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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 31 marzo 2021

Conan, il ragazzo del futuro - Hayao Miyazaki, Keiji Hayakawa

La recensione di oggi riguarda uno dei cartoni animati cui sono più affezionato in assoluto, che guardavo più che volentieri da bambino/ragazzino, che mi son visto volentieri ora da adulto e che ha contribuito a dare il via alla mia passione per l’animazione vera e propria, quella seria e non quella concepita solo per intrattenere/distrarre i bambini: parlo di Conan, il ragazzo del futuro.

Non a caso, dietro la sceneggiatura e la regia di Conan, il ragazzo del futuro c’è Hayao Miyazaki (oltre a Keiji Hayakawa), che nei decenni seguenti sarebbe diventato il regista di film d’animazione più brillante in assoluto, creatore di capolavori come Nausicaa della valle del ventoLaputa - Castello nel cieloPrincipessa MononokeLa città incantataIl castello errante di Howl e altri ancora. 
E non mi metto a parlare dello Studio Ghibli altrimenti non la finiamo più, per cui torniamo a Conan, il ragazzo del futuro, serie animata composta da 26 episodi prodotta nel 1978 sulla base del romanzo The incredible tide di Alexander Key, da cui tuttavia ha preso liberissimo spunto rispettandolo solo parzialmente e ampliandolo.

La serie, dapprincipio prodotta solo per il Giappone, sulle prime non ha ottenuto un grande riscontro, salvo poi riscattarsi nei passaggi televisivi successivi e divenire infine un fenomeno mondiale e una serie televisiva culto.

Ecco la trama sommaria di Conan, il ragazzo del futuro: nel 2008 la Terra subisce una sorta di apocalisse; durante la Terza Guerra Mondiale due nazioni nemiche lanciano varie bombe elettromagnetiche che devastano gravemente il pianeta, alterandone in modo definitivo la morfologia e, più nel dettaglio, facendo sprofondare i grandi continenti. In breve: la gran parte della superficie terrestre è sparita, e così buona parte l’umanità. Si salvano alcune isole, divenute piccole comunità indipendenti, come la bella Hyarbor, sulle quali vuole imporre il proprio giogo Indastria, una sorta di città-stato di stampo sempre più totalitario e distopico che, nonostante l’esempio scellerato della guerra e della distruzione, punta ancora su dominio, tecnologia e armi.
Contro di essa, circa vent’anni più tardi, si batteranno il protagonista Conan, un ragazzino super-forzuto, il suo amico Gimsey, che pure lui non scherza in quanto a forza, la dolce Lana, nipote del Dottor Rao, genio della fisica che si rifiuta di consegnare a Indastria i segreti dell’energia solare onde evitare una nuova ecatombe, e vari altri personaggi. Tra questi, i più significativi, e piuttosto altalenanti nei loro schieramenti, sono il Capitano Dyce e la soldatessa Mosley.
Il cattivo di turno, che oltre ad essere cattivo è anche piuttosto ottuso, è Repka, sorta di despota via via plenipotenziario.

Conan, il ragazzo del futuro semplicemente ha contribuito ad educare alcune generazioni di bambini e ragazzini, e credo bene: i valori che emergono dalla serie animata sono il coraggio, l’amore, la dolcezza, la coerenza, il rispetto per la natura, il rifiuto della guerra, il pericolo della ricerca scientifica priva di coscienza… valori che poi sarebbero stati portati avanti dallo Studio Ghibli in quasi tutte le sue pellicole.
Tutto ciò non è poco, specie se immerso in un’avventura dal taglio epico, in una storia d’amore infantile e pura, in tanta azione (molto fantasiosa e poco realistica invero), in tanti scenari di grande bellezza (su tutti l’isola di Hyarbor) e anche in qualche perla di saggezza espressa espressa anche a parole, oltre che negli eventi, come le citazioni che seguono. 

“La terra e il mare generano flora e fauna grazie al Sole.
Gli esseri umani possono vivere liberamente solo secondo le leggi della natura.”

“Da sempre l’essere umano subisce una selezione naturale quando si presentano dei cambiamenti.
In sostanza la natura ha sempre fatto da giudice nello stabilire chi avrebbe dato origine alla civiltà seguente.”

“Tu devi lasciarli liberi di fare quello che desiderano.
Vedranno partire la civiltà del futuro dalle rovine del loro vecchio mondo.”

Commovente in particolare il rapporto affettuoso/amoroso tra Conan e Lana, sorta di emblema della purezza sentimentale. Peraltro, l’opera possiede tanto l’energia maschile (Conan, forza, coraggio, azione, esplosività) quanto l’energia femminile (Lana, dolcezza, apertura, perdono, intuizione)… e probabilmente non si tratta di un fattore casuale, giacché gli orientali tendono spesso a mettere qualcosa di profondo nelle loro opere, derivante quando dal tao, quando dal buddhismo e quando da altro.
Tale rapporto infantile-adolescenziale si sarebbe poi visto nei successivi film di Miyazaki, per esempio Laputa.

In conclusione, Conan, il ragazzo del futuro è una serie animata di rara bellezza, che merita di esser vista ad ogni età e conserva il suo valore inalterato anche adesso, a distanza di oltre quarant’anni dalla sua produzione; un bell’esempio per tante produzioni contemporanee, sicuramente più tecnologiche ma altrettanto sicuramente meno brillanti e meno educative.

