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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 29 luglio 2020

Casomai - Alessandro D’Alatri

Mi sono accostato a Casomai sperando in un film brillante come l’altro film che avevo visto dell’accoppiata  Alessandro D’Alatri-Fabio Volo, La febbre, forse uno dei film italiani che mi è piaciuto di più in assoluto.

Tuttavia, son rimasto delusissimo dal prodotto finale, quasi antipodico rispetto a La febbre: tanto quello era brillante quanto Casomai è banale, tanto il primo era positivo nonostante tutte le difficoltà sceneggiate quanto il secondo è drammatico e pesante, anche se poi cerca di risolvere tutto in “era uno scherzo”.

Ma andiamo con ordine con la tram di Casomai: Tommaso (Fabio Volo; La febbre) e Stefania (Stefania Rocca; Nirvana, Tutti pazzi per amore) sono una giovane coppia che si sta recando in campagna alla ricerca di una chiesetta in cui sposarsi. Là troveranno un parroco, anche lui piuttosto giovane e senza dubbio particolare, persino più della sua chiesetta; la cosa comincia a evincersi nel dialogo che imbastisce con i due, e poi si vede in pieno durante la celebrazione del matrimonio, nella quale prima parte con un discorso poco ortodosso e poi s’inventa l’intera storia che poi il film proporrà.

Il film, sostanzialmente, propone la vita matrimoniale di Tommaso e Stefania, all’inizio coppia innamorata e affiatata, e poi coppia stanca, delusa e distante, come il film probabilmente intende denunciare che capita a tanti.

In effetti, per quanto senza dubbio la storia possa essere realistica in tanti casi (coppia, lavoro, figlio, amici e uscite, incomprensioni, tradimenti), di fatto, e anzi probabilmente proprio perché realistica, è una storia piena zeppa di luoghi comuni, talmente tanto piena che sembra quasi di non trovarsi davanti a un film ma a un resoconto.

Il film peraltro utilizza uno stile cinematografico molto spezzettato e a tratti sguaiato, che personalmente ho gradito molto poco, e anzi ho interpretato come un modo per dare al film quell’originalità e quella particolarità che esso non ha nella sua sostanza… tentativo del tutto fallito a mio avviso, e anzi visivamente e uditivamente sgradevole.

Devo anzi dire che in parte il film è salvato dai due interpreti principali, Fabio Volo più per il suo sembrare davvero persona media e Stefania Rocca perché è proprio brava come attrice, altrimenti, con due interpreti meno validi la situazione sarebbe stata ancora peggiore.

Ribadisco: non basta che una storia sia realistica perché essa sia di qualità… e anzi dal cinema io mi aspetto bellezza oltre la normalità piuttosto che il contrario.
Ma i gusti son gusti, e Casomai di suo ha ottenuto un buon riscontro da pubblico e critica.

Fosco Del Nero



Titolo: Casomai.
Genere: commedia, drammatico, sentimentale.
Regista: Alessandro D’Alatri.
Attori: Fabio Volo, Stefania Rocca, Sara D'Amario, Antonella Troise, Gennaro Nunziante, Mino Manni, Maurizio Scattorin, Claudio Ridolfo, Paola Bechis, Andrea Collavino, Ada Treves, Michele Bottini, Tatiana Lepore.
Anno: 2002.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


martedì 28 luglio 2020

H2 - Mitsuru Adachi

Il candidato di oggi è H2, di Mitsuru Adachi.
Originariamente su questo blog recensivo anche libri, così come fumetti e gruppi musicali, tuttavia dopo un poco di tempo ho dirottato i libri su Libri e romanzi… e quanto ai fumetti, indeciso sul fatto di far prevalere l’elemento visivo o quello scritto, ho optato per la prima soluzione tra le due. Dunque, su Cinema e film sono rimasti anche i fumetti, così come artisti musicali, per quanto ambo le categorie son decisamente poco frequentate: la seconda ormai è caduta in prescrizione, mentre della prima si vede qualcosa ogni tanto…

… essenzialmente grazie al fatto di aver scoperto da grande Mitsuru Adachi, di cui ho recensito in abbastanza rapida serie RoughTouchMiyukiSlow step, Misora per sempre e quest’oggi H2.

