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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 27 luglio 2016

Radio days - Woody Allen

Radio days era uno dei pochissimi film di Woody Allen che non avevo ancora visto… o addirittura forse l’unico.

Perché lo avevo lasciato tra gli ultimi?
Per il motivo che, non avendo una storia unitaria ma essendo una sorta di collage di singoli episodi ed eventi, mi ispirava di meno in partenza.

Peraltro il film è parzialmente autobiografico (beh, come sempre quando c’è di mezzo Woody Allen, che difficilmente parla di qualcosa di diverso da sé e dalle sue esperienze), giacché racconta gli anni della giovinezza di Allen, quelli in cui era bambino e in cui, come suggerisce il titolo del film, la radio spopolava, ed era anzi il punto di riferimento di tante famiglie.

Radio days si cala nella realtà di una famiglia americana dei primi anni 40, e da un lato racconta di essa: il bambino vivace che desidera questo o quello (Joe, Seth Green; Party monster, Sex movie in 4D, Buffy l’ammazzavampiri), il rapporto tra i genitori, la zia perennemente in cerca di marito (Bea, Dianne Wiest; Hannah e le sue sorelle, La rosa purpurea del Cairo).
Dall’altro lato, quello più generalista, racconta invece degli eventi che hanno caratterizzato quegli anni: la seconda guerra mondiale, l’invasione aliena radiofonica di Orson Wells, la vita tra locali e night.

Ma, soprattutto, la radio, onnipresente: trasmissioni a quiz, sceneggiati radiofonici, notiziari, e ovviamente tanta musica, che nel film la fa quasi da padrone.

Insomma, tutto in Radio days, dalla colonna sonora alla scenografia, grida “amarcord”, e difatti il film ha ricevuto anche premi e nomination soprattutto per tali elementi.
E in effetti in questo senso risulta interessante, come sono sempre interessanti le finestre su altri tempi e altri mondi.

Dal punto di vista del coinvolgimento, però, Radio days concede molto nel suo essere semplicemente una somma di singoli episodi, così come concede abbastanza dal punto di vista dell’umorismo, non essendo nato come film comico, alla Woody Allen, per l’appunto, ma quasi come un documentario.
Poi, certo, è un film di Woody Allen (almeno, il Woody Allen di quegli anni), per cui c’è sempre qualcosa, ma certamente non può rivaleggiare in termini di divertimento con un Amore e guerra, La dea dell’amore, Il dormiglione, ma nemmeno con i più recenti La maledizione dello scorpione di giada o Anything else.

Nel complesso, Radio days non è malaccio, e ha una sua ragione d’essere, però sappiate che se vi attendete uno dei classici film rutilanti del Woody Allen prima maniera, rischiate di rimanere delusi. Piuttosto, accostatevi ad esso in modo più distaccato, proprio come se vi steste approcciando a un documentario su quegli anni, e vedrete allora che sarà un documentario vivace e gradevole.

Fosco Del Nero



Titolo: Radio days.
Genere: commedia.
Regista: Woody Allen.
Attori: Seth Green, Michael Tucker, Julie Kavner, Dianne Wiest, Josh Mostel, Mia Farrow, Wallace Shawn, Diane Keaton, William H. Macy, Jeff Daniels, Kenneth Mars, Kenneth Welsh.
Anno: 1987.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 26 luglio 2016

Primer - Shane Carruth

Non mi ricordo perché mi ero segnato il film Primer, ma probabilmente era per il mio vecchio interesse per le tematiche fantascientifiche, e nel dettaglio il tema dei viaggi nel tempo, che è oggetto per l’appunto di questo film del 2004.

Il quale è un film che si è segnalato per due cose.
La prima è per essere stato prodotto con appena 7.000 dollari di budget, che per i tempi odierni è una miseria.
La seconda è per avere vinto dei premi, cosa che lo qualifica comunque come prodotto ben realizzato, a dispetto degli scarsi mezzi economici a disposizione.