Fosco Del Nero



Titolo: Conan, il ragazzo del futuro (Mirai shonen Konan).
Genere: anime, animazione, commedia, azione, sentimentale.
Regista: Hayao Miyazaki, Keiji Hayakawa.
Anno: 1978.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 30 marzo 2021

Il pranzo di Babette - Gabriel Axel

Credo di essere arrivato a Il pranzo di Babette dalla filmografia di Bibi Andersson, protagonista dei bellissimi film Il tempo delle fragole e Il settimo sigillo, entrambi di Ingrid Bergman. Tuttavia, avrei potuto arrivarvi anche dalla filmografia di Stéphane Audran, la quale peraltro è la protagonista del film, e che era stata protagonista anche dell’affascinante Il fascino discreto della borghesia, di Luis Bunuel.

Ad ogni modo, fatto sta che vi sono arrivato, per cui procediamo con la recensione, partendo dalla trama di questo film danese del 1987… che tuttavia sembra assai più vecchio rispetto alla fine degli anni “80: alla fine dell’Ottocento le due sorelle Martina e Philippa (chiamate in tal modo in onore rispettivamente di Martin Lutero e Filippo Melantone), figlie di un pastore protestante, hanno ereditato dal padre, guida sociale e spirituale, l’onore e l’onere di guidare la della comunità del posto, la quale porta avanti il suo stile di vita puritano in coerenza con la guida che fu del decano. Le due sono ormai anziane, ma nel corso della loro vita, giovani e belle com’erano, hanno rifiutato numerosi corteggiatori, tra i quali spiccano le figure del gendarme Lorens Lowenhielm e del cantante d'opera Achille Papin, i quali compariranno nel corso del film, il quale parte per l’appunto dalla giovinezza delle due donne per proseguire con la loro età matura. 
Un bel giorno arriva nella suddetta comunità Babette, una donna francese ricercata in patria e costretta a fuggire dopo che suo marito e suo figlio sono stati uccisi. Essa diviene la donna di servizio delle due sorelle, che le offrono ospitalità su richiesta di Papin. Nel giorno della commemorazione del decano, Babette si offre di cucinare un pranzo per i rappresentanti della comunità, cui si aggiunge anche Lowenhielm, nel frattempo divenuto generale. I suddetti rappresentanti, che nel corso degli anni si erano trascinati dietro dissapori e antipatie, trascinati dalla bontà del cibo e dall'atmosfera affettuosa e premurosa, sciolgono letteralmente la loro reciproca acrimonia, e tornano ad essere gli affettuosi amici e vicini che furono un tempo. Il generale commenta così il pranzo e la situazione creatasi: “Rettitudine e felicità si sono baciate”.

Ecco ora il mio commento: Il pranzo di Babette è un esempio di rara ipocrisia, o comunque di rara cecità, quella che peraltro coinvolge gran parte dell’umanità di oggi, e dunque anche del 1987. Non mi ha sorpreso in tal senso leggere che si tratta del film preferito di Bergoglio, che ha addirittura citato in un’esortazione apostolica. Difatti da un lato il film filosofeggia su amore, condivisione, felicità e rettitudine, mentre dall’altro lato propone un vero e proprio massacro di creature viventi, che evidentemente non rientrano nel disegno di compassione né di Bergoglio né della comunità protestante danese in questione: teste di vitelli, teste di maiali, piccoli uccellini, una bellissima tartaruga di cui si magnifica il brodo e via discorrendo. In breve, Il pranzo di Babette è un inno alla crudeltà e alla mancanza di compassione, altro che cristianesimo o rettitudine.

Per carità, lo so che i tempi erano e son tuttora questi (anche se stanno cambiando, grazie a Dio, in una direzione di maggior empatia e connessione con la natura), però fa specie leggere che un papa, che in teoria dovrebbe essere esempio di compassione e amore, citi questo film come suo preferito, solo perché a parole si dice una cosa… ma nei fatti fa vedere tutt’altro (come peraltro in linea con l'apostolato contemporaneo, parecchio lontano dagli insegnamenti di Cristo).

Il film in sé ha un suo valore, intendiamoci, e son molto belle le canzoni che vengono cantate, e son  molto belli i costumi e la fotografia (elementi valsigli premi e nomine vari), e anche la sceneggiatura ha una sua originalità, e vi è anche qualche bella frase, ma il contrasto paradossale che ho evidenziato lo rende essenzialmente un film vuoto, e anzi ai miei occhi un ottimo esempio di quei “sepolcri imbiancati” di cui parlava Gesù.

Fosco Del Nero



Titolo: Il pranzo di Babette (Babettes gaestebud.).
Genere: commedia.
Regista: Gabriel Axel.
Attori: Stéphane Audran, Jarl Kulle, Lisbeth Movin, Bendt Rothe, Bibi Andersson, Preben Lerdorff Rye, Else Petersen, Vibeke Hastrup, Ebbe Rode, Pouel Kern, Jean-Philippe Lafont.
Anno: 1987.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 24 marzo 2021

Café de flore - Jean-Marc Vallée

Comincio la recensione di Café de flore con una confessione: a un certo punto del film ho pensato che la protagonista avesse i denti come Vanessa Paradis, cantante francese famosa un paio di decenni addietro, anche per la sua relazione giovanile con Jonnhy Depp, all’epoca entrambi bellissimi…
… salvo rendermi poi conto che l’attrice in questione era davvero Vanessa Paradis, invecchiata non troppo bene. Neanche male, intendiamoci, ma sfiorita e intristita, per così dire. Anche se forse il personaggio che stava interpretando ha influito su tale sensazione.

Torniamo alle basi del film: Café de flore è un film francese girato nel 2011 da Jean-Marc Vallée ed essenzialmente è un film drammatico, per quanto non manchino altre venature: quella sentimentale dapprima, e quella esistenziale poi.

