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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

martedì 12 novembre 2024

The curse - Nathan Fielder

Mi ero segnato la serie tv The curse dal momento che l’avevo trovata in qualche classifica delle migliori serie degli ultimi anni.

Un’eresia, che fa il paio con svariate classifiche di “migliori film” che ho visto di recente, fatte probabilmente da ragazzini che non hanno memoria storia del cinema o, peggio, da personaggi pagati per pubblicizzare qualcosa piuttosto che qualcos’altro. 

Da quali ambienti provenga The curse è molto chiaro, sia nell’energia, sia nei simboli. Abbastanza presto fanno capolino nei vari episodi (pochi, per fortuna, solamente dieci... l’unico motivo per cui ho completato la visione, in modo da poter scrivere la recensione e risparmiare l’agonia a qualcun altro) i soliti simboli-elementi del mondialismo-globalismo-Illuminati: l’occhio che tutto vede, il capron-befometto, l’ebraismo/sionismo e probabilmente qualcos’altro che mi è sfuggito.

Non mi sono sfuggite però parecchie altre cose che vengono propagandate: il cambiamento climatico (prima era il riscaldamento globale, che però non stava avendo molto successo, e allora hanno ampliato il concetto per poterci mettere dentro qualunque cosa), i bavagli in bocca, la sessualità di bassissimo livello, cultura di livello ugualmente basso, una perenne sudditanza psicologica rispetto alla cultura non occidentale, lo yoga kundalini messo in ridicolo.

E tutto questo da parte di protagonisti tutti, e ripeto tutti, psichicamente disagiati e squilibrati, ognuno a modo suo: The curse è davvero uno spettacolo umano deprimente. È così che quelle creature vedono gli insetti subumani? O è così che li vogliono far diventare?

Il tocco finale è che il centro della serie è la produzione di case ecologiche… per contrastare il cambiamento climatico!
Ci mancavano tematiche gender e poi c’era il pacchetto completo.

Davvero ridicoli… altre serie tv hanno introdotto i soliti argomenti manipolatori, ma almeno accanto a sceneggiature di qualità, o a fotografie di valore.

Qua l’unica cosa di valore è l’interpretazione di Emma Stone, davvero brava e credibile; non a caso, l’avevo già apprezzata in Benvenuti a ZombielandThe help e Sotto il cielo delle Hawaai.

Per il resto, The curse è davvero un prodotto di valore umano e narrativo bassissimo: il finale è ridicolo come l’intera opera.

Per coloro che si stessero chiedendo se quei simboli sono mere coincidenze… non lo sono: chi ha già fatto i compiti a casa sa che compaiono ripetutamente, sempre gli stessi, in certi prodotti. Per esempio, finita questa serie, per rifarmi un po’ la bocca sono passato a riguardami una vecchia serie tv che mi è sempre piaciuta molto, ossia Veronica Mars: qua la qualità di produzione c’è, ma ci sono anche i soliti simboli: l’occhio che tutto vede dentro una piramide appare sin dal primo episodio, in bella vista, mentre per il bafometto c’è da attendere qualche episodio in più.

Fosco Del Nero



Titolo: The curse. 
Genere: serie tv, drammatico.
Ideatore: Nathan Fielder.
Attori:  Nathan Fielder, Emma Stone, Benny Safdie,  GiGi Erneta, Corbin Bernsen, Barkhad Abdi, Constance Shulman, Jerry G. Angelo, Hans Christopher, Diana Navarrete, Nizhonniya Austin.
Anno: 2023.
Voto: 3.
Dove lo trovi: qui.



martedì 5 novembre 2024

Spicchi di cielo tra baffi di fumo - Kozo Kusuba

Non mi ricordo perché, oramai molto tempo fa, mi fossi appuntato il nome della serie animata Spicchi di cielo tra baffi di fumo. Forse perché era ambientata in Italia, forse perché la sigla iniziale è molto bella, o forse perché pareva una storia all’antica, piena di impegno e buoni sentimenti.

Sta di fatto che mi sono visto l’intero cartone… pur mettendoci un poco di tempo, visto che nel frattempo non mi stava entusiasmando.

Ma andiamo con ordine, cominciando con le basi: la serie si compone di trentatré episodi, di circa 23-24 minuti ciascuno e, come detto, comincia con una sigla molto bella, cantata da Cristina D’Avena, ma, curiosamente, affatto nota, forse perché, bellezza della canzone a parte, il cartone non è mai stato famoso qui in Italia… nonostante sia ambientato proprio da noi!

Alcune difficoltà nella distribuzione, compresa una parziale censura, probabilmente non lo hanno aiutato.

Detto questo, passiamo alla trama di Spicchi di cielo tra baffi di fumo: il giovane Romeo, ragazzino dalla grande volontà e dallo spirito nobile, vive con la sua famiglia in un paesino della bassa Svizzera, quando è costretto, a causa di difficoltà economiche, a promettersi al cinico Antonio Luini, con cui firmerà un contratto (un contratto un po’ naif, a dire il vero). Questi porterà lui e altri ragazzi a Milano, dove verranno venduti agli spazzacamini del posto come aiutanti.

Nella città lombarda, il ragazzo consocerà prima la famiglia Rossi, i suoi padroni, e poi tanti altri spazzacamini nelle sue identiche condizioni, con cui formerà il gruppo dei Fratelli del Camino. Tra questi, spicca decisamente Alfredo, che Romeo aveva già incontrato durante il suo viaggio e che diviene capo del gruppo. Il quale dapprima si troverà a rivaleggiare con l’altra banda dei Lupi Guerrieri e poi a sostenere lo stesso Alfredo in una sua battaglia personale che coinvolgerà nientemeno che nobili e Re.
In tutto ciò, Romeo si distinguerà per il coraggio e per la sua dedizione.

Spicchi di cielo tra baffi di fumo è un prodotto per l’infanzia, in ogni senso: la trama è semplice, scialba e poco strutturata, e i personaggi ugualmente sono semplici, molto stereotipati. Su questo versante il prodotto è davvero mediocre, e ancor meno che mediocre.
I disegni e l’animazione sono quelli tipici degli anni "90, quindi anch’essi semplici per l’occhio moderno… ma questo non è il problema principale.

Il problema principale è che l’opera è poco convincente nella sceneggiatura e parecchio melensa nell’essenza.
A conti fatti, la sigla è di gran lunga la parte migliore di Spicchi di cielo tra baffi di fumo… ma sfortunatamente non ha avuto la fama che meritava, probabilmente perché il cartone non si è mai diffuso per via della sua scarsa qualità.

