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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 29 giugno 2016

Cuore sacro - Fernan Ozpetek

Quest’oggi recensisco un film che mi è stato consigliato da un lettore come film particolarmente ispirante: Cuore sacro di Fernan Ozpetek, opera che conoscevo di nome ma che non avevo mai approcciato, anche perché istintivamente il regista turco non mi ha mai ispirato… difatti non avevo mai visto niente di suo.

Passo senza indugi a sintetizzare la trama di Cuore sacro: Irene Ravelli (un’ottima Barbora Bobulova) è una giovane manager di successo la quale, appoggiata dalla zia Eleonora (Lisa Gastoni), sua socia in affari, ottiene grandi risultati, nonché riconoscimenti per la sua abilità.
Tale abilità di famiglia, tuttavia, si muove in modo non sempre cristallino, tanto da avere intorno alcolismo, problemi psicologici, comportamenti non sempre etici, suicidi, etc.

Ottenuto un certo risultato imprenditoriale, il prossimo progetto è quello della riconversione del grande palazzo di famiglia, dove è morta la madre di Irene, in tanti microappartamenti da vendere. Durante un sopralluogo, però, avverrà un incontro che cambierà la vita di Irene: quello con la piccola Benny (Camille Dugay Comencini), una bambina decisamente matura e scaltra per la sua età, nonché decisamente tendente al ladrocinio.

Ladra, ma di buon cuore, infatti Irene scopre ben presto che la piccola collabora con un sacerdote, tale Padre Carras (Andrea Di Stefano), con la sua opera di beneficenza, distribuendo cibo alle famiglie bisognose del quartiere.
Irene verrà suo malgrado coinvolta nella cosa, e da ciò seguirà un totale cambiamento della sua esistenza.

Il tema centrale di Cuore sacro è chiaro: il passaggio dalla ricerca del successo e dei beni mondani a una vita meno superficiale e più elevata.
È un passaggio che Fernan Ozpetek tratteggia però in modo un po’ equivoco.

Tra i pro del film c’è certamente una certa cura estetica, sia nella fotografia che nella colonna sonora. Inoltre, gli attori sono indiscutibilmente di buon livello, con visi e voci molto ben impostati… alcuni di loro probabilmente più attori da teatro che da cinema.
In tutto ciò, l’elemento principale è comunque il percorso di crescita interiore della protagonista, che metto senza dubbio tra i pro, nonostante alcune criticità del film.

Tra i contro, inserisco un manierismo fin troppo eccessivo, col film che a volte sconfina nel pretenzioso, tra inquadrature e una colonna sonora molto invadente.
Inoltre, molti dialoghi sono forzati e poco credibili. E molte scene sono furbe, per così dire, mentre molte altre sfiorano il moralismo più facile da luogo comune (siamo certamente più su religione/etica che su spiritualità/consapevolezza).
Ciò senza contare la scena che scimmiotta il famoso quadro con la Madonna e Gesù morente: certamente voleva essere una citazione... e probabilmente fuori una citazione fuori luogo.

Molto facile anche la morale di fondo di tipo francescano; troppo facile, anche perché, a dirla tutta, il percorso evolutivo non passa dalla povertà e dall’allontanamento da ogni bene fisico, ma semplicemente dalla semplicità e dalla ricerca di illuminazione interiore… cose di cui invece il film non parla, rimanendo su un piano più apparente/esteriore, diciamo così.

Andiamo avanti con i contro: il casting è piuttosto discutibile, tra il giovane prete belloccio e il povero ugualmente belloccio… persino la bambina è belloccia.

Insomma, il film oscilla tra l’essere per certi versi ispirante e l’essere troppo patinato e di facciata… 
… ma comunque qualche messaggio di valore lo dà: il passaggio dal consumismo-successo mondano alla ricerca interiore, per esempio, anche se si insiste molto sul lato materiale e sul volontariato, che in realtà non hanno niente a che fare col percorso interiore (che è interno e basta, e questo molti non lo hanno ancora capito).
Ancora, bella la scena della protagonista che si spoglia del suo ego (letteralmente), così come il dialogo sulla luce interiore, o quello sul non-possesso, che ho aggiungo qua di seguito:

"- I tuoi saranno in pensiero a quest’ora.
- No, ci sono abituati. E poi i miei non sono miei, e io non sono loro. Non sono di nessuno.
- Perché dici così?
- C’è scritto lì: “Noi non siamo di nessuno e siamo di tutti”.
- Ti sbagli. C’è scritto “Chi non ha rispetto per gli altri non ha rispetto nemmeno per se stesso”.
- Però lì c’è scritto “Se fai quello che ti fa felice, fai felici anche gli altri”.
- Non dire di essere felice se i tuoi occhi sono tristi.
- Io miei occhi sono tristi solo perché vedono la tristezza che c’è nei tuoi."

