La recensione di oggi è dedicata a un film particolare per differenti motivi: Il Mahabharata di Peter Brook.
Il primo, ovvio motivo è che si tratta della conversione cinematografica del famoso poema epico-religioso indiano.
Il secondo è che non si tratta, almeno nella versione che ho visto io, di un solo film, ma di tre film… o di un film diviso in tre parti, se preferite. Ciascuna parte è di circa 1 ora e 40 minuti, e dunque ciascuna parte è un film vero e proprio in quanto a lunghezza. So peraltro che l’opera originaria girata da Brook constava di circa 9 ore, poi ridotte a meno di 6 per la programmazione televisiva e infine a 3 per il cinema e il mercato dell’home video.
L’ultimo motivo, collegato al primo, è che non si tratta di un film “normale”, ossia dedito al mero intrattenimento, ma, coerentemente all’opera cui esso si riferisce, contiene al suo interno molti richiami di tipo spiritual-evolutivo, che proporrò, almeno in parte, come citazioni a fine articolo.
In tale vocazione di fondo, il prodotto non si discosta molto da un altro film di Peter Brook che ho già recensito, ossia Incontro con uomini straordinari, dedicato alla vita di G. I. Gurdjieff. Del regista in questione ho recensito anche il classico Il signore delle mosche, anch’esso film discretamente impegnato, ma più sul versante psicologico-sociologico che non su quello spirituale.
Passiamo alla trama de Il Mahabharata, che non potrà essere che sommaria visto che nell’intera storia succedono tante cose, impossibili da riassumere in poche righe: i Pandava e i Kaurava sono le filiazioni dei due fratelli Pandu e Dhritharashra. Esse non sono in buoni rapporti e, anzi, si profila tra di loro una guerra, con fortissimi guerrieri su entrambi i versanti, con tanto di armi magiche, semidivinità, uomini immortali e via discorrendo. I primi son cinque, mentre i secondi sono cento… ma i primi sono affiancati da Krishna, uomo-avatar incarnazione del dio Vishnu, con tutto ciò che ne consegue.
All’interno del primo gruppo, si distingue Arjuna, mentre all’interno del secondo Karna, i quali non a caso sono nemici giurati tra di loro, oltre che fratellastri (pur senza saperlo).
Anche se, a onor del vero, il titolo più elevato, di potenziale erede al trono, sarebbe da un lato assegnato a Yudhishthira per i Pandava e a Duryodhana per i Kaurava.
La storia parte con il narratore Vyasa, il quale è sia narratore sia protagonista attivo della storia, e si conclude grossomodo come era iniziata, con Vyasa che termina il racconto del suo poema epico, il quale nel mentre è stato trascritto da Ganesha, il dio uomo-elefante figlio di Shiva.
Prima di dedicarmi alla lunga lista di citazioni, alcune parole sull’opera in generale. Il Mahabharata è un modo di fare cinema non troppo popolare, per il semplice fatto che è molto impegnato e impegnativo, e la gente davanti alla tv o davanti allo schermo del cinema tendenzialmente vuole svagarsi, non impegnarsi. Perciò, è per definizione un film per pochi occidentali, o forse per molti orientali, anche se ho il dubbio che gli indiani possano ritenerlo un po’ troppo spurio; d’altronde, il regista è britannico, il cast è multinazionale, e forse persino troppo: da un film sul Mahabharata ti aspetteresti attori tutti indiani, magari delle varie e numerose etnie dell’India, e invece dentro c’è letteralmente di tutto: indiani, mongoli, cinesi, caucasici, africani di diverse zone dell’Africa. Si dica, per esempio, che Arjuna, uno dei protagonisti principali, è interpretato dall’italiano Vittorio Mezzogiorno.
Onestamente, avrei preferito un casting più fedele alla zona geografica di riferimento, ma tant’è: è stato fatto così. Andrebbe pur detto che la storia, già antica di suo, racconterebbe di un'epoca ancora più antica, nella quale in India si sarebbe mossi gli Arii, popolazione indoiranica che invase la valle dell'Indo scendendo dal nord: la presenza di più razze sarebbe così credibile... anche se non nei livelli proposti dal film (mediterranei, africani, britannici, etc).
La lingua originale, in tale casting multinazionale, è ovviamente l’inglese; ho dunque affiancato l’audio inglese (piacevole da sentire) ai sottotitoli in italiano (facili da leggere, anche se a volte non del tutto fedeli all’originale).
Altre due parole sull’opera: scenografia molto bella; costumi anche; ottima caratterizzazione dei personaggi; dialoghi ispirati; senso di sacralità che pervade tutto quanto, anche nei momenti tragici e durante la guerra; pochi ma efficaci effetti speciali; il tutto sa più di teatro che di cinema, e infatti è stato girato interamente in interno, mai in esterno.
La valutazione complessiva de Il Mahabharata è ottima.
Passiamo ora alle citazioni tratte dall’opera, che renderanno bene l’idea, all’occhio capace di coglierle, del suo valore interno.