Di seguito sintetizzo trama sommaria, che peraltro non solo segue due filoni differenti, ambientati in luoghi ed epoche differenti, ma che procede a rapidi salti avanti e indietro nel tempo, soprattutto in relazione al filone principale, costringendo lo spettatore a stare bene attento, pena il non capire cosa sta succedendo.

Il film parte nel 2011 nel Canada francese, a Montreal, e segue le vicende di Antoine (Kevin Parent), un dj di successo, della sua ragazza Rose (Évelyne Brochu), della sua ex moglie Carole (Hélène Florent) e delle due figlie che la coppia ha avuto insieme, le quali vivono una settimana col padre e una settimana con la madre; l’ex moglie è ancora innamorata di lui e soffre per la situazione (con tanto di sonnambulismo e incubi notturni), la nuova compagna dell’uomo teme la figura della rivale, le figlie hanno mal digerito la nuova situazione e l’uomo stesso, nonostante una vita formalmente di successo, percepisce un certo disagio interiore. Di tale storia vedremo molti spezzoni, a volte anche di pochi secondi, nel passato più o meno lontano, compresa l’adolescenza dei due ragazzi appena conosciutisi.
La seconda storia è ambientata nella Parigi del 1969, e vede come protagonista Jacqueline (Vanessa Paradis) e suo figlio Laurent, un bambino con la sindrome di down. Anche qui ci sposteremo spesso nel tempo, ma in modo sempre lineare, dalla nascita del bambino fino all’epilogo della loro storia.
Tali due vicende sembrano completamente slegate tra loro, tanto nel tempo quanto nello spazio, ma poi si scoprirà che…

Café de flore è un bel film: girato bene, ben recitato, con una buona tensione in ambo i filoni narrativi; è un po’ sempliciotto per come le due vicende vengono collegate (nel senso che la tematica esistenziale della reincarnazione viene usata in modo piuttosto naif), ma pazienza.
Nel film peraltro ha una grande importanza la musica, sia per il mestiere del protagonista maschile, sia per lo stile registico del film, che a tratti sembra un videoclip.

Bella la Parigi di fine anni “60, e molto bello l’amore-dedizione della madre verso il figlio disabile… anche se pure questo è trattato in modo superficiale, giusto per far finire il film in un certo modo, dal momento che l’amore-cura che c’era di base non poteva portare a quella conclusione se non in modo incoerente.

Ne deriva che Café de flore ha valore più come film che come spunti educativi-didattici, casomai avesse inteso fornirne, e che dal primo punto di vista è apprezzabile più che dal secondo.

Fosco Del Nero



Titolo: Café de flore (Café de flore).
Genere: drammatico, sentimentale, surreale.
Regista: Jean-Marc Vallée.
Attori: Vanessa Paradis, Kevin Parent, Hélène Florent, Evelyne Brochu, Joanny Corbeil-Picher, Rosalie Fortier, Evelyne de la Chenelière, Émile Vallée, Chanel Fontaine, Michel Dumont, Linda Smith.
Anno: 2011.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 23 marzo 2021

Leafie - La storia di un amore - Oh Sung-yoon

Credo che Leafie - La storia di un amore, pur  dopo tanti film d’animazione passati sul sito, sia il primo film d’animazione sudcoreano che recensisco.
Vediamo com’è andata, sottolineando come prima cosa che l’anno di produzione è il 2011, quindi sufficientemente recente per un film tecnicamente di qualità, e che il regista è tale Oh Sung-yoon, mai sentito (o sentita, non so il genere del nome).

Precisiamo anche che, nonostante la produzione abbastanza recente, Leafie non punta su computer grafica, su disegni elaborati o su effetti spettacolari, ma propone invece degli sfondi color pastello, di stile acquerellato, e un’animazione semplice e fluida riguardo i movimenti.

Il genere i cartoni animati, in Occidente, tendono ad essere prodotti per i bambini, o per un pubblico adulto che vuole semplicemente svagarsi, mentre in Oriente sono considerati un genere neutro, a sé stante, di volta in volta dedicato agli adulti o all’infanzia… ed è più frequente la prima delle due possibilità.
Nonostante Leafie si presenti con disegni piuttosto acquerellosi, colorati e infantili, e con una storia piuttosto semplice ed emotiva, in realtà non è adatto a un pubblico di bambini molto piccoli, soprattutto per via del finale, e in generale di una discreta dose di violenza. Difatti, non viene nascosta ai piccoli, come invece vien fatto nelle animazioni occidentali (e in generale nella vita) la vita e il destino dei vari animali: abbiamo così le galline d’allevamento che vivono chiuse in gabbie, in cui vivono alienate e da cui non escono mai, abbiamo violenza tra animali della stessa specie, abbiamo animali predatori che attaccano e uccidono animali prede, e abbiamo infine la protagonista che si sacrifica, scena che immagino non piacerà molto ai bambini più piccoli (ma d’altronde andrebbe loro detto che gli esseri umani fanno molto di peggio per nutrirli con i cadaveri di animali se non si vuole essere ipocriti).