Bella anche la frase/immagine seguente: 

"Le religioni sono come dei vascelli che portano alla verità, a Dio.
Spesso però gli esseri umani si innamorano del vascello e dimenticano la meta."

A proposito, i dialoghi tra Irene e Benny sembravano la cosa più vivace e promettente del film… e purtroppo sono stati tolti di mezzo quasi subito.

Il finale con richiamo all’incarnazione lascia un po’ il tempo che trova: per un verso è apprezzabile come ulteriore spunto esistenziale, ma dal punto di vista della trama è totalmente fuori contesto, e anch’esso sa di astuzia.

A proposito di astuzie e riferimenti vari, curioso l'evidente riferimento a L’esorcista: nel noto film horror c’era Padre Karras, mentre qua abbiamo Padre Carras. La pronuncia è la stessa e in ambo i casi abbiamo una figura clericale un po’ ambigua e poco ortodossa.

Nel complesso, Cuore sacro è un film mezzano, per così dire: non è certo irrinunciabile e non porta seco un’energia elevata (anzi, tutt’altro), ma comunque può essere utile per determinate persone: andate a vostra ispirazione… come sempre.

Fosco Del Nero



Titolo: Cuore sacro.
Genere: drammatico.
Regista: Fernan Ozpetek.
Attori: Barbora Bobulova, Andrea Di Stefano, Lisa Gastoni, Caterina Vertova, Massimo Poggio, Camille Dugay Comencini, Luigi Angelillo, Erika Blanc.
Anno: 2005.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 22 giugno 2016

Hellboy 2 - The golden army - Guillermo Del Toro

Mi ero guardato il primo Hellboy giacché il film godeva di una buona fama, e giacché volevo vedermi qualcosa di leggere e vivace. 
Dal momento che l’ho gradito sufficientemente, ho proceduto al suo seguito, chiamato Hellboy 2 - The golden army.

In generale inoltre devo dire di apprezzare Guillermo Del Toro, che mi è piaciuto moltissimo ne Il labirinto del fauno, e discretamente anche ne La spina del diavolo, altri suoi due film.

Tuttavia, nonostante la realizzazione tecnica di questo Hellboy 2 sia ottima, cosa valsagli anche dei premi per i trucchi, devo dire che come film fantastico-fantasy non incide, e anzi si dimostra un po’ banale e scontato: il rapporto di possibile crisi tra i due protagonisti Hellboy-Red ed Elizabeth-Liz; i sentimenti di Abraham-Abe per la principessa Nuala, di modo che anche lui ha una sua storia sentimentale, per quanto goffa; il supercattivo Nuada e il solito conflitto tra il mondo degli uomini e il mondo non umano (elfi, goblin, etc), cui peraltro tecnicamente appartiene lo stesso Hellboy.
Anche l’introduzione di un nuovo buono, il “fumoso” Johann Krauss, non riesce a dare spessore al film, che alla fine è una somma di singole scene e di singoli eventi spettacolari.

Per carità, alcuni interessanti e anche visivamente molto belli, come l’elementale della natura che diventa elemento naturale nel bel mezzo della città americana, o l’incontro con la Morte, o i combattimenti con il tecnicissimo e agilissimo Nuada…

… ma, come dico spesso, non sempre la somma di singole cose, pur se ben fatte, compone un insieme di valore.

E Hellboy 2 - The golden army soffre proprio di tale male. Se lo si vuole considerare un male: in realtà gli appassionati del fumetto originale o del primo film è possibilissimo che siano rimasti soddisfatti, e magari anche più che soddisfatti, da questo seguito, visto che esso propone nuova azione, nuovi colori, nuove gag di Hellboy e dei suoi compagni, ma per quanto mi riguarda è un passo indietro rispetto al primo film, che già non era un film irrinunciabile, diciamo così, ma che almeno aveva una sua struttura unitaria e discretamente convincente.
Con il secondo episodio siamo alla sufficienza stiracchiata e, forse, persino generosa.