Ma prima delle citazioni, una curiosità: nella storia si racconta di una donna che rimane incinta e ha un bambino pur essendo vergine (come Maria e Gesù), la quale mette in una cesta il bambino, lasciato andare in un fiume, per poi essere cresciuto da altri e divenire un uomo importante (come Mosè)… a testimonianza che si tratta di topos spirituali precedenti l'ebraismo e il cristianesimo.
“Se mi ascolterai bene, alla fine sarai diverso.”
(dice il saggio Vyasa a inizio storia a un ragazzino, toccandolo sul cuore e riferendosi al progresso interiore)
“Ecco i nostri due figli, Nakula e Sahadeva, inseparabili come pazienza e saggezza.”
“Mi metto un velo sugli occhi, lo stringo bene, non lo toglierò mai più.”
“Posso rinunciare a ricchezze e piaceri.
Desidero soltanto imparare.”
“Il mondo pullula di infinite creature.
Quelle che vediamo e quelle che non vediamo.”
“Tre dei governano l’universo.
Tre, che sono anche uno: Brahma il creatore, Shiva il distruttore e il terzo è Vishnu.”
“Resisti a ciò che resiste in te: diventa te stesso.”
“Tutto quello che vidi lì mi fece impazzire: il palazzo, impareggiabile, fu costruito da Maya, il sommo architetto. È il palazzo dell’illusione, dove i pensieri diventano realtà.”
“Io non amo niente, io non sono niente.”
“Che ognuno vada fino ai propri limiti.”
“A volte penso che l’uomo non è niente: la sua natura gli è imposta, nulla viene da lui. Quello che facciamo o pensiamo è solo un gioco. Siamo ombre mobili.”
“Un minimo di coraggio è tutto quello che ti serve: guardati intorno, guarda le cose come sono."
“Ora ti tolgo il velo.”
“È un’arma che può distruggere il mondo: puoi scoccarla con l’arco, ma anche con gli occhi: le tue parole, i tuoi pensieri. È un’arma che non puoi richiamare, senza limiti, senza pietà. Non potrai mai disfartene, mai darla indietro.”
“Chi sei?”
“Il Dio Dharma, tuo padre. Sono la costanza, la ragione, l’ordine del mondo.”
“Hai preso la forma di un lago.”
“Sono tutte le forme.”
“Vyasa, perché inventi questo poema?”
“Per scolpire il dharma nel cuore degli uomini.”
“Nessuna strada è totalmente tracciata: sei tra i vivi, e vivi.”
“Yudhishthira, si dice che siamo entrati nell'era della distruzione: è vero?”
“Vedo sorgere un'altra era, in cui dei re barbari guidano un mondo corrotto e vizioso. Degli uomini malaticci, spaventati, induriti, vivono vite miserabili. Già canuti a sedici anni, si congiungono carnalmente con animali. Le loro donne, prostitute, si vendono con bocche avide. Vacche asciutte, sterili. Alberi rachitici, senza vita. Niente più fiori, niente più purezza. Ambizione, corruzione, commercio. È l'Era di Kali, l'epoca oscura: campagne desertiche, città infestate dal crimine.”
“Ti posso solo assicurare questo: non potrai scegliere tra la pace e la guerra.”
“Cosa potrò scegliere?”
“Tra una guerra e un’altra.”
“L’altra guerra dove si svolgerà? Sopra un campo di battaglia o nel mio cuore?”
“Non c’è una reale differenza.”
“Ho ricevuto un regno sul quale stampai una cifra: uno.
Non lo mutilerò. Non lo dividerò in pezzi. Lo manterrò intatto, come quando mi fu dato.”
“Un cattivo re è un morbo contagioso: insozza la sua epoca.”
“Digli: svegliati, alzati.
Il tuo corpo è bello, e il tuo corpo è nobile, ma se vivi col timore di morire, perché averti dato la vita?
Brucia come una torcia, fosse anche solo per un istante.”
“L’occhio che illumina ogni cosa veglierà su di noi.”
“Una cosa è sicura, Krishna: faremo un lungo viaggio insieme.”
“Sì, e un giorno ci ritroveremo di nuovo.”
(parlano poco prima della guerra, dando per scontata la loro morte)
“Cosa fa Krishna?”
“Parla ad Arjuna.”
“Cosa gli dice?”
“Gli dice: ‘Sii disinteressato. Combatti senza desiderio. Devi agire ma senza farti sopraffare dall’azione. Nel cuore dell’azione devi sentirti libero da ogni legame’.”
“Come posso mettere in pratica ciò che vuoi da me? La mia mente è mobile, instabile, evasiva, febbrile, agitata, ostinata. Domarla è più difficile che ammansire il vento.”
“Impara a guardare con gli stessi occhi un tumulo di terra e un cumulo d’oro, una vacca e un saggio, un cane e l’uomo che mangia il cane. Esiste un’altra intelligenza al di sopra della mente.”
“La passione ci trascina, la malvagità ci offusca i sensi: come faccio a trovare questa intelligenza, con quale volontà?”
