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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 30 giugno 2021

Gli aristogatti - Wolfgang Reitherman

Confesso che non avevo mai visto il classico dell’animazione del 1970 Gli aristogatti e ciò nonostante da sempre sia un appassionato di film d’animazione.
Non sempre tuttavia dei classici Disney, che fin da bambino/ragazzino ritenevo a tratti troppo mielosi e a tratti troppo infantili… non a caso fin da adolescente mi sono orientato verso l’animazione giapponese, la quale in quei lidi non è concepita, come noto, come strumento d’intrattenimento per l’infanzia, come il parente povero del film recitato che è stato storicamente in Occidente, ma come un genere a sé stante.

Ma veniamo al film Gli aristogatti, diretto da quel Wolfgang Reitherman che ho molto apprezzato in altre opere come La spada nella roccia e Robin Hood, anch'esse animate.
Se da un lato il genere è piuttosto chiaro, il mix di commedia e musica ben apprezzato negli anni “60 e dintorni, lo stile è difficile da trasporre nelle varie localizzazioni, per via di scelte linguistiche che giocano spesso sulle ambivalenze della lingua inglese tra gatti, aristocratici, jazz, etc. Al tempo si è scelto, come era tipico per l’epoca, di tradurre i dialoghi e soprattutto le canzoni seguendo non la lettera stretta ma il senso di fondo. Di fronte a un lavoro non semplice, d’altronde, andava fatta una scelta.
Di mio, non ho apprezzato molto la scelta del doppiaggio italiano localizzato persino troppo, ossia regionalizzato, con accenti romani, milanesi, romagnoli, etc. In particolare, mi è sembrato paradossale, se non proprio ridicolo, definire il protagonista maschile “Romeo, er mejio der Colosseo” quando il film è ambientato a Parigi. Si poteva certamente optare per l’accento regionale, ma senza riferimenti geografici quali il Colosseo. Sarebbe come se un film ambientato a Roma fosse doppiato chiamando il protagonista qualcosa tipo “Il meglio del Taj Mahal”, o “Il meglio delle piramidi di Giza” (liquidando la questione con una frasetta secondo la quale il gatto avrebbe fatto l'autostop da Roma sino a Parigi o sino al Cairo).

Detto questo, ecco la trama de Gli aristogatti: siamo a Parigi nel 1910, e una donna ormai anziana, benché ancora vispa ed elegante, nomina i suoi quattro gatti, la gatta Duchessa e i suoi tre cuccioli Minou, Matisse e Bizet, suoi eredi; solo dopo la loro morte il patrimonio della donna sarebbe andato al fidato maggiordomo Edgar
… che tanto fidato in effetti non è dal momento che, scoperta la questione, complotta per disfarsi dei mici, e li porta fuori città. In campagna, i quattro, sulle prime disperati, conoscono il gattone Romeo, il quale, affascinato dalla bella ed elegante Duchessa, si attiva per riaccompagnarli in città dalla loro benefattrice, nel mentre caduta nella disperazione.
Il film racconta tale avventura e ci fa conoscere gli amici di Romeo, tutti suonatori jazz, nonché topi, cavalli, cani selvatici e via discorrendo, tra un motteggio e una canzoncina.

Sarò breve: la sceneggiatura è tutto sommato semplice, e infatti il film dura molto poco, com'era frequente per i canoni di quell'epoca: poco più di 70 minuti.
I personaggi protagonisti sono in buona parte adorabili, i tre micetti in primis (anche i loro nomi sono stati cambiati nella versione italiana per renderli più simili a quella che si supponeva fosse la cultura degli italiani dell’epoca… pessima abitudine che si aveva per l’appunto in quei decenni, poi fortunatamente messa da parte). 
La colonna sonora è caruccia ma affatto indimenticabile; altri classici di quel periodo le fanno le scarpe.
Grafica e tecnica animata sono buoni per gli standard di allora: gli sfondi sono dei dipinti, e le animazioni fluide ed efficaci, ancorché semplici.

Alla fine della fiera, la mia scelta di ragazzino (e poi ragazzo, e poi giovane adulto) di ignorare questo film era tutto sommato giustificata, nel senso che non mi ero perso niente di imperdibile. Tuttavia sono contento di aver visto almeno una volta Gli aristogatti e, anzi, ne approfitto per sottolineare che i prodotti d’intrattenimento per bambini di decenni fa avevano un livello nettamente più elevato dell’intrattenimento di massa odierno con tutti i suoi canali tematici per bambini pieni di materiale addormentante.

