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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 26 agosto 2020

FBI - Operazione gatto - Robert Stevenson

Ogni tanto vado a vedermi qualche vecchio film degli anni “60, col duplice scopo di ritrovare qualche film visto da bambino e poi mai più rivisto e di trovare qualche film che sia all’altezza di Mary Poppins: altezza cinematografica e interiore.

Se ogni tanto pesco qualcosa dal primo mazzo, quello dei film visti una volta e mai più rivisti, il secondo mazzo è ben più difficile da trovare, e anzi inizio a considerarlo un caso, una produzione isolata e fortunata.

Prova ne è il fatto che gli altri film diretti da Robert Stevenson, regista di Mary Poppins, non presentano alcun contenuto interiore, che evidentemente era dato dall’autrice del romanzo originario, quella Pamela Lyndon Travers allieva diretta di Gurdjieff.

Il film recensito quest’oggi, FBI - Operazione gatto, anch’esso diretto da Robert Stevenson, va nella direzione accennata: è un film per famiglie, una commedia dolce e simpatica, ma non ha alcuna profondità ulteriore.

Ecco la trama: i due malviventi Dan e Iggy, dopo aver rapinato una banca con successo, sono fuggiti e hanno preso con loro, come ostaggio, una donna. FBI e polizia li stanno cercando, ma senza fortuna. Si imbatte in loro, invece, un gatto semi-domestico e semi-randagio, tale Gigì, al quale la donna mette al collo il suo orologio da polso, su cui riesce anche a scrivere un abbozzo di richiesta di aiuto, nella speranza che qualcuno trovi gatto, orologio e richiesta.
Trova tutto quanto la giovane e sveglia Patti Randall (la brava e carinissima Hayley Mills; Il segreto di Pollyanna, Il cowboy con il velo da sposaMagia d'estate, Il giardino di gessoI figli del capitano Grant), che coinvolgerà sia la sorella Ingrid (Dorothy ProvineQuesto pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondoLa grande corsaScusa, me lo presti tuo marito?) che l’agente dell’FBI Zeke Kelso (Dean Jones; 4 bassotti per 1 danese, Il fantasma del pirata Barbanera, Un maggiolino tutto matto) nella caccia ai malviventi, organizzata praticamente tramite appostamenti e inseguimenti al gatto in questione.

FBI - Operazione gatto è un classico film per famiglie di quei tempi: il regista è quello “giusto”, l’attore principale è quello giusto, colui che di lì a breve avrebbe ulteriormente sfondato con 4 bassotti per 1 danese e Un maggiolino tutto matto, imponendosi come volto maschile dei film Disney di quegli anni, e le attrici protagoniste sono quelle giuste, una più giovane e l’altra più matura, ma entrambe belle e a posto.

C’è una parvenza di violenza, la rapina, il rapimento e la minaccia di assassinio, ma il tutto è trattato in modo leggero e fresco, e come andrà a finire è piuttosto ovvio.

Per il resto, scenografia ok e costumi ok; più brillanti invece personaggi e dialoghi.
Il risultato finale è un discreto film, che fa piacere vedere ma che, a meno che non si abbiano bambini che lo vogliano rivedere, difficilmente si rivedrà da adulti.

E Mary Poppins continua ad essere lontano… forse l’unico film che le si è avvicinato per tutti e tre i suoi contesti (trama, musica, energia interiore) è Chitty chitty bang bang, ma anch’esso da una certa distanza.

Fosco Del Nero



Titolo: FBI - Operazione gatto (That darn cat)
Genere: commedia, comico.
Regista: Robert Stevenson.
Attori: Dean Jones, Elsa Lanchester, Hayley Mills, Dorothy Provine, Iris Adrian, Roddy McDowall, Tom Lowell, Frank Gorshin, Neville Brand, Roddy McDowall, Elsa Lanchester.
Anno: 1965.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 25 agosto 2020

Suicide squad - David Ayer

Raramente ho visto un inutile dispiego di mezzi tecnici come in Suicide squad… e la recensione del film in questione, abbinata al voto numerico, potrebbe persino terminare così.
Tuttavia, proseguo per motivare le mie parole.