Rough e Touch, va da sé, sono il top della produzione del mangaka nipponico, seguiti a mio avviso da Miyuki prima, e poi Slow step e Misora per sempre, ultimi nella graduatoria ma comunque discreti fumetti.
Come si inserisce in tale classifica H2, che poi è il manga più lungo con i suoi 34 volumi italiani?

Si inserisce grossomodo a metà gruppo: Rough e Touch sono molto lontani, e probabilmente gli è superiore anche Miyuki, anche se il tutto è molto soggetto al gusto individuale, mentre a mio avviso Slow step e Misora per sempre stanno un poco sotto.

L’idea che mi ero fatto è che Adachi si esprima meglio nelle opere medio-lunghe piuttosto che in quelle brevi, composte da pochi volumetti… e anche H2 ha confermato tale sensazione, per quanto purtroppo esso difetti di un fattore non da poco: l’originalità.
Siamo ancora alle prese con baseball, amici d’infanzia e triangoli amorosi; evidentemente l’autore non riesce-riusciva a creare altro, il che è un peccato e ovviamente un grosso limite.

Quel che è peggio è che questo è il manga in cui la parte del baseball ha più spazio in assoluto, con le partite che occupano buona parte dei volumetti proposti; piuttosto noioso per chi non segue il baseball (ossia tutto il mondo a parte Usa e Giappone). Psicologia e rapporti tra i protagonisti hanno così meno spazio a disposizione, e infatti il tutto sembra piuttosto sacrificato contando l’ampiezza dell’opera.
Davvero un peccato, perché il tocco grafico è quello solito di Adachi, molti personaggi sono ben caratterizzati e interessanti (forse più i secondari del principali, anche se molti di essi ricalcano personaggi di precedenti manga), e di spunti ce ne sono tanti.

H2, tuttavia, più che un’opera originale e brillante mi è sembrata una compilazione generale del lavoro e delle tematiche di Adachi, quasi una sorta di auto-tributo.

Ecco la trama del fumetto: Hiro Kunimi e Hideo Tachibana sono amici d’infanzia, ed entrambi sono giovani promesse del baseball scolastico. Insieme a loro giocava anche Atsushi Noda, che finisce nella scuola di Hiro, l'istituto Senkawa, il quale non ha un club di baseball. Hideo invece va al Meiwa, che ha un club di baseball già piuttosto forte.
Il triangolo sentimentale classico è completato da Hikari Amamiya, amica d’infanzia di Hiro che proprio Hiro ha presentato a Hideo, col quale la ragazza si è fidanzata… nonostante piaccia anche a Hiro, che però nella nuova scuola conosce la simpatica e sbadata Haruka Koga

Da H2 mi attendevo qualcosa in più, per quanto non mi abbia deluso in senso totale, e infatti la valutazione dell’opera è comunque discreta.
Certo che, come detto, Touch e Rough stavano su altri livelli.

Fosco Del Nero



Titolo: H2.
Genere: manga, commedia, sport, sentimentale.
Autore: Mitsuru Adachi.
Anno: 1992-1999.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 22 luglio 2020

Il fantasma del pirata Barbanera - Robert Stevenson

Quest’oggi facciamo un salto indietro nel tempo con Il fantasma del pirata Barbanera, film Disney del 1968.
Perché me lo sono visto?
Intanto perché non mi ricordavo se lo avessi mai visto da bambino (e ancora non ne sono sicuro), e in secondo luogo perché il regista è quello stesso Robert Stevenson che ha diretto il classico dei classici, Mary Poppins. Ero dunque alla caccia di un film di pari valore.

Ahimé, tale valore è ben lontano, ma comunque il film si propone come discreto film, vivace e simpatico.
Il protagonista principale peraltro è quel Dean Jones che un anno dopo avrebbe sfondato, sempre con Stevenson come regista, con Un maggiolino tutto matto.

