Slide # 1

Slide 1

Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

Slide # 2

Slide 2

L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

Slide # 3

Slide 3

Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

Slide # 4

Slide 4

Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

Slide # 5

Slide 5

Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

domenica 29 giugno 2008

Pleasantville - Gary Ross

Anni fa trovai due film a me sconosciuti, e li vidi uno dietro l'altro: il primo era Existenz, il secondo questo Pleasantville.
In entrambi i casi sono stato fortunato, dato che entrambi i film sono due capolavori.

Tecnicamente Pleasantville è un film fantastico dal tono di commedia, anche se, e questo è un suo grande pregio, non manca di affrontare tematiche di grande importanza: l'amore, il razzismo, il confronto.

La sintesi della storia vi farà capire perché si tratta di un film di genere fantastico: David (Tobey Maguire, il futuro Spider-Man) e Jennifer (Reese Witherspoon, Cruel intentions), fratello e sorella, si stanno contendendo il telecomando per cercare di realizzare i reciproci progetti per la serata, quando vengono sbalzati dentro la televisione.

Detta così sembra l'incipit di un filmetto di serie B.
Non è così.

I due finiscono nella cittadina di Pleasantville, nei panni di Bud e Sue, i protagonisti dell'omonima serie televisiva degli anni "50 (di cui David è un grande fan e in cui tutto è rigorosamente in bianco e nero).
A Pleasantville, come dice il nome, tutto è gradevole, finanche perfetto: la vita è piacevole e tranquilla, i giardini sono curati, i ruoli sociali son rispettati da tutti, gli orari perfettamente scanditi, il clima sempre mite, etc.
David e Jennifer, tuttavia, spariglieranno le carte... soprattutto la seconda, dall'animo un po' ribelle, ansiosa più del fratello di dare un po' di colore a quel luogo asettico e perfettino.

E Jennifer-Sue ci riuscirà, con la vita della cittadina che muterà poco alla volta, accompagnata nel suo cambiamento dall'apparizione dei colori: prima un fiore, poi un orologio, poi un cancello, poi ancora un macchina... e infine gli esseri umani.
Il risultato finale sarà che la cittadina si dividerà in tradizionalisti-bianchieneri e innovatori-colorati.

E in sostanza Pleasantville, dietro la sua patina luccicante e tirata a lucido, affronta proprio questo argomento: il razzismo, la diversità, la discriminazione, l'accettazione degli altri e quindi, per converso, la libertà, la creatività, l'essere se stessi. Ma anche l'accettazione del cambiamento, del momento presente, e il lasciarsi andare al corso della vita, tema ancor più sotterraneo e ancora più importante.
E lo fa, lo avrete capito, in modo assolutamente originale e brillante.

Chiamo a testimonianza anche alcune citazioni tratte dal film.

"Un diluvio non succede mai per caso. I fulmini non cadono per caso."

"Devi renderti conto che c'è una parte di te che non conosci."

"Nessuno ha stabilito come si deve vivere."

Chiudo con qualche considerazione sulla parte finale di Pleasantville.
1. Dopo un'ora e mezza di bianco e nero, il ritorno del colori è meraviglioso, metafora di come quello che diamo per scontato ci manca quando viene meno (o metafora dell'espansione della consapevolezza-coscienza).
2. Il rapporto che si viene a creare tra David-Bud e la madre (quella della soap opera) è quasi commovente.
3. La sigla finale, Across the universe, cantata da Fiona Apple, chiude alla perfezione il film.

Fosco Del Nero



Titolo: Pleasantville (Pleasantville).
Genere: commedia, fantastico, esistenziale.
Regista: Gary Ross.
Attori: Tobey Maguire, Reese Witherspoon, Jeff Daniels, Joan Allen, William H. Macy, Paul Walker, Don Knotts, Jane Kaczmarek, Marley Shelton, Natalie Ramsey, Kevin Connors, J.T. Walsh.
Anno: 1998.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.


sabato 28 giugno 2008

Jack Frusciante è uscito dal gruppo - Enza Negroni

Avevo visto Jack Frusciante è uscito dal gruppo per la prima e unica volta ormai molti anni fa, quando ero un ragazzino.
Il ricordo che nel mentre mi ero conservato era quello di un film fresco, brillante e vivace.

Ora, le cose sono due: o nel mentre sono cambiato molto, o allora non ne capivo niente di film (e se è per questo neanche adesso, dati certi film che guardo...).

Rivendendolo ora, infatti, mi è parso un prodotto mediocre, pieno di luoghi comuni sull'adolescenza e recitato in un linguaggio che definire anacronistico sarebbe eufemistico.
Infatti, il tentativo di tratteggiare la gioventù di allora, piuttosto forzato (mai sentito nessuno parlare in tale modo: "questa sgorbia storia", "un pettinato totale", "noi zucche fosforescenti", per limitarmi ai primi minuti del film), ha appesantito un prodotto che già di per sé non era niente di che.

In poche parole, Jack Frusciante è uscito dal gruppo è la storia della tormentata storia d'amore tra Alex (Stefano Accorsi: La stanza del figlio, L'ultimo bacio) e Adelaide (Violante Placido, L'anima gemella)... anche se a dirla tutta definirla tormentata è già esagerato: a lui piace lei, ma lei prende tempo perchè sa che probabilmente vincerà una borsa di studio per gli Stati Uniti (ma nel mentre non perde occasione per provocarlo... in questo ho solidarizzato con Alex :).

La storia tra i due scorre parallela a quello che dovrebbe essere lo scontro generazionale tra figli (ribelli) e genitori (impiccioni).
E sono già due banalità importanti, condite per di più da monologhi e dialoghi di tipo esistenzialista piuttosto precari e patetici.

Se poi ci aggiungiamo il fatto che i giovani trasgressivi, ossia Alex e i suoi compagni di gruppo musicale di tendenza punk, non ascoltano niente di più trasgressivo di Red Hot Chili Peppers e simili, allora il calcolo finale è presto fatto: la sensazione è infatti che la regista (guarda caso, un nome sconosciuto che di recente non ha diretto niente) ha cercato di descrivere un mondo che in realtà non conosceva bene... di dipingere un quadro non suo, per utilizzare una metafora visiva.

Ma forse con Jack Frusciante è uscito dal gruppo ci sto andando giù un po' pesante per la delusione di un ricordo mortificato.
Ottima, la colonna sonora dei Pulp.

Fosco Del Nero



Titolo: Jack Frusciante è uscito dal gruppo (Jack Frusciante è uscito dal gruppo).
Genere: commedia, drammatico, adolescenziale, sentimentale.
Regista: Enza Negroni.
Attori: Stefano Accorsi, Athina Cenci, Ivano Marescotti, Violante Placido, Patrizia Piccinini, Barbara Livi, Angela Baraldi.
Anno: 1996.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 26 giugno 2008

Adam's apples - Anders Thomas Jensen

Adam's apples è un'ottima commedia, che purtroppo al momento in cui scrivo non è mai stata portata in Italia, tanto che per potersela gustare occorre armarsi di sottotitoli inglesi... o, in alternativa, conoscere il danese, che immagino sia cosa piuttosto rara in Italia.

Eh sì, perché Adam's apples viene proprio dalla Danimarca, ed è un film originalissimo, non a caso vincitore di numerosi premi (fatto che eleva a potenza il disappunto per la mancata importazione).