Cominciamo dalla trama del film, il quale è ambientato in una realtà alternativa nella quale i supereroi come Superman e Batman sono personaggi esistenti e nella quale esistono degli altri personaggi a dir poco surreali… e certamente non tutti positivi.

Per la precisione, Superman era un personaggio esistente, ma è morto di recente, cosa che porta l’intelligence degli Stati Uniti a cercare una soluzione alternativa. Batman (Ben Affleck; Paycheck, Dogma, La vita è un sogno, L’amore bugiardo) è ancora vivo, ma evidentemente non è ritenuto affidabile dal governo Usa, o forse egli non esce da Gotham City, per cui si pensa a creare una task force composta da svariati criminali fuori di testa, ognuno con qualche talento particolare, che a volte è una mira super-precisa e a volte è appartenere a un’altra razza para-umana. 

La suddetta squadra è composta dal cecchino Deadshot (Will SmithIo sono leggendaHitchMen in blackHancockLa leggenda di Bagger VanceAfter EarthSette anime, Bright), il rapinatore australiano Captain Boomerang (Jai Courtney), il gangster pirocinetico El Diablo (Jay Hernandez), l’uomo-alligatore Killer Croc (Adewale Akinnuoye-Agbaje; il Mister Eko di Lost), il mercenario Slipknot (Adam Beach) e l'ex-psichiatra Harley Quinn (Margot Robbie)… ex psichiatra e ora pazza e fidanzata di Joker (Jared Leto; Mr. Nobody, Requiem for a dreamBlade runner 2049).
Il gruppo verrà mandato in missione per contrastare nientemeno che un’antica divinità, tale Incantatrice, la quale ha preso possesso del corpo dell’archeologa June Moone (Cara Delevingne; Valerian e la città dei mille pianetiCarnival Row).

Essenzialmente, il film è un film fantastico fortemente orientato all’azione, con tanto di sparatorie, magia ed effetti speciali a tutto spiano.

Prima cosa da sottolineare: il cast è di livello, visto che un cast con dentro Jared Leto, Will Smith, Margot Robbie, Ben Affleck, Cara Delevingne e gli altri è per forza un cast di ottimo livello.
In particolare, si segnala l’interpretazione di Margot Robbie, davvero brillante (tanto che mi è venuta voglia di vederlo anche in lingua originale per sentirla in inglese… ma non è così necessario in fin dei conti). Will Smith è sempre il solito affidabile attore, invece, e se ormai ha una certa età va detto che è ancora a dir poco in forma.

Seconda cosa: il regista David Ayer lo avevo incontrato solo in Bright, che è il suo film immediatamente successivo, con cui condivide l’ambientazione fantastica con tanto di personaggi fantasy, l’incipit con graffiti sui muri (questa una bella idea… che però non è che può proporre in ogni suo lavoro) e il genere fortemente orientato all’azione… all’azione un po’ vuota, dovrei dire.

Veniamo ora al punto dolente di Suicide Squad: la sceneggiatura.
Essenzialmente si tratta di un film fantastico d’azione destinato al largo pubblico. Al largo pubblico di adulti mentalmente pigri e di ragazzini, per essere precisi.

Ultima considerazione sul film di David Ayer: potrebbe forse sembrare strano che per tale film abbia ottenuto una nomination agli Oscar e due nomination ai Razzie award.
La cosa si spiega però agevolmente considerando che gli Oscar hanno nominato il film per il miglior trucco (e ci sta alla grande: trucco ed effetti speciali sono di livello), mentre i Razzie Award hanno nominato il film come peggiore sceneggiatura… per l’appunto.

Lo so che i soldi vanno dove si dirige l’attenzione della gente, e che la gente per la gran parte è folla, e folla un po’ dormiente, ma davvero duole constatare come una enorme massa di soldi sia stata spesa per un film di livello così mediocre, e men che mediocre.
Il tutto però è coerente: il film è costato 175 milioni di dollari e ne ha incassato 745… non male come incasso, ma decisamente male come prodotto.

A migliori traguardi.