Fosco Del Nero



Titolo: Spicchi di cielo tra baffi di fumo (Romio no aoi sora).
Genere: serie animata.
Regista: Kozo Kusuba.
Anno: 1995.
Voto: 4.5
Dove lo trovi: qui.



martedì 29 ottobre 2024

Il serpente e l’arcobaleno - Wes Craven

Mi sono guardato Il serpente e l’arcobaleno di Wes Craven non tanto per il film in sé (o per il regista in sé, di cui difatti sinora non avevo recensito niente), ma perché mi era stato segnalato come film interessante dal punto di vista esistenziale.

Non è stato proprio così… ma in compenso ho trovato un film drammatico-horror ispirato, ben girato ed efficace.

Andiamo subito alla trama de Il serpente e l’arcobaleno, opera ormai piuttosto anziana, essendo datata 1988: nel 1985 il giovane ricercatore americano Dennis Allan (Bill Pullman; Independence Day, Un amore tutto suo) viene inviato ad Haiti dalla società per cui lavora per indagare l’esistenza di una sorta di droga che potrebbe trovare un’applicazione medica come anestesia (il film si dichiara ispirato a una storia reale), ma di fatto si imbatte, oltre che nella dittatura di Duvalier (che però è morto nel 1971; non so se la discrepanza storica sia voluta o meno), anche nei rituali voodoo che contemplano sia la possessione (di cui è vittima anche la sua collega Marielle Duchamp), che una sorta di zombificazione (di cui è vittima un certo Christophe, oltre a tante altre persone).
Polizia e magia nera si intersecano intimamente, col personaggio di Dargent Peytraud che risulta piuttosto inquietante, molto “in ruolo”.

Quanto al protagonista Dennis, nonostante molte avvisaglie negative, sia nella realtà sia nei suoi sogni/visioni, rimane a lungo sul posato, poiché resta affascinato dalla cultura locale… oltre che dalla bella Marielle.

La tradizione magica locale è interessante e meriterebbe certamente di essere approfondita… ma un film come Il serpente e l’arcobaleno non è certamente la sede opportuna, utile al massimo per dare l’imbeccata a chi fosse interessato.

Messa da parte tale questione, e sottolineato che il film non porta seco alcun insegnamento spirituale, rimane l’opera: Il serpente e l’arcobaleno è un film ben realizzato, il quale riesce nell’intento di mantenere vivo l’interesse dello spettatore dall’inizio alla fine, nonché di suscitare una viva tensione… e con effetti speciali semplicissimi: è più una questione di atmosfera che di tecnologia, come dovrebbe essere sempre di base, effetti speciali in aggiunta o meno.

Non è proprio mio genere preferito, a dirla tutta, ma il film di Wes Craven si rivela valido, non a caso stimato positivamente dagli appassionati.

Fosco Del Nero



Titolo: Il serpente e l’arcobaleno (The serpent and the rainbow).
Genere: horror, drammatico.
Regista: Wes Craven.
Attori:  Bill Pullman, Paul Winfield, Cathy Tyson, Zakes Mokae, Brent Jennings, Badja Djola, Theresa Merritt, Michael Gough, Paul Guilfoyle.
Anno: 1988.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 22 ottobre 2024

Altered carbon - Laeta Kalogridis

Preciso da subito una cosa: non ce l’ho fatta a vedere tutta la serie Altered carbon, per quanto non sia lunga, visto che la seconda stagione presentava un calo di qualità spettacolare, tanto che il voto finale è pesantemente condizionato da tale precipizio.

La prima stagione, composta da dieci episodi, non è un prodotto imperdibile, ma è ben fatta e interessante.
La seconda stagione, composta da otto episodi, è inguardabile… non solo perché cambiano del tutto i protagonisti, ma proprio perché la qualità media, già non elevatissima, precipita in modo imbarazzante.

Passiamo alla trama di Altered carbon, serie televisiva girata tra il 2018 e il 2019 e basata sul romanzo cyberpunk Bad City di Richard K. Morgan: siamo in un lontano futuro, nel 2380 circa, e l’umanità è molto diversa da quella attuale, per vari motivi.

Intanto, sono stati colonizzati tanti pianeti, e la tecnologia è molto superiore a quella attuale.

In secondo luogo, la coscienza-identità individuale può essere salvata in una sorta di “pila” la quale può essere inserita, all’abbisogna, in un nuovo corpo-contenitore-custodia… casomai il precedente sia morto o per qualsiasi altra ragione (divertimento, miglioramento, camuffamento, etc). La tecnologia in questione è tuttavia molto costosa, cosa che, col tempo, divide l’umanità in due categorie ben distinte: i ricchi, i quali divengono virtualmente immortali (detti “Mat”, abbreviazione di “Matusalemme”, il noto patriarca biblico vissuto per centinaia di anni), visto che hanno contenitori predisposti da parte (sia cloni del proprio corpo, sia altri corpi di loro scelta), e i poveri, che muoiono definitivamente col morire del corpo fisico.

Takeshi Kovacs viene “richiamato in vita” in un nuovo corpo, visto che il suo precedente è andato distrutto, a opera di un “mat”, Laurens Bancroft, al fine di indagare sul suo tentato omicidio (l’uomo non crede alla versione/apparenze di suicidio). L’uomo, l’ultimo degli Spedi rimasto in vita, inizialmente è riluttante, ma poi si mette al lavoro, trovandosi accanto la bella Kristin Ortega, agente di polizia (i due formano una coppia esteticamente notevole). Peraltro, l’uomo si trova nel corpo di Elias Ryker, un ex agente di polizia ch’è stato amante di Kristin, condannato e quindi privato del suo corpo.

Da citare anche il personaggio/IA di Edgar Allan Poe, probabilmente molto poco realistico a livello storico, ma interessante come profilo psicologico.

Altered carbon è esteticamente notevole, non solo nei due attori protagonisti, bellissimi entrambi, ma in tutta la cura che è stata messa nel prodotto, a cominciare dalla sigla, breve ma ben fatta.
La serie peraltro inizia con qualche spunto esistenziale, che però non viene confermato e cede ben presto il passo all’azione, all’investigazione, al sesso, a combattimenti e sparatorie, intrighi e via discorrendo.

Il tutto è bilanciato abbastanza bene nella prima stagione, ma del tutto sconclusionato nella seconda, che mi ha spinto ad abbandonare dopo quattro episodi.

Anche la prima, tuttavia, evidenziava alcuni difetti: la solita tendenza verso il basso (sessualità, materialismo, adrenalina, ego), la solita tendenza verso la propaganda/manipolazione mondialista (gender, femminismo per deficienti, robotica/intelligenza artificiale, finta scienza/medicina).