La storia è questa: un neonazista, Adam (interpretato da un attore che è quasi il sosia di Claudio Bisio) viene condannato a un periodo di servizi sociali presso la chiesa di Padre Ivan.
Padre Ivan è un individuo più unico che raro: la vita è stata molto dura con lui (la madre è morta partorendolo; il padre lo ha violentato da bambino; la sorella, prostituta, è morta di una malattia grave; sua moglie si è suicidata dopo aver generato un figlio spastico e forse anche qualcos'altro che ora non ricordo) e lui ha reagito alle avversità concependo l'esistenza sotto un'ottica dualistica: in ogni cosa vi è l'ispirazione di Dio... o, in alternativa, una tentazione di Satana.
La visione della vita del neonazista Adam, va da sé, è completamente difforme, e i due daranno il via a una sorta di contrapposizione ideologica (e spesso non solo ideologica giacché Adam, da buon nazista, è piuttosto manesco). In sostanza, si scontrano fede e cinismo.
Ma anche fede e intelletto-scienza nella persona del dottore che finisce addirittura per abbandonare la professione perché non crede a quello che ha visto.

E la fede-fiducia di Ivan è quasi incrollabile: anche di fronte alle difficoltà più grandi, e persino all'evidenza, l'uomo nega tutto e prosegue per la sua strada.
Il sacerdote, benché a volte paia tanto fiducioso da essere ottuso (in effetti, varie volte si tende a solidarizzare più col neonazista...), spesso appare veramente ispirato, tanto che egli in qualche modo è il punto di riferimento della sua piccola comunità, all'interno della quale spiccano Gunnar, un ex tennista professionista ora grasso e alcolizzato, e Khalid, un pakistano incline alla violenza e alle rapine armate.
A voler sintetizzare il tutto, Ivan oscilla in modo forte tra squilibrio e solidità, e la sua comunità oscilla con lui.

Il titolo del film deriva dal fatto che Padre Ivan, non appena Adam giunge alla chiesa, gli fa scegliere un "compito", una sorta di piccola missione: Adam, in modo sarcastico, sceglierà di fare un torta di mele.
Proprio il grande melo prospiciente alla chiesa sarà una sorta di chiave di volta dell'intera faccenda.

Il finale del film è quasi commovente e riprende il tema dominante di tutto il film: la fiducia nell'esistenza e in una forza invisibile che dirige e ispira le persone, nonché il potere trasformante della positività.
In questo senso Adam's apples è persino un'opera didattica, seppur nel suo estremismo bipolare (o Dio o Satana, o fede cieca o materialismo cinico). Interessante la rappresentazione dei segnali/coincidenze (Bibbia, quadro di Hitler, corvi, vermi, cucina, scossa elettrica, fulmine, sparo di pistola, tumore), e ispirante anche la totale assenza di ego personalistico del protagonista centrale della storia, ossia il sacerdote... che non se la prende davvero mai.

Di mio, in chiusura vi propongo un paio di frasi tratte dal film... alcune sorprendentemente coincidenti con la tradizione esoterico-spirituale, forse persino oltre le intenzioni degli autori del film.

"Non esistono esseri malvagi.
Certo, se cerchi solo la cattiveria, allora sì che il mondo è cattivo. Ma se provi a guardare con attenzione le cose buone, come facciamo in questa casa, il mondo diventa un po' più luminoso."

"Negli ultimi anni il diavolo effettivamente ha mandato un vero esercito di persone sulla Terra per metterci alla prova, ma le abbiamo respinte tutte indietro."

"Chiunque sia stato qui ha trovato Dio, in un modo o nell'altro."

"Il diavolo ci mette alla prova continuamente, e quindi è importante la fermezza per prendere la giusta decisione."

"Se seguissimo sempre e solo il senso comune, questo mondo sarebbe un posto buio in cui vivere."

"Per conoscere Dio occorre aver guardato il diavolo."

"Tutto avviene per metterci alla prova."

"È inutile combattere contro il bene."

Fosco Del Nero



Titolo: Adam's apples (Adams æbler).
Genere: commedia, drammatico, psicologico.
Regista: Anders Thomas Jensen.
Attori: Mads Mikkelsen, Ulrich Thomsen, Ali Kazim, Tomas Villum Jensen, Paprika Steen, Gyrd Lofqvist, Nicolas Bro, Ole Thestrup, Nikolaj Lie Kaas.
Anno: 2005.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 25 giugno 2008

The snatch - Lo strappo - Guy Ritchie

Molti conoscono Guy Ritchie soprattutto per il matrimonio (che tra l'altro pare essere finito) con Madonna, ma l'inglese è anche e soprattutto un ottimo regista, capace di girare film dal ritmo rapido, seri e divertenti allo stesso tempo, colmi di spunti, gag e personaggi magnificamente caratterizzati.

E proprio i personaggi risultano essere il punto di maggiore impatto di The snatch - Lo strappo, film che segue di un solo l'anno il fortunato (e molto simile per alcuni aspetti, attori compresi) predecessore Lock & stock - Pazzi scatenati.

Alcuni hanno accusato il Signor Madonna (ok, ok, non lo chiamo più così...) di aver copiato lo stile di Quentin Tarantino, ma l'accusa non sta in piedi neanche per un secondo: mentre Tarantino è il pulp per definizione, abbondante di sangue, cattiveria e di reminiscenze anni "80, Guy Ritchie si distingue per il sarcasmo e la verve brillante e ficcante.

In effetti, nonostante le situazioni del film (corpi squartati, rapine, pallottole a raffica, violenti incidenti stradali, omicidi e incendi) farebbero pensare a un thriller, The snatch - Lo strappo risulta più una commedia.

Dicevo dei personaggi: The snatch ne propone veramente tanti, ma a mio avviso i più efficaci sono quelli di
- Mickey (Brad Pitt, protagonista tra gli altri film del già recensito e ottimo L'esercito delle dodici scimmie), uno zingaro pugile dall'eloquio irresistibile nel suo essere quasi incomprensibile;
- il Turco (Jason Statham, protagonista in London), un piccolo criminale alle prese con criminali molto più grossi e pericolosi di lui;
- Testarossa (Alan Ford), uno dei suddetti criminali, cattivissimo e inquietante boss locale;
- Frankie (Benicio Del Toro, presente nel colossal Sin City), un ricettatore con il vizio del gioco e delle scommesse;
- Tony (Vinnie Jones, ex calciatore del Chelsea), un killer particolarmente elegante ed educato.
Ma l'elenco è assolutamente incompleto...

In sostanza, The snatch - Lo strappo è un turbinio di personaggi e situazioni assai eterogenee, con gli interessi di ciascuno che si mescolano in modo conflittuale e spesso esilarante.
Gli episodi da citare sarebbero troppi, dalla peggior rapina del secolo agli incontri di boxe clandestina... mi limito allora a citare il simpaticissimo e squittente (se la parola non esiste la conio io sul momento) cane bianco che, seppur inconsapevolmente, determinerà il corso degli eventi.

Fosco Del Nero



Titolo: The snatch - Lo strappo (The snatch).
Genere: commedia, pulp.
Regista: Guy Ritchie.
Attori: Brad Pitt, Benicio Del Toro, Dennis Farina, Ewen Bremner, Rade Serbedija, Alan Ford, Vinnie Jones, Jason Statham, Jason Flemyng, Rade Serbedzija.
Anno: 2000.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

lunedì 23 giugno 2008

Pom Poko - Isao Takahata

Un'altra produzione dello Studio Ghibli e un altro bellissimo film, sebbene probabilmente un poco sotto gli standard della casa nipponica... ma solo perché gli standard dello Studio Ghibli sono altissimi (Nausicaa, La città incantata, Il castello errante di Howl, etc).