Fosco Del Nero



Titolo: Suicide squad (Suicide squad)
Genere: fantastico, azione, commedia.
Regista:  David Ayer.
Attori: Jared Leto, Ben Affleck, Will Smith, Margot Robbie, Joel Kinnaman, Jai Courtney, Adam Beach, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Jay Hernandez, Karen Fukuhara, Scott Eastwood, Cara Delevingne, Viola Davis.
Anno: 2016.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 19 agosto 2020

Darby O'Gill e il re dei folletti - Robert Stevenson

Con Darby O'Gill e il re dei folletti ho preso due piccioni con una fava: mi sono guardato uno dei film diretti intorno agli anni “60 da Robert Stevenson e ho ritrovato un vecchio film che avevo visto da bambino e di cui avevo un vaghissimo ricordo: talmente tanto vago che mi rimembravo solo la presenza di spiriti in un’ambientazione britannica.

Il ricordarmi della locazione più specificamente irlandese, nonché il termine “banshee” (che sentii per la prima volta da bambino proprio in quel film) ha aiutato il riconoscimento.

Quanto a Robert Stevenson, non si tratta del Robert Louis Stevenson autore de L’isola del tesoro, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde e La freccia nera, bensì del quasi omonimo Robert Stevenson regista di Mary PoppinsPomi d’ottone e manici di scopa e Il fantasma del pirata Barbanera, diretti da lì a pochi anni.
In Darby O'Gill e il re dei folletti, inoltre, ho trovato anche uno Sean Connery giovanissimo.

Ecco la trama del film in poche parole: siamo nell’Irlanda del XIX secolo, nella quale ancora vi sono differenze di classe piuttosto nette e marcate, e nella quale ancora è discretamente forte la credenza nel “piccolo popolo”, ossia folletti e simili, nonché in spiriti più o meno malvagi, le “banshee”.

Darby O'Gill (Albert Sharpe) non solo crede in essi, ma afferma di averli incontrati, e di aver conosciuto nientemeno che il Re dei Folletti, un burlone di circa 500 anni. Dopo essere stato da lui ingannato in un’occasione, si prende la rivincita e riesce addirittura a catturarlo, con l’intenzione di costringerlo a realizzare tre suoi desideri.

Il tutto però non è così semplice: da un lato egli ha perso il posto di custode in favore del più giovane e aitante Michael McBride (Sean Connery), il quale a sua volta cerca di conquistare il cuore della bella Kathy, la figlia del vecchio custode, che in un’occasione rischia di morire tanto da spingere il padre a…

Darby O'Gill e il re dei folletti essenzialmente è un film semplice, vivacizzato solo dall’elemento soprannaturale dei folletti, con i loro balli e le loro burle, nonché da qualche canzone dislocata qui e lì nel film: poca roba, ma il tanto sufficiente per classificare il film come “musicale”.

La trama è piuttosto lineare, nel senso che esso è composto da tre sottotrame (socio-lavorativa, soprannaturale e sentimentale) tutte e tre piuttosto prevedibili. Siamo nel 1959, quindi gli effetti speciali sono quello che sono, ma il film se la cava sufficientemente bene in ogni area, compresa quella musicale, pur ristretta.

Curioso il fatto che esso sia essenzialmente una commedia, persino tendente al comico/brillante, e certamente un film nato per essere per famiglie e anche per bambini, ma che al contempo proponga nella sua fase finale delle scene paurose… tanto che io, da bambino, ne rimasi abbastanza impressionato: infatti quelle scene erano l’unica cosa del film che mi ricordavo, non la storia d’amore e non i balli dei folletti.

Son contento di aver ritrovato Darby O'Gill e il re dei folletti, anche se nel complesso è un film curioso, vivace e folkloristico, ma certamente non imperdibile.

Fosco Del Nero



Titolo: Darby O'Gill e il re dei folletti (Darby O’Gill & little people)
Genere: fantastico, commedia, musicale.
Regista: Robert Stevenson.
Attori: Albert Sharpe, Janet Munro, Estelle Winwood, Sean Connery, Jimmy O'Dea, Kieron Moore.
Anno: 1959.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


martedì 18 agosto 2020

I laureati - Leonardo Pieraccioni

Ai dodici film finora girati da Pieraccioni me ne mancava solamente uno, il primo: I laureati.
Eccolo qui, dunque… e ho avuto qualche sorpresa, devo dire.

