.

Ci sono varie differenze rispetto al film del 2002, ma nell’analizzarle non sarò nostalgico: per certi versi è migliore il film del 1960 e per certi versi si fa preferire quello del 2002.
In generale, il primo film possiede un’atmosfera e un fascino superiori, a partire dalla Londra di fine Ottocento; a livello di effetti speciali, pur essendo ovviamente datato, si difende sufficientemente bene, per quanto in ciò chiaramente sopravanzato dal film recente, il quale si fa preferire anche per una maggiore “credibilità” (a parte il congegno a forma di poltrona che viaggia nel tempo, poco credibile in generale, ma per questo pazienza): solo in questo secondo film ha un minimo di senso la superiorità tecnologica dei Morlock, che viceversa nel film del 1960 sono rappresentati come bestie, cannibali, privi di parola, ma capaci di utilizzare mezzi tecnologici e di sopravanzare gli Eloi… i quali dal canto loro invece sono presentati come belli, puliti, ben vestiti e capaci di parola e quindi di pensieri, per quanto un po’ indolenti e inebetiti come cultura.
Inoltre, i dialoghi e le situazioni del film del 1960 risultano un po’ vecchi e ingenui, e non per il 1960, ma perché proprio ingenui e grossolani di loro. Tuttavia, il suddetto film risparmia allo spettatore il filone melodrammatico presente invece nel film recente (la perdita dell’innamorata, la nuova innamorata, etc) e che in generale è una tara che hanno quasi tutti i film contemporanei.

In definitiva, a me sono piaciuti sia L’uomo che visse nel futuro, sia The time machine, tanto che assegno loro la medesima, buona valutazione.

Fosco Del Nero



Titolo: L’uomo che visse nel futuro (The time machine).
Genere: fantascienza.
Regista: George Pal .
Attori: Rod Taylor, Alan Young, Yvette Mimieux, Sebastian Cabot, Tom Helmore, Whit Bissell, Doris Lloyd.
Anno: 1960.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui



mercoledì 13 ottobre 2021

In mezzo scorre il fiume - Robert Redford

Non mi ricordo come sia arrivato a In mezzo scorre il fiume: forse per via della filmografia di Joseph Gordon-Levitt, allora bambino, o forse da quella di Brad Pitt, ch'era un ragazzo. O forse scorrendo i film diretti da Robert Redford, giacché qualche anno dopo il regista/attore avrebbe diretto un gran film, uno dei film con i contenuti più importanti che abbia mai visto: La leggenda di Bagger Vance.

In mezzo scorre il fiume, peraltro, partiva con un buon pedigree: l'apprezzamento del pubblico e l'apprezzamento della critica, con anche qualche premio vinto (Oscar per la fotografia). Viceversa, La leggenda di Bagger Vance non ha vinto alcun premio ed è stato anche un flop al botteghino: il solito contrasto tra qualità e target popolare.

Purtroppo, In mezzo scorre il fiume si è rivelato per l’appunto un film dal target popolare: non c’è profondità, non c’è elevazione, e a dirla tutta non c’è nemmeno una grande originalità, dal momento che è la solita storia di una famiglia che vive nella provincia americana da cui nascono due figli molto diversi tra loro per carattere: uno più serio e introverso, il quale è anche il narratore della storia, e uno più vivace e indisciplinato.

Ecco la trama del film: si parte nel Montana del 1910, con i due protagonisti, Normal (Craig ShefferBagliori nel buio, The program) e Paul (Brad PittFuga dal mondo dei sogniFigth ClubIl curioso caso di Benjamin ButtonIntervista col vampiroL'esercito delle dodici scimmie, Sette anni in Tibet), fratello maggiore e minore, bambini, allevati da un padre pastore presbiteriano (Tom Skerritt; Alien, La zona morta), che li cresce col culto della religione e della pesca con la mosca. Il primo dei figli cresce in linea con le aspettative paterne, serio e coscienzioso, mentre il secondo si dimostra ben presto guascone e scavezzacollo. 
Nel corso del film si fanno diversi salti temporali in avanti, fino agli studi e al lavoro dei due ragazzi, che si ritrovano dopo anni nel paese natio. 