Fosco Del Nero



Titolo: Gli aristogatti (The aristocats).
Genere: animazione, commedia, musicale.
Regista: Wolfgang Reitherman.
Anno: 1970.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 29 giugno 2021

The arrival - David Twohy

Non conoscevo The arrival, film del 1996, e l’ho trovato di recente consigliato online, come film dai contenuti particolari.
Me lo sono dunque visto per quel motivo, laddove regista e attore principale, rispettivamente David Twohy (Pitch black, The chronicles of Riddick) e Charlie Sheen (Il replicante, tutta la saga di Scary movie, la sit-com Due uomini e mezzo) mi avrebbero tranquillamente consigliato di passare oltre.

Ecco la trama sommaria di The arrival, film di genere fantascientifico-cospirativo: Zane Zaminski (Charlie Sheen) lavora al SETI, il centro della NASA per la ricerca di vita extraterrestre, quando, insieme al collega Calvin, scopre un segnale inequivocabilmente alieno provenire da una stella distante una quindicina di milioni di anni luce. Sottopone la scoperta al suo superiore, Phil Gordian, il quale minimizza l’accaduto e in più con un pretesto licenzia Zane. Poco dopo, il suo collega muore in un incidente. Come se non bastasse, Zane si lascia con la fidanzata Char (Teri Polo; Ti presento i miei), stufa delle sue stranezze. Completamente libero, si mette così a indagare sul caso, e in Messico conosce Ilana Green (Lindsay Crouse; La casa dei giochi), una climatologa che sta studiando il riscaldamento globale.
Le due ricerche, sorprendentemente, convergono…

La trama di The arrival sarebbe anche interessante (è interessante, e per la cronaca vi sono ricercatori che ritengono sia esattamente quello che sta succedendo ora sul pianeta), se non fosse per due cose.
La prima è che praticamente la sceneggiatura è una riscrittura di Essi vivono, con la differenza che nel film più vecchio si pone l’accento su società e potere, mentre nel secondo si pone l’accento sul clima. A peggiorare la situazione, il finale è identico, identico: il protagonista fa conoscere la cospirazione collettiva a tutti quanti tramite il segnale delle parabole.
La seconda cosa è che The arrival è, semplicemente, pacchiano: regia pacchiana, recitazione pacchiana, scenografia pacchiana, effetti speciali pacchiani. Tutto nel film grida “mediocrità”, a cominciare dalla recitazione di Charlie Sheen, decisamente più portato per i ruoli comici che non per quelli drammatici… nonostante la presenza del pizzetto.

D’altronde, un film che parte scopiazzando allegramente un altro film non comincia certo bene, e il resto diciamo che è coerente con tale povertà originaria di idee.

Nonostante il tema di fondo del film sia originale e interessante, dunque, The arrival non è un film che merita di esser visto.

Fosco Del Nero



Titolo: The arrival (The arrival).
Genere: fantascienza, surreale.
Regista: David Twohy.
Attori: Charlie Sheen, Ron Silver, Teri Polo, Lindsay Crouse, Richard Schiff, Phyllis Applegate, Alan Coates, Leon Rippy, Buddy Joe Hooker, Javier Morga, Catalina Botello.
Anno: 1996.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 23 giugno 2021

La strana voglia di Jean - Ronald Neame

Sono arrivato per caso a La strana voglia di Jean; non mi ricordo nemmeno per quale collegamento.
Non per il regista Ronald Neame, dal momento che dei suoi due film che ho visto precedentemente, uno non mi è piaciuto molto (Il forestiero), mentre l’altro mi è piaciuto ma con moderazione (Il giardino di gesso).

Non è stato nemmeno per la presenza in esso di Maggie Smith, attrice che molto dopo sarebbe divenuta la Minerva McGranitt di Harry Potter... giacché sulle prime non l’avevo nemmeno riconosciuta, avvedendomene solamente in seguito.

Ad ogni modo, in qualche modo sono arrivato a La strana voglia di Jean, ed eccomi dunque qui a recensirlo, sottolineando come prima cosa che il film deriva dal romanzo Gli anni fulgenti di Miss Brodie di Muriel Spark, da cui peraltro era stata tratta anche una pièce teatrale.

