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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 26 giugno 2019

Quell’oscuro oggetto del desiderio - Luis Bunuel

Quell’oscuro oggetto del desiderio è il terzo film che vedo di Luis Bunuel, un regista che mi aveva mezzo folgorato ne La via lattea e che mi era piaciuto anche ne Il fascino discreto della borghesia.

Con Quell’oscuro oggetto del desiderio facciamo un leggero passo indietro, perlomeno secondo il mio gusto personale, per quanto il film rimanga gradevole e godibile.

Come sempre, tra l’altro, siamo a metà via tra commedia, dramma e situazioni grottesco-surreali a dir poco.
Ecco in sintesi la trama di Quell’oscuro oggetto del desiderio: la storia inizia con la fine, ossia col protagonista, l’attempato ma assai benestante Mathieu Favère (l’ottimo Fernando Rey, che ha davvero il physique du role del benestante “per bene” di Bunuel) in viaggio in treno da Siviglia a Parigi, in uno scompartimento di prima classe in cui conosce persone di classe agiata come la sua.
Tutte persone apparentemente per bene (tra di esse anche l’attrice Milena Vukotic), che si stupiscono alquanto quando l’uomo si alzerà e verserà un secchio d’acqua in testa a una giovane donna che stava cercando di salire essa stessa sul treno.
A quel punto i nuovi conoscenti di Mathieu, stupiti, gli chiedono di raccontare i motivi del suo gesto, e l’uomo s’avvierà a spiegare come mai ha gettato un secchio d’acqua in testa alla donna più cattiva del mondo: inizierà così il suo racconto della relazione tormentata con Conchita (personaggio interpretato alternativamente da due attrici, Carole Bouquet e Angela Molina, la prima più elegante e la seconda più sensuale), ragazza bellissima ma di estrazione sociale povera, che l’uomo, ben più anziano e agiato, provvederà a mantenere, madre compresa, pur tra alterne vicende.

Quell’oscuro oggetto del desiderio, che poi è anche l’ultimo film di Luis Bunuel, è tratto dal libro La donna e il burattino di Pierre Louys, e come gli altri film di Bunuel va letto oltre la trama.

La trama racconta di una relazione tormentata, e anzi mai consumata, tra un uomo facoltoso e una bella ragazza, che dietro varie scuse gli si nega sempre, e che non si capisce mai se stia mentendo o dicendo la verità (nemmeno lo spettatore lo capisce mai, e fino alla fine praticamente).

Ciò che si legge tra le righe, tuttavia, è un confronto-scontro, certificato peraltro dai numerosi attentati terroristici che percorrono il film, tra Francia e Spagna, che non è solo quello tra uomo e donna, e anzi questo è il meno, ma è il solito scontro filmato da Bunuel tra classi sociali: in tale scontro le persone “per bene” sono quelle borghesi, ben vestite, ben curate, dai modi impeccabili… ma sono le stesse persone che, assai ben altolocate, nonostante le loro buone maniere non riescono a nascondere la loro natura altezzosa e discretamente classista, tesa a possedere gli altri: si portano la servitù in viaggio (ma in seconda classe), cercano di “comprare” le donne, si disinteressano di attentati, bombe, spari ed esplosioni, prese come sono dalla loro sola vita. 

Mathieu infatti ignora tutto, e pensa solamente a conquistare-possedere la bella Conchita; usa paroloni, infiora e infiocchetta tutto, ma essenzialmente il suo obiettivo da persona per bene è questo, possesso di una persona e per traslazione possesso della società intera, ciò che per l’appunto era il motivo per cui Bunuel aveva in antipatia la classe sociale borghese, che infatti non perdeva occasione di dileggiare in ogni singolo suo film.

Curiosissima la scelta di alternare due attrici nel medesimo ruolo, con tanto di “cambio” anche in corso di scena; si svolta l’angolo ed ecco che la protagonista è mutata. 
Forse il regista voleva, giacché c’era, criticare anche la figura femminile, tanto lunatica e mutevole da cambiare addirittura corpo e volto nel giro di pochi secondi; o più semplicemente si trattava di un escamotage atto a raffigurare la natura ambivalente della protagonista… ma questo si sarebbe dovuto chiedere a lui, e magari qualcuno lo ha anche fatto, chissà.

Per quanto mi riguarda, chiudo la recensione di Quell’oscuro oggetto del desiderio confermando il mio giudizio positivo sul film e in generale sull’anarchico e surreale regista spagnolo, che trovo assai gradevole e intelligente, per quanto un po’ fissato con la critica ironica di una specifica classe sociale (che adesso forse neanche esiste più, il che, col senno di poi, sa tanto di fiato e talento sprecato).

