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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

martedì 31 luglio 2018

Volcano High - Tae-gyun Kim

La recensione di oggi è dedicata a un film della Corea del Sud dell’ormai lontano 2001: Volcano High.

Piccola premessa.
Quando un popolo è molto irreggimentato e sottoposto a regole precise, tanto a scuola quanto sul lavoro, e più in generale in tutta la società, derivano alcune conseguenze: il vivere sociale è molto ordinato, le persone sono molto rispettose e timorose dell’autorità, serpeggia una certa infelicità-insoddisfazione di fondo, comprensiva di un alto tasso di suicidi, e, per ciò che riguarda il cinema, vengono prodotti molti film fuori di testa, giacché la naturale vitalità e creatività umana trova questo campo per esprimersi.
Il ragionamento peraltro vale per qualunque ambito: la repressione sessuale porterà quindi a stravaganze e devianze sessuali, etc. Ossia: ogni forza-energia che non viene incanalata e fatta uscire in modo naturale corrode le persone dall’interno e produce devianze e stranezze.

Giappone e Corea rispecchiano perfettamente il primo quadro tracciato: società piuttosto irreggimentata, alto tasso di suicidi (in Corea il suicidio è la prima causa di morte per i giovani, mentre è celeberrimo il suicidio giapponese dell’uomo che ritiene di aver fallito nella sua vita; il Giappone è al settimo posto al mondo come tasso di suicidio e la Corea al terzo posto, superata solo dalla poco luminosa Groenlandia e dalla quasi altrettanto fredda Lituania; per chi se lo chiedesse, l’Italia sta al 66esimo posto, tra Mauritius e Costa Rica, e se non fosse per la crisi economica indotta ad arte starebbe messa ancora meglio), e creatività estrema in campo cinematografico.

Lasciamo a chi di dovere il risolvere la questione vitale, e occupiamoci dei film provenienti dall’Estremo Oriente, stavolta inquadrando il suddetto film coreano: Volcano High, un film che rispecchia perfettamente codesto simpatico quadretto, col suo mix di follia, stravaganza, violenza, arti marziali e grottesco.

Per i più curiosi, aggiungo anche che il film più strano che io abbia mai visto è un film giapponese (era ovvio), tale Yaji and Kita - The midnight pilgrims, film che però non esiste in italiano, neppure sottotitolato, e che dovreste dunque guardarvi con i sottotitoli in inglese.

Ma veniamo a Volcano High, con la sua trama sommaria: Kim Kygun-soo è stato espulso da ben nove istituti scolastici, per disobbedienza e per comportamenti violenti, e, giunto alla nuova scuola, è fermamente intenzionato a non farsi espellere di nuovo e a non farsi coinvolgere da nessuno… anche perché vuole far colpo sulla bella Yoo Chae-yi.
Peccato però che la decima scuola, la Volcano High School, sia un ricettacolo di persone violente, professori compresi, e peccato che tutti sembrino fare di tutto per coinvolgere Kim Kygun-soo in qualche rissa.
In primis un gruppo di teppisti del Club di pesi, capitanato dall’esuberante (diciamo così) Jang Ryang, il quale ha fama di essere lo studente più forte della scuola, temuto anche dalla presidenza, e che punta ad impossessarsi del Manoscritto del Maestro, un libro di grande valore che si dice essere nascosto nella scuola e che darebbe potere assoluto a chi lo possedesse.
Egli, e tutto il suo Club di pesi, sfida a più riprese gli altri studenti e gli altri club: il Club di rugby, il Club di tendo e il Club di judo… i quali tutti peraltro invitano caldamente Kim Kygun-soo ad iscriversi da loro… col ragazzo che non ne vuole sapere e si fa i fatti suoi. 
La situazione però cambia quando, messo ko il flemmatico preside attraverso un veleno che lo manda in una specie di stato comatoso (ma il tutto è in salsa umoristica, quindi fa essenzialmente ridere), il vicepreside prende il controllo dell’istituto, rinforzato da cinque nuovi professori, ancora più teppisti dei ragazzi, e che a dirla tutta sembrano usciti da un Matrix orientale.
A questo punto Kim Kygun-soo, provocato pure da loro (!), scende in campo…

Il genere: Volcano High oscilla tra l’azione e le arti marziali, ma ha un’anima da commedia, con numerose incursioni nel grottesco. Ciò che suscita maggiormente è il sorriso, e anzi risulta tenero a più riprese, nonostante tutti i combattimenti e tutti gli sguardi duri dei suoi vari protagonisti, grazie anche al personaggio di Kim Kygun-soo, tenero anch’esso.