Ecco la trama sommaria di Leafie - La storia di un amore: Leafie è una gallina che vive in una fattoria, al chiuso e in uno spazio ristretto, insieme ad altre centinaia di galline, le cui uniche funzioni sono mangiare e fare uova, di cui naturalmente si approprierà il fattore. Leafie, però, è diversa dalle altre galline produci-uova: vuole vivere libera, e vuole covare le sue uova.
Un giorno, con un trucco, riesce ad ottenere la libertà, ma, adesso ch'è libera, viene attaccata dalla donnola One Eye, e salvata da Wanderer, un germano reale di cui la gallina si invaghisce, salvo poi scoprire che esso ha già una compagna, un’anatra. 
La donnola però ritorna e uccide sia il germano che l’anatra, e così Leafie decide di prendersi cura del loro uovo, da cui nasce Greenie, un germano reale cresciuto da una gallina, che dovrà affrontare tante prove… così come la madre.

Diciamo subito una cosa: Leafie manca totalmente di originalità, dal momento che il perno centrale del film è un animale che cresce il piccolo di un’altra specie, topos visto e rivisto tante volte: abbiamo da un lato il solito “mezzosangue” che deve riappropriarsi delle sue origini, e dall’altro lato abbiamo la madre che si sacrifica in tanti sensi, fino al senso finale e conclusivo.

Il che andrebbe anche bene, se il film avesse più verve; purtroppo, Leafie - Storia di un amore è, sia tecnicamente che come contenuti (personaggi, dialoghi) un film per bambini, ma ha contenuti difficili da affrontare per dei bambini piccoli, nonché potenzialmente spaventosi. 
Per di più, li affronta con un tono melodrammatico fortemente emotivizzato, un po’ da soap opera.
Il risultato finale è che il film è poco adatto ai piccoli per via dei contenuti intensi e violenti, poco adatto ai grandi che desiderano un intrattenimento di maggior qualità (interiore più che visiva), noioso per i grandi che desiderano azione e movimento… e adatto probabilmente solo ai grandi che tendono al melodramma (più donne che uomini, con tutta probabilità).
Scegliete la vostra categoria.

Fosco Del Nero



Titolo: Leafie - La storia di un amore (Madang-eul na-on amtalk).
Genere: animazione, commedia, drammatico.
Regista: Oh Sung-yoon.
Anno: 2011.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 17 marzo 2021

Stand by me - Ricordo di un’estate - Rob Reiner

Sono arrivato a Stand by me - Ricordo di un’estate dalla filmografia di Wil Wheaton, e sono arrivato a Wil Wheaton da The Big Bang theory, serie tv nella quale l’attore impersona sé stesso, pur con sporadiche apparizioni.
Peraltro, Stand by me - Ricordo di un’estate è spesso indicato nelle varie classifiche come uno dei film giovanili più rappresentativi degli anni “80.

Premessa: il film prende le mosse da un racconto di Stephen King, ed è girato da Rob Reiner, regista sia di opere memorabili come La storia fantastica sia di opere decisamente meno memorabili come Vizi di famiglia o Non è mai troppo tardi.

Ecco la trama sommaria di Stand by me: siamo nel 1959 a Castle Rock, paesino dell’Oregon, dove vive Gordie Lachance (Wil Wheaton), bambino/ragazzino magro e posato (il film esamina proprio tale punto di passaggio tra fanciullezza e adolescenza), amico di tre bambini/ragazzini tutti a loro modo più vivaci di lui: il tosto Chris Chambers (River Phoenix), il capo del gruppo; l’occhialuto ed estroverso Teddy Duchamp (Corey Feldman); il paffuto e imbranato Vern Tessio (Jerry O'Connell).
I quattro, evidentemente alla ricerca di avventura, nonché anche di una sorta di riscatto sociale, visto che tutti hanno problemi in famiglia e specificamente con i loro padri, decidono di addentrarsi nella campagna e nel bosco per trovare il cadavere di un ragazzo morto di recente, che hanno sentito dire trovarsi in un certo punto.
Così, si mettono in marcia, superando varie prove di coraggio.

La sceneggiatura di Stand by me - Ricordo di un’estate è tutto sommato molto semplice, eppure il film ha un suo bel valore, ed è uno di quegli esempi che mostrano come non servano trame, effetti speciali, recitazioni e nemmeno dialoghi straordinari per poter creare una bella storia… è più un discorso di atmosfera e di ispirazione, e poi il resto segue a cascata.

Non che in Stand by me non ci siano delle cose belle oltre all’atmosfera, intendiamoci: i paesaggi naturali sono bellissimi, tra vallate, boschi, fiumi e montagne, così come la cultura da anni 50-60 americani è come sempre affascinante.

Però a dominare la scena è soprattutto il tessuto emotivo e vitale della storia, che può essere letta come una nostalgia dell’infanzia perduta (e difatti la racconta e la scrive, a distanza di molte decine d’anni, uno dei quattro protagonisti) ma anche e soprattutto come un viaggio di iniziazione e crescita interiore, e infatti il film praticamente si conclude con questa frase: “Eravamo stati via solo due giorni, eppure al nostro ritorno la città ci sembrava diversa… più piccola”. La quale simboleggia un concetto evidente: ogni esperienza fatta ci cambia interiormente, fatto particolarmente netto quando si parla della giovane età.

In conclusione, Stand by me - Ricordo di un’estate mi è piaciuto e può anche essere che me lo riveda in futuro.

Fosco Del Nero



Titolo: Stand by me - Ricordo di un’estate (Stand by me).
Genere: commedia, drammatico.
Regista: Rob Reiner.
Attori: Wil Wheaton, River Phoenix, Corey Feldman, Kiefer Sutherland, Richard Dreyfuss, John Cusack, Jerry O'Connell, Casey Siemaszko, Gary Riley, Bradley Gregg, Jason Oliver.
Anno: 1986.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 16 marzo 2021

Serenity - Joss Whedon

Serenity, spin off cinematografico della serie televisiva Firefly, è stata una piacevole sorpresa, almeno a giudicare la qualità media dei film che seguono le serie tv.