Pom Poko nasce da un soggetto di Hayao Miyazaki, ma è diretto da Isao Takahata.
L'impronta del primo, comunque, si vede tutta, sia nella tematica ambientalista, sia nel tono delle vicende, a metà tra impegno e umorismo.

Tecnicamente, inoltre, Pom Poko è un film fantastico, giacché i protagonisti dello stesso sono i tanuki, dei cani-procioni parlanti e dotati di poteri magici.
Sì, avete letto bene!

La trama in breve è la seguente: la colonia dei tanuki viveva tranquilla nelle montagne, quando le stesse sono invase dagli uomini e dal loro progetto di espansione urbana. Il progetto umano è quello di realizzare dal niente una città, Tama New Town, di circa 300.000 abitanti.
Va da sé che i tanuki non gradiscono questa espansione e decidono di contrattaccare. In seno alla colonia, tuttavia, vi sono due correnti di pensiero: quelli che vorrebbero un'azione forte e violenta, atta a dissuadere definitivamente gli uomini, e quelli che preferirebbero una linea più morbida, utile a far capire agli umani che non sono graditi, senza tuttavia scatenare una vera e propria guerra.
Queste due linee di pensiero si alternano, con i tanuki impegnati sia in vere e proprie azioni distruttive, sia in messinscene dal taglio più burlesco. In entrambi i casi, essi si avvalgono di un loro potere, coltivato all'occorrenza: la metamorfosi.
Sì, perché nel film i tanuki, come altri animali (le volpi per esempio), possono mutare il loro corpo, assumendo le sembianze più disparate, tanto che la zona acquisterà presto fama di luogo infestato dai fantasmi (divertente in particolare la scena del poliziotto e delle persone senza faccia).
Il contrattacco dei tanuki subisce però un inconveniente: la cultura umana si affaccia lentamente nella loro vita, sotto forma di televisione, hamburger, patate fritte, etc. In sostanza, essi non vogliono più che gli uomini se ne vadano, per non dover rinunciare a queste cose, che si procurano di soppiatto, ma desiderano solo che non invadano i loro territori.
Ma l'uomo non si ferma, e in breve i tanuki avranno intorno a sé molto cemento e poco cibo. Chiameranno dunque in occorso tre procioni-santoni esperti nell'arte della metamorfosi...

Va detto che i disegni sono ottimi, anche se la cosa era quasi scontata, trattandosi di un prodotto dello Studio Ghibli, e anche le animazioni sono fluide e convincenti.
Ciò che colpisce maggiormente di Pom Poko è il mix tra commedia e dramma: entrambi gli elementi sono molto forti, e il film d'animazione sa far ridere quanto riflettere, in particolare sull'ignoranza umana e la sua incuranza nell'invadere e distruggere gli habitat altrui.

Inevitabilmente, si finisce per tifare per i tanuki, che sono vittime dell'urbanizzazione umana e che sono descritti come una razza allegra e positiva nonostante le difficoltà. Il genere umano, da questo quadro, non esce molto bene.
Commovente, pur nella sua semplicità, il finale del film, con una canzone essa stessa miscuglio tra spirito drammatico e ludico.

Fosco Del Nero



Titolo: Pom Poko (Heisei Tanuki Gassen Ponpoko).
Genere: anime, animazione, fantastico, commedia, drammatico, musicale.
Regista: Isao Takahata.
Anno: 1994.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.

A beautiful mind - Ron Howard

A mio avviso, A beautiful mind è uno dei film più belli degli ultimi dieci anni.

I meriti sono condivisi: buona parte di essi va al regista Ron Howard (Cocoon, Willow, Apollo 13, Il Grinch), ma anche i protagonisti Russel Crowe (l'ormai celebre, benché pieno di incongruenza storiche, Il gladiatore) e Jennifer Connelly (Phenomena di Dario Argento, il magnifico Labyrinth, il fanta-gotico Dark City, il drammatico Requiem for a dream, lo pseudo-biblico Noah di Darren Aronofsky).

E che dire allora del personaggio cui il film è ispirato, il geniale e bizzarro matematico-politologo John Forbes Nash (che studiai all'università, peraltro)? Teorie rivoluzionarie, una vita a dir poco movimentata (qua peraltro in parte romanzata e modificata) e un premio Nobel nel 1994.

Veniamo allora alla trama di A beautiful mind: John Nash (Russel Crowe) è uno studente di matematica, alle prese con un college molto competitivo (Princeton) e una teoria ancora allo stato larvale, su cui tuttavia concentrerà tutti i suoi sforzi intellettuali.
John è un personaggio strano, e non tarderà ad attirarsi sguardi, simpatie e (soprattutto) antipatie: ha un solo amico, Charles, il suo compagno di stanza, mentre i suoi compagni principali sono algoritmi e formule matematiche, che poi lo porteranno all'elaborazione della "teoria dei giochi", che manderà in soffitta le vecchie concezioni economiche di Adam Smith.
Più avanti negli anni, l'università gli donerà anche l'amore della sua vita, Alicia (Jennifer Connelly), che poi diverrà sua moglie e che lo aiuterà grandemente nei momenti difficili che verranno.
E ne verranno, giacché John Nash ha un problema, e un problema non da poco...

La tensione emotiva di A beautiful mind è fortissima, e raramente a mio avviso una pellicola si è presentata così coinvolgente: la storia, appassionante, si divide tra gli anni dello studio, quelli dell'insegnamento e quelli del dottorato, distribuendo in egual quantità gioie e dolori.

Pare assai riuscita la scelta cromatica, con un color ocra dominante veramente efficace.
Ma in generale è ottimo l'intero assetto narrativo, con la dicotomia realtà-immaginazione che gioca con lo spettatore fin alla fine.

Alla fine della fiera, rimangono nette alcune sensazioni: la grande forza emotiva della storia, la credibilità dei personaggi, alcuni dialoghi fulminanti.

Eccone qualche esempio:

- Non vai a lezione?
- No, le lezioni ottundono la mente, distruggono il potenziale della creatività vera.
- Ah, non lo sapevo...

- Ci sarà una spiegazione matematica per la bruttezza della tua cravatta.

- Mi girano con movimenti rotatori opposti.

- Il genio vede la risposta prima della domanda.

Ciò che colpisce del film, tuttavia, non sono tanto le singole battute, né la genialità del personaggio, ma la sua lotta interiore, che è una lotta di volontà e determinazione e che lo fa giungere alla fine della sua vita laddove la sua mente, pur così brillante, non era riuscito a portarlo fino ad allora: ossia alla consapevolezza che la mente è limitata e che le cose importanti sono altre, e sono più vicine di quanto normalmente si pensa (l'amore, la serenità in luogo della fama e del successo). In questo sta il senso del film, che pure è ricco anche in altre componenti (recitazione, fotografia, dialoghi, etc).

Fosco Del Nero



Titolo: A beautiful mind (A beautiful mind).
Genere: drammatico, psicologico, sentimentale, biografia.
Regista: Ron Howard.
Attori: Russell Crowe, Ed Harris, Jennifer Connelly, Christopher Plummer, Judd Hirsch, Josh Lucas, Adam Goldberg, Anthony Rapp, Austin Pendleton, Victor Steinbach.
Anno: 2001.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 18 giugno 2008

Saw - L'enigmista - James Wan

La recensione di Saw - L'enigmista parte in modo originale: la prima volta che lo vidi non potei non ripensare al film Disney La storia fantastica (da non confondersi con La storia infinita, tratto dal bellissimo romanzo di Michael Ende), di cui era protagonista l'attore che in Saw fa il dottor Lawrence Gordon (Cary Elwes).