Altra classe invisa a Bunuel era il clero… e pure in questo film, che pure non affronta tale argomento, il regista trova l’occasione per inserire un fantomatico gruppo terrorista: i Gruppi Armati Rivoluzionari del Bambin Gesù

Fosco Del Nero



Titolo: Quell’oscuro oggetto del desiderio (Cet obscur objet du desir).
Genere: commedia, sentimentale, drammatico.
Regista: Luis Bunuel.
Attori: Fernando Rey, Carole Bouquet, Angela Molina, Julien Bertheau, Milena Vukotic, André Lacombe, André Weber, Maria Asquerino, Jacques Debary.
Anno: 1977.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 25 giugno 2019

Miyuki - Mitsuru Adachi

Miyuki è il terzo manga di Mitsuru Adachi che leggo dopo Rough e Touch, che mi sono entrambi piaciuti moltissimo.
La speranza era ovviamente che il bis divenisse tris… e anzi anticipo che mi sono già procurato anche Misora per sempre, Slow step e H2.

Insomma, mi sono fatto il pieno di Adachi, ed è un bel pieno, devo dire.

Miyuki praticamente è il suo primo lavoro lungo, e segue da vicino il più breve Questa allegra gioventù. Anticipa di poco Touch, di cui peraltro è stato parallelo per alcuni anni, giacché le produzioni dei due si sono accavallate.

Peraltro, parliamo degli ormai lontanissimi anni “80… e la cosa si vede in tanti fattori: dai disegni piuttosto minimalisti (ma questo è un tratto tipico di Adachi a quanto ho visto, al di là del periodo) ad alcuni fattori culturali ormai antichi anche per il Giappone, come il ruolo della donna in famiglia.
Ciò che non cambia mai sono… i volti dei protagonisti, che sono gli stessi di Rough e Touch.

Ecco in sintesi la trama di Miyuki, manga composto da dodici volumetti, che in Italia tanto per cambiare non ha avuto un grande successo (probabilmente Adachi è troppo intimista, leggero, sottile e poco dinamico per incontrare i favori del grosso pubblico italiano): Masato Wakamatsu è infatuato della compagna di classe Miyuki Kashima, la quale non sembra del tutto indifferente alle sue attenzioni, per quanto qualcosa vada sempre storto e pregiudichi la situazione.
Un’altra Miyuki, però, sta per comparire sulla scena, o meglio per ritornarvi: è la sorella di Masato, che si chiama dunque Miyuki Wakamatsu e che pare avere un affetto particolare per il fratello, dimostrandosi piuttosto protettivo e affettuosa… non sapendo peraltro di non essere veramente sua sorella, dal momento che era stata adottata dal padre di Masato quando era piccola, e poi cresciuta in altro luogo, giacché il padre di Masato era sempre fuori per lavoro e le madri dei due ragazzi, ossia le mogli di Wakamatsu padre, sono entrambe morte, cosa che di fatto ha lasciato i giovani a vivere da soli.  

In mezzo tanti altri personaggi: compagni di classe o di scuola, insegnanti, genitori e parenti, anche se il grosso della storia verte proprio sul rapporto tra Masato e Miyuki.

Mio commento: Miyuki è inferiore ai suoi dirimpettai Rough e Touch, e si mostra un po’ acerbo in alcuni tratti. Il finale, inoltre, è assolutamente frettoloso e non rende giustizia al resto del fumetto, e anzi si ha la sensazione che lo renda quasi monco di qualcosa che avrebbe potuto essere molto più intenso e brillante.
Divertenti i siparietti in cui il mangaka si mette in mezzo, ovviamente sempre in chiave comica.

Nel complesso, comunque, Miyuki non mi ha deluso, come Mitsuru Adachi ancora una volta non mi ha deluso, colpendomi come negli altri casi per delicatezza, tenerezza e semplicità, nonché per un umorismo leggero e tenue.
Vediamo i prossimi fumetti.

Fosco Del Nero



Titolo: Miyuki (Miyuki).
Genere: manga, sentimentale, commedia.
Autore: Mitsuru Adachi.
Anno: 1980-1984.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 19 giugno 2019

Viaggio verso Agartha - Makoto Shinkai

Di Makoto Shinkai, ormai uno dei registi giapponesi di animazione più famosi in assoluto, ho visto ormai diverse cose, e tutte mi hanno impressionato per la bellezza visiva: vidi per primo il lungometraggio breve 5 centimeters per second (bellissimo da vedere, non irresistibile come storia), per secondo il mediometraggio Il giardino delle parole (come sopra: (bellissimo da vedere, non irresistibile come storia), per terzo il lungometraggio Your name (bellissimo da vedere, coinvolgente anche come storia) e per quarto il corto Someone's gaze (bellissimo da vedere e toccante come storia… per quanto sul solito tema della lontananza, evidentemente assai caro al regista, che però dovrebbe iniziare a occuparsi d’altro se vuole salire di livello).