Solita menzione d’onore per gli effetti speciali dei film di Del Toro, riconoscibili a vista (il volto della Morte per esempio ricorda grandemente quello del fauno de Il labirinto del fauno), e solite espressioni degli attori protagonisti, il rude Ron Perlman (che ricordo sempre volentieri sia per Il nome della rosa che per La città dei bambini perduti) e l’imbronciata Selma Blair (lei invece già vista in Cruel intentions e Cose da maschi)… ma per un film importante serve qualcosa di più a mio avviso.

Fosco Del Nero



Titolo: Hellboy 2 - The golden army (Hellboy 2 - The golden army).
Genere: fantastico, commedia, azione.
Regista: Ken Hughes.
Attori: Ron Perlman, Selma Blair, Jeffrey Tambor, Doug Jones, John Hurt, James Dodd, Anna Walton, Luke Goss, John Alexander, Seth MacFarlane, Brian Steele.
Anno: 2008.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 15 giugno 2016

Memento - Christopher Nolan

Avevo visto molti anni fa Memento, e il film mi era piaciuto molto. Me lo sono rivisto ora sia per il piacere di una nuova visione, sia per guardarlo con occhi nuovi, per scorgere in esso un eventuale significato esistenziale che mi era stato suggerito in un commento sul blog.

Ma partiamo dalle basi: il film, diretto dall’ambizioso e talentuoso Christopher Nolan nel 2000, è basato sul romanzo del fratello Jonathan Nolan, intitolato Memento mori.
La parola “memento” è un verbo latino imperativo che significa “ricordati”.

E qua andiamo subito alla trama del film, giacché il primo tatuaggio che il protagonista della storia, Leonard Shelby (Guy Pearce; Racconti incantatiNon avere paura del buio), vede del suo corpo è una scritta che dice “Ricordati di Sammy Jankis”. 
Perché Leonard tatua messaggi per se stesso sul suo corpo?
Perché ha avuto la sfortuna di perdere la memoria a breve termine dopo l’aggressione subita da lui e da sua moglie: come recita un altro tatuaggio, un tale John G. ha violentato e ucciso sua moglie, e il suo scopo di vita è diventato proprio quello di trovare e uccidere colui che gli ha rovinato la vita. Obiettivo certo non semplice, data la situazione in cui si trova Leonard, che dopo qualche minuto si è dimenticato quello che è successo poco prima e ritorna al punto 0, con l’ultimo ricordo che è quello della moglie morente.

Gli aiuti a tale scopo sono i tatuaggi che si è fatto sul corpo, che gli dicono le cose principali, i punti fermi della sua investigazione, e le polaroid che scatta ogni tanto a persone e luoghi, che gli danno dei riferimenti più vicini al suo contesto attuale.
E anche un fascicolo sull’aggressore, purtroppo epurato di qualche pagina.
Un altro aiuto – presunto, data la sua situazione incerta – è dato da tale Teddy (Joe Pantoliano; che aveva una piccola parte anche in Matrix), il quale si definisce suo amico, e che ogni tanto farà capolino per dargli una mano nelle varie situazioni. Altro personaggio – e altro aiuto presunto – è quello di Natalie (Carrie-Anne Moss, che in Matrix era Trinity), col povero Leonard chiamato a sciogliere enigmi su enigmi pur nelle misere condizioni in cui si trova.

La caratteristica di base del film è quella di essere raccontato al contrario: si parte dall’ultima scena e si va man mano indietro, con i vari “episodi” che gettano una luce non solo su quanto è successo nelle scene raccontate, ma anche su quanto è successo nel passato di Leonard.

La trama in se stessa sarebbe piuttosto semplice e priva di interesse se raccontata in modo lineare, ma l’essenza del film è per l’appunto il racconto rovesciato, e in questo senso il film è un piccolo gioiello, e anzi neanche tanto piccolo.

Peraltro, la storia, pur se “rimessa in riga”, si presta a differenti interpretazioni, tanto che nei forum gli spettatori hanno sostenuto chi l’una chi l’altra teoria.
Anche se, alla fine, rimane una sola spiegazione possibile, a ben guardare i vari dettagli, ma non la riferirò qui per riguardo a coloro che volessero vedere il film.