Il contrasto era piuttosto palese, con il primo film lieto e piacevole, e il secondo inquietante e claustrofobico.
Saw - L'enigmista infatti non risparmia certo visioni d'orrore al suo spettatore, tra orrore veduto e orrore percepito (ed entrambi sono evocati in quantità notevoli).

Il film si apre con una stanza lurida e due uomini incatenati.
Pare evidente da subito che i due non sanno perchè sono dove sono.

Comincia allora per i malcapitati una sorta di indagine, in modo da capire il perchè della situazione e le eventuali vie di fuga.

Saw - L'enigmista sa molto di videogioco, con gli indizi che vengono distibuiti mano a mano e che portano a un nuovo livello della storia.
E di livelli la storia ne è piena, con la comprensione della stessa che procede lenta e inesorabile, tanto per i protagonisti quanto per gli spettatori.

Il colpo di scena finale, poi, è spettacolare, veramente inaspettato (applicazione magistrale del principio psicologico in base al quale una cosa che si dà per scontata diventa "ambiente").

Insomma, Saw - L'enigmista è un thriller veramente buono.
Se non siete troppo deboli di cuore, guardatelo senza riserve.

Da segnalare anche la presenza nel film di Michael Emerson, che sarebbe poi diventato celebre nei panni di Ben in Lost.

Fosco Del Nero



Titolo: Saw - L'enigmista (Saw).
Genere: thriller, noir, psicologico.
Regista: James Wan.
Attori: Cary Elwes, Leigh Whannell, Danny Glover, Monica Potter, Michael Emerson, Tobin Bell, Ken Leung, Makenzie Vega, Shawnee Smith, Benito Martinez, Dina Meyer, Michael Emerson.
Anno: 2004.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

The butterfly effect - Eric Bress, J. Mackye Gruber

"Si dice che il battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo".
The butterfly effect comincia con questa citazione della teoria del caos, secondo la quale le coincidenze non esistono e ogni cosa ha delle ripercussioni reali, importanti o meno che siano, dirette o indirette.

Evan (Ashton Kutcher: Spread, Fatti, strafatti e strafighe, Notte brava a Las VegasOggi sposi, niente sessoThat 70's show, ma soprattutto giovane marito di Demy Moore) ha un problema: una qualche malattia sconosciuta, ereditata dal padre, gli provoca delle crisi a cui sono legate delle perdite di memoria.
La medicina convenzionale e la psicoterapia non riescono a risolvere il problema, e così un dottore consiglia al ragazzo di tenere un diario, in modo da poter confrontare la sua memoria con quanto scritto in precedenza.
Evan lo farà, per tutti gli anni della sua infanzia e della sua adolescenza.

Della sua adolescenza fanno parte diversi personaggi: la dolce Kayleigh (Amy Smart: Interstate 60; La battaglia di Shaker HeightsPeaceful warriorCrank, Riflessi di paura), il bonario Lenny (Elden Henson: La battaglia di Shaker Heights), il cinico e sadico Tommy.
Ma, soprattutto, il padre di Kayleigh e Tommy, pedofilo intorno ai comportamenti del quale verterà l'intera storia.
Evan, infatti, quando sarà studente universitario si renderà conto di aver accesso ai ricordi d'infanzia attraverso la lettura dei suoi vecchi diari, tutti religiosamente conservati. Un accesso talmente vivido che può rivivere quegli eventi modificando di volta in volta il suo comportamento e dando il via così a diverse linee di vita, assai differenti per sé e per gli altri.

L'inizio di The butterfly effect è molto agitato e confuso, tra la malattia del padre e le crisi di Evan, ancora bambino, e con parecchie amnesie/buchi.
Tutto però sarà spiegato, e con coerenza, con il prosieguo del film, appassionante e coinvolgente.

Il film è stato vietato ai minori di 14 anni, anche se senza validi motivi a parer mio: è vero che vi sono scene piuttosto crude (il padre pedofilo, l'uccisione di un cane, dei tentativi di omicidi, delle mutilazioni corporee, degli squarci di prostituzione, l'omosessualità da carcere, etc), ma senza che venga posto l'accento su tali cose, più di passaggio per la trama che non elementi centrali del film, e comunque nulla che non si veda anche in altri prodotti (beh, dipende anche da quali film si guardano di solito).

Sostanzialmente, siamo di fronte a un film sui viaggi-percorsi temporali e sugli snodi della vita... il quale peraltro metaforicamente corrisponde assai bene al fatto che ogni persona, rivisitando e riconsiderando in modo diverso il suo passato, può effettivamente cambiare prospettiva nel presente e quindi modificare sensibilmente il suo futuro.

Al di là del primo elemento, quello fantastico, il secondo, quello psicologico-esistenziale, pare molto ben riuscito, con i ragazzi che mutano radicalmente di condizione a seconda di quanto fatto da Evan nel passato.
Kayleigh passa da felice e brillante (e bellissima) studentessa a prostituta disillusa; Tommy da psicopatico a fervente religioso; Lenny da semi-autistico a persona serena ed equilibrata.
Lo stesso Evan si ritrova studente alternativo, membro di confraternita, handicappato, malato mentale, etc.

Seguendo la trama, non si può non pensare all'ispirato Memento, che si districava su basi diverse (psicologiche e mnemoniche), ma con tematiche simili (le possibilità della vita, le scelte fatte e le relative conseguenze).

In conclusione, The butterfly effect è a mio avviso un ottimo film, al quale il finale consegna anche un bellissimo senso di crescita interiore nella direzione dell'altruismo: alla fine, difatti, le cose si sistemano solo quando il protagonista diviene capace di una scelta basata sull'amore incondizionato e sul distacco, al di là del suo desiderio personale.

Fosco Del Nero



Titolo: The butterfly effect (The butterfly effect).
Genere: drammatico, fantastico, psicologia.
Regista: Eric Bress, J. Mackye Gruber.
Attori: Ashton Kutcher, Amy Smart, Kevin Schmidt, Melora Waters, Elden Henson, Lenny Kagan, Eric Stoltz, Melora Walters, Callum Keith Rennie.
Anno: 2004.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

martedì 17 giugno 2008

Velocità massima - Daniele Vicari

Velocità massima è il lungometraggio di esordio per Daniele Vicari, realizzato a partire da un documentario da lui stesso prodotto sull'ossessione per le auto degli italiani.

E difatti le auto sono l'argomento centrale di questo film: Stefano interpretato da Valerio Mastandrea (Tutta la vita davanti, N - Io e Napoleone), è un meccanico proprietario di una scalcinata officina, che prende in prova un giovane diciassettenne, Claudio, tanto silenzioso quanto abile coi motori.

I due, anche per soddisfare la passione di Stefano, accanito frequentatore delle corse clandestine a Roma (che si svolgono all'Obelisco), iniziano a lavorare su una macchina, per renderla il più possibile competitiva...
Stefano vuole al contempo vincere la gara che si svolgerà di lì a poco e dare una lezione a Fischio, altro accanito corridore, sostenuto però più dai soldi che non dall'abilità coi motori.