Segue oggi Viaggio verso Agartha, che cronologicamente è il terzo lavoro del regista nipponico, di cui ora mi manca solo la visione di Oltre le nuvole, il luogo promessoci, il suo esordio.

Parlare de Viaggio verso Agartha è tutto sommato facile: esteticamente è bellissimo, e anzi forse è il lavoro che meglio fa risaltare i colori, gli spazi aperti e i cieli sconfinati che Shinkai si diletta a tratteggiare. E quando dico bellissimo intendo bellissimo, non è un modo di dire: il 7 di voto sta tutto in tale bellezza visiva, e anche uditiva, se ascoltate la versione del film originale.

Difatti, avevo dato un’occhiata (anzi, un’orecchiata) alla versione doppiata in italiano, e mi si erano drizzati i capelli in testa: evitatela come si trattasse di una malattia contagiosa e guardatevi il film originale con i sottotitoli… che peraltro io gusto di più in generale quando si tratta di prodotti nipponici, quand’anche vi fosse parallelamente un ottimo doppiaggio italiano.

Con l’audio italiano, il voto del film scende a 3, perché è scandaloso.
Con l’audio giapponese, il voto del film sta sul 7, ed è motivato dalla meraviglia visiva.

Quanto alla sceneggiatura, Makoto Shinkai zoppica ancora, e forse non è un caso che il suo film più valido, contando anche trama, personaggi, coinvolgimento generale, sia a mio avviso il suo ultimo, Your name: evidentemente egli è migliorato col tempo ed ha iniziato a curare altro oltre che la realizzazione tecnica.   

Vi dico in due parole cosa non va dei contenuti de Viaggio verso Agartha: in generale, è tutto stereotipato, e anzi il film prende a piene mani da altri film d’animazione celebri, soprattutto dello Studio Ghibli.
Ecco un breve elenco: abbiamo l’animale-demone in stile Principessa Mononoke, il ragazzo guerriero che salva la ragazza indifesa in stile La città incantata, il gatto super-intelligente e super -affiatato con la protagonista in stile Kiki - Consegne a domicilio, una casa campagnola in stile Totoro (ma questo è il nome), i giganti di pietra in stile Laputa - Castello nel cielo.
Ci mancava qualcosa preso da Lupin III - Il castello di Cagliostro ed eravamo al completo.

Un’altra cosa stona fortemente del film: il guazzabuglio caotico e sconsiderato di termini occidentali.
Altro breve elenco: abbiamo la civiltà mitica (mitica si fa per dire) di "Agarta", i guardiani di pietra chiamati Quetzal Coatl (che c’entra con tali creature il nome della divinità mesoamericana?), i vimana (barche volanti dell’antica cultura indiana), la parola latina “clavis”, gli arcangeli di biblica memoria (che peraltro non sono affatto angeli, ma uomini-messaggeri), e ancora abbiamo Finis Terrae (peraltro recitato male come “finis terra”), nome preso in prestito dal Portogallo… e altro ancora: Ade, Shambala, etc. Davvero un minestrone privo di costrutto.

Persino gli spiriti-demoni che escono dal sottosuolo e dall’ombra mi pare di averli incontrati in qualche storia nel passato, anche se ora non mi ricordo dove.
Ciliegina sulla torta: a un certo punto appare una schermata con, in rapida successione: Cesare, Napoleone, Hitler, Stalin, Alessandro Magno, Gengis Khan.

Insomma, si sarà capito: Viaggio verso Agartha è un grande collage di elementi presi altrove…
… ma perché prendere altrove quando si può creare in proprio?

Ecco perché un prodotto che come valore tecnico sarebbe da 9-9.5 scende a “solo” 6.5.
Badate bene: la visione vale il costo del biglietto per quanto è magnificente, ma non attendetevi una storia brillante o personaggi originali, e nemmeno una forte coerenza interiore nella trama, perché non li troverete. 

Ad ogni modo, confido che Makoto Shinkai abbia imparato molto rispetto ai suoi primi lavori come questo Viaggio verso Agartha … e mi auguro per lui un lungo avvenire fatto di opere più vicini a Your name, o ancora più belle e profonde, giacché il trend è in miglioramento.