Breve commento sul film: i film capaci di coinvolgere totalmente lo spettatore, e di farlo immedesimare nel protagonista non sono molti, e Memento è uno di questi. La condizione difficile di Leonard, poi, aiuta grandemente la simpatia nei suoi confronti.
Regia e montaggio sono ottimi, e così la sceneggiatura di partenza, e non a caso il film ha ottenuto due nomination agli Oscar come migliore sceneggiatura originale e come miglior montaggio. 
D’altronde, la carriera di Christopher Nolan ha mostrato che non si era trattato di un caso. E questo lo dico senza che Nolan sia tra i miei registi preferiti, giacché spesso mi ha dato la sensazione di essere più un eccellente professionista che non un artista, se capite ciò di cui intendo.

Veniamo ora agli eventuali significati esistenziali del film, che mi era stato suggerito come metafora del processo di reincarnazione: così come le anime si incarnano in un nuovo corpo senza ricordarsi del loro passato, così Leonard ogni tanto subisce un reset che lo fa cominciare da zero.

Punto interessante, che peraltro potrebbe anche trovare qualche conferma in qualche frase del film… che, lo rammento, si intitola “Ricordati”, e il ricordo e la presenza sono la base di qualunque percorso evolutivo-spirituale.

Ecco alcune frasi secche del film:
“Chi sei tu?”
“Non ti ricordi neanche chi sei.”
“Il mondo continua ad esserci anche se chiudi gli occhi.”
“Tu vivi in un sogno.”
“Tu non vuoi sapere la verità, tu crei la tua verità.”
“Devo credere in un mondo fuori dalla mia mente.”

Altro dettaglio: curiosamente, nel film è mostrato lo stesso numero di telefono citato in Fight Club… un film che, dietro la trama formale, parla in realtà di ego e anima.

Dette queste tre cose, va detto che da un lato le suddette frasi sono estrapolate da contesti psicologici, nonché piuttosto vaghe (Fight Club in questo senso è assai più chiaro e netto, e lo stesso altri film metaforico-esistenziali come Matrix o Revolver), mentre dall’altro lato la metafora della reincarnazione in realtà non regge del tutto, e quindi la considero solo una somiglianza: difatti, con la reincarnazione la personalità non sa, ma l’anima si ricorda tutto, e anche la personalità ha in sé gli effetti delle vite precedenti a livello di energie e di apprendimenti passati… cosa che non accade in Memento, dove Leonard ricomincia proprio da zero, e anzi spesso sotto zero, confuso da tatuaggi e bigliettini a volte fuorvianti.
Inoltre una metafora di questo tipo avrebbe resettato il personaggio a inizio giornata (nuovo ciclo, nuova esperienza, un po’ come in Ricomincio da capo, seppur in quel caso non a livello di memoria, ma proprio a livello di giornata), e non dopo qualche minuto, ciò che è invece un fatto utile a una trama da film giallo-psicologico.
E difatti Nolan è famoso per i film a contenuto psicologico, non per i film a contenuto spirituale, e anzi tende molto al cerebrale-intellettuale, ossia il contrario dell’anima.
Anche il fattore tempo, così importante nella storia, sta dal lato dell’ego, e non da quello dell’anima.

Ancora: con la reincarnazione l’anima va avanti, nella singola vita e nelle vite successive, mentre in questo film il protagonista non va avanti affatto, e anzi si crea dei “puzzle che non avrebbe potuto risolvere”, per citare una frase del film stesso. Esattamente il contrario del percorso evolutivo, di cui la reincarnazione è una parte. 
Per non parlare delle energie che si agitano nel film: violenza, vendetta, confusione.

Insomma, l’ipotesi in questione di un film “esistenziale”, è messa da parte, ma rimane comunque un ottimo film giallo-psicologico, un eccellente esercizio di stile e tecnica cinematografica.

Fosco Del Nero



Titolo: Memento (Memento).
Genere: psicologico, drammatico, giallo.
Regista: Christopher Nolan.
Attori: Guy Pearce, Carrie-Anne Moss, Joe Pantoliano, Mark Boone Junior, Russ Fega, Jorja Fox.
Anno: 2000.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 14 giugno 2016

Avatar - La leggenda di Korra - Michael Dante DiMartino, Bryan Konietzko

Qualche tempo fa ho pubblicato la recensione della serie tv animata La laggenda di Aang, che avevo conosciuto dopo aver visto il film The last airbender - L’ultimo dominatore dell’aria, che per l’appunto era tratto da tale serie animata.