Curioso il fatto che, quando vengono utilizzate le varie tecniche, esse vengono enunciate da una voce profonda fuori campo, in stile Ken il guerriero, per chi se lo ricorda. 

Io ho visto l’edizione integrale del film di circa 120 minuti, ma tenete conto che ne è stata diffusa una versione più breve di 20 minuti, e nella tv italiana è stata mandata una versione ancora più breve, di 40 minuti in meno.

Chiudo questa dettagliata recensione con alcune frasi tratte dal film, dal vago sapore esistenziale (d’altronde, le arti marziali prima di degenerarsi al livello attuale di mero combattimento, in passato erano scuole di evoluzione interiore).

“Forza: è raccogliere l’energia che ci circonda e farla propria.
Rivoluzione: divenire tutt’uno con il proprio avversario.”

“Quando yin e yang sono in armonia, si genera il fluire dell’acqua.
Quando sono in conflitto, si genera il fulmine.”

“La divina tecnica del manoscritto del maestro svuoterà le vostre menti dagli inutili pensieri e dal resto della spazzatura che adesso le occupa.
Voi avete l’occasione di iniziare da capo: ora rinascerete a nuova vita.”

Fosco Del Nero



Titolo: Volcano High (WaSanGo).
Genere: arti marziali, azione, commedia, grottesco.
Regista: Tae-gyun Kim.
Attori: Hyuk Jang, Min-a Shin, Su-ro Kim, Hyo-jin Kong, Sang-woo Kwone, Sang-hun Jeong, Jun-ho Heo, Hyeong-jong Kim, Shi-ah Chae.
Anno: 2001.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 25 luglio 2018

Le avventure di Zarafa, giraffa giramondo - Rémi Bezançon, Jean-Christophe Lie

Il film che propongo quest’oggi sul blog è Le avventure di Zarafa, giraffa giramondo, un film d’animazione franco-belga diretto dal duo Rémi Bezançon-Jean-Christophe Lie nel 2012.

Se il duo di nomi non mi dice niente, mi dice molto il fatto che il film sia di produzione francese e belga, giacché parliamo della scuola d’animazione per eccellenza in Europa… e per distanza, nemmeno per poco.

Il titolo del film, inoltre, riconduce a un tema-ambientazione spesso affrontato dall’animazione francese, evidentemente memore degli antichi possedimenti imperialisti e coloniali: l’Africa, con le sue genti, i suoi animali e la sua cultura.

Ne Le avventure di Zarafa, giraffa giramondo abbiamo per l’appunto un mix di tutto ciò: il piccolo Maki, bambino di una tribù africana, il più grande Hassan, berbero al servizio del Pascià di Alessandria d’Egitto, la piratessa greca Bouboulina, lo schiavista francese Moreno… e un lungo viaggio che parte dalla savana africana, passa per il deserto, attraversa il Mediterraneo e arriva a Parigi.
Il tutto, raccontato da una voce narrante che è quella di un anziano uomo africano che racconta a un gruppo di bambini la storia di come il loro villaggio è stato fondato dai loro progenitori.

Questa è per sommi capi la trama de Le avventure di Zarafa, giraffa giramondo. Veniamo ora al commento più tecnico e a quello contenutistico.
Tecnicamente, siamo di fronte a un film d’animazione bidimensionale, come da scuola francese, con sfondi in stile pastello molto belli e ben disegnati, tanto nella natura quanto in città. Agli sfondi si accompagna un’animazione fluida e ben fatta, per quanto semplice e nulla di trascendentale.
Il tutto, pur se non clamoroso, risulta assai gradevole.

Aiutato in ciò anche dalla gradevolezza della storia, che porta con sé una morale positiva, di rispetto delle culture umane e della natura, animali compresi, e ancor più in generale una storia di gran cuore e buone emozioni, che rende il film particolarmente adatto alla visione da parte di bambini.
E ovviamente anche da parte di adulti, giacché ciò che è buono per i primi è buono anche per i secondi (in una civiltà più progredita varrebbe anche il contrario).

Insomma, Le avventure di Zarafa, giraffa giramondo è promosso ai pieni voti: l’ennesimo ottimo prodotto da parte dell’animazione d’oltralpe. Tra gli ultimi buoni film che ho visto, L’illusionista, Ernest e CelestineLa bottega dei suicidi, ognuno a suo modo assai affascinante.