Per rispondere a questa domanda, Krishna guidò Arjuna attraverso la foresta dell’illusione. Cominciò a insegnargli lo yoga antico della saggezza, e la strada misteriosa dell’azione. Gli parlò a lungo, molto a lungo, tra i due eserciti che si preparavano a distruggersi.
“Tutti gli uomini sono nati nell’illusione. Come raggiungere la verità se si è nati nell’illusione?”
Lentamente Krishna guidò Arjuna per i meandri del suo spirito; indicò i movimenti segreti del suo essere e il vero campo di battaglia, dove non servono né guerrieri né frecce, dove ognuno può combattere da solo. È il sapere più segreto. Gli mostrò tutta la verità, gli insegnò come il mondo va rivelandosi.
“Le mie illusioni svaniscono una dopo l’altra. Adesso, se sono capace di contemplarla, mostrami la tua forma universale. Ti vedo, e vedo pure tutto il mondo in un solo punto. Vedo la vita, la morte, il silenzio. Rivelami la tua natura. Sono precipitato giù negli abissi, ho paura.”
“Sono tutto quello che pensi, sono tutto quello che dici: ogni cosa è appena a me come le perle alla collana. Sono il profumo della terra, il calore del fuoco. Sono ciò che appare, sono ciò che scompare. Sono la beffa dell’imbroglione, sono il fulgore di tutto ciò che splende. Sono il tempo invecchiato. Tutti gli esseri precipitano nella notte e vengono poi riportati alla luce.”
“Chi crede di poter uccidere e chi crede di poter essere ucciso sbaglia comunque.”
“Nessun arma può trafiggere la vita che ho infuso in te. Nessun fuoco bruciarla, nessun’acqua allagarla, nessun vento può prosciugarla. Non temere più. Alzati, perché ti amo. Ora puoi dominare il tuo misterioso e incomprensibile spirito.”
“Tu inganni la tua natura, detesti chi ha le qualità che ti mancano. Eppure sei forte e grande.”
“Attraverso un lungo periodo oscuro con te. Questa lotta è assoluta. Tu e i tuoi fratelli siete l’unica luce del mondo. In ogni momento, ricordate questo: se il vostro cuore è affranto, chiuso, se si fa amaro, nero, asciutto, quella luce sarà persa.”
“La morte non esiste. La morte è negligenza, è ignoranza, mentre la vigilanza è immortalità.
La morte non può divorare chi si scrolla la vita di dosso, non ha più potere di fronte all’eternità.
Il vento, la vita, scorrono partendo dall’infinito. La luna beve il soffio della vita. Il sole beve la luna. L’infinito beve il sole. Il saggio si libra in mezzo ai mondi. Quando il suo corpo viene distrutto e non rimane nessuna traccia di lui, allora la morte stessa è distrutta a sua volta, e l’uomo saggio contempla l’infinito.”
“Non puoi morire con gli occhi chiusi.
Togliti il velo.”
“Sogno o sono sveglio?”
“Non hai visto né il paradiso né l’inferno. Qua non esiste né felicità, né castigo, né famiglia, né nemici. Alzati e vivi in pace. Qua le parole finiscono, come i pensieri. Questa era la tua ultima illusione.”
A proposito di quest’ultima citazione, è molto bella, simbolicamente parlando, la scena finale, in cui Yudhishthira, uno dei Pandava, il figlio dei Dio Dharma (che rappresenta, in essenza, il percorso evolutivo), è alle prese con la sua prova finale.
Al di là del numero di frasi di valore, comunque, è di valore soprattutto il simbolo e l’insegnamento dell’opera: la guerra interiore piuttosto che esteriore (il campo di battaglia è l'individuo stesso, col suo karma e il suo dharma), la lotta tra i fratellastri inferi dell’ego (i Kaurava) e quelli superiori dell’anima (i Pandava), l’energia kundalini sposa dei vari vortici-chakra, la contrapposizione tra la cecità e la vista con le varie discendenze e conseguenze, la teorica sovranità dell’anima (Yudhishthira), usurpata dalla personalità e dai suoi desideri terreni (Duryodhana), il rapporto tra maestro (Krishna) e allievo (Arjuna), etc.
Il film è ovviamente una riduzione, dal momento che il Mahabharata è il poema più lungo di tutti i tempi, ma se si mettessero in fila anche solo gli insegnamenti del film, faremmo notte, per cui mi limito a quanto riportato sinora.
Fosco Del Nero
Titolo: Il Mahabharata (The Mahabharata).
Genere: fantastico, drammatico, religioso, filosofico, esistenziale.
Regista: Peter Brook.
Attori: Bruce Myers, Miriam Goldschmidt, Robert Langdon Lloyd, Vittorio Mezzogiorno, Andrzej Seweryn, Yoshi Oida, Tuncel Kurtiz, Georges Corraface, Sotigui Kouyaté, Antonin Stahly-Vishwanadan, Mamadou Dioume, Jean-Paul Denizon, Mahmoud Tabrizi-Zadeh, Mallika Sarabhai.
Anno: 1989.
Voto: 8.
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