Ecco in sintesi la trama de La strana voglia di Jean, film del 1969 ma ambientato negli anni “30; negli anni “30 della Scozia, per la precisione, e in una scuola femminile di Edimburgo, la Marcia Blaine School, di impostazione e cultura classica, laddove la brillante e notevole Jean Brodie si fa per l’appunto notare un po’ da tutti: senza dubbio dalle sue studentesse, che a tratti la idolatrano, o comunque la considerano fonte di ispirazione, ma anche da colleghi e colleghe… i primi sovente in positivo, desiderandola, e le seconde spesso in negativo, invidiandola e sparlandone.
Al corpo docente, e soprattutto alla direttrice Miss Mackay, non piacciono due cose in particolare: che la donna abbia una forte influenza sulle ragazze e ch’essa guardi con simpatia i governi che col senno di poi sarebbero stati definiti fascisti: Mussolini in Italia, dall'insegnante definito il più grande italiano di tutti i tempi, e Franco in Spagna, anch’egli dipinto come guida illuminata.
Tali sue simpatie saranno poi utilizzate dai detrattori della donna.

Passo ora al commento del film, evidenziando da subito che Maggie Smith, al tempo 35enne e bella donna, vinse con questa performance l’Oscar come miglior attrice protagonista, e probabilmente con merito, dal momento che il personaggio di Jean Brodie buca letteralmente lo schermo. Premi e nomination anche per la colonna sonora e per il film in generale.
Personalmente, ho visto il film in lingua originale con i sottotitoli: cosa alquanto opportuna, poiché molto spesso sono recitate poesie inglesi, che ovviamente perdono musicalità se tradotte in altre lingue, e vengono utilizzati termini in lingue straniere, italiano compreso, le cui citazioni decadono se si segue il film doppiato in italiano (il personaggio pare in effetti avere un debole per l'Italia).

E il film è decisamente bello, capace sia di trasportare in un altro tempo, divano e poltrona compresi, sia di far conoscere un personaggio davvero notevole, sia di insegnare qualcosa a chi lo guarda; al netto delle simpatie politiche messe in bocca alla protagonista, essa si evidenzia come un'istitutrice in piena regola, abile nell’evidenziare i valori più alti (educazione, libertà, forza, indipendenza, impegno, verità, bellezza) in luogo delle convenienze sociali al contrario spesso considerate.
Anzi, in tal senso è proprio un peccato che al personaggio siano stati attribuiti alcuni eccessi, come le suddette simpatie politiche, o una certa sessualità disinvolta: probabilmente è stato fatto per dinamizzare il film e creare qualche contrapposizione... ma col senno di poi è stato un peccato: si sarebbe potuto avere un grandissimo film a livello educativo-didattico, con un personaggio pulito e nobile, e invece si è preferito puntare sul melodramma e su taluni aspetti discutibili: le simpatie fasciste, rapporti tra uomini maturi e adolescenti, malevolenze, invide e tradimenti. Senza dubbio è per via di questi elementi che il film non è diventato un classico: davvero un peccato.

Di mio, vi invito a porre l'accento sull'aspetto didattico-educativo più che su quello legato alla trama, e in tale direzione vi segnalo le suddette frasi di valore: non poche, come potete vedere.

“Datemi una ragazza in età malleabile e lei sarà mia per tutta la vita” (citazione di chiara impronta gesuita, che peraltro chiude anche il film).

“Bambine mie, il mio compito è di mettere teste mature sulle giovani spalle.”

“Voi ragazze siete la mia vocazione. Se dovessi ricevere una proposta di matrimonio domani, da Lord Lyon re d'arme, io la rifiuterei. Io sono dedicata a voi nel fiore dei miei anni.”

“Un buon inizio porta a una buona fine.”

“Io non sono interessata all'imperfezione umana: sono interessata a bellezza, arte e verità.”

“Fai come dico, e non come faccio” (il personaggio è consapevole che vi è una qualche distanza tra quello che insegna e come vive).

“Il colore ravviva lo spirito.”

“Il mio credo è: sollevare, animare, stimolare.”

“Ragazze, dovete imparare a coltivare l'espressione della compostezza: é uno dei pregi più grandi di una donna.
L'espressione di compostezza, nel bene e nel male.”

“La sicurezza non è al primo posto. 
Bontà, verità e bellezza vengono prima” (una frase molto interessante, soprattutto se applicata ai tempi moderni in cui tali valori elevati sono stati letteralmente demoliti).