Ora, il film proponeva molta bellezza visiva, nelle ambientazioni e nel dinamismo, ma globalmente parlando era mediocre… mentre la serie originale proponeva in pratica solo bellezza: trama, personaggi, umorismo, tutto concorreva a renderla un piccolo capolavoro, non a caso di ottimo successo nel mondo.

Tanto per l’appunto da dar seguito a un film tratto da essa, nonché ad una serie tv che ha seguito La laggenda di Aang, intitolata La leggenda di Korra, degli stessi autori della prima, ossia il duo Michael Dante Di Martino e Bryan Konietzko.

Prima di esprimere la mia valutazione globale, tiro le fila del discorso: La leggenda di Korra è ambientata circa 50 anni dopo La leggenda di Aang, con conseguente invecchiamento o morte di certi personaggi.
Aang è morto, per esempio, “rimpiazzato” dalla nuova incarnazione dell’avatar, tale Korra, ragazza ribelle e maschiaccia. Katara e Sokka sono invecchiati, e quasi non si vedono per tutta la serie (che dura quattro stagioni per un totale di 52 episodi), mentre fanno una comparsata Toph e Zuko, vecchi ma ancora arzilli. Anche lo zio di quest’ultimo, Iroh, fa una capatina ogni tanto, sotto forma di spirito nel mondo degli spiriti.

I nuovi protagonisti girano naturalmente intorno al nuovo avatar Korra: il maestro dell’aria Tenzin e la sua famiglia (la moglie Pema, e i vivacissimi figli Jinora, Ikki e Meelo), il bel Mako, giovane dominatore del fuoco di cui Korra si invaghisce praticamente a prima vista, il meno bello Bolin, fratello di Mako e dominatore della terra, Asami, ragazza dal grande fascino che farà girare la testa a Mako… e non solo a lui stando a certe interpretazioni.
Si aggiunga all’elenco anche Lin Beifong, una delle figlie avute da Toph da un uomo misterioso, dominatrice della terra e del metallo, nonché capo della polizia di Città della Repubblica.
Da citare inoltre anche il bizzarro scienziato Varrick e la sua infaticabile assistente Zhu-Li.

Città della Repubblica, a sua volta, è una città, con luoghi limitrofi, creata da Aang come simbolo dell’equilibrio tra i quattro elementi, da lui faticosamente restaurato dopo la lunga guerra tra l’Impero del Fuoco e il resto del globo… e ovviamente di nuovo in pericolo, tra i paritari di Amon, i dominatori dell’acqua del Nord di Unalaq e i membri del Loto Rosso di Zaheer.

E con Città della Repubblica vengono i primi nodi al pettine dell'opera: contando che sono passati appena 50 anni e che ci si trovava allora in una cultura praticamente contadina e priva di tecnologia – con l’eccezione delle armi dell’Impero del Fuoco – il salto è stato troppo netto: ora abbiamo grattacieli, televisioni, cinema, radio, campionati sportivi, automobili, treni, aerei, elettricità, etc etc. 
Troppo.
Gradevole, per carità, nella sua impronta molto steampunk, ma privo di logica rispetto alla serie precedente. Ma vabbé, potrebbe essere un difetto di poco conto… che però aumenta nel corso della serie visto che nel giro di pochi anni, o a volte persino di mesi, spuntano fuori nuove invenzioni clamorose.

Questa stessa forzatura della sceneggiatura si ha per altre cose, e molto spesso, a partire dalle scelte dei personaggi, spesso contorte o semplicemente prive di senso, o improvvise e non giustificate rispetto a quanto proposto fino a quel momento, cosa che rende molti passaggi poco verosimili, o certi comportamenti proprio immaturi.

Un’altra cosa che non mi è piaciuta molto e che ha subito un netto peggioramento rispetto a La leggenda di Aang è l’equilibrio generale tra maschile e femminile: nella prima serie l’avatar era un maschio, sì, ma assai giovane, e con un’energia femminile assai sviluppata, e circondato da un simile equilibrio di maschile e femminile: Sokka e Katara, per citare i suoi compagni di viaggio, cui si uniscono poi Zuko e Toph, per citare il gruppo più esteso.
Anche tra i suoi nemici, l’energia è equamente distribuita.