La vocazione low cost si vede intanto nel cast davvero ridotto: i protagonisti sono essenzialmente due, Aaron e Abe, cui si aggiungono pochi altri comprimari, tra l’altro poco inquadrati, presenti giusto come sfondo.
Anche le location sono piuttosto poche e spartane, e certamente non vi sono effetti speciali o prodezze visive (o sonore).

Allora per cosa si è distinto Primer?

In breve, per un’idea dei viaggi nel tempo originale, e per averla praticata con una certa coerenza…
… spesso a dispetto della comodità di visione dello spettatore, il quale è costretto a essere molto attento a certi particolari e alle varie linee temporali che si sovrappongono.

In effetti, credo sia per questo motivo (una sorta di confusione controllata) che il film è divenuto negli anni un piccolo film cult del settore fantascientifico.

Ma ecco in grande sintesi la trama di Primer, che peraltro va visto in lingua originale, giacché non è mai stato portato in Italia: Aaron (Shane Carruth, regista, sceneggiatore e produttore del film… e probabilmente lui stesso ha preparato i tramezzini che si vedono a un certo punto) e Abe (David Sullivan) sono due giovani ingegneri che si dilettano a costruire congegni utilizzando materiale di fortuna, e che a un certo punto si rendono conto di aver costruito una macchina del tempo.
Ma non una “classica”, in stile Ritorno al futuro (la quale peraltro era macchina in senso letterale), capace ossia di muoversi a piacere nel passato o nel futuro, bensì un contenitore che, acceso a una certa ora, riporterà proprio a quell’ora la persona che vi fosse entrata, supponiamo, sei ore dopo, persona la quale dunque dovrà passare le suddette sei ore nella scatola, trascorrendo il tempo all’indietro e non in avanti come normalmente.

L’idea iniziale è quella più scontata: arricchirsi puntando in borsa sui titoli che si sa già che in giornata avranno picchi enormi, e i due iniziano in tal senso…

… tuttavia, come da programma, qualcosa va storto, nel senso che si determina un’interferenza che non avrebbe dovuto esserci, da cui un capitombolare degli eventi con una sorta di effetto valanga. 

Perlomeno, come figura retorica, perché in realtà il film si mantiene sempre supercalmo, e anzi è fortemente a rischio noia: non vi è bellezza visiva, non vi è colonna sonora, non vi sono dialoghi interessanti, ma solo disquisizioni sulla natura tecnica della macchina e su come organizzarsi le incursioni senza incontrare i propri “doppi”. Insomma, il tutto rimane sempre su un piano piuttosto mentale-cerebrale, e se questo piano vi annoia allora l’intero film vi annoierà.
E in effetti il tutto sembra più un prodotto per nerd-informatici-cerebrali piuttosto che per il grande pubblico.

Insomma, in poche parole Primer non mi è piaciuto… però non posso che apprezzare la grandissima buona volontà e l’ingegno con cui è stato prodotto, pur senza praticamente alcun mezzo a disposizione, ennesima prova del fatto che se si vuole e si ha un minimo di talento e predisposizione, le cose si riescono a fare comunque.

Fosco Del Nero



Titolo: Primer (Primer).
Genere: fantascienza, psicologico.
Regista: Shane Carruth. Attori: Shane Carruth, David Sullivan, Casey Gooden, Anand Upadhyaya, Carrie Crawford, Samantha Thomson, Chip Carruth, Ashley Warren.
Anno: 2004.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 20 luglio 2016

The event - Nick Wauters

Quest’oggi vi propongo la recensione di una serie tv davvero particolare, tanto particolare che l’articolo più che una recensione in senso stretto sarà un commento ai contenuti della serie. 
Cominciamo dicendo che sto parlando di The event, serie tv realizzata tra il 2010 e il 2011 e purtroppo composta della sola prima stagione, cui non è seguito quanto doveva seguire a causa di ascolti non soddisfacenti... ciò che peraltro è quanto successo anche ad altre serie interessantissime come Flash forward, pur se per The event sorge spontaneo un dubbio esterno al "fattore ascolti".