La sceneggiatura de In mezzo scorre il fiume non è dunque niente di straordinario, e in verità punta soprattutto sul melodramma, tuttavia, il film è ben girato e si difende assai bene su svariati versanti. La fotografia, la recitazione, la colonna sonora. Il cast di attori, per quanto non stellare, è ottimo. 
Personalmente, poi, ho sempre amato i film con una voce narrante. 

In conclusione, In mezzo scorre il fiume è un prodotto ben girato e ben confezionato, che come bonus offre i bellissimi panorami del Montana, tra foreste, fiumi e montagne. Non è imperdibile, ma nemmeno trascurabile.
La leggenda di Bagger Vance, comunque, come opera gli è anni luce avanti.

Fosco Del Nero



Titolo: In mezzo scorre il fiume (A river runs through it).
Genere: drammatico.
Regista:  Robert Redford.
Attori: Craig Sheffer, Brad Pitt, Tom Skerritt, Brenda Blethyn, Joseph Gordon-Levitt, Emily Lloyd, Edie McClurg, Stephen Shellen, Vann Gravage, Susan Traylor.
Anno: 1992.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



martedì 12 ottobre 2021

How I met your mother - Carter Bays, Craig Thomas

Ci ho messo un po’ a vedere How I met your mother, sit-com piuttosto nota negli Stati Uniti ma decisamente meno famosa in Italia, dove si è conquistata una fetta di fan ma non ha sfondato come successo ad esempio a Friends o The Big Bang theory (ma anche Dharma & GregMom, nonché classici come Willy, il principe di Bel-Air e Seinfeld credo la abbiano nettamente sopravanzata come gradimento nostrano).

Ad ogni modo, i motivi per cui ci ho messo un po’ a vedere tutta la serie sono due: il primo è, banalmente, che la serie è parecchio lunga con le sue nove stagioni e 208 episodi; il secondo è che, nonostante il genere fosse esattamente il mio favorito (sit-com umoristiche brillanti immerse nella vita quotidiana), in realtà la serie non mi ispirava molto… anzi, a dire il vero l’ho sempre percepita come un clone di Friends, tanto nel senso che lo ha seguito cronologicamente (Friends va dal 1994 al 2004, anno in cui si inizia a produrre How I met your mother, che rimane in scena dal 2005 al 2014), quanto che lo ha “seguito” in svariati elementi.

Ne elenco qualcuno:
- entrambe le serie sono ambientate a New York (con tutte le città che ci sono al mondo e tutte le città che ci sono negli Stati Uniti),
- entrambe le serie vedono protagonista un gruppo di amici misti maschi-femmine, con una coppia consolidata al suo interno e gli altri a girare (a girare anche tra di loro),
- entrambe le serie propongono un playboy incallito, che però poi si innamora di una del gruppo, poi torna playboy incallito, etc,
- entrambe le serie vedono un protagonista maschile perdutamente innamorato di una protagonista femminile, che inseguirà a lungo,
- entrambe le serie propongono molte guest star dal mondo dello spettacolo (fatto che nel tempo è divenuto abitudine, ma che in quegli anni non era scontato), anche se in questo Friends riflette la sua classe superiore proponendo star di primissimo livello (il meglio di quegli anni: Brad Pitt, George Clooney, Danny DeVito, Sean Penn, Helen Hunt, Jean Claude Van Damme, Winona Ryder, Gary Oldman, Jeff Goldblum, Susan Sarandon, Ben Stiller, Julia Roberts, Bruce Willis… compare tra gli altri anche Jason Alexander, protagonista di Seinfeld, altra sit-com storica a cui lo stesso Friends deve qualcosa… ambientata anch’essa a New York, tanto per cambiare); mentre le guest star di How I met your mother sono meno rilevanti, e curiosamente quasi più cantanti che attori (Enrique Iglesias, Jennifer Morrison, Kyle MacLachlan, Katy Perry, John Cho, James Van Der Beek, Jennifer Lopez, Morena Baccarin, Britney Spears, Katie Holmes, Rachel Bilson, Jorge Garcia: passiamo dalla serie A alla serie B).
- probabilmente sul momento mi dimentico qualche altra similitudine, ma non fa niente, era giusto per dare l’idea.