Fosco Del Nero



Titolo: Viaggio verso Agartha (Hoshi o ou kodomo).
Genere: anime, animazione, fantastico.
Regista: Makoto Shinkai.
Anno: 2011.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 18 giugno 2019

Una pura formalità - Giuseppe Tornatore

Giuseppe Tornatore è un regista che praticamente ho ignorato per tutta la vita, letteralmente, nel senso che non avevo mai visto un suo film.
Ora ne ho visto due in rapida serie: prima il celebre Nuovo Cinema Paradiso, e poi il meno famoso Una pura formalità, che però mi è piaciuto di più, e non di poco.

Andiamo subito a tratteggiare in modo assai sommario la trama del film: un uomo, che poi si rivelerà essere il noto scrittore Onoff (Gérard Depardieu; Sta' zitto, non rompere, La capra, Le placard - L’apparenza inganna, Vita di Pi, Nemico pubblico N.1 - L'istinto di morte) corre a perdifiato in un bosco, e sotto una piogia battente, quando viene infine fermato da un posto di blocco della polizia.
Verrà trattenuto e interrogato a lungo dal commissario (Roman Polanski, regista più che attore; La nona porta, Rosemary's baby), affiancato da un manipolo di gendarmi, tra cui spicca lo stenografo (Sergio Rubini, lui mezzo attore e mezzo regista; NirvanaDenti, Il viaggio della sposa, La terra, Colpo d'occhio, L'anima gemella, L'amore ritorna) giacché non distante dal luogo nella notte è avvenuto un omicidio.
Il problema è che l’uomo non si ricordo bene cosa gli è successo di recente… 

Impossibile svelare altro della trama senza rovinare il gusto della visione a chi non avesse visto ancora il film, però è doveroso citare perlomeno il genere del film, che oscilla tra drammatico, psicologico, grottesco e fantastico.

Una pura formalità è l’esempio lampante di come si possa mettere su un buon film a partire da una buona sceneggiatura, anche senza mezzi tecnici o persino scenografici notevoli, giacché quasi l’intero film si svolge all’interno di un casolare di campagna, e gli attori principali sono solo tre, circondati da alcuni ruoli men che secondari.

Eppure, la trama regge, e il film è interessante per tutta la sua durata, e anzi alla fine sorprende.
Sorprende anche come il film sia praticamente sconosciuto (o, perlomeno, io non ne avevo sentito parlare fino ad oggi), e dunque non sia stato valorizzato, laddove invece casi similari di film americani hanno avuto successi mondiali.

Un vero peccato.
Di mio, tra la tendenza italico-storica di Nuovo Cinema Paradiso, che pure non mi è dispiaciuto, e l'originalità di Una pura formalità, ho preferito nettamente questo secondo film di Giuseppe Tornatore, tanto che il nome del regista italiano probabilmente non scomparirà dal mio taccuino investigativo.

Bravo come al solito Gérard Depardieu, attore tanto comico quanto drammatico, e bravo anche Roman Polanski, che evidentemente sa di cinema a tutto tondo, essendo stato buon attore e buon regista (La nona porta e Rosemary’s baby, pur se film non particolarmente positivi, sono entrati nella storia del cinema).

Fosco Del Nero



Titolo: Una pura formalità.
Genere: grottesco, drammatico, psicologico, fantastico.
Regista: Giuseppe Tornatore.
Attori: Gérard Depardieu, Roman Polanski, Sergio Rubini, Nicola Di Pinto, Paolo Lombardi, Tano Cimarosa, Maria Rosa Spagnolo, Alberto Sironi, Giovanni Morricone.
Anno: 1994.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 12 giugno 2019

Ghost in the shell - Mamoru Oshii

Il film recensito oggi è Ghost in the shell, titolo che tradotto suonerebbe come “Lo spirito nel guscio”… certamente più di “Il fantasma nella conchiglia”, titolo che dal canto suo si abbinerebbe bene a un racconto dell'orrore.

Non amo molto i film d’azione, futuristici e tecnologici… a meno che in essi l’azione non sia fine a se stessa e non vi siano anche dei contenuti interessanti: è questo il caso di Ghost in the shell, film d’animazione del 1995 diretto da Mamoru Oshii e tratto dall’omonimo manga di Masamune Shirow, autore che è stato tra le mie passioni fumettistiche adolescenziali, e che a tutt’oggi ogni tanto mi rileggo con piacere (OrionDominion, Appleseed, etc).

Andiamo davvero indietro nel tempo, tanto che non mi ricordo se in quegli anni vidi o meno il primo Ghost in the shell. Di sicuro vidi il seguito, Ghost in the shell - L’attacco dei cyborg, chiamato anche Ghost in the shell - Innocence, quando uscì nel 2005, ma non mi ricordo se in precedenza avessi visto o meno il primo episodio.