Ormai la cosa è talmente diffusa da essere quasi onnipresente: la si nota forse più quando non c’è di quando c’è… ma di mio la evidenzio sempre, così chi legge sa già in anticipo cosa attendersi e conosce i “mandanti”.
Memorabile, per dirla in modo ironico, la famiglia in cui la moglie viene “reincarnata” in un corpo maschile, con la coppia (ora uomo-uomo) che continua come se fosse niente… sono talmente imbarazzanti che si mettono in ridicolo da soli.

Anche le donne che combattono al pari e meglio degli uomini fanno ridere… ma vabbè, contraddire la realtà è divenuto il loro lavoro principale, per cui pazienza per chi abbocca al loro amo.

Precisato tutto ciò, la prima stagione di Altered carbon è intrigante e interessante, per quanto un po’ “bassa” come energia: si merita un 8 pieno, sia per la storia che per i protagonisti, ma anche per un’atmosfera cyberpunk accattivante, che non si vedeva così ben realizzata da molto tempo.
La seconda precipita a 4… col 6 che è il voto complessivo.

Propongo alcune citazioni interessanti tratte dalla serie… ovviamente dalla prima stagione.
Non mancano spunti esistenziali interessanti, come anche qualche elemento distopico-cospirazionistico (la domanda è sempre la solita: chi propone tali contenuti sono proprio coloro che lavorano per realizzarli nella realtà… con quale scopo lo decida il singolo lettore).

“La prima cosa che imparerai è che niente è come sembra.
Ignora ogni tua supposizione, non credere a nulla: a quello che vedi, a quello che senti, a quello che la gente di dice e a ciò che pensi di ricordare.”

“Lasciati inondare dalle emozioni, assorbile come una spugna, non aspettarti niente.”

“Il tuo corpo non è ciò che sei.”

“Devi imparare a osservare… quindi osserva.”

“Qualsiasi risposta tu stia cercando, sarà esattamente dove non stai guardando.”

“Questo nemico non puoi sconfiggerlo: puoi guidarlo in fondo, dentro di te.
Non è una minaccia: è la domanda irrisolta, il mistero che merita una soluzione, la scatola che merita di essere aperta.”

“Noi siamo pazienti, noi aspettiamo, noi sopportiamo, troviamo il punto debole e poi puntiamo… anche se è solo per distruggere la debolezza in noi stessi.”

“Scoprire la verità è più che una ricerca di dati: è una ricerca dentro di sé.
Bisogna andare avanti ovunque la ricerca ci conduca… niente può restare nascosto per sempre.”

“La morte non è solo la distruzione del corpo. A volte è proprio come se si spegnesse una persona e ne nascesse un’altra. Ogni nascita è violenta e non c’è morte senza dolore.”

“Padroneggiate voi stessi.”

“La custodia è uno strumento: non è lei a controllarmi, io controllo lei.”

“I mostri sono tra noi: possiedono ogni cosa, consumano ogni cosa, controllano ogni cosa.
Faranno di loro degli dei e di noi degli schiavi.”

“È la cosa più difficile cui abituarsi: niente sopravvive.”

Un ultimo appunto: la tecnologia in futuro potrà fare molte cose, ma certamente non potrà innestare una coscienza in un qualsivoglia corpo, visto che coscienza e corpo si corrispondono perfettamente: il secondo non è un veicolo qualunque, ma IL veicolo unico e perfetto per l’anima in questione. Non c’è intercambiabilità.

Fosco Del Nero



Titolo: Altered carbon. 
Genere: serie tv, fantastico, azione.
Ideatore: Laeta Kalogridis
Attori:  Joel Kinnaman, Martha Higareda, Antonio Marziale, Chris Conner, Kristin Lehman, Hiro Kanagawa, Alika Autran, Teach Grant,  Hayley Law, Zahf Paroo, James Purefoy.
Anno: 2018-2019.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



martedì 15 ottobre 2024

The place - Paolo Genovese

The place, film girato da Paolo Genovese nel 2017, è stata una bella sorpresa.

Partiamo dalle basi, una generale e una individuale-personale: la prima è che il film è tratto da una serie tv statunitense: The booth at the end.
La seconda è che mi è stato consigliato da un mio lettore per dei contenuti esistenzialmente interessanti… che ci sono, anche se in maniera un po’ traslucida.

Cominciamo con la trama sommaria del film, che in verità pare più un pezzo teatrale che un’opera cinematografica: in un bar-tavola calda di Roma, chiamato The place (realmente esistente) un uomo di mezz’età (interpretato da Valerio Mastandrea) è sempre seduto al medesimo tavolo, alla fine del locale, in praticamente qualsiasi ora del giorno e della notte (non si fa menzione di eventuali orari di chiusura). Sapendo che è sempre lì, ed evidentemente essendo ormai noto per le sue capacità, c’è sempre qualcuno che va a trovarlo per chiedergli di realizzare un suo desiderio.

Così, arriva la donna in crisi col marito, la ragazza che vuole diventare più bella, il padre che vuole ricongiungersi col figlio grande, il padre che vuole salvare la vita al figlio piccolo malato, l’uomo che desidera una certa modella e così via.

Il “genio”, che non si definisce né benigno né maligno, ma rimane misteriosamente sulle sue, si dichiara disponibile a esaudire ogni desiderio, ma più il desiderio è grande più domanda un prezzo elevato da pagare… che non è necessariamente una cattiva azione, come ho letto in qualche recensione del film, ma è un comportamento contrario ai valori, ai desideri o all’immagine che il singolo questuante ha di sé.

Così, a un bravo ragazzo viene chiesto di violentare una donna, al padre di famiglia viene chiesto di uccidere un bambino a sua scelta… perché sono evidentemente comportamenti contrari al loro essere più intimo.
Parallelamente, alla suora viene chiesto di unirsi con qualcuno e concepire un bambino, mentre al meccanico che non vuole dipendenze o prendersi cura di nessuno viene chiesto di difendere una bambina che potrebbe essere aggredita. Queste due ultime azioni non sono cattive (fare l’amore con qualcuno, difendere qualcuno), ma rappresentano comunque qualcosa di opposto agli istinti caratteriali dell’individuo.

La domanda di fondo del film è chiara: fin dove sei disposto a spingerti per veder realizzato un certo desiderio?
Una seconda domanda si aggiunge dopo: sei sicuro che quel desiderio era proprio quello che volevi e che rappresentava il tuo bene?