“La parola educazione deriva dalla radice “ex”, che significa “fuori”, e “duco”, che significa “conduco”. Per me l’educazione è semplicemente un portare al di fuori ciò che è già lì.”
“Avevo sperato che ci potesse anche essere qualcosa da portare dentro.”
“Non sarebbe istruzione, ma intrusione, dal prefisso “in”, che significa “dentro” e la radice “trudo”, “spingo”; ergo, per inculcare una quantità di informazioni nella testa di un alunno.”

“Sono un'insegnante, in primo e ultimo luogo; sempre.”

“Credete per un istante che cederò senza combattere?
Ho dedicato, sacrificato la mia vita a questa professione.
E' vero: Io ho una forte influenza sulle mia ragazze. Sono fiera di averla. Io le influenzo sulla conoscenza di tutte le possibilità della vita, di bellezza, onore, coraggio” (altra frase interessante se riferita ai tempi contemporanei, nei quali l'insegnante è quasi sempre un burocrate-esecutore, non certo un educatore ispirante che funge da esempio per i suoi allievi).

“Dovete crescere per essere donne impegnate. 
L’impegno è all’ordine del giorno.
Dovete diventare eroine. 
Dovete essere preparate per servire, soffrire, sacrificarvi.“

“Nel profondo della maggior parte di noi esiste un potenziale di grandezza, o il potenziale per ispirare la grandezza” (ed ecco la funzione principale di un'insegnante: altro che eseguire ciecamente il programma ministeriale o far mettere i bavagli agli alunni... o metterselo lui stesso).

“Il David di Michelangelo si trova presso la Galleria dell'Accademia di Belle Arti. C'è una copia in Piazza della Signoria, accanto a Palazzo Vecchio. Lui è lì affinché i passanti lo contemplino e ne abbiano sollievo. Rappresenta allo stesso tempo la gloria del passato e l'ispirazione del futuro” (questa è la vera funzione dell'arte: ispirare ed elevare... e se si tratta di arte sacra-oggettiva è ancora meglio).

In effetti, tale valore educativo fa de La strana voglia di Jean (a proposito, l'ammiccante titolo italiano è senza senso e differisce nettamente da quello inglese, che sarebbe invece questo: "La primavera della signorina Jean Brodie") uno dei pochi film di quel periodo capaci di avvicinarsi a Mary Poppins in quanto a educazione e ispirazione… purtroppo depotenziato e limitato dai fattori che abbiamo già evidenziato (in Italia potrebbe avere contribuito anche il titolo maldestro ).

La strana voglia di Jean rimane comunque un gran film, con dentro tanta forza e bellezza.

Fosco Del Nero



Titolo: La strana voglia di Jean (The prime of Miss Jean Brodie).
Genere: commedia, drammatico.
Regista: Ronald Neame.
Attori: Maggie Smith, Robert Stephens, Pamela Franklin, Gordon Jackson, Celia Johnson, Diane Grayson, Jane Carr, Shirley Steedman.
Anno: 1969.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



martedì 22 giugno 2021

Arsenico e vecchi merletti - Frank Capra

Arsenico e vecchi merletti è il secondo film di Frank Capra che recensisco, dopo il classico La vita è meravigliosa.
Cary Grant, invece, era già apparso nel blog tre volte: con Operazione sottoveste - Il sottomarino rosaSusanna e Scandalo a Filadelfia.

Anche Arsenico e vecchi merletti è abbastanza classico e famoso, un po’ per l’originale commedia teatrale del 1939 e un po’ per la conversione cinematografica del 1944.

Ecco la trama sommaria del film: l’autore Mortimer Brewster, famoso per le sue posizioni anti-matrimoniali e fortemente scapole, si sposa in gran segreto con Elaine, vicina di casa delle zie di Mortimer, due graziose signore di nome Abby e Martha.
Le signore son simpatiche, ma nascondono (non troppo bene in realtà) un segreto: hanno ucciso dodici uomini tramite avvelenamento, perché a loro sembravano un po’ tristi e volevano dar loro una mano. Anche il fratello di Mortimer, tale Jonathan, non è proprio normale, e anzi ha l’aria piuttosto inquietante… e pure lui torna nella casa delle zie, dopo vent’anni di assenza, lo stesso giorno in cui vi torna Mortimer.
Ha viceversa sempre vissuto con le zie il terzo fratello, Teddy, che ha problemi mentali più spiccati, convinto com’è di essere il Presidente Roosevelt.
Tutto ciò andrà a scontrarsi con medici, poliziotti e gestori di manicomio, in una sorta di gigante commedia degli equivoci e delle incomprensioni.