Si tratta di una serie affatto famosa, e difatti ne avevo letto per caso in rete, laddove veniva consigliata per i suoi contenuti in pieno stile cospirazionistico. Nonostante tale segnalazione, non mi aspettavo qualcosa di così dettagliato… e invece, wow.

Giusto per farvi capire di cosa stiamo parlando, ecco in grande sintesi la struttura della storia: negli USA i servizi segreti sono da decenni a conoscenza dell’esistenza di una razza aliena, benché umanoide nei tratti e quindi di impossibile identificazione alla sola vista, occorrendo a tal scopo un’analisi del sangue. Ne viene a conoscenza anche il nuovo presidente degli Stati Uniti, un uomo di colore di nome Elias Martinez (Blair Underwood, il quale forse è un alieno lui per quanto appariva giovane al tempo delle riprese nonostante gli allora 46 anni), che cerca da subito un confronto con Sophia (Laura Innes), il leader degli alieni… almeno, di quelli con lei detenuti in una base supersegreta chiamata Inostranka.
Subito, infatti, si viene a sapere che quelli tenuti prigionieri sono solo una parte del gruppo alieno presente sulla Terra, mentre gli altri, nei precedenti decenni, si erano mischiati con la popolazione umana infiltrandosi in posizioni di potere politico e economico, preparandosi a futuri sviluppi, e con tutta la calma del mondo, invecchiando essi in modo molto più lento degli uomini “normali”, tanto da essere costretti a evitare legami e a cambiare luogo di frequente, onde evitare sospetti.

Perché tali alieni sono venuti sulla Terra (preavviso che sto per riferire qualcosa delle vicende della storia, seppur il meno possibile, ma comunque quanto serve per capire che chi ha curato la serie quantomeno si interessava a tematiche cospirazionistiche… e magari stava cercando di riferire qualcosa)?
Semplicemente perché il loro mondo era vicino alla distruzione per via dell’eccessiva attività della sua stella di riferimento, e quindi il suddetto gruppo era in missione per cercare “alternative”. Ma attenzione, perché poi si scopre che essi erano già stati sulla Terra: anzi, ne erano gli abitanti originari e se ne erano andati per evitare di danneggiare gli umani “normali”, per via di una loro possibile evoluzione di razza.
A proposito di evoluzione della razza, da citare anche manipolazioni genetiche e incroci con i terrestri… nonostante i divieti di base di non unirsi con loro. 

Tanto antica e tanto potente è questa razza umanoide che gli antichi umani (quelli “normali”) avevano costituito millenni fa un ordine di “Sentinelle” incaricato di vegliare sull’umanità (quella normale) e di difenderla da tali alieni… anche se, a dire il vero, tali Sentinelle sembrano assai più cattive, pericolose e senza scrupoli del gruppo alieno di Sophia.

Questa è forse la principale caratteristica della serie: si delineano da subito differenti schieramenti, la telecamera li segue tutti, ed essi si incrociano tra di loro, portatori di interessi e obiettivi diversi... e mentre all’inizio sembra ben chiaro chi sono i “buoni” e chi i “cattivi”, poi tutto sfuma ed è assai meno chiaro.

Chiarezza a parte, oltre a tali fatti vengono fatti altri nomi, rivelatori della cultura che c’è dietro la creazione della serie: il Monte Shasta in California, il Tibet, i portali interdimensionali… e ovviamente non poteva mancare il “Nuovo Ordine Mondiale”, obiettivo di uno dei gruppi in questione (gruppi che essenzialmente sono il governo americano, gli alieni di Inostranka e le Sentinelle).
A dire il vero, i protagonisti centrali della storia, Sean Walker (Jason Ritter) e Leila Buchanan (Sarah Roemer), non fanno parte di alcuni di questi gruppi di potere, e anzi sono semplicemente due fidanzatini super-innamorati che passano una vacanza insieme… senza sapere che si stanno per imbattere in qualcosa molto più grande di loro, che li porterà loro malgrado a conoscere le vicende di cui sopra.
Molto lentamente, giacché il tutto è molto ingarbugliato anche per loro.