Ad ogni modo, ecco la trama sommaria di How I met your mother: a New York vivono Ted Mosby, i suoi migliori amici Barney Stinson e Marshall Eriksen, il quale ha sposato Lily Aldrin, anch’essa vecchia amica di Ted, e Robin Scherbatsky, che ben presto si inserisce nel gruppo, su iniziativa di Ted, il quale s’invaghisce di lei.
I cinque sono rispettivamente un architetto, un manager (le cui mansioni effettive sono però misteriose), un avvocato, un’insegnante d’asilo e una giornalista televisiva.

La serie consiste nel seguire, per metà nel bar sotto casa e per metà nei vari appartamenti, le avventure sentimentali e lavorative dei cinque protagonisti, affiancati di volta in volta da qualche personaggio secondario, che comunque non rimarrà mai per tutta la serie.

In realtà ci sono altri due personaggi fissi, per quanto trascurabili: i due figli futuri di Ted, a cui il futuro Ted racconta, in un racconto per noi lungo centinaia di episodi, come ha conosciuto la loro madre, ciò che dà il titolo alla serie (i primi secondi del primo episodio sono memorabili, come effettivamente sono molto ben riusciti molte scene).

La serie è praticamente come Friends, ma un paio di gradini sotto: umanamente meno profonda, umoristicamente un po’ più terra terra, per larghi tratti proprio demenziale, meno originale giacché ne ricalca molti elementi e persino molti spunti, con personaggi meno carismatici. In effetti, per quanto i vari protagonisti di How I met your mother si difendano discretamente bene, non bucano mai lo schermo, con l’eccezione forse di Neil Patrick Harris, che era l’unico già famoso prima delle serie in questione insieme a Alyson Hannigan, la quale non a caso pare essere l’altra colonna della sit-com. Fin dall’inizio, invece, mi ha poco convinto Josh Radnor, ossia il protagonista principale.

Ad ogni modo, il mio gradimento per How I met your mother è stato comunque buono, tanto che alla fine mi son visto tutte le stagioni (le ultime, come spesso accade a serie così lunghe, si trascinano un po’), per quanto la sit-com non sia tra i vertici delle mie sit-com preferite. 
Se certi elementi, ossia la struttura, sono piuttosto banali, in altri il prodotto si sforza di essere originale, e spesso ci riesce, ciò che dal canto suo alza la valutazione.

Fosco Del Nero



Titolo: How I met your mother  (How I met your mother).
Genere: serie tv, sitcom, comico, sentimentale.
Ideatore: Carter Bays, Craig Thomas.
Attori: Josh Radnor, Jason Segel, Cobie Smulders, Neil Patrick Harris, Alyson Hannigan, Cristin Milioti.
Anno: 2005-2014.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 6 ottobre 2021

Il mondo sul filo - Rainer Werner Fassbinder

Conosco e apprezzo da molto tempo Il tredicesimo piano, film del 1999, ma non sapevo che fosse tratto da un romanzo né che da tale romanzo fosse stata tratta una precedente un’opera cinematografica.

Il primo, il romanzo, è Simulacron 3 di Daniel F. Galouye, mentre il secondo, il precedente film, è  Il mondo sul filo, diretto da Rainer Werner Fassbinder nell’ormai lontano 1973.

A ciò si aggiunge un’ulteriore sorpresa: nel romanzo originale la simulazione oggetto della storia è chiamata “Simulacron”, esattamente come io stesso ho chiamato una simulazione virtuale oggetto di un mio romanzo, L’Accademia della Guerra. Unica somiglianza, comunque, visto che generi ed eventi sono totalmente differenti.

Veniamo per l'appunto al genere de Il mondo sul filo: siamo nel fantastico/fantascienza, con incursioni (forti) nell’esistenziale.
Non a caso, nel film sono citati i filosofi Zenone e Platone, così come sono mostrate diverse simbologie: soprattutto gli specchi, spesso presenti in scena. Non è un caso che la stessa simulazione al centro del film, il Simulacron, sia al centro di una sala degli specchi, e che uno dei personaggi, nel definire la realtà, a un certo punto parli di “gioco di specchi”.