Per colmare l’eventuale lacuna, ho proceduto a una visione contemporanea, con buoni risultati, nel senso che l’opera mi è piaciuta, nonostante il livello tecnico ormai piuttosto risalente e non certo paragonabile alle opere d’animazione odierne (lo stesso Innocence dà al primo episodio parecchi punti a livello di tecnica, grazie al suo vantaggio di nove anni).

Andiamo alla trama di Ghost in the shell, ambientato in un futuro iper-tecnologico come tutte le opere di Masamune Shirow (l’unica un po’ differente in tal senso è il bellissimo Orion, ispiratissimo mix tra fantasy e fantascienza, e proprio per questo il mio preferito tra tutti): siamo nel 2029, in un mondo ormai quasi del tutto tecnologicizzato. Persino i corpi umani contengono molti impianti bionici, quando molto e quando poco, e girano persino umanoidi che son del tutto robot, senza parti umane.
Quel che non è cambiato è che le nazioni sono sempre in guerra tra di loro e che le diplomazie son sempre al lavoro; vale la stessa cosa tra le sezioni interne allo stesso governo, come ad esempio la sezione 6 e la sezione 9.
La protagonista della storia è il tenente Motoko Kusanagi, una cyborg impiegato in diverse mansioni: poliziesche, investigative, etc, la quale finirà per avere a che fare col “Burattinaio” (altrimenti chiamato “Signore dei Pupazzi”, titolo parecchio evocativo), un hacker molto potente che sta combinando guai a tutto spiano.

Non dico altro della trama, ma sottolineo l’elemento portante del film, ciò che lo rende interessante in generale e nel dettaglio da un punto di vista profondo-esistenziale: si parla in sintesi della coscienza e dell’espansione della coscienza.
E, dunque, di concetti correlati come la personalità individuale relazionata all’esistenza collettiva, la contrapposizione tra realtà e irrealtà, l’apertura, la fusione e la rinascita.

A riprova di tali valenze esistenziali del film, si dica che esso non solo ha avuto un grande successo in Oriente, ma anche un discreto successo in Occidente, ma che è stato anche un punto di riferimento per opere successive, come Matrix

In conclusione di articolo, aggiungo qualche frase interessante estrapolata dal film.

“Sento una vocina che sussurra nel mio spirito.”

“È essenziale guardare una cosa da angolazioni differenti. Ciò che vale per il gruppo vale anche per l'individuo. Il concetto è semplice: un’eccessiva specializzazione porta alla debolezza, a una lenta morte.”

“Lo sai chi sei?”

“Che cosa avete detto, è un'esperienza simulata?”
“Esatto: tutti i ricordi riguardanti sua moglie e sua figlia sono falsi, come un sogno. Sono esperienze simulate, una pura illusione.”

“Che si tratti di esperienza simulata o sogno, le informazioni sono allo stesso tempo realtà e fantasia.”

“Quella determinata personalità esiste oppure no?”

“Ci sono innumerevoli elementi che formano il corpo e la mente degli esseri umani, come innumerevoli sono i componenti che fanno di me un individuo, con la mia propria personalità.
Certo, ho una faccia e una voce che mi distinguono da tutti gli altri, ma i miei pensieri e i miei ricordi appartengono unicamente a me, e ho consapevolezza del mio destino. Ognuna di queste cose non è che una piccola parte del tutto. Io raccolgo dati che uso a modo mio, e questo crea un miscuglio che mi dà forma come individuo, da cui emerge la mia coscienza. Mi sento prigioniera, libera di espandermi solo entro confini prestabiliti.”

“Ciò che vediamo ora non è che una pallida immagine allo specchio, ma presto il velo cadrà e noi vedremo.”

“A volte sospetto di non essere ciò che credo, di essere morta molto tempo fa, e che qualcuno abbia preso il mio cervello e l’abbia infilato in questo corpo. O forse in realtà non sono mai esistita.”

“Non troverete mai un cadavere perché io non ho mai avuto un corpo.”

“Io mi considero una forma di vita intelligente in quanto consapevole e in grado di riconoscere la mia propria esistenza. Ma allo stato attuale sono ancora incompleto.”

“Ogni essere vivente deve morire.
Perciò anch’io abbraccerò la morte.”

“Tutte le cose cambiano in un ambiente dinamico. 
Il tuo sforzo di rimanere ciò che sei è quello che ti limita.”

“Fino ad ora siamo stati costretti entro i nostri limiti; ma è arrivato il momento di spezzare questi lacci e di elevare la nostra consapevolezza a un livello superiore. 
È il momento di diventare parte di tutte le cose.”