Tra gli altri protagonisti, da citare per importanza e carisma il capo della sicurezza statunitense Blake Sterling (Zeljko Ivanek), il suo agente speciale Simon Lee (Ian Anthony Dale) e la sicaria Vicky Roberts (Taylor Cole).

Per il resto, c’è da aggiungere che i primi episodi cominciano con un’alternanza piuttosto fitta di flashback su varie linee temporali e che solo dopo il tutto si sposta sulla sola linea del presente, fino all’episodio numero 22, che chiude la prima stagione… proprio nel bel mezzo dell’azione, purtroppo.

Occorre dunque accontentarsi di quanto prodotto, sottolineando che era dai tempi di Visitors che non veniva realizzata una serie così coraggiosa… forse pure troppo, e infatti è stata interrotta, nonostante l'ottimo gradimento del pubblico (vedasi a riguardo le recensioni su Amazon, sia italiane che estere).

Fosco Del Nero



Titolo: The event (The event).
Genere: serie tv, fantascienAmazon.comza, thriller, drammatico.
Ideatore: Nick Wauters.
Attori: Blair Underwood, Laura Innes, Jason Ritter, Sarah Roemer, Scott Patterson, Željko Ivanek, Bill Smitrovich, Ian Anthony Dale, Taylor Cole, Clifton Collins Jr., Hal Holbrook.
Anno: 2010-2011.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 19 luglio 2016

Scott Pilgrim vs. The world - Edgar Wright

Ho già recensito un paio di film del regista Edgar Wright: segnatamente, L’alba dei morti dementi e Hot fuzz.
Il primo dei due è chiaramente una parodia del genere horror-zombie, mentre il secondo, seppur meno particolare, era comunque un film comico, questo parodia del genere azione. In entrambi peraltro la coppia di attori protagonista era composta da Simon Pegg e Nick Frost.
Oggi arriva il suo terzo film recensito, che li segue di qualche anno: Scott Pilgrim vs. The world, il quale è basato sul fumetto Scott Pilgrim, creato da Bryan Lee O'Malley.

Ecco la trama sommaria: Scott Pilgrim (Michael Cera) è un ragazzo ventiduenne-ventitreenne (non si capisce bene) che suona il basso che cerca di avere successo con la sua band dei Sex Bob-Omb. Parallelamente alla sua attività di bassista, la sua principale occupazione è quella di collezionare ragazze… e questo a dispetto dell’aria da imbranato.
Più che collezionare, comunque, cerca di dimenticare la sua ex Natalie, che nel frattempo ha avuto successo nella musica, mettendosi insieme alla piccola Knives Chau, che ancora va al liceo, e per questo è preso in giro da amici e sorella.
Tuttavia, subito dopo conosce la bizzarra Ramona (Mary Elizabeth Winstead), di cui si invaghisce all’istante, tanto da mollare senza tanti rimorsi la ragazzina per frequentare quella ragazza più grande e decisamente più strana.

Fin qui, nulla di strano, ma certamente dal regista de L’alba dei morti dementi ci si può aspettare qualcosa di più bizzarro… specie considerando che il presente è stato considerato il film più strano di Edgar Wright.

Bene, eccoci qui: Ramona ha tutta una serie di ex ragazzi ("E ragazze", precisa sempre), i quali compongono la cosiddetta "Lega dei malvagi ex": essi a turno si fanno vivi per ingaggiare un duello col pacifico Scott, che vorrebbe solo essere lasciato in pace… ma che in realtà si rivela lottatore di un certo livello.