Ma prima, partiamo con la trama del film: quattro trentenni fuori corso ma ancora desiderosi di prendere la laurea, ognuno per i suoi motivi, condividono un appartamento a Firenze… ma è un appartamento in cui si studia davvero poco.
Il primo, Leonardo Paci (Leonardo Pieraccioni), è preso più dalla bella Letizia, fotomodella sorella del secondo, Rocco (Rocco Papaleo… e finora non si sono sforzati troppo con i nomi), mentre il terzo, Pino Noferini (Massimo Ceccherini), è preda delle sue velleità artistiche e il quarto, Bruno (Gianmarco Tognazzi), è preso tra i due fuochi di moglie e amante.

Insomma, ognuno ha altro da fare che non studiare, e infatti di libri e di esami neanche l’ombra, come loro stessi hanno modo di sottolineare.
Il film mostra per un po’ di tempo le loro storie e fornirà loro l’occasione per riflettere sul loro futuro.

Ecco le sorprese del film.
Massimo Ceccherini non ha la parte del fuori di testa, ma al contrario quella dell’artista più colto degli altri. Davvero curioso, per ciò che è andato a rappresentare poi, sia come ruoli cinematografici sia come macchietta personale.
Ugualmente, Rocco Papaleo non interpreta un maniaco del sesso come suo solito, ma anzi la persona più seria e ligia dei quattro.
Mentre le relazioni sentimentali (con le belle di turno) hanno costituito il vero perno centrale dei futuri film di Pieraccioni, in questo tale fattore si dimostra piuttosto marginale, nonostante le premesse dell’avvio del film.

Sono conferme invece il solito tono scanzonato e leggero di tutti i film di Pieraccioni, e l’umorismo tipicamente toscano.
Conferma anche per il ruolo secondario ed esistenzialmente debole e malinconico portato avanti da Alessandro Haber (che evidentemente pare avere il ruolo del "pagliaccio triste").

Nel complesso, I laureati non mi è dispiaciuto, e anzi è lo valuto come un poco migliore rispetto alle ultime produzioni di Pieraccioni (che temo ormai abbia già dato il meglio di sé, nonostante non sia certamente vecchio), ma l’ho trovato meno efficaci dei film che invece lo hanno seguito, e che non a caso gli hanno dato un grande successo, da Il ciclone a Ti amo in tutte le lingue del mondo.

Fosco Del Nero



Titolo: I laureati.
Genere: commedia, comico.
Regista: Leonardo Pieraccioni.
Attori: Leonardo Pieraccioni, Gianmarco Tognazzi, Rocco Papaleo, Massimo Ceccherini, Maria Grazia Cucinotta, Narciso Parigi, Massimo Sarchielli, Alessandro Haber, Carlo Monni, Bruno Colella, Tosca D'Aquino.
Anno: 1995.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


giovedì 13 agosto 2020

Il seme della follia - John Carpenter

Dopo alcuni film degli anni “80, faccio un salto in avanti negli anni “90 per recensire Il seme della follia, film di John Carpenter.
Il suddetto regista è noto soprattutto per film horror quali La cosa, Il signore del male e questo stesso Il seme della follia, anche se io l’ho apprezzato soprattutto in They live - Essi vivono in virtù dei risvolti simbolici della storia… alcuni simbolici e alcuni letterali (ho recensito anche Dark star).

Nell’accostarmi a Il seme della follia speravo dunque in qualcosa di questo tipo, tuttavia son stato in parte deluso, visto che il film si muove assolutamente sul primo versante, mentre il secondo è meno  rilevante (ma qualcosa pur c’è).

Partiamo dalle basi: il film è ispirato a un racconto di H.P. Lovecraft, maestro dell’incubo che era uno dei miei scrittori preferiti da adolescente, e segnatamente a Le montagne della follia, che il film ricorda anche nel titolo (il titolo originale del film, a proposito, è In the mouth of madness, letteralmente "Nella bocca della follia"). Parliamo quindi di orrore, e soprattutto di un orrore mentale, psicologico, interiore, ancor prima che fisico ed esteriore… ciò che è poi il vero orrore, la vera paura, perché va a toccare l’interiorità umana senza basare viceversa la storia su effetti speciali, mostri, rumori spaventosi e improvvisi, etc.