In effetti, quel che si vede in Arsenico e vecchi merletti è talmente bizzarro che il film è definibile come commedia grottesca, pur ospitando in sé tanti sottogeneri: da quello sentimentale a quello del terrore. Per lo più, tuttavia, si ride… 

… o si cerca di far ridere, perlomeno.
In realtà, il prodotto è piuttosto sempliciotto e infantile nel suo umorismo, chiaramente destinato al largo pubblico nel suo essere naif.

Notevoli alcune interpretazioni, anche se quasi tutti i personaggi sono trattati al livello di macchie, e talmente tanto da risultare poco credibili e alla lunga un po’ stancanti.

Complessivamente, comunque, Arsenico e vecchi merletti è un film che ha una certa originalità e che potrebbe valer la pena vedere, specialmente se si è fan dei film di quegli anni… film ovviamente in bianco e nero.
Ultimo appunto: Arsenico e vecchi merletti (1944) è uno dei film più vecchi recensiti sul sito. Per la precisione, si trova al quinto posto di anzianità, dopo Faust (1926), Metropolis (1927), Susanna (1938) e Scandalo a Filadelfia (1940); seguono poi Il filo del rasoioIl grande sonno e La vita è meravigliosa (tutti del 1946).

Fosco Del Nero 



Titolo: Arsenico e vecchi merletti (Arsenic and old lace).
Genere: commedia, grottesco.
Regista: Frank Capra.
Attori: Cary Grant, Priscilla Lane, Raymond Massey, Jack Carson, Edward Everett Horton, Peter Lorre, Josephine Hull, Jean Adair.
Anno: 1944.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 16 giugno 2021

Gambit - Grande furto al Semiramis - Ronald Neame

Oggi la recensione è dedicata a Gambit - Grande furto al Semiramis, film del 1966.

Da sempre tendo a seguire decisamente di più i registi che non gli attori o i generi, dal momento che è molto più importante chi c’è dietro la macchina da presa piuttosto di chi vi è davanti o delle varie etichette che si possono mettere ai film.

Un regista che ho conosciuto di recente, per quanto non contemporaneo, è Ronald Neame, che ho affrontato già in quattro film: Il forestiero, Il giardino di gesso, La strana voglia di Jean e Due sotto il divano. Se il primo non mi era piaciuto molto, gli altri tre sono andati in crescendo, grazie anche ad ottime interpretazioni (rispettivamente Hayley Mills, Maggie Smith e Walter Matthau, mentre il protagonista del primo film era l’ugualmente ottimo Gregory Peck).

I protagonisti di Gambit - Grande furto al Semiramis sono altri due nomi importanti dell’Hollywood di allora: Michael Caine e Shirley MacLaine. Evidentemente Neame era piuttosto importante come regista ed era in grado di attrarre grandi nomi.

Peraltro, Gambit - Grande furto al Semiramis propone uno schema che non ho mai veduto in vita mia, pur in centinaia e centinaia di film visti: i primi venti minuti del film descrivono la storia come avrebbe dovuto andare nelle intenzioni del protagonista Harry Dean, ladro gentiluomo inglese, mentre il resto del film, ossia circa novanta minuti, descrive come vanno effettivamente le cose… ossia molto distanti dalle intenzioni del ladro, anche per via del carattere frizzantino della sua socia in affari, Nicole Chang, di professione ballerina e prestatasi al colpo di Dean per via dell’incredibile somiglianza con la defunta moglie del miliardario Shahbandar, uno degli uomini più ricchi al mondo e oggetto delle attenzioni di Dean, che lo vorrebbe alleggerire di un’antica scultura di valore incalcolabile.

La valutazione tiene conto di tale originalità, nonché di una storia vivace e dinamica, per quanto in talune situazioni molto naif, sia a livello di sceneggiatura (costosi sistemi di sicurezza svelati e violati con facilità, scelte dei personaggi insensate) sia su altri livelli (il solito vezzo statunitense di far recitare parti di certe etnie ad attori di altre etnie, come il miliardario Shahbandar, mediorientale, interpretato da un attore chiaramente caucasico).

Michael Caine un po’ affettato ma globalmente efficace; Shirley MacLaine non tanto bella quanto si credeva fosse, e un poco statuaria… ma forse mi son fatto condizionare dalla statua con le sue fattezze.
Non mancano buone maniere e buoni sentimenti.