A fine film, giunge anche una terza considerazione, la quale forse è l’unico elemento veramente interessante in senso esistenziale del film, giacché quanto veniva prima può facilmente essere ricondotto alla morale: se il livello di base è rappresentato dalla genia umana, ossia anime incarnate alle prese con i desideri egoici della personalità, e un livello di sapienza-coscienza superiore è rappresentato dall’uomo che mette alla prova le varie persone, un livello ancora più elevato è rappresentato dal personaggio che non a caso è chiamato Angela (interpretato da Sabrina Ferilli): così come l’uomo-genio del bar dava agli esseri umani la possibilità di conoscere e di evolvere, la donna-cameriera-angelo dà all’uomo-genio la possibilità di evolvere anch’egli, andando oltre la sua condizione…

… ch’era evidentemente una condizione di mezzo, non troppo gradita, come l’uomo mostra sin da subito con la sua stanchezza e come dice apertamente a fine film.
Con ciò, The place mostra apertamente un’esistenza di tipo gerarchico, come effettivamente è.

Il valore esistenziale del film non sta tanto nelle questioni morali, che rappresentano la parte più “popolare” della questione, ma in tale visione gerarchica del creato, che rappresenta la parte più “sapienziale”.
È un po’ la stessa differenza che passa tra il livello essoterico e quello esoterico di una medesima religione, per chi capisce cosa si intende.

Detto questo, The place di Paolo Genovese è un ottino film, che non a caso è stato largamente premiato: come sempre, la qualità, soprattutto la qualità interiore, porta con sé risultati… e senza effetti speciali, inseguimenti, sparatorie, scene di sesso, adrenalina e dintorni, visto che l’intero film si svolge all’interno del bar che gli dà il titolo.

Fosco Del Nero



Titolo: The place.
Genere: fantastico, drammatico.
Regista: Paolo Genovese.
Attori: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Silvio Muccino, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Sabrina Ferilli, Silvia D'Amico, Rocco Papaleo, Giulia Lazzarini, Vinicio Marchioni.
Anno: 2017.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



martedì 8 ottobre 2024

Agora - Alejandro Amenabar

Agora è il quinto film di Alejandro Amenabar che vedo: dopo The others, Apri gli occhiMare dentro e Tutto su mia madre. Data la qualità media del regista spagnolo, nonché il cast e l’argomento importante e delicato di Agora, ci ho messo molto per accostarmi al film in questione, giacché temevo su vari versanti, tra manipolazione culturale, violenza e dramma.

La storia di Ipazia, almeno per sommi capi, è famosa, ed essendovi di mezzo battaglie di dominio tra pagani, ebrei e cristiani, nonché tematiche maschiliste-femministe, il rischio di un prodotto “poco pulito” era dietro l’angolo, nonostante la buona fama del regista.

Partiamo dalla trama del film e poi lo commentiamo: siamo alla fine del quarto secolo dopo Cristo, ad Alessandria d’Egitto, in un periodo di forti tensioni tra gruppi religiosi. La tradizione pagano-ellenistica è in crisi, mentre sono in forte ascesa i cristiani, con gli ebrei a fare da sfondo e a partecipare, essi stessi, alla contesa.

La lotta “religiosa” si mescola alla tematica sociale del ruolo della donna, ciò che trova in Ipazia un bersaglio perfetto: intelligente, colta, studiosa, insegnante, bella e attraente, restia al matrimonio e alla sottomissione a una figura maschile… tutto ciò che non piace alla cultura maschilista delle emergenti religioni monoteiste di allora.

Il film, della durata di più di due ore, si divide in due parti: la prima mostra lo scontro tra pagani e cristiani che condusse alla confisca del Serapeo (ossia il tempio e la famosa Biblioteca di Alessandria) ai danni dei pagani, per ordine dell’Imperatore Teodosio; la seconda mostra l’emergere del potere del Vescovo Cirillo, di fatto avversario del Prefetto Oreste, ex allievo di Ipazia.

Agora è un film esteticamente bellissimo: come solitamente si usa in questi casi, il passato viene edulcorato di tutte le questioni problematiche e mostrato più splendido di quanto fosse: gli abiti, l’architettura, l’igiene, etc.
Anche l’aspetto dell’insegnamento e della discussione intellettuale, per quanto presentati in modo piuttosto naif, vantano il loro fascino: in effetti, Agora fa venir voglia di vivere quel tempo e quel luogo (disordini e omicidi a parte).

Il problema è che non solo tutto è edulcorato, ma di storico c’è molto poco (a cominciare dal coinvolgimento di Ipazia nella questione del Serapeo, per proseguire sulla sua età al tempo dei fatti): da quel che ho letto online, la lista di inesattezze storiche del film è molto lunga… e qua torniamo all’aspetto potenzialmente manipolatorio. I cristiani sono tutti brutti, sporchi e cattivi; gli ebrei una via di mezzo; i pagani, nonostante qualche punto debole, appaiono come i più intelligenti e meritevoli… anche se poi sono proprio loro ad aver iniziato i disordini e i massacri.

La sensazione generale è quella di un film anticristiano e tendenzialmente femminista… come va di moda nei tempi recenti. 

Togliendo tali questioni di mezzo, Agorà è un film esteticamente bellissimo, con un ottimo cast e un’eccellente Rachel Weisz come protagonista (non una novità: La mummia, La mummia - Il ritornoConstantine, L’albero della vitaIl grande e potente Oz, Amabili resti, Io ballo da sola), godibile per larghi tratti e per molti motivi (fotografia, costumi, etc); parallelamente, Amenabar si conferma regista di ottimo livello… pochi film, ma buoni.

Fosco Del Nero



Titolo: Agora.
Genere: storico, biografico, drammatico.
Regista: Alejandro Amenabar.
Attori: Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom, Michael Lonsdale, Rupert Evans, Richard Durden, Sami Samir, Manuel Cauchi, Homayoun Ershadi, Oshri Cohen, Harry Borg, Charles Thake, Yousef 'Joe' Sweid, Andre Agius, Paul Barnes.
Anno: 2009.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 24 settembre 2024

The visit - M. Night Shyamalan

Mi ero ripromesso diverse volte di non vedere più film di M. Night Shyamalan, la cui carriera, dopo alcuni lavori eccellenti (Il sesto sensoUnbreakable - Il predestinato, SignsThe village), è precipitata in un vortice discendente (Lady in the waterE venne il giornoL’ultimo dominatore dell’ariaOld)... ma stavolta terrò fede al mio intento: il livello di The visit è davvero troppo basso per ignorarlo.

In che senso basso?

Cinematograficamente e soprattutto umanamente, col secondo elemento ch’è il peggiore dei due.

Partiamo dalla trama: Loretta è una giovane donna separata che vive con i suoi due figli, ormai adolescenti. La più grande è Rebecca e il secondo è Tyler
La donna non parla con i suoi genitori da quindici anni, dopo un violento litigio di cui non ha voluto dire niente ai figli, riferendo loro che, se avessero voluto, ne avrebbero parlato loro direttamente i nonni... dal momento che questi avevano chiesto di poter ospitare i nipoti, mai incontrati fino a quel momento.
Loretta allora li manda da loro, senza aver né sentito né visto i genitori, sulla fiducia… e, quanto a lei, se ne va in vacanza con il fidanzato.