Tuttavia, considerando che dietro la macchina da presa c’era il buon nome di Joss Whedon ciò avrebbe dovuto bastare a tranquillizzarmi in partenza… per quanto passare dagli episodi delle serie tv ai lungometraggi non è mai semplice (e viceversa), per cui un punto interrogativo comunque rimaneva.

Partiamo dalle basi: Serenity segue a distanza di un paio d’anni la serie televisiva Firefly, un mix tra fantascienza, western e commedia, terminata in modo brusco dopo appena una stagione, per il disappunto del comunque discreto numero di fan in tutto il mondo.

La serie, pur non particolarmente spettacolare in quanto a effetti speciali o tematiche, si rivelava ben fatta, con personaggi ben caratterizzati, buoni dialoghi, temi di fondo non superficiali e una buona dose di ironia. Ingredienti peraltro già visti, pur se miscelati in modo diverso, in altre serie tv dello stesso Whedon, a cominciare dalla sua più famosa, Buffy l’ammazzavampiri.

Serenity, prodotto col budget limitato di 40 milioni di dollari e pensato sia come conclusione della serie televisiva sia come film a sé stante, ha confermato tutto quanto del suo predecessore: la qualità media buona, i punti forti e quelli deboli, i buoni riscontri presso la critica e il pubblico, ma anche i bassi incassi, tanto che il film ha raggiunto e superato i costi di produzione solo con la vendita dei dvd.

Passiamo alla trama, che nel suo avvio riassume quanto visto in Firefly: la Serenity è una nave mercantile modello Firefly comandata dal capitano Malcom Raynolds, un ex soldato degli Indipendentisti nella guerra civile persa contro l’Alleanza, la struttura politica che domina il grande sistema stellare in cui è andata a vivere l’umanità in un remoto futuro. 

Nel suo equipaggio vi sono il comandante in seconda Zoe, il pilota Wash, il meccanico Kaylee, il mercenario Jayne, il medico Simon e sua sorella River, una ragazza con un passato molto triste: dotata di un intelletto sopraffino, ha subito danni permanenti dopo alcuni esperimenti cui è stata sottoposta… e proprio tali esperimenti la rendono estremamente preziosa per l’Alleanza, che la sta cercando con ogni mezzo.

Quanto all’accompagnatrice Inara, nel mentre ha abbandonato la nave, così come il pastore Book. Ma il passato ritorna: entrambi faranno parte della storia, la quale si concentra, più che sui traffici e le missioni che caratterizzavano gli episodi di Firefly, sulla storia di River… nonché sulla figura dei Reavers (nomi molto simili, curiosamente), sorta di esseri umani regressi allo stato brado-animalesco che infestano i confini del sistema stellare (ma, in modo poco sensato, capaci di gestire astronavi, tecnologia e intere zone dello spazio).

I pro di Firely son tutti confermati, e l’ho già detto; a essi si unisce un’atmosfera più elegante e sofisticata, tanto da far inserire Serenity nel novero dei buoni/ottimi film di fantascienza, e la spiegazione data al fenomeno dei Reavers, mai accennata durante la serie tv.

I contro: il film, pur qualitativamente buono, mantiene un profilo basso a livello tecnologico, spettacolaristico e di sceneggiatura. E soprattutto vede peggiorato il doppiaggio: quasi tutto il cast di doppiatori è cambiato, e purtroppo risulta meno adatto ai personaggi rispetto alla serie di partenza. Colpa non dei doppiatori, io credo, ma di chi li ha scelti per dar voce a quei personaggi. In particolare, le voci di Malcolm e di Inara risultano del tutto sballate e sottraggono carisma e profondità ad ambo i personaggi (Inara peraltro è stata messa ai margini della sceneggiatura, mentre nella serie risultava più importante, quantomeno come presenza). Peccato.

Globalmente, in conclusione, ho gradito Serenity più di quanto mi aspettassi, e anzi son stato contento, doppiaggio a parte, che alla serie tv sia stata data una degna conclusione, cosa che poche serie  interrotte hanno avuto il privilegio di avere,

Fosco Del Nero 



Titolo: Serenity (Serenity).
Genere: fantascienza, western, commedia.
Regista: Joss Whedon.
Attori: Nathan Fillion, Gina Torres, Alan Tudyk, Morena Baccarin, Adam Baldwin, Jewel Staite, Sean Maher, Summer Glau, Ron Glass, Chiwetel Ejiofor.
Anno: 2005.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 10 marzo 2021

Il rito - Mikael Hafstrom

Il rito è un film diretto nel 2011 da Mikael Hafstrom, regista di cui non ho mai visto niente.
Il motivo della visione del film non sta dunque nella fama del regista, e nemmeno negli attori protagonisti, pur apprezzando io sia Anthony Hopkins che Alice Braga (non conoscevo invece Colin O'Donoghue), ma, semplicemente nel genere del film.

Non mi riferisco tuttavia al genere horror nel suo complesso, anche perché il film non è esattamente un film horror, ma al sottogenere dell’esorcismo, genere che pur essendo di nicchia, e pur trattando temi molto lontani dal vissuto comune, non ha mai smesso di attrarre l’attenzione del grosso pubblico, da L’esorcista in poi, passando per i vari L’esorcismo di Emily Rose, L’ultimo esorcismo, etc. Il motivo di tale continuo interesse, nonostante la cultura dominante scientista, è semplice: la gente inconsciamente sente che si tratta di un tema rilevante, ossia di cose reali.