E i soldi sono un altro punto centrale del film, tra debiti, viaggi programmati e affitti non pagati.
Macchine... soldi... cosa manca?

Esatto: le donne, l'altro pezzo del puzzle.
Donne e motori, gioie e dolori?
In un certo senso Velocità massima sembra confermare questo detto, con l'attraente Giovanna, ragazza di Fischio, di cui si invaghisce il giovane Claudio... e con lo stesso Stefano che non sta a guardare.

Il giudizio su Velocità massima non è del tutto positivo: è pur vero che si lascia seguire facilmente, e che offre un affresco interessante sulla realtà sommersa delle corse clandestine, ma è anche vero che la storia è piuttosto banale, così come banali sono i cliché proposti (la sfida tra gli eroi di turno, i litigi per una donna, etc).
Anche il finale sembra piuttosto forzato e non convince appieno.

Tuttavia, se foste degli appassionati di film su macchine e motori, Velocità massima potrebbe piacervi.
Buona la recitazione di Valerio Mastandrea.

Fosco Del Nero



Titolo: Velocità massima.
Genere: commedia, drammatico.
Regista: Daniele Vicari.
Attori: Valerio Mastandrea, Cristiano Morroni, Alessia Barela, Massimiliano Varrese.
Anno: 2002.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

domenica 15 giugno 2008

Shaolin soccer - Stephen Chow

Una delle sorprese più liete degli ultimi anni: Shaolin soccer, girato a Hong Kong nel 2001 dal giovane attore e regista Stephen Chow, è diventato ben presto un grande successo nell'Asia orientale e anche in Occidente, grazie al passaparola e al peer-to-peer in internet.

In effetti, quando nel 2003 il film è stato portato in occidente dalla Miramax, già godeva di una grande popolarità.
Purtroppo, però, in fase di adattamento il lavoro è stato pesantemente mutilato, con circa 20 minuti tagliati (e nessuno ne ha mai capito il perché).

In casa Italia è andata anche peggio, con il doppiaggio diretto da Pino Insegno che ha letteralmente mutilato un ottimo prodotto, un film a metà tra spettacolarità e filosofia, rendendolo una storiella frivola popolata da macchiette ridicole.

Già, perché si sono avute tre brillanti idee, veramente dilettantesche:
1. Dare ai personaggi degli accenti regionali (romano, siciliano, etc).
2. Cambiare i dialoghi per renderli più terra terra.
3. Far fare il doppiaggio a professionisti del settore come Candela, Mihajlovic, Pancaro, Tommasi, Del Vecchio, etc.

Il risultato: la versione originale del film (ovviamente vista coi sottotitoli) è infinitamente più bella.
Non c'è nemmeno paragone; son proprio due film diversi.
Il mio giudizio si basa sull'averle viste entrambe, ed è un parere che, ho riscontrato su internet, è largamente condiviso.

Ma veniamo al film in sé e per sé: Fung (detto Golden leg), ex calciatore e ora allenatore disoccupato, incontra Sing (Mighty steel), esperto di tecniche shaolin, anch'egli povero in canna. I due decidono di coniugare le loro due abilità, kung fu e calcio, e iscriversi al campionato nazionale.
La squadra che metteranno su all'inizio sembra piuttosto scalcinata, ma dopo un po' di rodaggio inizia a farsi valere nella coppa nazionale...

Diciamo subito una cosa: la trama di Shaolin soccer non è originalissima, e fin dall'inizio si sa cosa succederà, dettaglio più, dettaglio meno.
I punti di forza del film sono invece altri. Intanto, degli effetti speciali spettacolari e coinvolgenti, che già di per sé valgono la visione del film.
Perlomeno perché sono uniti a significati a mio avviso densi e profondi: al kung fu praticato si unisce infatti la visione della vita che gli sta dietro, di sapore quasi filosofico.

Ad azione e filosofia si aggiunge poi la comicità, dato che il film è sostanzialmente una commedia, e anche divertente.
Inoltre, la storia si fa seguire volentieri, grazie a dei personaggi costruiti molto bene e a cui ci si affeziona in fretta (in primis Sing e tutti i suoi fratelli).
Bella anche la colonna sonora.

Insomma, Shaolin soccer è un prodotto originale e godibile che però va necessariamente visto in lingua originale (cantonese); un ostacolo forse per chi non ha voglia si seguire un film coi sottotitoli.

Forse, invece, persino un pregio per i puristi del cinema (che sostengono che i film andrebbero visti sempre in lingua originale... e forse non hanno tutti i torti).
In calce un breve spezzone del film, con l'esordio del Real Shaolin nel campionato.

Fosco Del Nero



Titolo: Shaolin soccer (Siu lam juk kau).
Genere: sportivo, commedia, comico.
Regista: Stephen Chow.
Attori: Stephen Chow, Vicki Zhao, Ng Mang Tat, Patrick Tse Yin, Wong Yat Fei, Tin Kai Man, Lam Tze Chung, Chan Kwok Kwan, Mok Mei Lam, Lam Tsz Sin, Karen Mok, Cecilia Cheung.
Anno: 2001.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


sabato 14 giugno 2008

La guerra degli Antò - Riccardo Milani

Altro film italiano, sebbene meno fortunato, e giustamente, dell'ottimo Ovosodo.

La guerrà degli Antò è la storia di quattro ragazzi abruzzesi, di Montesilvano per la precisione, che per l'appunto si chiamano tutti Antonio, da cui il titolo del film.

Quanto alla parola "guerra", essa si riferisce al fatto che i quattro sono dei punk, alle prese con la cultura perbenista del loro paese, che inevitabilmente li inquadra sotto una cattiva luce.

La domanda è: la cattiva luce è meritata?
Stando all'inizio del film, la risposta è: assolutamente sì.

In effetti, i quattro, più che dei personaggi profondi e alternativi, sembrano quattro deficienti che passano il loro tempo a fare bravate da teppisti, come quando importunano (ma sarebbero più giusti i termini "molestie sessuali") una ragazza alle giostre del paese, o come quando si recano a una festa alla quale non erano invitati e urinano sul letto dei padroni di casa.

Per non parlare poi di tutte le grosse parole di cui si riempiono la bocca, senza in realtà dare l'impressione di sapere quello che dicono, da "sistema" a "ideologia", da "guerra" a "politica".

E' questa la cultura alternativa punk?
Onestamente, essa non ne esce molto bene, e difatti credo che i veri punk non abbano gradito questo film.
In tal senso, la frase forse più azzeccata del film la dice il padre dell'Antò principale, detto Antò Lu Purk, che così si rivolge al figlio: "Con quei capelli lì non ti crede nessuno".

A dire il vero La guerrà degli Antò qualche punto positivo lo ha: è vivace e spigliato e, a furia di vederli in azione, ci si affeziona ai quattro ragazzi... anche se si continua a non creder lor per via di come sono pettinati...

Ma soprattutto per via di come si comportano: nel film seguono "bravate" a raffica, da quando Antò Lu Purk si rompe una gamba facendo lo sbruffone arrampicandosi sulle inferriate di un cantiere, a quando due dei quattro incendiano per sbaglio la stanza di un ostello, a quando gli altri due fanno una piazzata non particolarmente riuscita in diretta televisiva.

Alla fine, dopo viaggi a Bologna e Amsterdam, si ricontreranno tutti a Montesilvano, al grido di "il nostro paesello alla fine non è tanto male".