Già la premessa di tutto il film è abbastanza risibile e concettualmente rende poco credibile l'intera storia sin dall'inizio: una madre che manda in viaggio, da soli, i propri figli, senza aver né sentito né visto coloro che li devono ospitare, solo a seguito di una richiesta inviata via posta.

Anche il resto del film si regge davvero poco in piedi, in senso meramente logico: i due ragazzini sono infatti abbastanza grandi per comprendere quanto di strano hanno intorno… invece fanno finta di niente e stanno lì per una settimana intera.

Ma questo è il meno: il più è che The visit è, semplicemente, un prodotto malato per gente malata: quelli che lo hanno prodotto e quelli che apprezzano spettacoli di questo tipo. Tecnicamente è un thriller, giacché di orrorifico-soprannaturale non c’è niente, a differenza di molti altri film di M. Night Shyamalan.
Ci sono solo marciume e malattie mentali.

Il film è girato con la tecnica del finto documentario, nel senso che le riprese sarebbero tutte frutto di quanto girato “in tempo reale” da Rebecca, aspirante regista. Viceversa, il fratelo minorè è aspirante rapper (altro elemento un po' risibile, ma tant'è).

Questo chiude la recensione di The visit e, con ottime probabilità, la presenza di M. Night Shyamalan su Cinema e film… a meno che qualcuno di fidato, in futuro, venga da me e mi dica che “questo film è bellissimo, non te lo puoi perdere”… possibilmente adducendo motivazioni valide in aggiunta.

Fosco Del Nero



Titolo: The visit.
Genere: thriller.
Regista: M. Night Shyamalan.
Attori: Olivia DeJonge, Ed Oxenbould, Deanna Dunagan, Peter McRobbie, Kathryn Hahn, Celia Keenan-Bolger, Samuel Stricklen, Patch Darragh, Jorge Cordova, Benjamin Kanes. 
Anno: 2015.
Voto: 3.
Dove lo trovi: qui.



martedì 17 settembre 2024

Belle - Mamoru Hosoda

Avendo appena visto l’ultimo film di Makoto Shinkai, ossia Suzume, mi sono detto che era il momento giusto per vedere anche Belle, l’ultimo film diretto da Mamoru Hosoda… essendo i due registi nipponici i più titolati a raccogliere l’eredità di Hayao Miyazaki nel campo dell’animazione (beh, Studio Ghibli a parte, ovviamente).

Vediamo dunque come è andata con Belle, film girato nel 2021, lungo circa due ore, che segue tutti gli altri film di Hosoda che ho visto e recensito, ossia: La ragazza che saltava nel tempo, Summer warsWolf childrenThe boy and the beast e Mirai… curiosamente, con una cadenza perfetta di un film ogni tre anni, dal 2006 al 2021: il prossimo dunque dovrebbe uscire nel 2024, ossia l’anno in cui scrivo (ora siamo a fine febbraio).

Ma passiamo alla trama sommaria di Belle, per poi procedere a un commento: Suzu è una ragazzina diciassettenne che vive nella prefettura di Kochi insieme al padre. Quanto alla madre, essa è morta in un tremendo incidente cercando di salvare un’altra bambina dall’annegamento; la bambina si è salvata, mentre la donna no, cosa che ha contribuito a far crescere Suzu in modo taciturno, timido e persino timoroso.

Un dì, la ragazza si iscrive a una app già usatissima in tutto il mondo, con ben 5 miliardi di account, chiamata U, in cui chiunque può dar vita a un nuovo personaggio e presentarsi come vuole. Il programma è talmente famoso da creare vere e proprie star mondiali, da far tendenza e generare discussioni anche nella vita reale.

Se nella vita reale Suzu è timida e impacciata, nella vita virtuale è Belle, una bellissima e carismatica cantante, che incanta da subito tutta la platea di U, ottenendo milioni e milioni di follower.

La storia procede mescolando i due filoni, i quali si intersecheranno, tanto per la vita di Suzu, quanto per la vita di altri personaggi.

Belle è una sorta di rilettura moderna della favola de La bella e la bestia… solo che la bestia viene chiamata, nel doppiaggio italiano, “drago” (anche se non assomiglia molto a un drago). La rilettura è doppia, visto che di mezzo non solo c’è l’elemento della modernità e delle app per cellulare, ma anche la cultura giovanile giapponese, il che crea un’opera piuttosto meticcia. Diciamo che la favola originale si può anche ignorare, concentrandosi sul film di Hosoda.

Il film non è del tutto riuscito. Visivamente è bellissimo (e regge il confronto a distanza con l’ultimo film di Shinkai: il primo si fa preferire per i disegni a mano, mentre il secondo è praticamente imbattibile per i giochi di luce), acusticamente è molto valido, ma zoppica su alcuni versanti.

La storia non è raccontata ottimamente: il passato di Suzu non è spiegato bene… e nemmeno il presente, visto che non si capisce come mai avvengano certe cose (il successo planetario del suo personaggio, l’avvicinamento col Drago, il rintracciarlo tramite app/internet… anche il vissuto interiore della protagonista non è ben illustrato).

Personalmente, inoltre, non amo molto le storie in cui si parla di app, programmi virtuali e dintorni… come Mamoru Hosoda aveva già fatto in Summer wars, che non per niente era il suo film meno riuscito, almeno a mio avviso.
Se il trittico dei suoi film migliori è The boy and the beast-Wolf children-La ragazza che saltava nel tempo, il trittico dei peggiori diviene dunque Belle-Summer wars-Mirai. “Peggiori”, per modo di dire: il livello minore è decente, mentre il maggiore è dato da quel capolavoro che è The boy and the beast: mediamente parlando, è certamente un buon livello.

Non sarebbe una brutta idea, comunque, se gli animatori giapponesi si affiancassero a qualcuno più esperto di loro in narrativa (scrittori veri e propri, per esempio)… o se si appoggiassero a qualche romanzo (come ha fatto anche Miyazaki in alcune sue opere, come Il castello errante di Howl): potrebbero così curare la parte tecnico-realizzativa fondandosi su solide basi a livello di storia e personaggi.

Belle è comunque un film valido, con un punto particolarmente emozionante, quello in cui si descrive il momento della guarigione interiore della protagonista: quella scena, in effetti, è molto toccante, come è molto bello il personaggio di Belle, per quanto usato solo come maschera e non approfondito in senso psicologico.