Globalmente, comunque, ho discretamente gradito Gambit - Grande furto al Semiramis, film che gode di buona fama e che si è anche guadagnato, negli anni recenti, un remake ad opera dei bravi fratelli Coen.

Fosco Del Nero



Titolo: Gambit - Grande furto al Semiramis (Gambit).
Genere: commedia.
Regista: Ronald Neame.
Attori: Michael Caine, Shirley MacLaine, Herbert Lom, Roger C. Carmel, John Abbott, Arnold Moss, Richard Angarola, Maurice Marsac.
Anno: 1966.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 15 giugno 2021

Blues Brothers: il mito continua - John Landis

Dal momento che avevo appena ri-visto The Blues Brothers, ho pensato di vedermi anche Blues Brothers: il mito continua, seguito uscito alla bella distanza di 18 anni, ossia nel 1998, ma tuttavia “dedicato” al 2000, dal momento che il titolo originale dell’opera è proprio Blues Brothers 2000.

In tal senso, raramente un titolo di un film è stato così sincero, visto che descrive esattamente cosa c’è in esso: "Blues Brothers" (ossia praticamente la replica del primo film, variazioni sul tema a parte) e l’aggiornamento all’anno 2000, con tutte le conseguenze del caso; le più rilevanti sono le morti, avvenute nel mentre, di tre protagonisti del primo film: Joe Belushi, Cab Calloway e John Candy, a cui non a caso il film è dedicato in apertura. 
Specialmente la prima assenza si fa sentire: occorre dire che John Goodman, per quanto piuttosto voluminoso come corporatura, non riesce che in parte a coprire l’assenza del suo predecessore.

Ecco la trama sommaria di Blues Brothers: il mito continua… che potrebbe benissimo non essere descritta visto che è assai simile a quella del primo film, praticamente identica come struttura: dopo ben diciotto anni di prigione, dovuti ai tanti capi d’imputazione di cui si era macchiato durante le avventure del primo film, Elwood Blues esce finalmente dal carcere e attende che suo fratello venga a prenderlo, proprio come lui aveva preso Jake anni prima. Il fratello tuttavia non viene perché nel frattempo è morto. Elwood, pur rattristato dalla cosa, si rimette in pista, e decide di riunire ancora una volta la banda; dopo diciotto anni son tutti piuttosto invecchiati, giacché non erano ragazzini neanche prima, e qualcuno è morto, sia nella realtà sia nel film, ma Elwood non demorde e riesce a riunire quelle che il film stesso definisce “vecchie cariatidi”.

Nel farlo, però, e nel puntare alla vittoria della “Battaglia delle band”, si trascina appresso la polizia, la mafia russa, un gruppo di miliziani fascisti e perfino le suore dell’orfanotrofio capeggiate da suor Maria Stigmata, convinte che Elwood abbia rapito un bambino di nome Buster, il quale in realtà diviene il terzo cantante della band. C’è spazio anche per una sorta di strega vudu, interpretata dalla bella e brava Erikah Badu.

I nomi musicali presenti sono massicci come nel caso del precedente film: a parte i musicisti che fanno proprio parte dei Blues Brothers, abbiamo Aretha Franklin, James Brown, Bo Diddley, B. B. King, Eric ClaptonIsaac Hayes, Billy Preston, Jonny Lang, il gruppo dei Blues Traveler, la già menzionata Erikah Badu e altri ancora.

Proprio come ai suoi tempi il The Blues Brothers originale fu stroncato dalla critica, così è stato per il sequel Blues Brothers: il mito continua… in modo invero curioso, visto che i due film sono praticamente identici: ciò non ha impedito a tanti di additare il primo come capolavoro e il secondo come film scadente.
Certo, parte della magia del primo se n’è andata, e la colonna sonora del primo film è superiore, per quanto anche il secondo si difenda bene (con una versione finale di New Orleans a dir poco mitica e che poi sfuma nei titoli di coda), ma questo secondo film si permette perlomeno il lusso di essere all’altezza del primo e paragonabile a esso, cosa non da poco quando si ha di fronte un film culto.

In definitiva, personalmente ho gradito questo Blues Brothers 2000/Blues Brothers: il mito continua, e anzi mi ha fatto piacere vedere un mito certamente invecchiato e per certi versi anche anacronistico, giacché quel tipo di musica sta andando a scomparire man mano, ma quantomeno invecchiato bene. Certo, l’assenza di Belushi si sente, e il tutto è di fatto un già visto, ma c’è anche qualità, filmica e musicale, e anzi c’è più varietà rispetto al primo ma comunque inarrivabile film,

Una curiosità: in un certo punto i tre cantanti del gruppo vengono trasformati in zombie e ballano un poco in stile zombie, ciò che ovviamente è una citazione del videoclip di Michael Jackson Thriller, diretto proprio dal regista John Landis: citazione nella citazione, visto che tutto il film in realtà è una citazione.