Riporto un paio di frasi interessanti.

"Nel deserto non dobbiamo accontentarci mai di ciò che vediamo: a volte questo può fare brutti scherzi. Nel deserto, o altrove, mai accontentarsi di ciò che si vede."

"Nel deserto o in mezzo all'oceano, se ti sei perso interroga il cielo."

Fosco Del Nero



Titolo: Le avventure di Zarafa, giraffa giramondo (Zarafa).
Genere: animazione, avventura.
Regista: Rémi Bezançon, Jean-Christophe Lie.
Anno: 2012.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 24 luglio 2018

Quando c’era Marnie - Hiromasa Yonebayashi

Data la mia semivenerazione per lo Studio Ghibli, era solo questione di tempo prima che vedessi Quando c’era Marnie, l’ultima produzione dello studio…
… e credo la prima in cui non siano coinvolti i due capoccia dello Studio Ghibli, ossia Hayao Miyazaki e Isao Takahata.
E peraltro l’ultima rischia anche di rimanere tale, dal momento che Miyazaki si è ritirato dall’attività cinematografica, e che Takahata è reduce dal risultato non troppo apprezzato de La storia della principessa splendente. Insomma, lo Studio Ghibli rischia di chiudere, e Quando c’era Marnie rischia di essere il suo testamento, il suo lascito finale.

Andiamo a vedere se perlomeno si tratta di un buon lascito, cominciando a tratteggiare la trama per sommi capi… molto sommi onde evitare di svelare come si indirizza il film a coloro che non lo avessero mai visto.

Prima però diciamo che il film è tratto dall’omonimo romanzo per ragazzi di Joan G. Robinson (pur mutato nei nomi dei personaggi e nell’ambientazione), fatto peraltro tutt’altro che insolito per le produzioni Ghibli. Ricordiamo ad esempio che Arrietty (diretto da Hiromasa Yonebayashi, il medesimo regista del film oggetto di questa recensione) fu tratto da Gli sgraffignoli di Mary Norton e che Il castello errante di Howl fu tratto dall’omonimo libro di Diana Wynne Jones (tutte scrittrici donne, peraltro).

Anna è una ragazzina di 12 anni assai fragile, tanto di salute quanto di carattere, che peraltro ha avuto in dote una vita non agevole: i genitori sono morti quando lei era piccolissima, e la stessa nonna è morta quando lei era bambina. Adesso l’alleva una donna con cui non ha parentela di sangue, che lei chiama "Zietta", ma con la quale non vi è un rapporto molto stretto.
Ad ogni modo, la donna, di nome Yoriko, preoccupata dall’asma di Anna, la manda da Sapporo all’isola di Hokkaido, per respirare aria più buona e fare vita di campagna presso alcuni parenti, Kiyomasa e Setsu Oiwa, due persone molto alla mano e premurose.
I problemi psicologici e relazionali di Anna, però, non fanno altro che trasferirsi nel nuovo posto, e lei si rifugia in alcune fantasie, prima tra tutte l’amicizia con Marnie, ragazza d’altri tempi, nei vestiti e nell’educazione, che vive (viveva?) nella villa oltre l’acquitrino, ora disabitata e anzi in cui si dice che compaiano dei fantasmi.
Le due, a cavallo tra realtà e fantasia, sviluppano un rapporto molto stretto e affettuoso, che ha fatto gridare alcuni allo scandalo sembrando quasi omosessuale, ma che in realtà si inserisce in un quadro ben più grande e dai contorni persino fantastico-metafisici.

In effetti, la direzione che prende il film da metà storia in poi è inattesa, e anzi il ritmo, fino a quel punto piuttosto blando e introspettivo, si fa più vivace, pur rimanendo il tutto sempre assai psicologico-interiore.

In effetti, Quando c’era Marnie non fa che proporci il mondo interiore di Anna, nonché quello esteriore, vissuto come riflesso.
A dimostrazione di ciò, gli altri personaggi della storia oltre a lei e Marnie sono assai pochi, e quei pochi son marginali.

Veniamo ora al commento sul film, prima tecnico e poi contenutistico.
Il commento tecnico praticamente non esiste, giacché siamo di fronte a una pura bellezza: animazioni, disegni e colori son meravigliosi, e praticamente ci proiettano dentro a un dipinto in movimento. Non a caso, visto che l’elemento del disegno e del dipinto non è estraneo alla storia tra pittori e tavolozze.