Al prossimo film di Mamoru Hosoda.

Fosco Del Nero



Titolo: Belle (Ryu to sobakasu no hime).
Genere: anime, fantasy.
Regista: Mamoru Hosoda.
Anno: 2021.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui



martedì 10 settembre 2024

Il messia del diavolo - Willard Huyck, Gloria Katz

Mi ero segnato Il messia del diavolo perché avevo letto che il film aveva atmosfere lovecraftiane… e che era considerato una sorta di piccolo cult movie del genere horror.

Datato 1974, i due registi Willard Huyck e Gloria Katz non mi dicevano niente… anche se il primo mi ha riportato a uno dei film più curiosi della mia infanzia, ossia Howard e il destino del mondo, mentre la seconda leggo che ha partecipato alla stesura di alcune sceneggiature famose, come  American Graffiti e Indiana Jones e il tempio maledetto.

Passiamo a descrivere, sommariamente, la trama de Il messia del diavolo: il film inizia con la protagonista, Arietty, rinchiusa in un ospedale psichiatrico dopo gli eventi che le sono occorsi, e che rivisita a beneficio dello spettatore.

La giovane e avvenente donna si era recata presso il paese di Point Dume alla ricerca del padre, un famoso pittore di cui non aveva più notizie. Giunta sul posto, s’imbatte in situazioni e personaggi strani, tra benzinai e collezionisti d’arte. 
Conosce Thom e le sue due compagne-amanti (Toni e Laura), e s’avvicina a lui, anch’egli alla ricerca del di lei padre, volendo acquistare dei dipinti.

I due, anzi, i quattro, troveranno ben altro, sotto forma di mangiatori di carne umana simili a zombie, un poco più ben tenuti ed eleganti della media, adoratori di strane divinità.

Effettivamente i temi de Il messia del diavolo sono abbastanza lovecraftiani, e l’incipit inserirebbe immediatamente la storia nel novero di quelle del genere, sia per stile che per storia (le ultime lettere di uomo che diviene sempre più bizzarro per poi smettere di dare notizie).

Tuttavia, il film si perde dopo l’ottimo abbrivio iniziale: da un lato è molto lento e concettoso, dall’altro lato col suo stile dandy si abbina male al tipo di argomento trattato.

Il film è famoso per l’aspetto stilistico, ed effettivamente c’è del buono nella pellicola, ma è stato altrettanto criticato per la lentezza. Ambo le cose sono veritiere.

Di mio, ho apprezzato l’avvio, ma poco altro, con la valutazione finale che è il diretto risultato del tutto.

Rimanendo su Lovecraft, a oggi il film più lovecraftiano che conosco è tuttora Dagon: B movie, se vogliamo, ma eccellente e fascinoso nella sua nicchia di seconda fascia.
Curioso che la letteratura dello scrittore di Providence finora sia stata letteralmente ignorata dalle grandi produzioni: forse troppo difficile da mettere su schermo, o forse troppo scomoda per certe sue vicinanze con gruppi che effettivamente sono dediti a sacrifici, consumo di carne e sangue umano, rituali a beneficio di deità infere.

Fosco Del Nero



Titolo: (Messiah of evil).
Genere: horror.
Regista: Willard Huyck, Gloria Katz.
Attori: Marianna Hill, Royal Dano, Michael Greer, Joy Bang, Anitra Ford, Charles Dierko, Elisha Cook Jr.
Anno: 1974.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui



martedì 3 settembre 2024

Suzume - Makoto Shinkai

Suzume è l’ultimo film girato finora da Makoto Shinkai e, nel blog, segue a ruota i vari 5 cm per secondIl giardino delle paroleYour nameViaggio verso AgarthaOltre le nuvole, il luogo promessoci e Weathering with you - La ragazza del tempo.

Voti discreti, pur senza mai raggiungere l’eccellenza… nonostante l’eccellenza visiva, quella sì, sia stata abbondantemente raggiunta, e forse persino superata. 

Partiamo dalla trama di Suzume e poi vediamo il resto: Suzume è una ragazzina che vive in un paesino nella Prefettura di Miyazaki, nell’isola più meridionale del Giappone, Kyushu (tra le quattro grosse, lasciando perdere Okinawa e dintorni).

Un dì, incontra un ragazzo, Sota, che si rivela essere un “chiudiporta”, ossia l’erede di una famiglia che per missione va in giro per il Giappone a chiudere il portali tra la realtà umana e l’Altrove. Quando i due reami entrano in conflitto, dall’Altrove giunge presso gli uomini, non visto da nessuno tranne che dagli “addetti ai lavori”, una sorta di verme gigantesco il quale, quando si alza e ricade al suolo, causa terremoti più o meno importanti (ecco perché il Giappone ha tanti terremoti!).

Il giovane ragazzo, tuttavia, viene trasformato in una seggiola (sì, in una seggiola) da una sorta di gatto parlante, che letteralmente trascina ragazza e ragazzo-seggiola in giro per il Giappone, sino al nord.
In mezzo a tutto ciò: natura, città, azione, sentimenti, fantasy e altro ancora.

Nella recensione di Weathering with you - La ragazza del tempo, avevo scritto che Shinkai, forte nell’aspetto tecnico-visivo ma assai debole in quello della sceneggiatura e dei contenuti, avrebbe fatto meglio ad andare a lezione da Miyazaki (non la Prefettura, ma il regista) e dallo Studhio Ghibli in generale… e forse è quello che ha fatto. 

Suzume è certamente il più ghibliano tra i suoi film, nel proporre un mix tra natura, tecnologia, atmosfera fantasy, due protagonisti di genere contrapposto e una missione di fondo. Le citazioni della Prefettura di Miyazaki e dell’Italia (da cui lo Studio Ghibli prende il nome), per non parlare dell’avvio del film che ricorda molto La città incantata, non sembrano in tal senso casuali, ma veri e propri omaggi.

All’elemento fantastico si unisce peraltro un elemento reale: il Giappone è spesso scosso da terremoti più o meno gravi, e quello del Tohoku del 2011 ha causato molti danni, molte vittime ed è rimasto impresso nella memoria collettiva. Suzume vi si riferisce in modo quasi diretto, perdendo con ciò parte della sua atmosfera fantastica.

La quale peraltro non è certamente solida come quella dei film dello studio d’animazione che abbiamo citato. Nonostante un ottimo avvio, Suzume si perde un po’ per strada… e la durata di due ore non aiuta, nel senso che il film avrebbe potuto e dovuto durare molto meno, non essendo altro, in fin dei conti, che una sorta di rincorsa al gatto e al prossimo portale. 