Fosco Del Nero



Titolo: Blues Brothers: il mito continua (Blues Brothers 2000).
Genere: comico, commedia, musicale, surreale.
Regista: John Landis.
Attori: Dan Aykroyd, John Goodman, J. Evan Bonifant, Nia Peeples, Joe Morton, Frank Oz, Aretha Franklin, Walter Levine, Shann Johnson, B.B. King, Kathleen Freeman, Matt Murphy, Lou Marini, Donald Dunn, Steve Cropper, Tom Malone, James Brown, Alan Rubin, Willie Hall, Murphy Dunne, Daniel Vivian, Erikah Badu, Eric Clapton, Frank Oz.
Anno: 1998.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui



mercoledì 9 giugno 2021

The Blues Brothers - John Landis

Avevo ovviamente già visto The Blues Brothers, film culto degli anni “80, e anzi precisamente del 1980, ma non dopo aver aperto il blog, per cui eccolo qui.

Il nome di John Landis è indissolubilmente legato a due prodotti, che hanno fatto entrambi storia. Curiosamente, essi sono assai diversi per genere l’uno dall’altro: il primo è proprio il film The Blues Brothers, mentre il secondo è il videoclip musicale Thriller di Michael Jackson.
Ad unire i due c’è l’elemento musicale, dal momento che The Blues Brothers ha una fortissima componente musicale, come noto, e anzi forse è il film musicale per eccellenza, ancor più dei musical, per la sua colonna sonora ragguardevole e probabilmente irripetibile.

Quello musicale è però solo uno dei lati di The Blues Brothers, che ha anche una forte componente da commedia, e anzi un filone praticamente comico-umoristico con venature grottesche, date essenzialmente dai generosi tentativi di omicidio di Jake da parte della sua ex ragazza.

Peraltro, viene il dubbio che la mano fatata sia stata non tanto quella di Landis, ma dell’altro co-sceneggiatore, Dan Aykroyd, che pochi anni dopo avrebbe co-sceneggiato, e ugualmente interpretato da protagonista, un altro film culto mica da ridere (o, al contrario, proprio da ridere): Ghostbusters. Viceversa, Landis avrebbe prodotto solamente roba affatto imperdibile, come Un lupo mannaro americano a Londra, Ai confini della realtà o Il principe cerca moglie, per citare i suoi maggiori successi successivi (in precedenza si era invece segnalato con Animal house, film tuttavia a mio avviso di scarso valore).

Ma andiamo con ordine e tratteggiamo per sommissimi capi la trama di The Blues Brothers: siamo a Chicago, nel 1980. Jake “Joliet” Blues (John Belushi) esce di prigione per buona condotta, dopo aver scontato qualche anno; ad attenderlo fuori dal carcere c’è suo fratello Elwood (Dan Aykroyd), alla guida di una macchina della polizia acquistata a un’asta pubblica. 
Il primo posto in cui i due si recano è l’orfanotrofio cattolico diretto da Suor Mary Stigmata, che verrà chiuso se non si troveranno in fretta 5.000 dollari. I due, durante la predica-canzone del reverendo  Cleophus nella chiesa battista di Triple Rock, hanno un’illuminazione e da questo momento si considerano “in missione per Dio”: dovranno riunire la loro vecchia band, ora sistematasi con lavori più o meno rispettabili, e mettere su un grande concerto con cui pagare i vecchi debiti e soprattutto far sopravvivere l’orfanotrofio in cui sono cresciuti.

Per far ciò, non baderanno alle conseguenze delle loro azioni, letteralmente, tanto che, a fine film, i due saranno inseguiti da: la polizia, un gruppo musicale country inferocito, il proprietario di un locale cui devono dei soldi, il partito nazista locale, l’ex fidanzata di Jake… ed è proprio quest’ultima la più agguerrita, con tanto di lanciarazzi, esplosivi e un arsenale da far invidia all’esercito… che parimenti si farà vivo a fine storia.