Il commento contenutistico è viceversa più moderato: pur sapendo che prima o poi avrei visto il film, una mia sensazione me ne ha tenuto lontano per un paio d’anni… e non a torto, giacché nel film prevale nettamente l’elemento sentimentale (e anche un po’ sentimentaloide), mentre altri elementi tipici dei lavori dello Studio Ghibli, come l’avventura o la fantasia, sono messi decisamente in secondo piano, se non in terzo o in quarto.

Il personaggio di Anna è inoltre un po’ troppo squilibrato per i miei gusti, anche se comunque la storia si fa seguire e in alcuni tratti commuove anche per le triste condizioni delle protagoniste… ciò che era il suo scopo originario, e qua torniamo al sentimentaloide.

Altri film dello Studio Ghibli, invece, ispirano, entusiasmano e divertono, emozioni e risultati ben più nobili.

Pur con questa tara, ho comunque apprezzato Quando c’era Marnie, film che è un gioiello visivo e che comunque ha una sua delicatezza, pur se immersa nelle difficoltà psicologiche dei protagonisti... e pur se immersa in una sceneggiatura a tratti noiosa e ad altri tratti prevedibile.

Propongo una citazione tratta dal film: "A questo mondo esiste un cerchio magico invisibile. Il cerchio ha un di dentro e un di fuori".

Fosco Del Nero



Titolo: Quando c’era Marnie (Omoide no Mani).
Genere: animazione, sentimentale, fantastico.
Regista: Hiromasa Yonebayashi.
Anno: 2014.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 17 luglio 2018

I quattro dell'Ave Maria - Giuseppe Colizzi

Il giorno prima che morisse Bud Spencer avevo deciso di guardarmi tutta la filmografia del duo Bud Spencer-Terence Hill, e sto tuttora proseguendo con gli ultimi film rimastimi.
Tra questi, i primi film tra i sedici in questione, i film western, genere che non mi è mai piaciuto… ma per Bud e Terence faccio un eccezione e li guardo.
Oggi è la volta de I quattro dell'Ave Maria, film girato nel 1968 da Giuseppe Colizzi, che poi è colui che ha lanciato il duo nel mondo del cinema (con Dio perdona… io no!, I quattro dell’Ave Maria e La collina degli stivali)… anche se il successo vero e proprio a dire il vero verrà poi con i film di E.B. Clucher (Lo chiamavano Trinità, Continuavano a chiamarlo Trinità, I due superpiedi quasi piatti, Nati con la camicia, etc).

Peraltro, de I quattro dell'Ave Maria non si può dire che Bud e Terence siano la coppia protagonista, giacché un altro personaggio si fa notare spesso… e anzi più di loro: l’istrionico Eli Wallach, davvero bravo e pure ben doppiato.

Ma andiamo a tratteggiare per sommi capi la trama: Cat Stevens e Hutch Bessy sono due cacciatori di taglie che si recano nell’ufficio dello sceriffo per intascare una ricompensa, anche se non hanno purtroppo le prove dell’avvenuta “eliminazione” del malvivente. Intuiscono però che egli fosse in combutta col direttore di una banca, per cui vanno da lui e gli estorcono una bella somma di denaro.
L'uomo non la prende bene e, per reazione, libera Cacopoulos, un carcerato atteso a breve dall’impiccagione, dietro la promessa che lui si disfi dei due ricattatori. Cacopoulos, però, ha programmi diversi e riguardano il vendicarsi dei suoi vecchi soci che, a seguito di una rapina, lo abbandonarono agli inseguitori, condannandolo quindi a quindici anni di prigione. Uno era lo stesso direttore della banca, e un paio d’altri seguiranno; al fine di vendicarsi di tutti, proporrà dunque un’alleanza proprio ai due che era stato incaricato di eliminare…

I quattro dell'Ave Maria non rientra nel filone umoristico dello spaghetti western, e si discosta grandemente dal tenore medio dei film di Bud e Terence, tuttavia grazie a Dio non è nemmeno troppo serioso, e anzi, soprattutto grazie al personaggio di Cacopoulos, si fa guardare volentieri.

A fargli da spalla semicomica, il solo Bud, mentre Terence Hill recita un ruolo davvero “western”, e quindi superserio, tra l’altro non doppiato dal solito doppiatore, che verrà in futuro, ma da uno meno gioviale e più tosto.