Intendiamoci, non che ne Il seme della follia i mostri manchino, tutt’altro, ma non sono mostri che aggrediscono e uccidono, bensì mostri che generano così tanta inquietudine e orrore da condurre alla pazzia. Difatti, sul primo versante il protagonista non si fa nemmeno un graffio, mentre sul secondo finisce rinchiuso in una cella di un manicomio.
Il film peraltro inizia proprio così, col protagonista folle e rinchiuso in cella, per poi riavvolgere il nastro all’inizio tramite un racconto e giungere infine al finale, che è un finale ambiguo e che si presta a varie interpretazioni.

Ma ecco la trama sommaria del film: John Trent (Sam Neill; Merlino, L’uomo bicentenario, Daybreakers - L’ultimo vampiro) è un investigatore privato specializzato in truffe contro le assicurazioni, il quale viene mandato a indagare, dall’editore Jackson Harglow (Charlton Heston; Il pianeta delle scimmie, 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, 2022: i sopravvissuti), in coppia con l’affascinante Linda Styles, sulla sparizione del celebre scrittore Sutter Cane, un autore in stile Stephen King, che difatti è citato nel film, famoso in tutto il mondo e capace di vendere un miliardo di copie (questo forse è l’elemento più fantastico del film).
L’autore in questione è sparito, il suo agente è impazzito e ha cercato di uccidere delle persone con un’ascia finendo per essere lui stesso ucciso da un agente di polizia, e in giro pare crescere il livello di pazzia, che a Sam vien detto essere connesso con gli stessi libri di Cane, a quanto pare capaci di rendere folli le persone, col fine ultimo che sarebbe quello di riportare in vita antiche entità malvagie fino a quel momento dormienti.
John Trent indaga e indaga… fino a diventare pazzo egli stesso, come illustra fin da subito l’incipit del film.

Il seme della follia è un signor film horror, un vero horror, non a caso indicato a volte come il miglior film di Carpenter e a volte come uno dei migliori film dell’orrore mai prodotti.
La sua efficacia è ottima, usa l’effetto speciale ma solo come contorno a una storia conturbante, ha scene inquietanti ma ancor più inquietante è la sua atmosfera, e riesce nell’intento di risultare originale pur essendo fortemente citazionista: Lovecraft, King, un misterioso autore di libri, la città fantasma, la chiesa sconsacrata, bambini diabolici, persone-zombie, mostri vari, un libro maledetto, etc.

Inoltre, pur senza assurgere ai livelli di simbolismo di Essi vivono, film che tecnicamente gli è inferiore ma che gli è superiore come messaggio, porta esso stesso qualche simbolo, come il protagonista che guarda il film di sé stesso, come il protagonista che sogna di essere in un sogno e che inizia ad aver difficoltà a distinguere quale è la realtà, o come qualche frase di valore psicologico.

“Non c'è più niente che mi sorprenda. Abbiamo distrutto l'aria, il mare, abbiamo distrutto la nostra salute... perché non completare l'opera distruggendo anche il nostro cervello?”

“È reale quello che noi crediamo che sia reale.”

“Sani e pazzi potrebbero scambiarsi i ruoli. Se un giorno i pazzi fossero la maggioranza, lei si ritroverebbe rinchiuso in una cella imbottita e si chiederebbe cosa sta succedendo fuori.”
“No, questo non accadrebbe.”
“Le accadrebbe se scoprisse che la sua realtà non esiste più. Si sentirebbe solo se fosse l’unico sano di mente.”

“Io posso vedere.”

“Lui ti vede.”

“Io so quello che sono.”
“Davvero?”

“Non è la realtà.
Non è la realtà.
Non è la realtà.”

In effetti, accanto al genere orrorifico del film, il suo tema interiore pare proprio essere quello della difficoltà a distinguere tra realtà e finzione, tra veglia e sonno, insieme a quello del libero arbitrio… temi che hanno la loro valenza esistenziale, per quanto qua posta in penombra dall’architettura spaventevole.