Viceversa, La leggenda di Korra è una serie tutta al femminile, in cui non solo l’avatar è donna (e questa è stata una grande idea, secondo me), ma in cui i caratteri forti e “importanti” sono tutte donne (Korra, Lin Beifong, Suyin Beifong, Asami, Jinora).
Gli uomini, invece, o sono ufficialmente maestri ma privi di carisma e mordente (Tenzin), o sono dei gregari che si limitano a seguire ed eseguire (Mako, Bolin), o sono degli umoristi buffoni (Bumi, Meelo, Varrick) o sono, infine, i cattivi (Amon, Unalaq, Zaheer, lo spirito oscuro “maschile” Vaatu contrapposto allo spirito luminoso “femminile” Raava).

In tutto questo scenario palesemente squilibrato, e già fortemente caratterizzato da numerosi cliché, gli autori non hanno trovato di meglio che tratteggiare nel finale, in modo ammiccante seppur non troppo definito, una simpatia lesbica tra Korra e Asami, dal tutto fuori luogo in una serie per bambini e adolescenti, nonché del tutto ingiustificata (direi anzi campata per aria) rispetto a quando successo fino a quel momento… e infatti gli autori a posteriori hanno ammesso che era una cosa non prevista all’inizio e improvvisata a seguito di proposte e petizioni in tal senso sui forum americani… roba davvero da bambini, questa sì.

Altra cosa, che forse non interesserà il largo pubblico, ma me sì: mentre nella prima serie vi erano dei contenuti di tipo esistenziale piuttosto marcati, un po’ per Aang e la linea degli avatar, un po’ per il saggissimo Iroh, presi a piene mani dal Tao Te Ching e in generale dalla spiritualità orientale, la serie che ha seguito si è direzionata decisamente verso colori e spettacolarità… essendo in questo notevole, e tecnologicamente avvantaggiata di qualche anno rispetto al suo predecessore, ma essendo decisamente più poverella in quanto a contenuti “interiori”. 

Insomma, in tutto ciò La leggenda di Korra perde decisamente rispetto a La leggenda di Aang, pur rimanendo una serie animata di tutto rispetto, visivamente gradevolissima, umoristicamente piacevole, e assai dinamica e movimentata. 

Fosco Del Nero



Titolo: Avatar - La leggenda di Korra (The legend of Korra).
Genere: serie tv, fantastico, azione, commedia.
Autori: Michael Dante Di Martino, Bryan Konietzko.
Anno: 2012-2014.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 8 giugno 2016

Chitty chitty bang bang - Ken Hughes

Come sa chi legge con assiduità il blog, ogni tanto faccio un tuffo nel passato, ripescando film di ormai svariati decenni fa: stavolta andiamo indietro di quasi mezzo secolo, fino al 1968, anno di produzione di Chitty chitty bang bang, una commedia musicale con protagonista l’allora celebre Dick Van Dyke

… il quale, per chi non lo sapesse, era lo spazzacamino di Mary Poppins, col film che molto probabilmente ambiva a ripercorrere le orme di colui che lo aveva preceduto di quattro anno, ma che in Italia è rimasto pressoché sconosciuto.

L’intento è abbastanza chiaro non solo per la presenza di Dick Van Dyke, come sempre buon attore, buon comico e ottimo ballerino, ma anche per il genere del film: siamo nella commedia, siamo nei buoni sentimenti, e abbiamo qualche incursione nel musical.
E difatti dal film è stato tratto successivamente un musical… mentre il film, a sua volta, è stato tratto da un romanzo di Ian Fleming, che fu famoso però soprattutto per aver creato il personaggio di James Bond in una dozzina di romanzi. Ma oltre al romanzo originario, c’è da sottolineare la sceneggiatura di Roald Dahl, autore di romanzi per bambini-ragazzi, nonché discreto frequentatore di Hollywood, giacché diverse sue opere sono state portate su schermo, e ad alcune ha anche partecipato come sceneggiatore: ricordiamo Gremlins, James e la pesca gigante, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, Fantastic Mr Fox.

In effetti l’intero film ha spiccata una nota d’infanzia, inserendosi perfettamente in quel filone di film educativi e per famiglie di quegli anni.
Nonostante un’ottima colonna sonora (all'altezza se non addirittura superiore), tuttavia, la distanza col capolavoro Mary Poppins è ampia, pur non essendo Chitty chitty bang bang malaccio.