Da sottolineare che i quattro Antò sono tutti ragazzi del posto, e infatti recitano con una netta cadenza abruzzese.
Più famosa di loro invece è Regina Orioli, già vista nel già recensito Ovosodo e ne L'ultimo bacio, e passata in modo repentino da ammaliatrice fatale a brava ragazza con la testa sulle spalle.

Insomma, La guerrà degli Antò è un film che potrebbe essere interessante per via delle specificità regionali (accento, luoghi, etc), ma che non è certamente il meglio prodotto in Italia.

Fosco Del Nero



Titolo: La guerra degli Antò (La guerra degli Antò).
Genere: commedia.
Regista: Riccardo Milani.
Attori: Flavio Pistilli, Federico Di Flauro, Paolo Setta, Regina Orioli, Danilo Mastracci, Donatella Raffai, Giancarlo Balmas.
Anno: 1999.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 12 giugno 2008

La casa delle streghe - Masters of horror - Stuart Gordon

Uno studente universitario squattrinato affitta una camera in una pensione a basso prezzo.
L'ambiente da subito si presenta sinistro: l'edificio, i corridoi, persino gli inquilini...

E il peggio deve ancora venire: dei sogni inquietanti, un topo dal volto umano, un portale dimensionale, una strega e un neonato che deve morire...

La regia di La casa delle streghe, un mediometraggio di meno di un'ora, è affidata a Stuart Gordon ed è ispirata a un racconto di Howard Phillips Lovecraft (scrittore tra i miei preferiti), alla cui produzione letteraria Gordon si era già ispirato per alcuni suoi film: Re-animator, From beyond, ma soprattutto l'ottimo Dagon, il cui protagonista peraltro è il medesimo di questo film: Ezra Godden, evidentemente a suo agio nei panni dello studente universitario impacciato.

In entrambi i film, peraltro, l'attore indossava una maglia della Miskatonic University, nome caro allo scrittore di Providence.

E in questo La casa delle streghe, che fa parte della serie di film brevi Masters of horror, fa la sua apparizione anche una copia del Necronomicon, il libro del male che scritto dall'arabo pazzo Abdul Alhazred.

Libro che, secondo la teoria più accreditata, Lovecraft si era inventato di sana pianta, riuscendo però a far credere mezzo mondo che in realtà esisteva davvero.
In realtà, c'è ancora gente che lo sta cercando.
E magari lo troverà anche, chissà...

Da sottolineare pure la citazione della "teoria delle stringhe", questa reale, ma non meno rivoluzionaria per le straordinarie ripercussioni concettuali che avrebbe sull'universo in cui viviamo.

Ma non cambiamo argomento e torniamo a La casa delle streghe, che, dopo un inizio promettente, diviene meno convincente, con il gioco dell'ambiguità tra sogno e realtà che perde efficacia.
Il prodotto, a mio avviso, è appena decente.

Se volete, dunque, guardatelo pure, ma se volete vedere il meglio di Stuart Gordon procuratevi invece Dagon.

Fosco Del Nero



Titolo: La casa delle streghe - Serie Masters of horror (Dreams in the witch house).
Genere: horror.
Regista: Stuart Gordon.
Attori: Ezra Godden, Susan Bain, Jay Brazeau, Anthony Harrison, Chelah Horsdal.
Anno: 2005.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 10 giugno 2008

La mia droga si chiama Julie - François Truffaut

Ecco il film d'autore che avevo annunciato nella recensione di Una fidanzata per papà di Vincente Minnelli.

La mia droga si chiama Julie è una produzione franco-italiana del 1969, a firma di François Truffaut, con protagonisti Jean-Paul Belmondo e Catherine Deneuve.

Louis Mahé (Belmondo) è un giovane, bello e ricco produttore di tabacco dell'isola di Reunion, al largo del Madagascar (che a sua volta è al largo dell'Africa meridional-orientale). E' tuttavia un uomo che sa poco dell'amore e delle vicende sentimentali, tanto da affidarsi agli annunci e alla corrispondenza.

Decide di sposarsi con una donna conosciuta in tale modo, Julie, che giunge a Reunion proprio per lui.
Il giorno programmato per l'incontro, tuttavia, la donna della foto non si presenta, e se ne presenta un'altra (Deneuve).

Incomincia da qui l'intera storia, che si svolge tra Reunion e diverse città della Francia (Marsiglia, Lione, etc).
Sono doverose diverse considerazioni.

La prima è che La mia droga si chiama Julie è stato portato in Italia in una versione tagliata, priva di alcune scene importanti.
Il solito discorso dell'ottusità della censura, unita all'arroganza di chi presume di avere il diritto di sapere cosa è meglio che le altre persone vedano o meno.

Il secondo punto, assai più lieto, é una considerazione: non avevo mai visto Catherine Deneuve giovane, e anzi l'avevo considerata sempre una signora distinta la cui fama come attrice avvenente però non mi spiegavo in toto (cito ad esempio l'ottimo film-musical 8 donne e un mistero).
Ebbene, da giovane era bellissima, di una belezza quasi ipnotica, come testimonia largamente questo film (la "sirena del Mississipi" del titolo originale sarebbe proprio lei).

Anzi, chissà di quali bellezze (umane, letterarie, filmiche, etc) ciascuna generazione non è consapevole per il solo fatto di non avere esplorato il passato, in questo caso il passato cinematografico.

Lo stesso Una fidanzata per papà era emblematico in tal senso, soprattutto per la presenza di Stella Stevens, veramente incantevole.

Devo invece dire che mi ha un po' deluso Jean-Paul Belmondo, che sembra più che altro un ragazzone palestrato e nulla più. Ma forse l'attore si è calato molto bene nella parte dell'ereditiero un po' ingenuo...)

Molto bene, sostanzialmente siamo di fronte a un film drammatico, che parte in tono leggero ma va avanti con una sorta di escalation di tensione, tra truffe, omicidi e tentati tali.
A mio avviso il finale è poco convincente, con Julie autrice di un voltafaccia troppo radicale, ma il film nel suo complesso è senza dubbio un buon giallo.

Da sottolineare che si tratta di uno dei film di minor successo di Truffaut, ma che comunque non è trascurabile all'interno della sua filmografia; il regista francese ha infatti rivelato di aver girato Baci rubati, uno dei suoi più grandi successi, proprio per avere i soldi per produrre questo La mia droga si chiama Julie.

Fosco Del Nero



Titolo: La mia droga si chiama Julie (La sirène du Mississippi).
Genere: drammatico.
Regista: François Truffaut.
Attori: Jean-Paul Belmondo, Catherine Deneuve, Nelly Borgeaud, Martine Ferrière, Marcel Berbert, Yves Drouhet, Michel Bouquet, Roland Thenot.
Anno: 1969.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

domenica 8 giugno 2008

Appleseed - Masamune Shirow

Masamune Shirow (ma il suo vero nome è Masanori Ota) è uno dei mangaka (disegnatori di manga) più famosi al mondo, per cui immagino che egli non abbia bisogno di presentazioni per i fan dei fumetti orientali.

Manga come Black magic, Orion, Dominion, Ghost in the shell e questo stesso Appleseed hanno ormai fatto storia, ottenendo tra l'altro diverse trasposizioni animate (particolarmente famosa quella di Ghost in the shell, il cui secondo episodio (Ghost in the shell 2 - Innocence) vanta un livello grafico a dir poco strepitoso).

Ma veniamo ora al fumetto in questione, assai noto e vincitore di numerosi premi.