Nel complesso, Il seme della follia mi è piaciuto: è un eccellente film nel suo genere… il punto, semplicemente, è che il genere in questione con gli anni ha smesso di interessarmi. Quanto c’è in esso di simbolico merita comunque la visione, sempre se non si è troppo suscettibili alla “confezione horror”; in quest’ultimo caso, ci si può orientare su film dai contenuti simili ma diversi nella forma e nel genere, come Existenz o Il tredicesimo piano.

Fosco Del Nero



Titolo: Il seme della follia (In the  mouth of madnesss).
Genere: horror, grottesco.
Regista: John Carpenter.
Attori: Sam Neill,  Julie Carmen, Charlton Heston, Jürgen Prochnow, Hayden Christensen, Kevin Zegers.
Anno: 1994.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 11 agosto 2020

Caotica Ana - Julio Medem

Di Julio Medem avevo visto finora due film: Gli amanti del Circolo Polare e Lucia y el sexo, il primo poco e il secondo più famoso.
Entrambi mi erano piaciuti, nonostante alcune tendenze un po’ grossolane del regista.

Mi sono così accostato a Caotica Ana, film di qualche anno successivo, che peraltro aveva fama di affrontare tematiche esistenziali… anche se la cosa mi pareva piuttosto inverosimile considerando i precedenti film che avevo visto del regista spagnolo, decisamente più materiali e mondani, molto legati a sessualità e sentimenti.

Ma andiamo alla trama molto sommaria di Caotica Ana: Ana (Manuela Vellés) è una diciottenne che vive con suo padre Klaus in una grotta di Ibiza, affacciata su mare e tramonto. La ragazza, o meglio i suoi dipinti colorati, vivaci e naif, viene notata da Justine (Charlotte Rampling; Stardust memories, Melancholia, Babylon A. D, Giordano Bruno, Immortal ad vitam,  Zardoz, Swimming pool), che le propone di andare a vivere in una sorta di comune-comunità di giovani e talentuosi artisti che la donna, sorta di mecenate, ha creato a New York.
Ana ci andrà, e troverà un grande palazzo in città, lezioni d’arte, tanti giovani, disinibizione, mostre ed esibizioni, etc. Lì conoscerà Said, un ragazzo del Sahrawi, di cui si innamorerà, ricambiata. E lì inizierà a fare delle sessioni di ipnosi tenute da esperti, che trovano in lei una grande ricchezza di vite passate, in ogni parte del mondo, ma con il comun denominatore di una morte violenza a 22 anni per opera dell’uomo.
Tale fatto si aggiunge ai tanti dialoghi in cui si insulta la figura maschile, ma anche quella femminile, in modo davvero ridicolo.

Come ridicolo è anche il finale del film, che davvero si farebbe fatica a immaginare più brutto, come ridicola è anche la gestione della parte “misteriosa” del film, se la si vuol chiamare così, quella legata alle vite passate. Tutto davvero pacchiano e qualunquista.

Di poco originale c’è anche il nome della protagonista, Ana, lo stesso nome palindromo de Gli amanti del Circolo Polare, così come palindromo è anche il cognome di Medem: una volta è originale, due volte è ripetizione… e forse anche esibizionismo personale.

Se il regista non conferma l'originalità e la brillantezza di altre sue opere, si conferma però nel debole per le belle ragazze nude, mostrate a profusione, e per la natura selvaggia, qua però mostrata in alternativa alla città… e anzi forse più la seconda della prima, con la protagonista del film che fa il percorso inverso della protagonista di Lucía y el sexo: quest’ultima andava dalla città al mare, mentre la prima va dal mare alla città… e la sensazione è che avrebbe fatto meglio a rimanere dove stava.

Insomma, Caotica Ana è bocciato e stavolta è bocciato pure Julio Medem, che in futuro non seguirò più in modo così ottimistico, per utilizzare un eufemismo.

Fosco Del Nero



Titolo: Caotica Ana (Caotica Ana).
Genere: drammatico, grottesco.
Regista: Julio Medem.
Attori: Manuela Vellés, Charlotte Rampling, Bebe Rebolledo, Asier Newman, Nicolas Cazale,Raul Peña, Gerrit Graham, Matthias Habich, Lluís Homar, Giacomo Gonnella, Leslie Charles, Juanma Lara, Diego Molero, Angel Facio.
Anno: 2007.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 5 agosto 2020

La forma della voce - Naoko Yamada

Mi sono imbattuto per caso ne La forma della voce, un anime prodotto nel 2016, e posto che gli anime recenti sono spesso molto belli da vedere, al di là poi della bontà della sceneggiatura, mi ci sono approcciato…
… nonostante avessi dubbi sulla trama, che aveva un’aria un po’ troppo melodrammatica.