“Presto il velo cadrà e noi vedremo.”

Insomma, siamo sì nella fantascienza, ma è anche una fantascienza che sa di consapevolezza, di zen e di non dualità… e non è mica poco, pur se travestito da film d’azione fantascientifica.

Ultimo commento su Ghost in the shell: se il comparto grafico, pur buono, paga necessariamente dazio ai tempi, la colonna sonora è piuttosto magnificente… peraltro bissata dal seguito Innocence, che recensirò in seguito.

Fosco Del Nero



Titolo: Ghost in the shell (Kokaku kidotai).
Genere: anime, animazione, fantascienza, cyberpunk.
Regista: Mamoru Oshii.
Anno: 1995.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


martedì 11 giugno 2019

Animali fantastici e dove trovarli - David Yates

Ero abbastanza ansioso (si fa per dire) di vedere Animali fantastici e dove trovarli per diversi motivi.
Il primo, ovvio, è che sono un grande fan della saga di Harry Potter, libri e film, e desideravo che questa nuova saga (una pentalogia) fosse all’altezza della precedente… o comunque non troppo lontano come qualità e interesse.

Il secondo è che l’omonimo libro di J.K. Rowling diveniva film con una sceneggiatura della stessa Rowling.

Il terzo è che in cabina di regia c’era nuovamente David Yates, a cui erano stati affidati gli ultimi quattro degli otto film totali dedicati alla saga di Harry Potter…  film che personalmente non avevo troppo amato, ritenendoli anzi i film peggiori tra tutti quelli prodotti.

A conti fatti, com’è andato questo primo spin off cinematografico della serie di Harry Potter?
Direi bene, e anzi per una volta David Yates mi ha sorpreso in positivo… 
… anche se forse la cosa è legata al non aver letto il romanzo da cui è stato tratto il film (mentre negli altri casi avevo letto i romanzi prima di vedere i film). 

Ma andiamo con ordine, e vediamo la trama di Animali fantastici e dove trovarli, film che peraltro ha vinto il premio Oscar per i migliori costumi: siamo nel 1926 a New York, dove sbarca dalla nave il giovane (ma non troppo) Newt Scamander (Eddie Redmayne; I pilastri della terra), intenzionato a procurarsi un animale raro che viene allevato solo in quella zona.
Newt Scamander ha una particolarità: ama gli animali magici (in questo ricorda Hagrid, anche lui appassionato di animali pericolosi), anche quelli che normalmente sono odiati o temuti, e anzi ne ha un intero allevamento… racchiuso nella sua valigia magica. Valigia difettosa, ahimé, tanto che, proprio a New York, riesce a scappare da essa uno snaso, una creatura che adora i metalli preziosi e li ruba a tutto spiano.
Si accorge della cosa Porpentina Goldstein (Katherine Waterston; Covenant, Animali fantastici - I crimini di Grindelwald), ex auror, espulsa dall’ordine per un episodio di violenza (mentre al contrario Newt Scamander è stato espulso dalla scuola di Hogwarts per intemperanze e inosservanze ai regolamenti), che condurrà il giovane al Macusa, il Magico Congresso degli Stati Uniti d'America, per essere giudicato per la sua violazione del regolamento magico, violazione che rischia di spargere il panico tra la popolazione dei non magici con la quale i rapporti sono già tesi: qualcuno crede all’esistenza delle streghe e dei maghi e vuole impedir loro di esistere, mentre qualcun altro ritiene ciò delle sciocchezze.
Nella storia entreranno anche Queenie Goldstein (Alison Sudol), una legilimens sorella minore della suddetta ex auror; Jacob Kowalski (Dan Fogler; Tutte pazze per Charlie, Fanboys), un no-mag (che è il modo che hanno i maghi americani per chiamare i babbani); il forte auror Percival Graves (Colin Farrell; The new world - Il nuovo mondo, Sogni e delitti, In Bruges - La coscienza dell’assassino); la presidentessa del Macusa Seraphina PicqueryMary Lou Barebone, leader del movimento che mira a scovare ed uccidere tutti i maghi e le streghe; Credence Barebone, un trovatello cresciuto nell’orfanotrofio gestito da Mary Lou Barebone.
E non è tutto: abbiamo in giro il famoso Gellert Grindelwald, il più potente mago oscuro prima di Voldemort, sconfitto solo da Albus Silente, nonché un potente obscurus, che sarebbe un’incontrollata energia magica distruttiva nata dalla negazione del proprio potere magico, che sta andando in giro per New York distruggendo e uccidendo quello che gli capita sotto tiro, esseri umani compresi. 