In effetti, tutto il film, che in realtà non è un film, ma due film realizzati direttamente per la televisione tedesca, non disponibili in italiano se non coi sottotitoli, parla dei diversi livelli di realtà e dei diversi stati di coscienza: così, ogni personaggio può vedere nel livello “inferiore”, quello della simulazione, un’altra versione di se stesso, che vive e agisce ignara di star vivendo in una simulazione e di essere una creazione elettronica…

… oppure che, una volta presa coscienza di ciò, riesce a dire che “Io sono nulla”, e diviene l’unico consapevole in mezzo a tanti inconsapevoli. Infatti nel film stesso è citata la vecchia storia dell’unico uomo sano di mente, l’unico a conoscere la verità, che è visto come un folle da tutti gli altri.

Esattamente quello che capita al protagonista della storia, Fred Stiller, il quale raccoglie vari indizi, tra cui anche il concetto di “ego” e il concetto di “nessuno” e, infine, durante un simbolico ballo in maschera, arriva a conoscere la verità sulla realtà che lo circonda (altrettanto simbolicamente, gliela svela una donna chiamata Eva). Ciò peraltro poco dopo che il protagonista cammina su un pavimento a scacchi, tradizionalmente utilizzato (non solo a livello massonico) per indicare la dualità e la conoscenza del mondo fenomenico-duale.

Ma ecco la trama sommaria, e più lineare, de Il mondo sul filo: siamo negli anni “70 quando un istituto tecnologico tedesco realizza una super-simulazione, chiamata Simulacron 1, nella quale migliaia di persone-coscienze vivono in una città, ignare di essere delle creazioni elettroniche. Tutte tranne l’unità di contatto, chiamata Einstein, di cui si prende cura Fred Stiller, il quale erediterà la gestione dell’intero progetto quando il suo superiore, il geniale professor Henry Vollmer, sparisce, forse ucciso. E non è l’unico, giacché sparisce anche Guenther Lause… di cui però stranamente non si ricorda nessuno eccetto Fred Stiller: la memoria di Lause sembra cancellata da tutto e tutti.
Stiller, dunque, inizia a indagare, e arriva alla conclusione di essere lui stesso all’interno di una simulazione, i cui parametri-memorie sono stati resettati con l’eccezione della sua memoria. Si mette così alla ricerca dell’unità di contatto della simulazione in questione, e infine la trova…

Dico la verità: non mi aspettavo che Il mondo sul filo avesse dei connotati così simbolici ed esistenziali, altrimenti avrei iniziato a prendere appunti prima. L’opera di Rainer Werner Fassbinder, invece, da questo punto di vista supera il dirimpettaio Il tredicesimo piano, che viceversa la surclassa dal punto di vista tecnico e visivo, grazie anche alla maggiore possibilità tecnologica.

Il mondo sul filo, dal canto suo, ha maggior tempo e spazio per proporre i contenuti del romanzo che ha originato le due trasposizioni cinematografiche, dal momento che è suddiviso in due film. 
Dal canto suo, si intravede la vocazione meno ambiziosa dell’opera, nata non per il cinema ma per la televisione tedesca: esteticamente Il mondo sul filo risulta mediocre, e anche come musiche ed effetti sonori è piuttosto carente, per non dire proprio scarno. Un’altra cosa che dal mio punto di vista stona un po’ è l’ambientazione borghese, la quale forse era una tematica tipica del regista ma che mal si sposa con il genere "realtà virtuale-esistenza-distopia".

Ambo le opere hanno tuttavia la loro ragion d’essere, e anzi son proprio contento d’essermi visto Il mondo sul filo, a cui sono arrivato proprio da Il tredicesimo piano e che altrimenti nessuno probabilmente mi avrebbe consigliato o indicato.

Un ultimo appunto: gli interessati alla tematica della realtà virtuale e dei diversi livelli di realtà non possono farsi mancare Il tredicesimo pianoExistenzDark City e Apri gli occhi (o in alternativa l’americano Vanilla sky), oltre al più famoso Matrix e all’italiano Nirvana.