The Blues Brothers è semplicemente mitico: tra i due protagonisti, che già basterebbero come carisma, i vari Ray Charles, Aretha Franklin e James Brown, per non parlare dei numerosi cameo (Frank Oz, Steven Spielberg, la fotomodella Twiggy, lo stesso regista John Landis, Paul Reubens, Chaka Khan, John Candy, Carrie Fisher, Cab Calloway, questi ultimi tre con parti discretamente rilevanti), l’opera ha uno spessore cinematografico e musicale di alto livello. Inoltre, pur proponendo molto, non fa mai l’errore di prendersi sul serio: il film non era nato come film culto, ma lo è diventato, e di fatto ha fatto la storia del cinema, soprattutto del cinema musicale.
Curiosamente, il film all'uscita non ebbe un grande successo: solamente discreto di pubblico, fu accolto male dalla critica… santa pazienza.

Per conto mio, a questo punto mi vedrò anche Blues Brothers: il mito continua, ossia il seguito girato a ben diciotto anni di distanza.

Fosco Del Nero



Titolo: The Blues Brothers (The Blues Brothers).
Genere: comico, commedia, musicale, grottesco.
Regista: John Landis.
Attori: Dan Aykroyd, John Belushi, Kathleen Freeman, James Brown, Henry Gibson, Carrie Fisher, Cab Calloway, Ray Charles, John Candy, Aretha Franklin, Charles Napier, Steve Cropper, Donald Dunn, Murphy Dunne, Willie Hall, Tom Malone, Lou Marini, Matt Murphy, Alan Rubin, Steve Lawrence, Twiggy, Frank Oz.
Anno: 1980.
Voto: 9.
Dove lo trovi: qui.



martedì 8 giugno 2021

Biancaneve nella Foresta Nera - Michael Cohn

Conoscevo da tempo il film Biancaneve nella Foresta Nera, ormai piuttosto vetusto, ma non lo avevo mai visto nonostante tale conoscenza di nome.
Purtroppo l’ho visto ora.

Ecco la trama sommaria di Biancaneve nella Foresta Nera, che, come fa intuire il titolo italiano, ma ancor di più il titolo originale inglese (Snow White: a tale of terror, ossia “Biancaneve: un racconto di terrore”), è una rilettura in chiave dark della nota fiaba di Biancaneve, la quale viene peraltro affiancata a un’ambientazione mezzo celtica e mezzo cristiana, tanto che a tratti sembra di essere all’interno delle storie di Re Artù più che in una fiaba dei Fratelli Grimm: Lilliana Hoffman (l’allora giovane Monica Keena, che tuttavia non ha poi fatto una grande carriera) è la figlia del signore della zona, il ricco Lord Friedrich Hoffman (Sam Neill; Merlino, L’uomo bicentenario, Daybreakers - L’ultimo vampiro, Il seme della follia), ma è insidiata nella sua posizione dalla bella Lady Claudia (Sigourney WeaverAlienGhostbustersAvatarGalaxy quest, Ancora tu!), nuova moglie del padre, che ha perso la precedente moglie proprio col parto di Lilliana.
La matrigna però non piace alla ragazza, nel frattempo cresciuta, e anzi vari sospetti iniziano a fare capolino sulla sua vera natura: in effetti Claudia è una strega, anche se l’elemento più malefico non sta in lei quanto nello specchio cui si accompagna.

A seguire si avranno anche le classiche figure dei sette nani, del cacciatore, della mela avvelenata e del principe che salva la giovane dal suo torpore… anche se tutto quanto è riletto e rivisto… in modo peggiorativo, devo dire.

In effetti, l’unica cosa che si nota in positivo nel film è la recitazione della sempre brava Sigourney Weaver: Sam Neill fa solo da macchietta sullo sfondo, mentre la Monica Keena, pur caruccia, non regge troppo bene il ruolo.

E nel film non c’è altro, se non un po’ d’azione arruffata e una storia prevedibile…
… tanto che col senno di poi era comprensibile che, pur conoscendo da molto tempo Biancaneve nella Foresta Nera, non lo avessi mai visto.

Ultimo appunto: anche del regista Michael Cohn si sono perse le tracce, e in effetti il suo nome non mi dice niente; un’altra conferma di quanto detto.

Fosco Del Nero



Titolo: Biancaneve nella Foresta Nera (Snow White: a tale of terror).
Genere: fantasy, drammatico.
Regista: Michael Cohn.
Attori: Monica Keena, Sigourney Weaver, Sam Neill, Taryn Davis, Gil Bellows, David Conrad, Frances Cuka.
Anno: 1997.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.



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