Ecco la trama de La forma della voce, realizzato dallo sconosciuto Naoko Yamada e adattamento del manga di Yoshitoki Oima: Shoya Ishida  è un bambino di undici anni come tanti altri, che va  a scuola, ha amici e via discorrendo. Tende tuttavia ad essere un po’ arrogante, e quando in classe arriva Shoko Nishimiya, una sua coetanea sorda, ben presto inizia a trattarla male, fino a episodi di vero e proprio bullismo, compresa la rottura dei suoi costosi apparecchi acustici.
La bambina è molto mite e sopporta tutto, ma la sua famiglia scopre la sua situazione e la fa trasferire in un’altra scuola. Nonostante varie persone trattassero male Shoko, e comunque tutti rimanessero a guardare indifferenti gli atti di Shoya, è solo su quest’ultimo che ricade la colpa, e ora è lui ad esser bersaglio di atti vandalici e provocatori.
La scena si sposta poi alle superiori, con Shoya ragazzo triste e semi-depresso, con persino idee di suicidio, e letteralmente anti-sociale. Egli farà un grande sforzo per cambiare direzione, e tale sforzo, e percorso di redenzione interiore, passerà dal creare una sincera amicizia con Shoko, anch’essa più grande ma ugualmente sempre poco felice.

La forma della voce è parecchio lungo, e sfonda nettamente le due ore, prendendosi il rischio, dato che una sua protagonista non può parlare e per comunicare deve o scrivere su un quaderno o utilizzare il linguaggio dei segni, di risultare pesante e poco dinamico. Il rischio è ben evitato tramite una serie di accorgimenti, per quanto la questione della comunicazione con la ragazza sia un po’ semplicistica.
Il film mostra però di avere buone soluzioni e discrete trovate, come quella inerente al protagonista, che praticamente nega quasi tutte le persone apponendo loro una croce sul volto… e lasciando cadere quella croce allorquando la persona viene accettata come amica: una trovata originale e interessante.

Inoltre va sottolineata la grande bellezza visiva del film: come evidenziavo in partenza, i grandi miglioramenti tecnologici hanno fatto sì che le produzioni anime degli ultimi anni fossero quasi tutte di grande impatto visivo. Si veda, rimanendo in Giappone, l’esempio di Makoto Shinkai, maestro di animazione tanto quanto Hayao Miyazaki è maestro di sceneggiatura.

Purtroppo, però, avevo intuito bene anche sul versante emotivo della storia: La forma della voce è una storia parecchio melodrammatica, e nel senso basso del termine. Cattiverie, incomprensioni, gesti insensati, rabbia, tristezza, paura, mal di vivere… non esattamente un menu piacevole.
Senza la bellezza tecnica la mia valutazione sarebbe stata infatti assai più bassa, e d’altro canto sarebbe stata assai più alta se la sceneggiatura avesse proposto una storia brillante, ispirante e formativa, cosa che La forma della voce non è: difatti, non riesce a proporre nulla se non il banalissimo “Comportati bene, altrimenti farai del male agli altri e ne pagherai le conseguenze tu stesso”.

Chiudo la recensione con una bella frase del film: “Ho capito che i tuoi peccati tornano sempre a prenderti, e che dovevo sopportare quella croce e la pena che veniva con essa”.