Il film peraltro prende le mosse dal libro omonimo riportante per l’appunto esperienze reali: Il rito - Storia vera di un esorcista di oggi, di Matt Baglio.

Ecco la trama sintetica de Il rito: Michael Kovak è il figlio di un impresario delle pompe funebri, e come tale ha confidenza con morte e cadaveri. Tuttavia, è un’attività che non gli piace e, pur di sfuggire all’eredità paterna (la madre è morta tempo prima), entra in seminario e con gli anni è sul punto di divenire sacerdote… cosa che però evita scrivendo una lettera di rinuncia. Essenzialmente, egli si rende conto di non avere fede.
Tuttavia, le sue “dimissioni” non vengono accettate, perlomeno non subito, ed egli, come ultima esperienza da seminarista, viene mandato a Roma a seguire un corso sull’esorcismo tenuto da Padre Xavier, il quale riconosce la natura scettica del ragazzo e lo manda da Padre Lucas, a vedere con i propri occhi il lavoro con le persone possedute.
Michael rimane sempre dubbioso, fino a quando…

Il rito tecnicamente è un buon film: il cast è valido (Anthony Hopkins è eccellente come al solito), la sceneggiatura è semplice e per certi versi prevedibile ma tutto sommato solida, le ambientazioni sono buone come buone sono alcune trovate. Tuttavia esso sconta qualcosa, e la sconta dal capostipite del genere: L’esorcista.
Essenzialmente, Il rito è una copia moderna, più psicologica e meno terrorifica del suo illustre predecessore. Anche qui abbiamo una possessione, anche qui abbiamo un prete anziano ed esperienziato e uno più giovane la cui fede viene messa a dura prova, anche qui il diavolo cerca di prendere possesso degli esorcisti, anche qui la “paziente” è una donna (quindi abbiamo sempre uomini che esorcizzano donne, come anche negli altri due film citati: curioso...), anche qui tutto quanto viene ricondotto alla fede interiore. Troppe somiglianze, tanto che mi è venuto il dubbio che il film fosse stato girato soprattutto per le nuove generazioni, le quali magari non avevano mai visto L’esorcista.
Qua c’è un dettaglio interessante, però, che viene inserito anche in un dialogo col demonio: la possessione della ragazza ha inizio quando il padre la violenta (padre nel senso di padre biologico, non nel senso di sacerdote) con una sorta di "trasmissione del male".

La mancanza di originalità, e in buona parte anche tale prevedibilità, costa al film qualcosa in termini di valutazione, ma comunque rimane un prodotto ben fatto e anche con qualche principio ispiratore… in cui peraltro si vede anche qualche attore/attrice italiano/a (per esempio, Marta Gastini nella parte della ragazza posseduta e Maria Grazia Cucinotta nella parte di sua madre).

In chiusura, propongo qualche frase estrapolata dal film.

“Il ladro che viene a rubare a casa tua accende la luce quando arriva?
No, perché preferisce che tu creda che lui non è lì.
Così il diavolo preferisce che tu creda che lui non esiste.”

“La cosa interessante degli scettici, degli atei, è che sono sempre alla ricerca di prove, di certezze.
Ma la questione vera è cosa faremmo se le trovassimo.”

“C’è qualcosa che non smette di raschiare e scavare dentro di me: è come se fosse l’unghia di Dio. Alla fine non riesco a sopportare più quel dolore e vengo spinto fuori dall’oscurità, nel pieno della luce.”

“Ex umbris ad lucem.”

“Come esiste una gerarchia tra gli angeli organizzata in ordine ascendente, così esiste un ordine nel regno del male. E come ogni angelo ha un nome, così lo ha ciascun demonio.”

“Devi stare attento: scegliere di non credere nel diavolo non ti proteggerà da lui.”

“Vogliamo fare del nostro meglio, vero?
Il meglio che possiamo.”

“Demonio ingannatore, dì il tuo nome.”
“Non lo dirò mai.”
“Perché vivi in lei?”
“Perché la sua sofferenza è dolce.”
“Cosa vuoi fare con lei?”
“Voglio mangiare le mosche della sua putrefazione.”
“Come sei entrato in lei?”
“Con il seme di suo padre.”

“Tu sei un brav'uomo. Hai un'anima buona. 
Proteggila. Difendila. Abbi cura di lei.”

“La preghiera è la nostra unica salvezza. 
Non dimenticarlo mai.”

“Tutto ti ha condotto a questo: è un destino.”

“La fede ti si addice molto: non abbandonarla.
Combatti la battaglia divina con tutte le tue forze.”

Fosco Del Nero 



Titolo: Il rito (The rite).
Genere: horror, drammatico, psicologico.
Regista: Mikael Hafstrom.
Attori: Anthony Hopkins, Colin O'Donoghue, Alice Braga, Toby Jones, Ciarán Hinds, Rutger Hauer, Maria Grazia Cucinotta, Chris Marquette, Torrey DeVitto, Marta Gastini, Andrea Calligari.
Anno: 2011.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 9 marzo 2021

The ramen girl - Robert Allan Ackermann

Oggi siamo in compagnia di The ramen girl, film del 2008 con protagonista la brava, bella e sfortunata Brittany Murphy, morta giovanissima, che personalmente ricordo volentieri per via di qualche allegra commedia come Oggi sposi, niente sesso o Ragazze a Beverly Hills ma anche di qualche film drammatico come Ragazze interrotte.