Tali duelli sono concepiti come scontri di videogame, con tanto di musica di sottofondo, effetti sonori, suoni onomatopeici visibili, effetti visivi, mosse speciali, combo, e punteggio che si aggiorna in base all’andamento dello scontro.
Ma in generale l’intero film è cosparso di tutto ciò, risultando un vero e proprio esperimento visivo.

Riuscito in buona parte, visto che il film scorre ed è gradevole, tra personaggi interessanti (tra gli attori secondari, i più famosi sono Chris Evans e Jason Schwartzman, ma spicca anche Kieran Culkin, che poi è il fratello del più famoso Macaulay Culkin) e trovate curiose, e spesso interessanti anch’esse.

In generale, il mix è quello tra la storia d’amore adolescenziale (Scott pare avere forti tendenze adolescenziali, per l’appunto, e non solo per la scelta della giovane fidanzatina, ancora più immatura di lui) e il videogioco picchiaduro (quelli in stile Street Fighter, per chi è di quei tempi).

In mezzo, tante di quelle trovate che è impossibile contarle, per un film che per certi versi manca clamorosamente di contenuti (a meno di non voler considerare contenuti le cotte di Scott), ma che si distingue comunque per il suo scintillio e la sua vivacità, proponendo anche qualche abbaglio di momento poetico… subito fugato da qualche altro scintillio o effetto sonoro, giusto per non sbagliarsi.

Di mio tendo comunque a privilegiare la grande originalità e assegno a Scott Pilgrim vs. The world una buona valutazione… e probabilmente me lo riguarderò in futuro.

Fosco Del Nero



Titolo: Scott Pilgrim vs. The world (Der himmel über Berlin).
Genere: commedia, comico, fantastico, sentimentale.
Regista: Edgar Wright.
Attori: Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Kieran Culkin, Chris Evans, Anna Kendrick, Alison Pill, Brandon Routh, Jason Schwartzman, Brie Larson, Aubrey Plaza, Johnny Simmons, Mark Webber, Mae Whitman, Ellen Wong, Satya Bhabha.
Anno: 2010.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 13 luglio 2016

Hunger games 1 - Gary Ross

Ho sentito parlare solo di recente della saga fantastica Hunger games, nonostante essa abbia ormai qualche anno e sia arrivata al suo quarto film (col terzo episodio diviso in due parti), e nonostante essa discenda da un romanzo: l’omonimo romanzo di fantascienza scritto da Suzanne Collins.

Tra l’ambizione del progetto, il genere fantastico-distopico e l’avere come protagonista assoluta Jennifer Lawrence, che avevo apprezzato moltissimo ne Il lato positivo, il tutto mi ispirava molto, anche se in realtà un amico mi aveva detto che a suo avviso il film non era granché.

Comunque, me lo sono guardato… arrivando anche io ad una valutazione un po' tiepida, comunque non entusiastica.

Ma partiamo dalle basi: il regista è Gary Ross, di cui avevo già visto Seabiscuit - Un mito senza tempo, ma soprattutto l’incantevole (e quando dico incantevole non è affatto per modo di dire) Pleasantville. Dell’attrice principale ho già detto, mentre a girarle intorno vi sono Woody Harrelson (anche lui molto apprezzato nell’ispiratissimo Benvenuti a Zombieland), Stanley Tucci (che mi fa sempre ripensare a Il diavolo veste Prada... e che in Hunger games è forse il personaggio più notevole), Wes Bentley (protagonista dell’indimenticabile American beauty), l’ormai vetusto Donald Sutherland (recensito in Istinct e ne I pilastri della Terra), nonché il cantante Lenny Kravitz (che a quanto pare si tiene benissimo per l’età che ha, e non a caso è vegano).