Vi sintetizzo lo scenario in cui si svolge: dopo la terza guerra mondiale il pianeta è praticamente in rovina, e in molte zone la presenza umana è scomparsa completamente o parzialmente.

Con l'intento di costruire una società vivibile e pacifica, in un'isola artificiale tra Canarie e Azzorre (al largo dell'Africa e non lontano dalla Spagna) è stata fondata Central City of Olympus, una città-nazione assai internazionalizzata, in cui sono confluiti molti dei superstiti delle varie zone disastrate del mondo.
Ma questo Deunan Knute e Briareos Hecatonchires, i protagonisti di Appleseed, ancora non lo sanno, visto che vivono, del tutto isolati, in una città fantasma, spopolata dalla suddetta guerra. I due sono ex soldati scelti, che vengono contattati dai rappresentanti di Olympus per diventare ufficiali di polizia nel nuovo stato.
Deunan e Briareos scopriranno presto che Olympus, una società di tipo utopistico fortemente organizzata, alla fin fine perfetta non lo é poi così tanto.

L'opera di Shirow presenta una forte contrapposizione tra elemento high tech, sia in termini visivi sia nozionistici, ed elemento politologico-sociale-filosofico.

In effetti, se l'azione tende a occupare una buona parte dei quattro volumi che anni fa sono stati stampati dalla Star Comics, un'altra buona parte è riservata alle riflessioni in campo umanistico, che rendono peraltro il manga molto complesso e dal tono culturale non indifferente.

Per rendersi conto della complessità del fumetto, basta andare alla fine del primo volume e dare un'occhiata all'appendice, in cui si trovano nell'ordine: la mappa dell'isola Olympus, l'organigramma politologico della società relativa, con tanto di divisione interna dei poteri, la descrizione delle potenze internazionali rappresentate in Appleseed, una carta del pianeta Terra secondo le nuove zone di influenza conseguenti alla terza guerra mondiale, la cronologia di tutto quello che è successo dal 1988 al 2147, le figurine di circa 70 personaggi e infine le tavole dei protagonisti principali.

Insomma, Shirow è uno che fa le cose per bene e che cura i dettagli.

Veniamo ora ad alcune caratteristiche particolari dell'opera.
Intanto, la precisione grafica è maniacale, e questo non può che fare piacere.
In secondo luogo, quasi tutti i nomi dei personaggi e dei luoghi sono di origine greca, come forse avrete già intuito.

Ancora, Shirow è noto per le sue eroine femminili, personaggi carismatici e forti.
Deunan (che guarda caso somiglia molto a Seska di Orion, e Leona di Dominion, e a Motoko Kusanagi di Ghost in the Shell) rappresenta perfettamente questo prototipo, e dà spesso l'impressione di essere più volitiva del suo compagno Briareos (un uomo parzialmente robotizzato per via di incidenti di guerra).

Prima di concludere la recensione di uno dei manga cui sono affezionato di più (mi ricordo ancora quando lo comprai e quando lo lessi la prima volta), anticipo quello che in molti considerano il difetto principale di Shirow: la carenza di umorismo.
Io in particolare, che apprezzo molto umorismo e ironia, dovrei sentire tale carenza... ma di fatto non è così...

Certo, il mondo di Shirow è spesso piuttosto serioso, ma in in dei conti qualche momento di distensione lo si trova (per quanto non propriamente comico come in Maison Ikkoku o Ushio e Tora, per fare due esempi di manga che ho già recensito).
Insomma, io vi consiglio Appleseed vivamente.

Fosco Del Nero



Titolo: Appleseed (Appleseed).
Genere: fantascienza.
Autore: Masamune Shirow.
Anno: 1985-1989.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

venerdì 6 giugno 2008

Ovosodo - Paolo Virzì

Avevo promesso il meglio e il peggio della produzione cinematografica italiana degli ultimi anni, ed eccomi qua: partiamo dal meglio con Ovosodo, film del 1997 del regista Paolo Virzì.

Innanzi tutto, la storia si segnala per la narrazione tutta in prima persona (espediente narrativo che mi piace molto), e tale prima persona è Piero Malsani, un ragazzo del quartiere livornese di Ovosodo. Piero non è esattamente nato con la camicia: il padre è un fannullone mezzo criminale, il fratello un ragazzone ritardato, e la madre muore presto.

Il film si distingue sin da subito per un linguaggio ricercato e curato, e già questo fatto è degno di menzione (al contrario in molti prodotti italiani, televisivi in primis, pare che si faccia a gara a chi è più rozzo o qualunquista).

Inoltre, sin da subito vengono dispensati concetti profondi o impegnativi, sotto forma di frasi famose o comunque forti (per esempio, "l'altra metà del cielo", definizione coniata da Mao Tse Tung per definire l'universo femminile, o "le donne brutte sono tutte infelici", con cui la neomadre "avverte" la figlia neonata).

Salta all'occhio anche la condizione psicologica del protagonista, che si sente un inadatto alla vita, quasi escluso da essa, posto che egli si rifiuta di giocare secondo le regole ufficiali. In tal senso, la figura di Piero Malsani sa molto di inetto sveviano.

Un'altra caratteristica precipua del film è quella di disegnare dei personaggi veramente memorabili.

Ivano, il fratello ritardato di Piero, è figura marginale ma al contempo centrale nella vita del fratello, perchè emblematica della ruota della vita.
Giovanna, la professoressa del giovane (interpretata da Nicoletta Braschi, la moglie di Benigni, per chi non lo sapesse), è un personaggio al contempo dolcissimo e commovente. Tommaso Paladini, il migliore amico di Piero (favolosa la sua scena d'ingresso nel film), è caratterizzato in modo straordinario da Marco Cocci, un attore che non mi spiego come mai non sia nel mentre diventato molto importante. A mio avviso Tommaso è la figura più carismatica ed eccellente dell'intera storia.

E non siamo ancora arrivati ai due personaggi femmminili che segneranno la vita del ragazzo.
Il primo è Lisa (Regina Orioli), bellissima e affascinante cugina di Tommaso di cui Piero s'invaghirà immediatamente e con cui avrà diversi tête-à-tête.
Il secondo è Susy (Claudia Pandolfi), la vicina di casa e prima fidanzatina ai tempi delle elementari.

Di fronte a un film del genere, così denso di vita e di personaggi e di emozioni e di concetti esistenziali, si fa fatica a indicare alcune scene, preferendole ad altre.

Non posso però non citare, oltre alla già menzionata entrata in scena di Tommaso, la cena a casa di Giovanna con lei e i due giovani, la visita in ospedale di Piero a Giovanna stessa, il viaggio in motorino di Piero e Lisa, nonchè l'ottuso e fedele affetto che Susy mostra in praticamente tutte le occasioni nei confronti del suo vicino di casa (atteggiamento che rende grandemente l'idea di come l'immagine che noi abbiamo del mondo, delle persone e di noi stessi faccia la differenza).

Ovosodo si chiude in modo agrodolce, come praticamente era stato tutto il resto della pellicola: prima Piero si chiede cosa il fratello Ivano si dica con i venditori africani che ha iniziato a frequentare durante le sue passeggiate in solitaria ("forse non è ritardato, ma solo staniero"); poi lo stesso Piero, commentando la prevedibilità del suo rapporto con quella che nel mentre è divenuta sua moglie, dice che sente come "un ovosodo dentro che non va né su né giù".