Per il resto, che dire? Nel film non vi sono tante scazzottate, anzi quasi per niente, ma molte pistolettate, come si conviene a un western. Vi è azione in quantità, ma anche qualche inserto umoristico, nonché qualche scena memorabile: quella della festa ispanica, ad esempio, o la scena finale dei quattro dell’Ave Maria di fronte ai loro cinque avversari, tutti pistole alla mano e con tanto di commento musicale sullo sfondo, scena davvero bella.

Nel complesso, I quattro dell'Ave Maria è davvero un bel film, non lo si può negare: ha qualche passaggio a vuoto, ma regge benissimo e propone molte cose buone.
Era la prima volta che lo vedevo, e ne son rimasto contento, pur non essendo appassionato delle ambientazioni western.

Fosco Del Nero



Titolo: I quattro dell'Ave Maria.
Genere: western, commedia.
Regista: Giuseppe Colizzi.
Attori: Bud Spencer, Terence Hill, Eli Wallach, Livio Lorenzon, Brock Peters, Armando Bandini, Corrado Olmi, Edoardo Torricella, Bruno Corazzari.
Anno: 1968.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 10 luglio 2018

Epic - Il mondo segreto - Chris Wedge

Ennesimo film d’animazione recensito su Cinema e film: stavolta è il turno di Epic - Il mondo segreto, film d’animazione uscito nel 2013 anche in formato 3D.
Io però l’ho visto su un normale schermo, per cui la mia sarà una recensione 2D.

Partiamo dal regista: è quel Chris Wedge che aveva già diretto, con grande successo, L’erà glaciale e Robots: un palmares breve ma molto promettente… perlomeno a livello di incassi.

Veniamo ora sinteticamente alla trama, precisando intanto che il genere si muove tra fantasy e natura, pur venato da un po’ di tecnologia semi-fantascientifica: a seguito della morte della madre, con cui stava, Mary Katherine torna dal padre, il Professor Bomba, che non vedeva da tempo e dal quale evidentemente la madre si era separata. Motivo della separazione: l’uomo, pur brillante scienziato, si era fissato con un’ipotetica popolazione minuscola che abitava nella foresta, all’interno della quale l’uomo era per l’appunto rimasto, collocando telecamere e sensori ovunque al fine di catturare o perlomeno riprendere qualche minuscolo abitante della foresta.
La ragazza, tuttavia, non tarda ad arrivare alle medesime conclusioni della madre (ossia che l'uomo è pazzo), tanto che decide di lasciare l’abitazione del padre.
Però capita un evento a dir poco sincronico… che la rende proprio come uno di quei minuscolo abitanti della foresta, e anzi avrà un ruolo decisivo nella lotta tra forze della vita (guidate da Ronin) e forze della morte (guidate da Mandrake… nota di biasimo per la scelta dei nomi, compresi anche il Professor Bomba, la Regina Tara, lumache Mub e Grub, etc), forze della luce e forze dell’oscurità, della creazione e della distruzione. Verrebbe da dire tra bene e male senonché il film si muove proprio all’interno di un discorso ciclico e di alternanza, per cui, seppur i “cattivi” vogliono rompere quell’equilibrio, si intuisce che vi è un equilibrio da rispettare, per l’appunto.
Un altro contrasto che propone il film è quello tra il grande e il piccolo, tra il lento e il veloce, e in ciò dona una bella dose di relativismo a chi guarda.

Come andrà a finire il film è piuttosto ovvio, e fin dall’avvio, giacché trattasi di una commedia fantasy animata per famiglie, che dunque prevede per contratto il lieto fine, nonché una massiccia dose di azione, umorismo leggero e buoni sentimenti.

In questo, e stante la poca originalità, che potrebbe far avvicinare il film a numerosi altri assai simili (Arthur e il popolo dei Minimei, Mune - Il guardiano della Luna, lo stesso Avatar, etc), il film dovrebbe ricevere una valutazione tiepida, essendo ben realizzato, visivamente d’effetto e con un’animazione ben fluida, ma non troppo innovativo.

Tuttavia, i suoi contenuti ne aumentano la valutazione, e anzi lo indirizzano perfettamente come prodotto educativo per l’infanzia, dal momento che non solo propone bellezza e buoni sentimenti, ma anche alcuni principi esistenziali, gettati qui e lì e in modo poco evidente, ma comunque presenti.