Ma ecco la trama sommaria de Il fantasma del pirata Barbanera: Steve Walker (Dean JonesF.B.I. - Operazione gatto, 4 bassotti per 1 danese, Un papero da un milione di dollari) giunge a Godolphin, una cittadina nella Carolina del Nord, per prendere il posto di allenatore di atletica nella scuola superiore locale, la quale, viene a scoprire presto, è un mezzo disastro.
L’altra metà del disastro arriva quando l’uomo, involontariamente, evoca il fantasma del pirata Barbanera (Peter Ustinov; La fuga di Logan, Spartacus), il quale non è propriamente un fantasma: è sì invisibile a tutti tranne che a Walker, ma può interagire fisicamente con l’ambiente circostante… e lo farà alla grande, in ogni senso e modo, con l’obiettivo di sciogliere la maledizione che lo teneva ancorato al mondo terreno.

Nel mezzo ci sono buoni e cattivi, nonché lo spazio per abbozzare una relazione sentimentale, e ovviamente per tante gag, soprattutto visive. I dialoghi, invece, non sono particolarmente brillanti… e non fatemeli confrontare con Mary Poppins, altrimenti la valutazione de Il fantasma del pirata Barbanera ne risente pesantemente. 
A questo riguardo, la differenza sta senza dubbio non tanto nella direzione del regista, quanto nel livello della sceneggiatura di partenza: Mary Poppins infatti partiva dal romanzo di Pamela Travers, allieva diretta di G.I. Gurdjieff.

Nel suo genere meno nobile, comunque, anche Il fantasma del pirata Barbanera ha un suo valore: leggero, gradevole, scorrevole, simpatico. Non a caso esso stesso ebbe un buon successo di pubblico, inserendosi perfettamente in quel filone tanto di moda all’epoca di film perfettamente per famiglie… filone praticamente scomparso al giorno d’oggi.
Effetti speciali parecchio pacchiani col punto di vista odierno… per non parlare del fantasma che proietta ombre su muri, pavimenti, altre persone: senza ricorrere ad effetti speciali aggiuntivi, potevano perlomeno stare più attenti all’angolazione delle riprese.

Fosco Del Nero



Titolo: Il fantasma del pirata Barbanera (Blackbeard's ghost).
Genere: commedia, comico.
Regista: Robert Stevenson.
Attori: Peter Ustinov, Dean Jones, Suzanne Pleshette, Elsa Lanchester, Joby Baker, Elliott Reid, Richard Deacon.
Anno: 1968.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 21 luglio 2020

Il segreto di Pollyanna - David Swift

Avevo un forte sentore che il film Il segreto di Pollyanna mi sarebbe piaciuto, e così è stato.

Buoni indizi in tal senso erano la regia di David Swift, regista poco prolifico ma che negli anni "60 ha messo a segno ottimi colpi, come questo stesso film o come Il cowboy con il velo da sposa, o anche Scusa, me lo presti tuo marito?.

Secondo indizio: davanti alla macchina da presa, come protagonista centrale, c’era la giovanissima Hayley Mills, che avrebbe di seguito avuto una brillante carriera: oltre a Il cowboy con il velo da sposa, si ricordano tra gli altri anche I figli del capitano Grant, Magia d’estate, Il giardino di gesso, F.B.I. - Operazione gatto. Peraltro, per la sua interpretazione di Pollyanna la giovane vinse l’Oscar giovanile, un premio speciale assegnato per l’ultima volta proprio quell’anno.

Terzo indizio: il film è tratto dal classico della letteratura per ragazzi, Pollyanna, scritto da Eleanor H. Porter… e quando i film sono tratti da classici della letteratura hanno perlomeno alcune basi solide a livello di trama, caratterizzazione dei personaggi, ambientazione, etc.

A proposito di tale libro, e in generale del personaggio di Pollyanna, esso ha persino generato un modo di dire nella psicologia cognitiva, per quanto non troppo lusinghiero: la cosiddetta “Sindrome di Pollyanna”, utilizzata per descrivere una sorta di cieco e ottuso ottimismo. 

Ma passiamo alla trama sommaria de Il segreto di Pollyanna: siamo all’inizio del ‘900 in una cittadina americana, Harrington, dove la piccola Pollyanna va a vivere in seguito alla morte di entrambi i suoi genitori, accolta dalla zia Polly (forse in quel periodo non erano disponibili altri nomi), una donna ricca e distinta ma anche un po’ rigida e fredda.
La ragazzina, di dodici anni, grazie alle sue buone maniere e alla sua positività familiarizzerà praticamente con tutti, affabili e bisbetici, guadagnandosi le simpatie dell’intera collettività, prima tramite favori e buone parole, poi durante una fiera cittadina e infine per un episodio sfortunato che la colpisce e che mette a dura prova la sua positività.
In mezzo, l'amicizia giovanile, qualche amore più maturo e molto affetto in generale, oltre che uno stile di vita davvero distante da quello odierno, bilanciato peraltro tra la ricchezza dei protagonisti e i bambini dell’orfanotrofio del paese.