Il ragazzo, oramai uomo, continua a sentirsi una via di mezzo: non ha mai saputo cosa voleva lui dalla vita, limitandosi ad afferrare ciò che gli passava vicino... in fin dei conti, la sensazione è che non gli sia andata poi così male, ma gli (e ci) rimane il dubbio che molte potenzialità siano andate perdute...

Gran premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia.Chi non lo ha visto se lo guardi assolutamente!

Fosco Del Nero



Titolo: Ovosodo (Ovosodo).
Genere: commedia, drammatico.
Regista: Paolo Virzì.
Attori: Edoardo Gabbriellini, Marco Cocci, Nicoletta Braschi, Claudia Pandolfi, Regina Orioli, Pietro Fornaciari, Malcolm Lunghi, Matteo Campus, Gianna Giachetti, Giorgio Algranti, Barbara Scoppa, Raffaele Vannoli, Piero Gremigni, Daniela Morozzi, Ginevra Colonna, Isabella Cecchi, Paolo Ruffini.
Anno: 1997.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

Una fidanzata per papà - Vincente Minnelli

Ormai mi sto specializzando in commedie degli anni "50-"60.

Dopo Qualcuno verrà, anch'esso diretto da Vincente Minnelli (secondo marito di Judy Garland, la ragazzina dello storico Il mago di Oz, e padre di Liza Minnelli), stavolta è turno di Una fidanzata per papà... e peraltro sto preparando la recensione del film di un altro noto regista del passato, anche se di altra nazionalità.

Ma andiamo con ordine: Una fidanzata per papà è una commedia sentimentale con protagonisti Glenn Ford e Ron Howard, ossia colui che qualche anno più tardi sarebbe diventato Ricky Cunningham di Happy Days e ancora dopo uno dei registi più noti di Hollywood (A beautiful mindIl codice da Vinci, Cocoon).

Il tono del film è assai leggero e vivace, e sostanzialmente la trama può essere riassunta così: il piccolo Eddie (Ron Howard) ha perso la mamma da poco, e sia lui che il padre Tom (Glenn Ford) stanno cercando di superare la cosa. Dà loro una mano la vicina Elizabeth, che peraltro era la migliore amica della mamma-moglie.
A un certo punto Eddie si convince che la loro vita migliorerà se il padre si risposerà, e allora inizia a cercare una donna con cui fidanzarlo.

Alla fine della fiera, le candidate saranno tre: la stessa Elizabeth (Shirley Jones), (letteralmente la) ragazza della porta accanto, Zizì (Stella Stevens), ragazza dalla bellezza straripante, e Rita (Dina Merrill), donna elegante e affascinante.

Avrò la cortesia di non rivelarvi chi sarà la prescelta.

Aggiungo solamente che Una fidanzata per papà, pur essendo una storia semplice e senza pretese, si presenta molto fresco e piacevole.
Non a caso, al tempo questa commedia romantica di Vincente Minnelli ebbe tanto successo da ispirare una serie.

E poco ostano alla visione i numerosi anacronismi storico-sociali (modi di dire, atteggiamenti, ruolo delle donne, etc), nonchè una certa prevedibilità della trama (si capisce come andrà a finire dopo poco tempo): Una fidnzata per papà si fa vedere bene e lascia un bel ricordo, col suo sapore retrò.

Uno dei (presumibilmente) tanti bei film con cui il tempo non è stato generoso in quanto caduto nel dimenticatoio.

Da segnalare la presenza nel film di Jerry Van Dyke (il fratello di Dick Van Dyke, il celebre spazzacamino di Mary Poppins).

Fosco Del Nero



Titolo: Una fidanzata per papà (The courtship of Eddie's father).
Genere: commedia, sentimentale.
Regista: Vincente Minnelli.
Attori: Glenn Ford, Ron Howard, Dina Merrill, Shirley Jones, Stella Stevens, Roberta Sherwood, Jerry Van Dyke.
Anno: 1963.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 3 giugno 2008

Crimen perfecto - Finchè morte non li separi - Alex De La Iglesia

Crimen perfecto si apre con l'autopresentazione di Rafael, commesso modello dei magazzini Yeyo's (una sorta di centro commerciale di abbigliamento tipo Oviesse).

Rafael ambisce a vivere la vita perfetta, non si accontenta della mediocrità e lo dice a chiare lettere: lui vuole delle belle donne, una bella macchina, dei bei vestiti e così via.

I primi venti minuti del film scorrono via con il personaggio (e l'ego) di Rafael che conquista sempre più spazio: il reparto donna è il suo feudo personale (non solo metaforicamente) ed egli si appresta a vincere la sfida con Don Antonio (che invece dirige il reparto uomo) per chi sarà nominato direttore di piano.

Ma la prodezza da venditore di Rafael (una sorta di rovesciata al 90° all'incrocio dei pali) viene vanificata da un dettaglio burocratico, e l'uomo perde la sfida, perde il piano e dopo pochi minuti perde anche il lavoro.
Don Antonio, invece, perde la vita.

Questo è l'inizio del rovescio di Rafael, con la brutta e perfida Lourdes che piano piano subentra nella sua vita, di fatto rovinandogliela.
Ed ecco che il film, che si era aperto coma una fresca commedia, si tramuta in un mix tra thriller, dramma e grottesco.
Peraltro, similmente a quanto avvenuto in La comunidad, altro noto e apprezzato film di Alex De La Iglesia (ma attenzione, perché lo stile del regista è particolare, e ad alcuni non piace).

Il personaggio di Lourdes merita senza dubbio un commento: dentro è più brutta che fuori... e ce ne vuole. In effetti, alla domanda "se ci fossi stati io al posto di Rafael, cosa avrei fatto?", la risposta sorge spontanea, e non è molto positiva.

Emblematica di ciò che ha dovuto sopportare Rafael (con cui si fa in fretta a solidarizzare, a dispetto dell'arroganza che mostra a inizio film) è la cena a casa della famiglia di lei: il padre è sempre addormentato, in stato semi-comatoso, la madre è antipatica, la figlia come detto orrenda e cattiva, mentre l'altra figlia, quella piccola (8 anni), è invasata quasi ai livelli de L'esorcista: in rapida serie urla alla famiglia che il professore di ginnastica l'ha violentata, che è incinta e che vuole tenere il bambino. Per poi minacciare subito dopo di far saltare la casa con il gas: la mamma a quel punto si getta a terra in ginocchio e grida "Prendimi con te, o Gesù!".
Insomma, proprio un bel clima familiare...

Non aggiungo altro per non appesantire la recensione e non svelare troppo della trama di Crimen perfecto; dico solo che nel corso della storia se ne vedono delle belle, con il rapporto tra i due a dir poco mutevole e l'ispettore che li segue da vicino.

Una menzione anche per l'ottima trovata della seconda vita di Don Antonio.
Finale a sorpresa, surreale quanto il resto del film.

Chiude il pezzo trailer di Crimen perfecto, in spagnolo sottotitolato in inglese; a questo proposito, ho visto il film sia in italiano sia in lingua originale (sottotitolato) e devo dire che la seconda versione è più efficace.

Fosco Del Nero



Titolo: Crimen perfecto - Finchè morte non li separi (Crimen ferpecto).
Genere: commedia, surreale.
Regista: Alex De La Iglesia.
Attori: Guillermo Toledo, Monica Cervera, Luis Varela, Enrique Villen, Fernando Tejero, Javier Gutierrez.
Anno: 2004.
Voto: 7.5
Dove lo trovi: qui.


Il mondo dall'altra parte