Ce n’è abbastanza, dunque, e soprattutto ce n’è abbastanza con un cambio completo di ambientazione: addirittura, la Rowling ha deciso di cambiare nazione e continente, forse anche per “colonizzare” e fidelizzare a dovere gli Usa, il mercato letterario e cinematografico più florido tra tutti.
Cambia la nazione, cambia l’epoca, cambia il modo di parlare, cambiano anche cultura e personaggi: un salto coraggioso, ma che dà i suoi frutti, almeno giudicando questo film di buon valore, che dà molto spazio a magia, effetti speciali, azione e anche all’elemento orrorifico, ma che, a differenza degli altri film di David Yates, tiene in buon conto anche commedia e sentimenti umani, proprio quello che era mancato a mio avviso nei suoi film potteriani.
Se ne sarà accorto nel frattempo, o gli sarà stato detto.
Comunque, detto tra parentesi, questo film era stato offerto ad Alfonso Cuarón, regista di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, non a caso uno dei film più riusciti del ciclo , ma egli, purtroppo, ha rifiutato.

Certo, la trama non è quella di Harry Potter, che credo sarà inarrivabile per qualunque altro romanzo scriverà la Rowling, ma con questo primo film siamo comunque su buoni livelli.

Molto bravo il protagonista Eddie Redmayne, e bene nei loro ruoli anche Alison Sudol e Dan Fogler.
Non mi ha convinto appieno invece Katherine Waterston con il suo perenne broncio.
Curioso il cameo di pochi secondi di Johnny Depp… che personalmente ho trovato, chissà perché, fuori luogo.

In conclusione, ben fatto per questo Animali fantastici e dove trovarli, e speriamo che i prossimi quattro film siano ancora meglio.

Fosco Del Nero



Titolo: Animali fantastici e dove trovarli (Fantastic beasts and where To find them).
Genere: fantasy, commedia.
Regista: David Yates.
Attori: Ezra Miller, Eddie Redmayne, Colin Farrell, Ron Perlman, Jon Voight, Samantha Morton, Gemma Chan, Katherine Waterston, Carmen Ejogo, Dan Fogler, Christine Marzano, Ron Perlman.
Anno: 2016.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 5 giugno 2019

Johnny Suede - Tom DiCillo

Dovevo vedere Johnny Suede da molti anni, ma non lo avevo mai fatto fino ad ora.
Ed ora che l’ho fatto, eccone la recensione.

Intanto, siamo nell’ormai lontano 1991: alla regia c’è l’esordiente Tom DiCillo, che in seguito ha fatto una carriera men che mediocre, mentre davanti alla cinepresa c’è un giovanissimo Brad Pitt, che non era all’esordio, ma quasi.
Da citare anche le partecipazioni del cantante Nick Cave e dell’attrice Catherine Keener (c’è anche Samuel Lee Jackson in una parte del tutto secondaria).

Ed ecco la trama di Johnny Suede: siamo negli anni Cinquanta negli Stati Uniti, e precisamente in una New York molto urbana, cementificata, scura e un po’ povera… o almeno questi sono gli ambienti che frequenta il giovane Johnny, giunto nella Grande Mela con la speranza di diventare un cantante rockabilly di successo, ma di fatto costretto a barcamenarsi per sbarcare il lunario.
Il suo obiettivo momentaneo è mettere su una rock band con alcuni amici, ma anch’essi son costretti a badare a soldi e vita quotidiana, per cui il suo desiderio rimane sempre inesaudito.
Nel mentre, ci sono le donne: prima la femminile Darlette, e poi la più tosta Yvonne, e anzi l’ambito sentimentale prenderà man mano più spazio di quello carrieristico-musicale… per il quale anzi Johnny non sembra impegnarsi troppo.

Johnny Suede ha un tono leggero, nei dialoghi e negli eventi, ma in realtà ha un sottosapore assai triste e drammatico, quello di una persona che non ha trovato il suo posto nella vita e lo cerca nel successo esterno, che sia musica o amore: cerca fuori, insomma, e si “trucca” (capelli, abiti, scarpe ricercate) per darsi un tono.

Brad Pitt già mostrava il suo talento, e proprio questo film ha contribuito ad aumentarne la fama; brava anche Catherine Keener… ma è proprio il film che non si regge troppo bene in piedi da solo, nel senso che non ha niente da offrire oltre alla figura fragile e sola del pur simpatico personaggio di Johnny Suede, e anche i personaggi di contorno sono dello stesso stampo: tutti problematici e un po’ leggeri. I dialoghi piuttosto vuoti e pacchiani riflettono tale caratterizzazione di basso profilo.