Credo che Il segreto di Pollyanna sia uno dei film più positivi che abbia mai visto, e non a caso la figura di Pollyanna è divenuta un simbolo di positività, grazie anche al suo gioco di trovare cose buone anche nelle cose apparentemente brutte (gioco che non è solo un gioco, ma anche un esercizio interiore).

Hayley Mills è deliziosa, e il cast in generale funziona a dovere come tutto il resto, tra scenografia e fotografia, facendo de Il segreto di Pollyanna un film davvero bello e ispirante, un film per famiglie all’antica, laddove l’espressione “all’antica” assume qui un valore largamente positivo, che andrebbe restaurato anche nei tempo odierni. 

Curiosità: la cuoca di Pollyanna è la stessa cuoca di Mary Poppins. Evidentemente la donna aveva il physique du rôle.

Chiudo la recensione con un divertente scambio di battute tra un bambino e la protagonista.
“La vedi quella casa? Appartiene all’uomo più cattivo della città. Questa è la sua cantina ed è piena di grossi topi. Non può soffrire i bambini e se ne acchiappa uno lo rinchiude a doppia mandata e lo tiene prigioniero per sempre.”
“E proprio qui dovevi portarmi?”

Fosco Del Nero



Titolo: Il segreto di Pollyanna (Pollyanna).
Genere: fantastico, commedia.
Regista: David Swift.
Attori:  Hayley Mills, Adolphe Menjou, Karl Malden, Jane Wyman, Richard Egan, Nancy Olson, Donald Crisp, Agnes Moorehead, Kevin Corcoran, James Drury, Reta Shaw, Leora Dana, Anne Seymour.
Anno: 1960.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


giovedì 16 luglio 2020

The blind side - John Lee Hancock

La recensione di oggi è dedicata al film del 2009 The blind side.

Prima cosa: è la prima volta che recensisco un film del regista John Lee Hancock, che non avevo nemmeno mai sentito. E in effetti la sua filmografia mi parla di pochi film e da me ignoti.

Seconda cosa: il film è tratto dal libro-biografia di Michael Lewis The blind side: evolution of a game, dedicato alla vera storia di Michael Oher, giocatore di football americano assai conosciuto negli Stati Uniti.

Terza cosa: l’interprete principale è Sandra Bullock, specializzata in commedie sentimentali e/o sentimentaloidi-melodrammatiche. Questo film rientra nella seconda categoria.

Quarta cosa: chissà perché i registi continuano a far recitare parti di minorenni ad attori evidentemente più grandi. In questo caso un 25enne. Ok, trovare ragazzini bravi a recitare è certamente più difficile che trovare ragazzi più grandi, ma c’è un limite di credibilità a tutto.

Quinta cosa: il film è stato pluripremiato, praticamente in ogni concorso cinematografico… e in effetti è un film fatto bene. Si tratta quindi di vedere se al singolo spettatore piace il genere.

Fatte queste doverose premesse, andiamo a raccontare la trama sommaria di The blind side: Michael (Quinton Aaron), un ragazzotto che per la sua età è tanto grosso quanto introverso e taciturno, ha avuto un’infanzia sfortunata; sua madre era una tossicodipendente e lui è stato dato in adozione quando era un bambino, passando di sistemazione in sistemazione, fino a che non s’imbatte in Leigh Anne Tuohy (Sandra Bullock; La casa sul lago del tempoCrash, Gravity, Un amore tutto suo), una donna ricca e di buon cuore la quale dapprima lo ospita a casa sua quando vede che l’adolescente non ha un posto in cui andare a dormire, e poi lo accoglie in seno alla sua famiglia, quando vede che il ragazzo è di buon cuore egli stesso.
Finirà che il giovane verrà inserito nella squadra di football della scuola in cui è stato ammesso, una prestigiosa scuola privata, e che al contempo si impegnerà negli studi.
A proposito di famiglia, da citare il personaggio di S.J., un bambino davvero vivace e divertente (Jae Head).