Detto dei protagonisti, parliamo ora della scena: siamo in un non precisato futuro, nella nazione di Panem (nome che in sé rivela la condizione di distrazione delle masse, abbinata poi ai "circenses" che sono per l'appunto i giochi), situata in un’America post apocalittica ed essenzialmente formata dalla capitale, Capitol City, assai ricca e potente, e da vari distretti, più o meno poveri e disagiati (quelli con i numeri dal 10 al 12 sono i più poveri, mentre il tredicesimo è stato distrutto durante una guerra civile).
Ogni anno da ciascun distretto durante la cosiddetta “Mietitura”, sorta di punizione per la passata ribellione, vengono sorteggiati due ragazzi, adolescenti oscillanti tra l’essere bambini e adolescenti, un maschio e una femmina, i quali, definiti “tributi”, vengono offerti agli “Hunger games”, sarebbe a dire una sorta di gioco di lotta-sopravvivenza in cui sopravvive solamente uno di essi, che viene proclamato vincitore dei giochi.
Il tutto mentre il pubblico di Capitol City segue il “gioco-reality” tramite una fitta presenza di telecamere sparse per tutta la foresta, ambientazione della lotta, in cui vengono portati i giovani, in una specie di Grande Fratello sanguinolento e violento.

L’espressione “Grande Fratello” è doppiamente valida in questo caso, giacché ci troviamo proprio in una società di tipo distopico quale quella tratteggiata da Orwell in 1984, che viene dipinta in modo da essere facilmente presa in antipatia dallo spettatore del film: dittatura, giochi violenti, ricchezza ostentata, superficialità.
Anche se a dire il vero l’elemento della società distopica è stato solo accennato come sfondo della storia, e non affrontato, cosa che immagino verrà fatta nei film seguenti.

Insomma, il tutto è molto chiaro, come è molto chiara fin dall’inizio l’intera trama del film: è chiaro che la protagonista Katniss Everdeen parteciperà ai giochi, come è chiaro che ne uscirà vincitrice… e nel mezzo è facile ipotizzare antipatie-lotte e simpatie-alleanze.

In mezzo a tale prevedibilità, serviva una realizzazione tecnica impeccabile nonché grande intensità per ribilanciare il tutto, ma ciò arriva solo in parte: visivamente il film si fa vedere con grande piacere, soprattutto le scene nella natura, e l’intensità fa capolino ogni tanto…
… ma non basta a fare di Hunter games un gran film, che ha avuto un successo a mio avviso oltre il suo valore cinematografico (700 milioni di dollari nel mondo, un’enormità rispetto a quanto era costato).

Riguardo a tale punto, ossia al grande successo di pubblico, va detto che esso è certamente dovuto al fatto che il film, consciamente o più probabilmente inconsciamente, è rapportato alla situazione attuale dell'umanità, dove una piccola, ricca e superficiale élite è contrapposta a una massa sfruttata e controllata... e anzi su questo elemento non sarebbe una brutta idea che la singola persona riflettesse un poco.

Continuiamo: a incidere negativamente sulla qualità dell'opera, oltre alla prevedibilità della trama, sono i rapporti tra i protagonisti, ugualmente scontati, tanti dialoghi incerti e poco credibili, nonché il fatto che molti personaggi sono stereotipati a livello di macchiette.
Ma il lato più negativo tra tutti è che l’incedere temporale della storia non convince: è frettoloso, poco efficace... cosa che peraltro capita spesso nelle conversioni cinematografiche da romanzi.

Concludendo, mi attendevo di più da Hunger games… ma mi vedrò comunque i suoi seguiti per vedere se la situazione è migliorata o mano.

Fosco Del Nero

p.s. La cosa più curiosa di tutto il film è che Katniss si lamenta dell'ingiustizia della sorte dei tributi, costretti alla morte per assassinio in una foresta... quando il film si apre proprio con Katniss che uccide animali in una foresta: interessante che la ragazza si lamenti della stessa sorte che lei infliggeva ad altre creature. In effetti, il fatto che pochi notino tale incongruenza costituisce il problema principale dell'umanità.