In questa produzione, che è evidentemente una produzione di serie B (o al massimo di serie A ma in zona retrocessione), non è affiancata da nessun altro volto noto, ed è diretta da un regista a me sconosciuto, praticamente privo di filmografia degna di nota… e il tutto si vede, purtroppo, col film che scivola nella mediocrità e nella banalità più assoluta, reso meno disastroso proprio dalla freschezza e dalla vivacità della sua protagonista.

Ecco la trama di The ramen girl: Abby, studentessa statunitense, si reca a Tokyo per stare col suo ragazzo Ethan, che però ci mette molto poco a trasferirsi per lavoro a Osaka e contestualmente a lasciare la ragazza, la quale così si trova sola e triste in terra straniera.
Cerca rifugio nel ristorante di fronte a dove sta, e decide di imparare a cucinare i ramen; il cuoco del ristorante, tuttavia, tale Maezumi, si dimostra estremamente severo e burbero nei suoi confronti, rendendola la vita difficile.

The ramen girl, a livello di sceneggiatura, è davvero il trionfo della banalità: abbiamo un’eroina triste in cerca di riscatto, abbiamo un insegnante burbero ma in realtà buono, abbiamo tutta una serie di prove a infine la vittoria finale… con tanto di relazione sentimentale buttata lì giusto per dovere. 
Proprio non ci siamo, e difatti il regista ha al suo attivo solamente alcune produzioni di scarso livello.

Il film cerca di salvarsi inserendo al suo interno qualche presunto insegnamento di stampo orientale, ma anche questo in modo superficiale e leggero, e peraltro in contraddizione con quanto mostrato nel resto del film, confidando probabilmente che lo spettatore alla ricerca di svago leggero non se ne accorga.

Insomma, non vi sono motivi per vedere The ramen girl… se non forse la stessa Brittany Murphy o la voglia di fare un giro a Tokyo… per quanto in realtà non si giri molto ma si stia soprattutto dentro il ristorante di ramen.

Fosco Del Nero 



Titolo: The ramen girl (The ramen girl).
Genere: commedia.
Regista: Robert Allan Ackermann.
Attori: Brittany Murphy, Toshiyuki Nishida, Tammy Blanchard, Sohee Park, Kimiko Yo, Renji Ishibashi, Gabriel Mann, Daniel Evans.
Anno: 2008.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 3 marzo 2021

Magia d’estate - James Neilson

Magia d’estate è il quinto film che vedo, a breve distanza di tempo, con protagonista Hayley Mills, la bella e brava ragazzina che negli anni “60 diventò una sorta di volto ufficiale dei film della Disney.
Il suddetto film segue dunque F.B.I. - Operazione gatto (carino), Il cowboy con il velo da sposa (bello), Il segreto di Pollyanna, (molto bello), Il giardino di gesso (valido)

Ecco la trama sintetica del film: Margaret Carey è una donna vedova, e con tre figli a carico, Nancy, Peter e Gilly: la famiglia ha problemi economici e così è costretta a vendere la mobilia e a trasferirsi in un appartamento molto più modesto. 
La figlia maggiore, una ragazzina a dir poco vivace, ha però l’idea di spostarsi da Boston, più costosa, in campagna, e precisamente in una casa in un paesello del Maine, che aveva colpito tutti durante una vacanza passata: Nancy scrive al curatore della casa e, con qualche piccola bugia, riesce a ottenerne l’utilizzo a condizioni molto vantaggiose.
Il suddetto curatore, Ossian Popham, prende tutti in simpatia e non solo li agevola finanziariamente, ma li aiuta a risistemare l'abitazione, nella quale andrà a vivere anche la cugina snob Julia, con cui Nancy svilupperà una certa competizione. 

Magia d’estate è tratto dal romanzo di Kate Douglas Wiggin Mother Carey's chickens ed è uno dei bei vecchi film di una volta: c’è tutto il meglio degli Stati Uniti di quel periodo: buoni sentimenti, grande ottimismo, altruismo e vita sana di campagna.
Come si usava in quegli anni, è un film musicale, con sette canzoni, a volte ripetute più volte, di qualità altalenante: qualcuna valida e qualcuna meno valida. Non siamo certo ai livelli di Mary Poppins e di Chitty chitty bang bang, giusto per essere chiari.

Il film oscilla tra l’essere adorabile in alcuni frangenti, all'essere un po’ molle e scontato in altri, e alla fine della fiera è forse quest’ultimo aspetto a prevalere, impedendogli di ottenere una valutazione più alta.
Globalmente parlando, comunque, ho gradito Magia d’estate, e anzi son contento di aver rivisto un film visto nell’infanzia e di cui mi ero dimenticato, senza dubbio perché meno famoso di altri suoi colleghi più conosciuti e meno proposto in televisione. Senza contare l’ennesima ottima prova di Hayley Mills, la quale non a caso ha ottenuto riscontri per la sua interpretazione.

Fosco Del Nero 



Titolo: Magia d’estate (Magic summer).
Genere: commedia, musicale.
Regista: James Neilson.
Attori: Hayley Mills, Dorothy McGuire, Burl Ives, Deborah Walley, Una Merkel: Mariah Popham Eddie Hodges, Michael J. Pollard, Peter Brown, James Stacy, Jimmy Mathers, Wendy Turner.
Anno: 1963.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 2 marzo 2021

La forma dell’acqua - The shape of water - Guillermo Del Toro

Temo ormai di dover dire che ero un fan di Guillermo Del Toro, e non più che lo sono, visto che i suoi ultimi tre film sono stati tre delusioni piuttosto smaccate: compreso il suo ultimo lavoro, La forma dell’acqua - The shape of water, su bassi livelli tanto quanto Pacific Rim e Crimson Peak (dei tre quest’ultimo è forse il meno peggio, pur con tutti i difetti di sceneggiatura).
Insomma, i tempi de Il labirinto del faunoLa spina del diavolo ed anche Hellboy son lontani.