The blind side è uno di quei film che si inseriscono nel classico filone di film per famiglie, positivi e sentimentali… essenzialmente sono questi i suoi contenuti, ambientati nel caso specifico nel mondo scolastico, nel mondo del football e in un contesto familiare.

Se vi piace il genere, sappiate che il film è ben fatto e godibile, altrimenti virate su qualcos’altro.
Di mio, l’ho gradito discretamente, anche se certamente non lo riguarderò in futuro, essendo il film un po’ troppo banalotto e pieno di cliché per i miei gusti.
Nel caso, buona visione.

Fosco Del Nero



Titolo: The blind side (The blind side).
Genere: commedia, drammatico.
Regista: John Lee Hancock.
Attori: Sandra Bullock, Tim McGraw, Quinton Aaron, Kathy Bates, Lily Collins, Jae Head, Ray McKinnon, Ashley LeConte Campbell, Rhoda Griffis, Shawn Knowles, Tom Nowicki, Kelly Johns.
Anno: 2009.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 14 luglio 2020

L’uomo invisibile - James Whale

L’uomo invisibile, diretto nel 1933, finisce al terzo posto dei film più risalenti recensiti su Cinema e film, dopo Faust (1926) e Metropolis (1927). Per la cronaca, seguono a qualche distanza Susanna (1938), Scandalo a Filadelfia (1940), Il filo del rasoio (1946), La vita è meravigliosa (1946) e Il grande sonno (1946). Da lì in poi si va agli anni “50 e “60, con molti più rappresentanti.

Il film è tratto dal romanzo omonimo di Herbert Wells e diretto da James Whale, specializzato in produzioni dell’orrore… per quanto possano definirsi orririfici i film di quei tempi all’occhio dello spettatore contemporaneo.

Aggiungiamo anche che il film è piuttosto breve, visto che dura appena 70 minuti, e che si situa all’interno del genere della fantascienza.

Ecco in sintesi la sua trama: in una locanda di un villaggio inglese giunge uno straniero che chiede una stanza per la notte. La cosa è strana sia perché si è fuori stagione sia perché l’uomo è completamente nascosto da abiti, cappello e fasce: di lui in pratica non si vede niente. 
Dopo poco tempo si scoprirà che si tratta di un uomo invisibile, e che si tratta del Dottor Jack Griffin, il quale per via dei suoi esperimenti è diventato invisibile, nonché pazzo, ebbro di furia omicida e di smania di potere, che non tarderà a riversare sulla comunità.
La quale reagisce in modo allarmato, per quanto sulle prime piuttosto impotente nei confronti di un uomo che non si vede…

Curiosamente, ho apprezzato L’uomo invisibile più per l’aspetto tecnico del film, che ha una regia e una fotografia molto pulite, e che inoltre riesce a barcamenarsi piuttosto bene con degli effetti speciali che all’epoca (parliamo di quasi novant'anni fa, ormai…) non dovevano essere affatto semplici. Inoltre è sempre bello vedere le ambientazioni di altri tempi, usanze e culture.
Tuttavia, ciò che avrebbe potuto essere brillante allora quanto oggi, ossia la psicologia dei personaggi e i dialoghi, è piuttosto deludente e semplicistico, e anzi per tutto il film aleggia quasi un tono da commedia, che inevitabilmente impedisce che la tensione si alzi. Forse al tempo si preferiva così, ma di fatto tono generale ed eventi cozzano parecchio.

Da cui la mia valutazione tiepida, a dispetto delle celebrazioni di cui è stato omaggiato il film… che però non mi sono mai interessate. E non è una scusante l’età del film: i grandi capolavori rimangono tali nel tempo, ma i grandi capolavori hanno una solidissima base a livello di sceneggiatura, ambientazione, personaggi e dialoghi, cosa che ne L’uomo invisibile manca.