In conclusione, sono anche contento di essermi finalmente tolto lo sfizio di vedermi Johnny Suede, ma dubito che lo vedrò ancora in futuro.

Fosco Del Nero



Titolo: Johnny Suede (Johnny Suede).
Genere: drammatico, commedia, sentimentale.
Regista: Tom DiCillo.
Attori: Brad Pitt, Catherine Keener, Alison Moir, Nick Cave, Calvin Levels, Peter McRobbie.
Anno: 1991.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 4 giugno 2019

L’astronave degli esseri perduti - Roy Ward Baker

Online avevo letto pareri positivi su un vecchio film di fantascienza, L’astronave degli esseri perduti, per cui me lo sono visto.
Preciso di non conoscere né regista, né attori, e quindi di averlo visto “pulito”, per così dire, senza riferimenti o aspettative di alcun tipo.

Ecco la trama de L’astronave degli esseri perduti, film girato nel 1967: a Londra si stanno svolgendo dei lavori per l’ammodernamento della metropolitana, quando viene ritrovato un teschio, e poi altri teschi e parti di scheletri. I lavori vengono allora sospesi e vengono convocati sul posto gli archeologi, guidati dal paleontologo Matthew Roney, i quali a loro volta troveranno qualcosa di ancor più strano, ossia  un materiale sconosciuto, che si rivelerà essere quello di una sorta di missile o navicella spaziale. A quel punto vengono sospesi i lavori degli archeologi e viene affidato tutti ai militari, capeggiati dal Colonnello Breen, uomo particolarmente ottuso e già scontratosi col più brillante Professor Quatermas.
I tre discuteranno a lungo su cosa sia quell’artefatto dal materiale sconosciuto… nonché i vari corpi insettoidi che sono stati trovati al suo interno, simili a locuste lunghe circa mezzo metro. 

Il Colonnello pensa che sia un razzo tedesco fatto dai nazisti (fa ridere come per circa mezzo secolo gli statunitensi abbiano scaricato qualsiasi cosa sui nazisti… e lo fanno ancora oggi, peraltro), allo scopo di terrorizzare la popolazione, mentre il Professor Quatermas, congiuntamente col paleontologo, ha sviluppato un’altra teoria, ben più audace: si tratta di una razza aliena che, scacciata da Marte cinque milioni di anni prima, si è recata sulla Terra per cercare di sopravvivere, ma, non trovando un ambiente ad essa adatto, ha cercato perlomeno una sopravvivenza traslata, modificando una razza di primati trovata sul pianeta e trasferendole parte dei suoi ricordi (a quanto pare l'idea di una razza aliena che in un passato ha interagito l'ominide terrestre non è nuova e anzi è abbastanza radicata nell'inconscio umano).

Il quartiere in cui è stata trovata la navicella, peraltro, è sempre stato conosciuto per le manifestazioni demoniache, vengono a scoprire i ricercatori in questione, mentre la zona era nota fin dall'antichità per i fenomeni diabolici che vi avvenivano.
Insomma, sembra che l’artefatto per qualche motivo veicolasse l’energia di odio e paura portata dagli alieni sulla Terra… col rischio che lo faccia di nuovo ora che è stata riaperta. 

L’astronave degli esseri perduti ha una trama sufficientemente elaborata e interessante, però pecca in modo importante su diversi fronti: l’aspetto tecnico di effetti speciali e dintorni è ridicolo, specie visto con gli occhi di oggi, e certi punti di vista insostenibili per la loro deficienza, quale quello del Colonnello Breen ma in generale dei politici che decidono il da farsi, rendendo la storia estremamente inverosimile, persino più del corpo di insetti super-intelligenti e capaci di costruire navicelle spaziali potentissime, ma privi di mani o qualsivoglia arto utile a comporre e realizzare oggetti materiali (il che dice qualcosa non sull'intelligenza degli insetti, ma su quella dei creatori del film).

Insomma, L’astronave degli esseri perduti si inscrive in quel filone fantascientifico degli anni "50 e "60 parecchio ingenuotto e semplicistico, qua ravvivato un po’ dal filone secondario orrorifico, che però non si regge in piedi visto in modo imparziale e non con gli occhi di qualche nostalgico.
La conclusione è che non mi vedrò gli altri film dedicati al personaggio del Professor Quatermas.

Fosco Del Nero



Titolo: L’astronave degli esseri perduti (Quatermass and the pit).
Genere: fantascienza, drammatico.
Regista: Roy Ward Baker.
Attori: Duncan Lamont, James Donald, Andrew Keir, Barbara Shelley, Julian Glover, Bryan Marshall, Peter Copley, Edwin Richfield.
Anno: 1967.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


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