Fosco Del Nero



Titolo: Il mondo sul filo (Welt am draht).
Genere: fantastico, psicologico, drammatico, esistenziale.
Regista: Rainer Werner Fassbinder.
Attori: Klaus Löwitsch, Mascha Raben, Adrian Hoven, Ivan Desny, Barbara Valentin, Margit Carstensen, Mascha Rabben, Karl Heinz Vosgerau, Wolfgang Schenck. 
Anno: 1973.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



martedì 5 ottobre 2021

Nancy Drew - Andrew Fleming

Sono arrivato al film Nancy Drew dalla filmografia di Emma Roberts, protagonista in un film che ho visto da poco, Nerve.
Nel cast del film anche Tate Donovan, che mi ricordo dai tempi di O. C.. Essendo loro la punta del casting di Nancy Drew, facile immaginarsi una produzione non in grande stile, e in effetti nel film non c’è nulla di grandioso, spettacolare o notevole. Letteralmente nulla.

Tuttavia, il compito è stato ben svolto, ragion per cui la valutazione è più che sufficiente. 

Ma partiamo dalle basi e andiamo alla trama sommaria di Nancy Drew, film tratto dall’omonima collana per ragazzi scritta da Carolyn Keene (libri che tuttavia on ho mai letto): Nancy Drew è una ragazzina con un talento spiccato per l’investigazione e per la risoluzione dei casi, comprese le trattative con i delinquenti, tanto che nella sua cittadina è piuttosto famosa, nonché apprezzatissima dal capo della polizia.
Tuttavia, un giorno lei e suo padre devono trasferirsi in California, dove è tutto un altro paio di maniche: gli affari sono più seri e i criminali più pericolosi. Il che non sarebbe un problema se la ragazzina riuscisse a mantenere la promessa fatta a suo padre di smettere di investigare e di cacciarsi nei guai… ma il sangue è quello e Nancy si mette a lavorare ad un caso che ha letteralmente sotto mano, dal momento che riguarda a casa in cui i due sono andati ad abitare, ch’era la casa di Dehlia Draycott, una vecchia star di Hollywood morta in circostanze misteriose.
Di mezzo ci sono infatti vecchi amori, vecchie ruggini, testamenti e parentele varie…

Come anticipato, Nancy Drew non ha nulla di clamoroso o di imperdibile, tuttavia è un film ben fatto: il cast per quanto non di spicco è stato ben congeniato, la protagonista Emma Roberts è perfetta nella parte e anzi si merita una menzione particolare in quanto carina, elegante, ben vestita, in forte contrasto (volutamente accentuato) con le sue coetanee, dall’abbigliamento e dall’energia interiore ben più confusi. Questo peraltro è uno spaccato dei giorni nostri in generale, con la femminilità che si è persa per strada (a proposito, il vero femminismo è essere femmine con eleganza esteriore e forza interiore, e non certo scimmiottare i maschi o essere rozze e sguaiate, come i tempi moderni hanno portato tante a pensare): in ciò devo dire che il film ha anche una sua valenza educativa, visto che propone un modello femminile elegante, intelligente, ma anche dolce e premuroso.

Il film si presta ovviamente al lieto fine, data la sua natura di prodotto per giovani e per famiglie, e anzi si dimostra semplicistico nel suo sciogliere così facilmente i nodi di ciò che altrimenti, in una trama più realistica, sarebbe stato l’assassinio di una giovane ficcanaso (ben vestita, ma pur sempre una ficcanaso); non aspettatevi dunque troppo realismo da Nancy Drew, ma solo quello che ho evidenziato in recensione (più il personaggio tarchiato e guascone di Corky).

Fosco Del Nero



Titolo: Nancy Drew (Nancy Drew).
Genere: commedia, giallo.
Regista: Andrew Fleming.
Attori: Emma Roberts, Josh Flitter, Max Thieriot, Rachael Leigh Cook, Tate Donovan, Barry Bostwick, Laura Harring.
Anno: 2007.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



Il mondo dall'altra parte