Fosco Del Nero




Titolo: L’uomo invisibile (Invisibile man).
Genere: fantascienza, thriller.
Regista: James Whale.
Attori: Gloria Stuart, Claude Rains, William Harrigan, Henry Travers, Una O'Connor, Dwight Frye, Forrester Harvey, Dudley Digges, Holmes Herbert, E.E. Clive, Walter Brennan, John Carradine.
Anno: 1933.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 8 luglio 2020

White oleander - Peter Kosminsky

White oleander di Peter Kosminsky è un film che ha ottenuto buoni riconoscimenti, e che peraltro è stato preceduto da un libro, l’omonimo romanzo di Janet Finch, il quale ugualmente ha riscosso un certo successo.

Ecco la sua trama: Ingrid Magnusson (Michelle PfeifferLadyhawkeStardust, Le streghe di Eastwick, Dark shadows) è una donna assai fiera. Ha cresciuto da sola la figlia Astrid (Alison Lohman; Big fish, Drag me to hell), è divenuta un’artista apprezzata ed è l’emblema vivente di quanto una donna possa essere forte e indipendente, valori che ha cercato di trasferire alla figlia, ancora minorenne. Tale fierezza la porta però a errori ed estremismi, come quando, in un impeto di rabbia e gelosia, uccide con del veleno il suo amante, il quale a sua volta aveva altre amanti. Risultato: condanna a 35 anni di carcere e figlia in cura ai servizi sociali, che la spediscono di famiglia in famiglia.
Così, la tenera e dolce Astrid conosce prima Starr Thomas (Robin Wright Penn; La storia fantasticaThe congress, La leggenda di Beowulf, La vita segreta della signora Lee), ex spogliarellista ora convertitasi alla causa cristiana, poi Claire Richards (Renée Zellweger; Jerry Maguire, Il diario di Bridget Jones), attrice assai insicura, e infine Rena (Svetlana Efremova), una russa che vive trovando e vendendo vestiti usati se non proprio gettati nella spazzatura. 
Nel mezzo conoscerà anche Paul, un ragazzo, disegnatore come lei, per cui proverà affetto.

White oleander è un film assai drammatico, di quel melodramma psicologico che va tanto di moda negli ultimi decenni… e di cui il grosso pubblico ama nutrirsi, evidentemente per alimentare il melodramma che ha dentro.
La confezione di lusso del prodotto non deve ingannare: nel film non c’è altro che sofferenza emotiva lungo tutta la sua durata, se non proprio violenza fisica o manipolazione psicologica, e un poco di speranza alla fine, ma sulla speranza il film termina.

Se i contenuti sostanziali sono questi, peraltro conditi con una psicologia piuttosto naif e facilona, assolutamente poco credibile (donne affidatarie dei servizi sociali che tentano di uccidere le ragazze affidate loro in una crisi di immotivata gelosia; donne ugualmente affidatarie che si suicidano con accanto la ragazza loro affidata per una crisi sentimentale, donne affidatarie che portano le ragazze loro affidate a rovistare nella spazzatura… per non parlare di madri dal comportamento insensato), la confezione è davvero bella: la regia è buona, la fotografia è molto bella, il cast di attori è di alto livello, e peraltro propone moltissima bellezza al femminile: al di là dei gusti personali, il quartetto Michelle Pfeiffer-Robin Wright Penn-Renée Zellweger-Alison Lohman è piuttosto notevole, soprattutto ai suoi estremi (la quarantaquattrenne Michelle Pfeiffer e la ventitreenne Alison Lohman). Viceversa, la presenza maschile è limitata al minimo, e solo per far insorgere problemi, ciò che è una gestione piuttosto curiosa della figura dell’uomo.

Il voto tutto sommato non disastroso deriva proprio da tale cura e bellezza visiva, nonché da un paio di frasi di valore che il film ospita e che propongo di seguito, a conclusione di recensione.

“Mi chiedono tutti perché ho cominciato dalla fine andando verso l’inizio a ritroso.
Il motivo è semplice: non sono riuscita a capire l’inizio fino a che non ho raggiunto la fine; c’erano troppi pezzi mancanti”

“La solitudine è una condizione naturale: sappi che nessuno potrà mai riempire quel vuoto.
Il meglio che tu possa fare è conoscere te stessa.”