Si pensi, ad esempio, ai “rotoli della conoscenza”, concetto praticamente identico agli “annali dell’Akasha”.
Certo, da solo potrebbe essere una mera coincidenza, ma il film contiene svariate frasi di sapore esistenziale, e proprio con esse chiudo la recensione.

“Molte foglie, un solo albero.”
“Che significa?”
“Siamo singoli individui, ma sempre connessi tra noi.”

“Nessuno è mai solo.”

“La verità non è mai brutta come sembra.”

“Sei qui per una ragione. Forse ancora non riesci a capire quale sia, ma il fatto che tu non l’abbia capito non significa che non ci sia.
So che hai paura, ma resta con il baccello, sii presente quando si schiuderà… e poi riavrai quello che hai dato.”

“Ci sono cose che semplicemente si sentono…”

Fosco Del Nero



Titolo: Epic - Il mondo segreto (Epic).
Genere: animazione, fantasy, azione.
Regista: Chris Wedge.
Anno: 2013.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 3 luglio 2018

La casa sul lago del tempo - Alejandro Agresti

Oggi siamo in compagnia de La casa sul lago del tempo.
Il film è il remake del film coreano Si-wor-ae, e nella sua versione americana è stato girato da Alejandro Agresti, regista a me sconosciuto.

Esso si basa su un elemento fantastico piuttosto originale: una cassetta postale che mette in comunicazione due persone di due tempi differenti; una sorta di piccola e limitata macchina del tempo dunque, tramite la quale Alex Wyler (Keanu ReevesLe riserveMatrixConstantineThe gift - Il dono, A scanner darkly - Un oscuro scrutareDracula) e Kate Forster (Sandra Bullock; Crash - Contatto fisico, Un amore tutto suo, Gravity) possono comunicare.
Se il tempo li separa di due anni (lei più avanti di lui), essi hanno una cosa in comune: la casa nei sobborghi di Chicago davanti a cui sta la cassetta delle lettere, in cui hanno abitato entrambi (lui prima di lei).

I due, inizialmente scioccati da quell’evento, iniziano a scriversi e la corrispondenza diverrà sempre più tenera… anche perché scoprono col senno di poi (espressione tuttavia imprecisa in questo caso) che si erano già incontrati… e ovviamente si incontreranno anche dopo, giacché essenzialmente La casa sul lago del tempo è un film d’amore super-romantico, e la cosa è chiara fin da subito.

Il film è essenzialmente una storia d’amore anche perché il contorno è per l’appunto tale: solo contorno, e quindi trascurabile.
I disagi sentimentali di Kate, o il rapporto difficile di Alex col padre, sono solo sfondo a quella che è una storia d’amore “paranormale”, per così dire.
Peraltro, il cast è ridottissimo, e gli altri ruoli sono del tutto marginali.

L’idea di fondo è interessantissima (e non lo dico solo perché tempo fa ho scritto un romanzo che si basa su un’idea assai simile: Il mondo dall’altra parte), però non è sfruttata appieno, e anzi conserva un panorama assai ristretto, quello delle due piccole vite dei protagonisti.
Non vi sono spiegazioni del fenomeno, nemmeno tentate, e non vi è da parte dei protagonisti una ricerca esistenziale, fatto che sarebbe quasi scontato date queste premesse… nemmeno la relazione tra i due convince appieno, a dirla tutto, e anzi la stessa recitazione ha un tono un po’ dimesso.
Altro piccolo difetto: a volte si fa un po’ di confusione nel capire a quale linea temporale appartiene la scena sullo schermo, giacché non si è pensato a qualche “evidenziatore” in tal senso.
Ottimo invece il doppiaggio.

Nel complesso, La casa sul lago del tempo non mi è dispiaciuto: c’è una bella idea dietro, e una discreta esecuzione, cosa ovvia peraltro quando si chiamano due big di Hollywood come Reeves o Bullock a interpretare un film, tuttavia la valutazione è solo sufficiente per i motivi elencati: è stato eseguito un buon compitino, ma il film non ha un grande valore in sé e funge soprattutto da commedia romantica.

Fosco Del Nero



Titolo: La casa sul lago del tempo (Lake house).
Genere: sentimentale, commedia, fantastico.
Regista: Alejandro Agresti.
Attori: Keanu Reeves, Sandra Bullock, Dylan Walsh, Shohreh Aghdashloo, Christopher Plummer, Lynn Collins, Mike Bacarella, Ebon Moss-Bachrach.
Anno: 2006.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

Il mondo dall'altra parte