Ecco in sintesi la trama del film: Caractacus Potts (Dick Van Dyke) è vedovo e vive con i suoi due figli, Gemma (Heather Ripley) e Gianni (Adrian Hall), nonché col bizzarro padre.
Un bel giorno i due bambini fanno la conoscenza di Stella Scrumptious, bella donna dell’alta borghesia, la quale, dopo un primo impatto battagliero con Caractacus, si affeziona molto a tutti e tre. Il caso vuole poi che l’uomo finisca nell’azienda del padre di lei a proporgli una sua invenzione, una sorta di dolce-fischietto. 

Durante un pic-nic tra i quattro, Caractacus inizia a raccontare una storia che li vedrà coinvolti tutti e quattro: il malvagio Barone Bombarda, re di Vulgaria, vede la loro bella macchina, soprannominata Chitty chitty bang bang, e decide di impadronirsene, utilizzando ogni mezzo.
Da qui un susseguirsi di avventure, inseguimenti e chi più ne ha più ne metta, con in mezzo anche personaggi curiosi, come l’acchiappabambini o il giocattolaio (interpretato da Benny Hill).

Nel complesso, il film è sufficientemente gradevole e vivace, e come detto la brillante colonna sonora gli dà qualcosa in più, anche se nel complesso gli manca una visione d’insieme unitaria e gli sfugge il livello del grande film.

Anche a livello di insegnamenti pare avere qualcosa in meno rispetto al suo celebre dirimpettaio (parlo sempre di Mary Poppins, con cui il paragone è inevitabile), e sembra essere più un divertissement avventuroso che non un film educativo-ispirante… tuttavia, proprio a fine film, qualcosa propone, sotto forma di alcune frasi, che a dire il vero sembrano un po’ fuori contesto rispetto a quanto proiettato fino a quel punto, e che proprio in questo senso sembrano piazzate più come messaggio che non come dialogo funzionale alla trama.

Una riguarda obiettivi e sogni:
“– Allora i sogni si avverano?
– Sì, certo che si avverano. Ma bisogna essere pratici.”

Un’altra invece sa proprio di frase di genere esistenzial-spirituale, e difatti stupisce la sua presenza nel film… ma è comunque apprezzata anche se un po’ spuntata dal nulla.
“Bisogna arrendersi ai fatti.
Un uomo deve vedere le cose come sono.”

A questa poi si aggiunga una scena curiosa, e anch’essa praticamente fuori contesto, in cui il protagonista, dopo essersi voltato casualmente verso uno specchio, si guarda in modo rapito, senza che tale soffermarsi abbia alcuna valenza per la trama.
Ciò, peraltro, avviene durante uno dei più bei momenti del film, non comico ma anzi dall’aria drammatica, nonché anch’esso potenzialmente simbolico… e che simbolismo: una donna-bambola messa su un carillon di fronte a due specchi danza e canta del suo essere una prigioniera che cerca di fuggire dalla sua prigionia per ritrovare il suo amore (testo, ripeto, totalmente avulso dalla trama). A ciò si aggiunga anche il pavimento a scacchi, un candelabro a sette braccia, un fuoco acceso in lontananza, delle guardie tutte intorno, e un pubblico vestito in pompa magna ma essenzialmente infantile che guarda lo spettacolo.

E in tale ottica non dimentichiamo che il film è stato sceneggiato da Roald Dahl, il quale in Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato ci ha proposto una figura piuttosto elevata (centratura e amore incondizionato), seppur nascosta da tutto l’ambaradan dei cioccolati. Ciò allo stesso modo in cui Mary Poppins, per continuare il paragone in tutto e per tutto, è stato tratto da un romanzo di tale Pamela Lyndon Travers, allieva diretta di G.I. Gurdjieff, e per coloro che conoscono questo nome tutto apparirà chiaro. 

Chiudendo la recensione di Chitty chitty bang bang, pur non essendo esso un film irrinunciabile, sono contento di averlo visto, sia per l’aspetto musicale, sia per il suo vivace bailamme, nonché per i vari spunti sparsi soprattutto nel finale.

Fosco Del Nero



Titolo: Chitty chitty bang bang (Chitty chitty bang bang).
Genere: commedia, musicale, fantastico.
Regista: Ken Hughes.
Attori: Sally Ann Howes, Dick Van Dyke, Heather Ripley, Adrian Hall, Lionel Jeffries, Benny Hill, Gert Fröbe, Anna Quayle, Robert Helpmann.
Anno: 1968.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 1 giugno 2016

La sposa cadavere - Tim Burton, Mike Johnson

La sposa cadavere è il nono film di Tim Burton che recensisco su Cinema e film… e qualcuno manca all’appello giacché l’avevo visto prima di aprire il blog.