Fosco Del Nero



Titolo: White oleander (White oleander).
Genere: psicologico, drammatico.
Regista: Peter Kosminsky.
Attori: Alison Lohman, Michelle Pfeiffer, Cole Hauser, Robin Wright Penn, Renée Zellweger,Patrick Fugit, Noah Wyle, Stephen Root.
Anno: 2002.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 7 luglio 2020

Prendimi l’anima - Roberto Faenza

Il film recensito oggi è Prendimi l’anima, diretto da Roberto Faenza nel 2002.
Si tratta di un triplice ingresso nel blog: non avevo mai recensito alcun film diretto da Roberto Faenza (qualcuno lo conosco di nome, ma niente di suo mi ha mai attirato), è la prima volta che compare tra gli attori Emilia Fox ed è il primo film in cui vedo Iain Glen… ma perlomeno il suo volto mi era ben noto per via del suo personaggio nella serie tv Il trono di spade (in cui impersona Jorah Mormont).

Mi son messo a vedere Prendimi l’anima in quanto mi era stato segnalato come film dai contenuti esistenziali… ed essendovi tra i protagonisti C. G. Jung, non faticavo a crederlo.

Ecco la trama del film: nel 1904 la giovanissima Sabina Spielrein viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico con la diagnosi generica di “grave isteria”; la ragazza, che viene da un contesto familiare problematico e che ha dovuto affrontare anche la morte della sorella minore, pare avere in effetti turbe psichiche rilevanti, e anzi si è risolta a non mangiare più niente per morire di fame.
La sua fortuna sarà trovare nell’istituto uno psicologo rampante e dai metodi all’avanguardia, tale Carl Gustav Jung, allievo prediletto di Sigmund Freud. L’uomo lavorerà con lei essenzialmente con la parola, ma anche portandola all’esterno dell’istituto, con un approccio decisamente più morbido e meno invasivo rispetto allo standard comprensivo di camice di forza, docce ghiacciate, bavagli, scosse elettriche, etc. La ragazza si affiderà così al suo dottore, e inizierà con lui una relazione sentimentale.

Il film ha peraltro un secondo contesto, ambientato nella Mosca del presente: la giovane Marie Franquin e il meno giovane Richard Fraser indagheranno sulla figura di Sabina Spielrein, che dapprincipio era paziente in una clinica psichiatrica, poi si è laureata in medicina, conobbe Freud, s’iscrisse alla Società Psicoanalitica, partecipò a importanti congressi, scrisse saggi sula materia, aprì a Mosca un asilo all’avanguardia (il cosiddetto Asilo bianco), dovette poi chiuderlo per contrasto con la politica staliniana, e finì uccisa nel 1942 dai tedeschi che eliminarono ebrei e russi durante la guerra.

Una storia triste, quella di Sabina Nikolaevna Spil'rejn, il cui nome è stato poi traslitterato in Sabina Spielrein, indagata per primo dallo scrittore Aldo Carotenuto e poi oggetto di studi e di film.

Se la storia è interessante, il film è francamente deludente.
Si distingue in positivo per scenografia, costumi e colonna sonora (molto belle le canzoni cantate dalla stessa Sabina Spielrein), ma è onestamente avvilente in quanto a psicologia dei personaggi… il che fa quasi ridere detto così.
In particolare, il personaggio di Jung, famoso non solo per la sua pratica psicologica ma anche per la sua profondità spirituale, è ridotto a un essere umano debole e incerto, senza dubbio al fine di far risaltare, per contrasto, il personaggio di Sabina, visto come contorto ma anche forte e coraggioso.

In quanto ai contenuti esistenziali, non ce n’è, e appena si salvano due frasi, che segno di seguito ma che non sono affatto rappresentative dei contenuti e dell’energia del film, la quale viceversa è molto melodrammatica… adatta dunque al largo pubblico, come sovente accade.
Peccato.

“L’amore è la forza che muove il mondo.
Non ci può essere cura senza amore.”

“Se si insegna la libertà a un bambino fin dall’inizio, forse diventerà un uomo veramente libero.”

Fosco Del Nero



Titolo: Prendimi l’anima (Prendimi l’anima).
Genere: psicologico, drammatico, sentimentale.
Regista: Roberto Faenza.
Attori: Emilia Fox, Iain Glen, Craig Ferguson, Caroline Ducey, Jane Alexander (II).
Anno: 2002.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


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