Ma andiamo con ordine, partendo dalla trama sommaria de La forma dell’acqua, film del 2017: siamo nel 1962 in piena Guerra Fredda. In un laboratorio governativo a Baltimora si stanno effettuando degli esperimenti segreti, su un soggetto ancora più segreto. Tuttavia, Elisa e la sua collega Zelda, entrambe donne delle pulizie, non tarderanno a scoprire il segreto, ossia una sorta di uomo-anfibio scovato in Sud America dal perfido Colonnello Strickland, con il quale la prima delle due inizierà una sorta di rapporto di amicizia, per poi cercare di portarlo via una volta conosciuti i propositi malvagi di Strickland, aiutata in questo dall’amica Zelda, dal vicino di casa Giles e anche dalla spia russa Hoffstetler/Dimitri.

Partiamo dai punti positivi, giacché ce ne sono: la fotografia è bellissima, con i suoi toni scuri e dark; ugualmente scenografia e ambientazione son molto curate, e letteralmente ci portano in quegli anni (fine “50 e inizio “60).
La colonna sonora è ugualmente molto efficace e d’atmosfera, per quanto alcuni potrebbero giudicarla un po’ invasiva. 
Gli effetti speciali son convincenti, ma con Del Toro questo lo si dà per scontato, e comunque La forma dell’acqua non abbonda in tal senso: c’è solo la figura dell’uomo-anfibio.
I lati positivi purtroppo finiscono qui, mentre la lista dei contro è assai più consistente.

La trama è letteralmente risibile, e la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti… a proposito di acqua.
Sul primo versante, abbiamo una donna muta, frustrata e con evidenti problemi psicologici che (anticipazione: chi non vuol sapere smetta di leggere) s’innamora e fa sesso con un uomo-pesce: peraltro, la cosa nella sua bizzarria ricorda troppo Splice, film che lo precede di otto anni e a cui probabilmente il regista si è ispirato (dando per scontato che lo conosca; in caso contrario il difetto non è di originalità, sua e di tutti quelli che hanno collaborato al film, ma di poca conoscenza del settore, cosa parimenti grave).
Sul secondo versante, abbiamo due donne delle pulizie, che nemmeno brillano per arguzia, le quali fanno quello che vogliono all’interno di un sito super-segreto, venendo a conoscenza di cose top secret e organizzando ridicoli piani per trafugare quanto di più importante contiene il suddetto sito super-segreto. Abbiamo poi un bagno che viene riempito completamente d’acqua senza che accada niente se non qualche gocciolio nel piano di sotto. Abbiamo un uomo che si stacca a mani nude delle dita in cancrena. Abbiamo complicazioni inutili tipo liberare la creatura marina in un canale anziché andare un poco più avanti e liberarla direttamente in mare. Abbiamo un super-colonnello dell’esercito che conduce indagini e interrogatori risibili e che si fa gabbare dalle due addette delle pulizie… e altro ancora.

Ma questo forse non è nemmeno il peggio del film: il peggio de La forma dell’acqua è che è un concentrato di luoghi comuni e di concetti da politically correct: i tre buoni sono una muta mutilata, una donna nera e un gay discriminato; i cattivi sono i militari bianchi, tra cui un fascistone dai gusti sessuali pervertiti; c'è un'unione sessuale contro natura. Tutto quanto sa di americanata certificata politically correct e pure mezzo mondialista.
Ecco come si spiegano tutte le nomination e i premi vinti, che dal punto di vista tecnico sono inspiegabili; persino inquietanti se si vuol parlare di buon cinema. 

Dimenticavo: anche i dialoghi son piuttosto sciatti, perfettamente allineati con il politically correct dominante.
Un altro appunto sulla poca originalità del film: se il punto centrale della trama ricorda molto Splice (relazione fisica tra un essere umano e una specie ominide), e se l’atmosfera generale ricorda molto il videogioco Bioshock (anche su questo son quasi sicuro che vi sia un’ispirazione dietro), molti elementi del film son presi pari pari da Il favoloso mondo di Amelie: una protagonista caruccia ma non bella (beh, Amelie era più bella a dire il vero), introversa e di poche parole (Amelie parlava un poco di più, ma non molto), originale e fuori dalle righe, che vive da sola, con un vicino di casa ugualmente problematico e introverso, e ugualmente pittore, e ugualmente svantaggiato a suo modo: in Amelie era fisicamente handicappato, mentre qua è omosessuale. Troppe coincidenze in troppi settori: La forma dell’acqua è un lavoro poco originale, banale nei contenuti e sconfortante in tutto il suo contorno.

L’involuzione e la deriva che ha preso Guillermo Del Toro son davvero preoccupanti… anche se io spero sempre che si riprenda, perché evidentemente ha talento, pur se lo sta mettendo sempre più a servizio delle cose sbagliate, forse "indirizzato" in tal senso da produzioni o ingaggi. Anche la sua serie televisiva The strain, di cui ho visto i primi episodi, mi ha deluso e l’ho quindi lasciata perdere.

Fosco Del Nero 



Titolo: La forma dell’acqua (The shape of water).
Genere: fantastico, drammatico, sentimentale.
Regista: Guillermo Del Toro.
Attori: Sally Hawkins, Michael Shannon (II), Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer, Lauren Lee Smith, Nick Searcy, Dru Viergever, David Hewlett, Stewart Arnott, Nigel Bennett. 
Anno: 2017.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.



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