Titolo: Hunger games.
Genere: fantastico, drammatico.
Regista: Gary Ross.
Attori: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Wes Bentley, Woody Harrelson, Stanley Tucci, Lenny Kravitz, Elizabeth Banks, Donald Sunderland, Brooke Bundy, Latarsha Rose, Liam Hemsworth.
Anno: 2012.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 6 luglio 2016

If only - Gil Junger

Non mi ricordo perché mi sono guardato If only… ma credo proprio di averlo confuso con qualche altro film, giacché né regista, né trama né attori principali sono sulla mia lista della spesa, per dir così.
Ad ogni modo, ormai l’ho visto, per cui ora lo recensisco, partendo dal regista, tale Gil Junger, che non avevo mai sentito nominare, e proseguendo con Jennifer Love Hewitt, lei attrice conosciuta… anche se in pratica mai vista, tra film come Cenerentola a New York, So cosa hai fatto e Heartbreakers - Vizio di famiglia, e la serie tv di cui era protagonista, Ghost whisperer.

In If only interpreta Samantha Andrews, una musicista carina e vivace, che ha una relazione con Ian Wyndham (Paul Nicholls, anche lui personaggio belloccio e talentuoso) che sembra essere a un punto critico: o decolla definitivamente, oppure si interrompe.

La prima parte del film sembra puntare su questa seconda possibilità: una sera, dopo l’ennesima incomprensione, lei lo lascia, fisicamente e relazionalmente… 
… e pochi secondi dopo subisce un violento incidente automobilistico, che la uccide.

A quel punto lui, affranto, si rende conto di quanto lei era importante per lui, e va a dormire abbracciando il di lei diario…
… salvo svegliarsi il giorno dopo con la ragazza accanto, come se nulla fosse successo.

Premonizione o sogno, sta di fatto che il giovane ha l’occasione di rivivere la giornata precedente, un po’ come in Ricomincio da capo (ma solo una, grazie a Dio e per fortuna di noi spettatori), anche se il film nel suo senso ricorda più Sliding doors.

Alcuni eventi del giorno precedente-sogno si ripresentano, altri accadono ma un poco diversi, mentre altri non accadono per nulla, per cui Ian è sempre in dubbio su cosa succederà e sul fatto che il finale sarà lo stesso o diverso…

Al di là di questa componente immaginifico-fantastica, essenzialmente If only è un film d’amore, e anche un po’ strappalacrime-sentimentaloide. Jennifer Love Hewitt oscilla tra il simpatico e il delizioso, con qualche incursione nello stucchevole…
… come peraltro tutto il film, che diviene rapidamente una sorta di campionario di scene di amore romantico, spesso prevedibili e un po’ noiose.

Le uniche eccezioni a tale copione parecchio smielato sono rappresentate dalle frasi che invitano a vivere il momento presente, e che danno al film una componente almeno in parte esistenzial-didattica.
Queste ad esempio:

“Il passato non esiste. Quello che importa è ora, solo ora.”

“La morte non è la fine dell’amore.”

“Un giorno, quel giorno, è qui, ora.”

E la domanda finale è: sono sufficienti una protagonista luminosa e un paio di frasi azzeccate per rendere meritevole un film che di base è un film strappalacrime di tipo sentimental-drammatico, discretamente prevedibile e banale nel suo procedere?

A mio avviso no, da cui la valutazione di fondo.
Ma, e dico ma, se amate le storie sentimentali, da amori hollywoodiani, e magari i personaggi vivaci e positivi, o siete fan sfegatati di Jennifer Love Hewitt, allora If only potrebbe anche piacervi.

Fosco Del Nero



Titolo: If only (If only).
Genere: sentimentale, commedia, drammatico, fantastico.
Regista: Gil Junger.
Attori: Jennifer Love Hewitt, Paul Nicholls, Tom Wilkinson, Diana Hardcastle, Lucy Davenport, Roy Sampson, Kevin Moore, Neville Phillips.
Anno: 2004.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

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