Fosco Del Nero



Titolo: La forma della voce (Koe no katachi).
Genere: anime, drammatico.
Regista: Naoko Yamada.
Anno: 2016.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 4 agosto 2020

Peggy Sue si è sposata - Francis Ford Coppola

Mi son deciso a vedere Peggy Sue si è sposata non tanto per il regista, quel Francis Ford Coppola che ho apprezzato enormemente in Dracula e discretamente in Un'altra giovinezza (e mai visto ne Il padrino, Apocalypse now e in altri suoi film famosi), e tanto meno per i parenti che si è spesso portato appresso, come il mediocre Nicolas Cage (il cui vero nome è Nicolas Kim Coppola e che è nipote del regista) o la figlia Sofia Coppola (poi a sua volta divenuta regista, ma senza mai sfondare), e nemmeno perché il film praticamente nasce dalla canzone Peggy Sue di Buddy Holly

… bensì per la tematica del viaggio nel tempo, nonché per l’ambientazione negli anni “60 statunitensi, che mi è sempre piaciuta. Peraltro, è il medesimo binomio di Ritorno al futuro, film prodotto un anno prima, e certamente non è un caso.
Abbiamo dunque un’ispirazione affatto velata, e peraltro credo che Peggy Sue si è sposata condivida anche alcune location con il suo più noto “vicino”; insomma, non iniziamo bene.

Tuttavia, su questi versanti, scenografia, costumi e fotografia, e dunque tutto ciò che è estetica, il film si difende molto bene e riesce a ricreare quegli anni e quel mondo, rimasto in modo così forte nell’immaginario collettivo (e senza dubbio non per mero caso).

Il problema è che naufraga su tanti altri versanti.
A cominciare dalla sceneggiatura, che è un po’ pacchiana per il semplice fatto che non offre molto: la protagonista si ritrova nel passato, pur senza sapere come, e non fa altro che svagarsi e divertirsi, tra ragazzi e festicciole. No, mi correggo: con un compagno di classe pensa a come approfittare della sue conoscenze per divenire ricca. Insomma, tutto molto terreno e materiale.

Altra cosa a dir poco non convincente: la scelta di Kathleen Turner per il ruolo di Peggy Sue: l’attrice invero se la cava bene come attrice… ma il problema è semplicemente l’età: hanno preso una 32enne per fare la parte di una 18enne, e la cosa è piuttosto ridicola.
Di fronte, invece, aveva un Nicolas Cage 22enne a interpretare il ruolo ugualmente di un 18enne… ma Cage al tempo aveva dieci anni in meno della Turner, e comunque quattro in più del suo personaggio… e comunque anche allora era scarso come attore. Insomma, casting disastroso, per un verso o per l’altro, e dire che nel cast, in due parti assolutamente minori, vi sono due attori che poi hanno sfondato: Jim Carrey ed Helen Hunt. Quest’ultima al tempo aveva 23 anni… e certamente sarebbe stata più credibile come 18enne rispetto alla sua più attempata collega.

Ma ecco la trama di Peggy Sue si è sposata: Peggy Sue è una donna di 43 anni, sposata e con due figli, in procinto di divorziare da colui che aveva sposato da giovanissima, Charlie Bodell. Una sera va alla festa dei diplomati del 1960 nel suo liceo, e rivede tanti vecchi amici e amiche; viene persino eletta reginetta della festa, ma, un po’ per il periodo personale difficile e un po’ per l’emozione, sviene. Quando si risveglia, si ritrova 18enne (si fa per dire…) nel 1960, e ne approfitta per rivivere quel periodo, tuttavia alla maniera del suo io attuale, grande ed esperienziato. Ciò mette in crisi il fidanzamento con Charlie, ma alla fine…

Peggy Sue si è sposata è uno di quei casi in cui si è lavorato molto a livello tecnico (regia, fotografia, costumi, scenografia) per poca roba: una storiella leggera e senza nessun contenuto, peraltro peggiorata da alcune scelte insensate come la scelta degli attori. 
Su queste premesse, che a loro volta nascevano da premesse di imitazione e di sfruttamento del successo altrui, non poteva che venire fuori un prodotto di scarso valore. 

Fosco Del Nero



Titolo: Peggy Sue si è sposata (Peggy Sue got married).
Genere: fantastico, commedia, sentimentale.
Regista: Francis Ford Coppola.
Attori: Kathleen Turner, Barry Miller, Nicolas Cage, Jim Carrey, Catherine Hicks, Joan Allen, Maureen O'Sullivan, Sofia Coppola, John Carradine, Leon Ames, Barbara Harris, Helen Hunt.
Anno: 1986.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.


Il mondo dall'altra parte