Inoltre, Shinkai proprio non sa gestire l’aspetto umano, risultando sempre tendente al melenso e al melodrammatico: negli eventi, nei dialoghi e nella colonna sonora. Con Suzume ha allentato un poco la presa, comunque, forse essendo stato messo sull’avviso in tal senso.

La mia sensazione è sempre la stessa: il talento visivo-tecnico di Shinkai è quasi sprecato, essendo messo a frutto di opere deboli e poco incisive, adatte forse al largo pubblico emotivo, forse quello più occidentale e occidentalizzato, ma decisamente meno al tradizionale pubblico giapponese e appassionato dei film Ghibli.

Fosco Del Nero



Titolo: Suzume (Suzume no tojimari).
Genere: anime, animazione, fantasy, sentimentale. 
Regista: Makoto Shinkai
Anno: 2023.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui



martedì 20 agosto 2024

Una questione d'onore - Luigi Zampa

Mi pare d’essere arrivato a Una questione d'onore, controverso film del 1966, attraverso la filmografia del regista Luigi Zampa, recensito per via di alcuni suoi classici: Il vigileLadro lui, ladra lei e Anni ruggenti.

Se i film precedenti si presentavano tutti come commedie vivaci e divertenti, Una questione d'onore ha una matrice diversa, che a suo tempo ha fatto scalpore e che ha offeso molte persone, specialmente coloro che abitavano nella terra in cui era ambientato, ossia la Sardegna… tanto che fu sequestrato dal Tribunale di Cagliari. 

Certamente non si trattava della Sardegna di oggi, fatta di villaggi turistici, spiagge e città ormai moderne, ma nemmeno della Sardegna di allora, visto che è stata fatta la scelta di mischiare l’ambientazione sarda con tradizioni e usanze che in Sardegna non ci sono mai state… tanto che viene fuori un curioso misto tra Sardegna e Sicilia, in cui di realistico in verità non c’è praticamente niente, compresi strani rituali femminili con donne a seno nudo.

Fatta tale introduzione, veniamo alla trama del film, che presenta come suo attore principale Ugo Tognazzi (un attore di grido per l’epoca… ma che come sardo è davvero poco realistico a livello vocale): Efisio Mulas è un brav’uomo che vive di lavoretti vari e che non può accostarsi a nessuna donna poiché è stato accusato di aver deflorato Domenicangela Piras e costretto dai suoi quattro nerboruti fratelli ad aspettare ch’essa esca dal carcere in cui era finita proprio per una violenza ai danni di Efisio. 

La storia dei due s’intreccia con la faida familiare tra le due famiglie Sanna e Porcu, le quali si uccidono da generazioni e che vantano tanto omicidi quanto latitanti nel Supramonte, dove sono costretti a nascondersi coloro che vengono condannati per qualche reato.

Abbiamo quindi faide, delitti d’onore, cornuti e tradimenti (veri o presunti), latitanza… e i carabinieri (questi non sardi) a gestire (malamente) il tutto.
In effetti, il film non è molto elogiativo di nessuna delle categorie coinvolte: la popolazione sarda, le usanze siciliane, i carabinieri piemontesi o emiliani.

Messe da parte tali criticità culturali, il film non è malaccio: si fa seguire ed è sufficientemente interessante, per quanto sia davvero molto forzato in vari punti, compreso il finale privo di senso… almeno per chi non vive in una cultura di quel tipo (ma probabilmente lo sarebbe anche per coloro che vi fossero nati). 

Ma la cosa più bizzarra del film, torno a dire, è che è stato messo Ugo Tognazzi a fare la parte di un sardo, senza che sia stato doppiato: l’accento non è neanche lontanamente vicino a quello che sarebbe servito… ma d’altronde, hanno inventato le usanze, per cui nulla di strano che si siano inventati anche l’accento.

Una questione d'onore, alla fine della fiera, è interessante come spaccato storico, più registico che popolare, e non disdegna qualche momento umoristico.

Fosco Del Nero



Titolo: Una questione d'onore.
Genere: drammatico.
Regista: Luigi Zampa.
Attori: Ugo Tognazzi, Franco Fabrizi, Nicoletta Machiavelli, Leopoldo Trieste, Bernard Blier, Sandro Merli, Tecla Scarano, Pasquale Cennamo, Lino Coletta, Lucien Raimbourg, Franco Bucceri, Franco Gulà, Armando Malpede, Giuseppe Grasso, Ermelinda De Felice,
Anno: 1966.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 14 agosto 2024

Tremila anni di attesa - George Miller II

Nel presentare il film Tremila anni di attesa, partiamo da due dati statistici.

Il primo: Tremila anni di attesa è il terzo film che recensisco nel blog del regista George Miller II, dopo Le streghe di Eastwick ed Happy Feet… anche se andrebbe detto che Miller ha costruito la sua lunga carriere nel cinema sulla saga di Mad Max (che però non ho mai visto).

Il secondo: Tilda Swinton, l’attrice protagonista, pur non essendo un’attrice di prima fascia, ha probabilmente (lei o il suo agente) una particolare attenzione per i film in cui lavora, giacché ha partecipato, per quanto solitamente come co-protagonista e non come personaggio principale, a film come The beach, OrlandoIl leone, la strega e l'armadioIl curioso caso di Benjamin ButtonDoctor Strange, ConstantineSolo gli amanti sopravvivono, The zero theoremSnowpiercer… tutti film particolari e validi, ognuno a modo suo.

Passiamo ora alla trama sommaria di Tremila anni di attesa, film di genere fantasy con orientamento sentimentale: Alithea Binnie è una studiosa di letteratura antica… la quale ogni tanto vive allucinazioni relative ai protagonisti della letteratura in questione.
Durante un viaggio a Istanbul, nel Gran Bazar acquista una boccetta che si rivela essere l’ultima dimora di un antico genio, genericamente chiamato Djinn (parola araba che indica spiriti e geni di sorta), il quale le offre i canonici tre desideri e, su richiesta della donna, le racconta come è finito per tremila anni dentro quella boccetta, in paziente attesa che qualcuno lo ritrovasse.

Nel (lunghissimo) racconto finiscono sultani, figli di sultani, amanti di sultani, nonché amanti del genio, intessendo una sorta di arazzo multiforme e multicolore, assai godibile nei suoi vari aneddoti.

Anche se, purtroppo, va detto che nel mezzo ci finisce anche un po’ di propaganda mondialista, tra bavagli-mascherine, unioni inter-razziali, androginia e qualche altro pezzo forte della suddetta manipolazione collettiva. Per ora questo passa il convento. 

Altro elemento potenzialmente negativo: chi ama le storie lineari, senza deviazioni di sorta dal plot di fondo, faticherà a seguire tutto quanto, dal momento che i cambi di scena e di personaggi sono tanti e notevoli... e che di fatto quasi non c'è una storia principale.