Per la precisione, ecco la lista di quelli che sono già apparsi tra queste pagine: Beetlejuice - Spiritello porcello, Il mistero di Sleepy Hollow, Alice in wonderland, Big fish, Ed Wood, Dark shadows, Frankenweenie e Big eyes.

L’elemento comun denominatore dei film di Tim Burton è il senso del fantastico, che spesso peraltro si declina in termini gotici e semi-horrorifici.
Dico "semi" giacché in ogni caso è sempre presente un certo senso della commedia e del grottesco, che rende dunque “innocui” anche film in cui i protagonisti sono morti, zombie, o spiriti vari.

Questo peraltro è proprio l’identikit de La sposa cadavere, film d’animazione del 2005 realizzato con l’ormai nota tecnica dello stop motion, che peraltro ha dato grande successo a Nightmare Before Christmas, da Burton non diretto, ma scritto e prodotto, con il quale il paragone è praticamente inevitabile, un po’ per la persona di Tim Burton, un po’ per la medesima tecnica di animazione, un po’ per le atmosfere molto simili, e un po’ per il medesimo tipo di film, ossia una commedia grottesca con una forte presenza musicale.

Ebbene, si tratta di un paragone difficile da reggere, giacché Nightmare Before Christmas rappresenta praticamente lo stato dell’arte di questo specifico genere cinematografico, e anzi il riprovarci è segno di un certo coraggio da parte di Tim Burton.

Il quale peraltro si avvale di due dei suoi attori feticcio per tratteggiare i suoi protagonisti (e ovviamente per i doppiaggi originali): Johnny Depp per Victor ed Helena Bonham Carter (che poi era la compagna del regista) per Emily, ossia la sposa cadavere del titolo.

Rispetto al suo celebre dirimpettaio, La sposa cadavere si presenta meno vivace, forse (anche se definirlo “non vivace” sarebbe comunque un reato), ma più tenero.
Ciò si deve soprattutto alla differenza tra i due protagonisti maschili: da un lato Jack Skellington è certamente più carismatico e dinamico, mentre dall’altra Victor Van Dort è goffo, imbranato e insicuro.
Anche se, curiosamente, troverà certezze nel suo impronosticabile viaggio nell’oltretomba, dal quale uscirà più forte ed equilibrato.

Ma accenniamo la trama almeno per sommi capi: le famiglie Everglot e Van Dort hanno organizzato un matrimonio di convenienza per i loro figli Victoria e Victor: i primi ci mettono il loro titolo nobiliare, mentre i secondi ci mettono il denaro acquisito negli affari.
E questo in barba ai due giovani, che non si sono mai visti… ma che si piacciono praticamente a prima vista.
Tuttavia, la loro unione subirà un piccolo contrattempo sotto forma della morta Emily e praticamente dell’intero mondo dei morti, col subdolo lord Barkis che intende approfittare della confusione per sostituire Victor nel ruolo di marito di Victoria.

In mezzo a tutto ciò, molte canzoni, molti colori, e ovviamente molti morti e zombie di varia natura, ma tutto sempre in salsa allegra e vivace, peraltro piena di citazionismi, sia di altri film di Tim Burton (il cortometraggio Vincent, per esempio… mentre non si contano i parallelismi col successivo Frankenweenie) che di altri film famosi (Via col vento, per dirne uno).

Nel complesso, La sposa cadavere è un trionfo della tecnica, e regala anzi alcuni momenti di grande bellezza a livello di disegni o inquadrature. Ma anche a livello umano: il finale, per esempio, è davvero bello nel suo rappresentare l’amore incondizionato e la crescita di uno sei suoi personaggi.
Insomma, La sposa cadavere, se non il migliore in assoluto, è comunque uno dei film di Tim Burton più belli… e contando che i competitor sono film come Il mistero di Sleepy Hollow e Big fish (ma ci metto anche Nightmare Before Christmas), non è cosa da poco.

Fosco Del Nero



Titolo: La sposa cadavere (Tim Burton's Corpse Bride).
Genere: animazione, fantastico, sentimentale, commedia, musicale.
Regista: Tim Burton, Mike Johnson.
Attori: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Emily Watson, Tracey Ullman, Paul Whitehouse, Joanna Lumley, Albert Finney, Richard E. Grant, Christopher Lee.
Anno: 2005.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

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