Per quanto mi riguarda, Tremila anni di attesa, nella sua parte eminentemente cinematografica, si dimostra davvero ben fatto e interessante… anche se un po’ banale e facilone nel finale, largamente prevedibile. Del film vanno lasciati da parte i contorni per godersi il viaggio e i suoi colori.

Fosco Del Nero




Titolo: Tremila anni di attesa (Three thousand years of longing).
Genere: fantasy, sentimentale.
Regista: George Miller II.
Attori: Tilda Swinton, Idris Elba, David Collins, Alyla Browne, Angie Tricker, Kaan Guldur, Hayley Gia Hughes, Jason Jago, Aiden Mckenzie, James Dobbins Jones.
Anno: 2022.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui



martedì 6 agosto 2024

Romuald & Juliette - Coline Serreau

Mi sono visto Romuald & Juliette andando a ritroso nella filmografia di Coline Serreau, regista di cui avevo già visto e apprezzato Il pianeta verdeLa crisi! e Chaos (in questo ordine di visione e di gradimento).

La presenza nel cast di Daniel Auteuil, a sua volto apprezzato in alcuni film (per esempio Le placard - L’apparenza ingannaUna top model nel mio lettoN - Io e Napoleone) ha contribuito alla mia scelta.

La quale, tuttavia, devo dirlo con un certo rammarico, si è rivelata non ottimale: Romuald & Juliette è un film ben lontano dall’ispirazione delle opere migliori della Serreau, e che anzi è molto “facile” da un certo punto di vista, per non dire proprio assurdo (molto più assurdo de Il pianeta verde, che è un film di genere fantastico ma che propone molta verità e molto buon senso).

Passiamo alla trama di Romuald & Juliette: siamo a Parigi e seguiamo in parallelo le storie di un personaggio importante, Romuald Blindet, un affascinante giovane uomo a capo di una grossa azienda che produce yogurt, e di un personaggio assai meno importante, Juliette, un donnone di colore che fa le pulizie nell’azienda in questione e che cresce cinque figli avuti da cinque mariti diversi. 

L’azienda si rivela essere un covo di intrighi di vario tipo e la donna si ritrova inavvertitamente a venire a conoscenza di alcuni segreti, che rivelerà all’uomo aiutandolo nelle sue difficoltà; tra i due nascerà quindi una sorta di amicizia che travalicherà sia i confini dei ruoli sociali (padrone-servo) sia i confini razziali di allora (bianco-nera).

Romuald & Juliette è mal costruito: le questioni aziendali sanno di artefatto, il tono vorrebbe forse essere da commedia ma il film non risulta né divertente né interessante, il rapporto tra i due protagonisti è tra i meno probabili e  credibili che abbia mai visto in un film… e ormai di film ne ho visti tanti.

Forse la regista voleva risultare educativa (giacché solitamente è questo il suo intento) sia in senso razziale che in senso sociale, ma l’opera non raggiunge il suo obiettivo semplicemente perché è grossolana: non fa ridere, non fa riflettere e sembra proprio mal assemblata. Il suo essere “facilona”, nello svolgersi degli eventi, peggiora ulteriormente le cose, cosa che rende Romuald & Juliette per distanza il peggior film di Coline Serreau che ho visto finora.

Fosco Del Nero



Titolo: Romuald & Juliette (Romuald et Juliette).
Genere: commedia, sentimentale.
Regista: Coline Serreau.
Attori: Daniel Auteuil, Firmine Richard, Maxime Leroux, Isabelle Carré, Pierre Vernier, Catherine Salviat, Gilles Cohen, Jacques Poitrenaud, Gilles Privat, Muriel Combeau, Nicolas Serreau.
Anno: 1989.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 30 luglio 2024

Anni ruggenti - Luigi Zampa

Finora su Cinema e film c’eran stati due soli film di Luigi Zampa, due classici: Il vigile  e Ladro lui, ladra lei.
Quest’oggi li raggiunge un altro classico: Anni ruggenti.

Il film, ispirato al libro L'ispettore generale di Nikolaj Gogol, è stato girato nel 1962 ed è ambientato ancora prima, nel 1937, in pieno periodo fascista.
Il protagonista è un eccellente Nino Manfredi.

Passiamo alla trama del film: Omero Battifiori è un assicuratore romano affiliato al fascismo. Un dì viene mandato, per lavoro, nel comune meridionale di Gioiavallata, dove per un equivoco viene preso per un gerarca fascista inviato a ispezionare la zona e vigilare sul comportamento dei vari rappresentanti del potere, a cominciare dal podestà Salvatore Acquamano, con la cui figlia Omero avvia una reciproca simpatia.

Ritenendo, le persone del posto, che si tratta di un ispettore giunto dalla sede centrale romana, tutti lo trattano in un certo modo, cosa che genera numerosi equivoci.
Parallelamente, si intravedono le malefatte e le ruberie dei vertici locali, ai danni inevitabilmente della gente comune, che spesso vive in miseria.

Il film Anni ruggenti merita due commenti, uno cinematografico e l’altro socio-politico.

Il commento cinematografico è semplice: il film è davvero un ottimo film, ben sceneggiato e ben eseguito. La recitazione è all’altezza, i dialoghi sono efficaci e spesso brillanti, la fotografia regala momenti belli e suggestivi.

Il commento socio-politico è altrettanto semplice: quando una realtà politica è terminata, o quando una guerra è terminata, la moda di sparare sulla Croce Rossa degli sconfitti c’è sempre stata… con le difficoltà del caso nel riconoscere verità e menzogna.
D’altronde, i tempi contemporanei ci hanno dimostrato con evidenza irrefutabile che molti hanno difficoltà a riconoscere verità/realtà e menzogna/finzione persino dal vivo, per le cose che stanno succedendo in tempo reale (elezioni, pandemie, guerre, etc)… figuriamoci dunque quando le cose sono manipolabili decenni o centinaia di anni dopo. 

Lasciando da parte tali considerazioni generali, Anni ruggenti si dimostra film valido e godibile sotto molti aspetti, e Luigi Zampa si conferma regista di livello… tanto che, in omaggio al motto “non c’è due senza tre”, certamente mi cercherò qualcos’altro di suo.

Fosco Del Nero



Titolo: Anni ruggenti.
Genere: commedia, storico.
Regista: Luigi Zampa.
Attori: Nino Manfredi, Linda Sini, Gino Cervi, Michèle Mercier, Gastone Moschin, Angela Luce, Carla Calò, Salvo Randone, Dolores Palumbo, Mario Pisu, Rosalia Maggio.
Anno: 1962.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.



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