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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 29 agosto 2018

Creature del cielo - Peter Jackson

Non avevo mai visto niente di Peter Jackson se non la trilogia de Il signore degli anelli (cui è seguito poi Amabili resti).
L’ho fatto ora con Creature del cielo, film del 1994 ambientato in Nuova Zelanda, tratto da un evento reale e che ha segnato l’esordio da attrice di Kate Winslet, che poi avrebbe avuto una rilevante carriera.
Meno rilevante invece la futura carriera dell’altra esordiente, l’ancor più giovane Melanie Lynskey.

Ecco in grande sintesi la trama di Creature del cielo, film che al tempo vinse il Leone d’Argento alla regia a Venezia: siamo in Nuova Zelanda negli anni “50, nella città di Christchurch, e seguiamo la vita di Pauline Parker, un’adolescente piuttosto problematica, solitaria e sognatrice, poco integrata in famiglia e a scuola.
La sua vita si vivacizzerà quando arriverà nella sua classe Juliet Hulme, una ragazza inglese che, per via di una malattia polmonare, ha viaggiato spesso alla ricerca di posti caldi, più adatti alla sua salute. Essa è peraltro di provenienza altoborghese, con i genitori entrambi professionisti affermati (la madre psicanalista e il padre rettore universitario).
La famiglia di Pauline è molto più modesta, tanto che per tirare avanti è costretta ad affittare camere nella sua casa, pur tuttavia le due legheranno molto… e anche troppo, tanto che susciteranno sospetti e preoccupazione nelle rispettive famiglie per la loro amicizia assai morbosa, praticamente omosessuale.
E talmente tanto morbosa che quando vien loro prospettata una separazione, la reazione è quanto mai imprevedibile.

Intanto, diciamo una cosa: il fatto che Creature del cielo sia tratto da una storia vera, con tanto di fatti di cronaca e denuncia penale, nonché larga consultazione del diario di Pauline e degli articoli sull’evento, è leggermente disturbante e inquietante, ma tant’è.
Forse è ancora più inquietante il fatto che ora una delle due, Juliet, è un’autrice di gialli famosa in tutti il mondo e nota col nuovo nome di Anne Perry.

Venendo al film, ben girato, esso troverà gradimento o meno a seconda dei gusti dello spettatore e della sua propensione per i drammi e le vicende psicologico-psicotiche.
In me tale tendenza non è molto sviluppata, per cui non l’ho gradito molto.
Né ne ha risollevato le sorti del film il mondo di fantasia immaginato dalle due ragazzine, tra romanze cantate (soprattutto dal tenore Mario Lanza) e ambientazioni vagamente fantasy: mondo curioso ma non troppo interessante in definitiva, anche se comunque utile a descrivere il “progresso” psicologico delle due protagoniste, della loro relazione e della loro visione delle cose.

Creature del cielo rimane un film ben girato e una buona recitazione delle due protagoniste, soprattutto Kate Winslet.
Ma, per quanto mi riguarda, non basta a farne un film meritevole.

Fosco Del Nero



Titolo: Creature del cielo (Heavenly creatures).
Genere: drammatico, psicologico, sentimentale.
Regista: Peter Jackson.
Attori: Melanie Lynskey, Kate Winslet, Sarah Peirse, Diana Kent, Clive Merrison, Simon O'Connor, Jed Brophy, Peter Elliott, Gilbert Goldie.
Anno: 1994.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 28 agosto 2018

Summer wars - Mamoru Hosoda

Summer wars è il quarto film che vedo di Mamoru Hosoda

… il che vuol dire che mi sono visti tutti i suoi film, dopo La ragazza che saltava nel tempo, The boy and the beast e Wolf children, giacché il resto della sua produzione riguarda episodi per varie serie animate nonché il film One Piece - L'isola segreta del barone Omatsuri, anch’esso relativo ad un manga-serie animata.

Bene, ecco la mia cronologia: La ragazza che saltava nel tempo mi era piaciuto, e mi era piaciuto ancor di più The boy and the beast, che considero un vero e proprio gioiello.
Mi era piaciuto abbastanza anche Wolf children, e di conseguenza mi attendevo molto da Summer wars, anche perché in una recensione su internet avevo letto che era nettamente meglio di The boy and the beast.

Ma il mio avviso è del tutto all'opposto: The boy and the beast è un film bello, profondo e significativo, mentre Summer wars è semplicemente un film d’intrattenimento, naturalmente ben realizzato, ma affatto significativo.

Andiamo subito a tracciarne la trama sommaria di Summer wars: Kenji Koiso viene trascinato da Natsuki nei festeggiamenti familiari per il novantesimo compleanno della nonna. Il lavoro propostogli sembra un lavoro di aiuto nell’organizzazione, ma sul posto il ragazzo si trova presentato come fidanzato della ragazza.
Detto così parrebbe l’inizio di un classico anime fatto di equivoci e magari anche di scene sexy e/o imbarazzanti…
… ma Summer wars è tutt’altro, giacché la famiglia Jinnouchi è famiglia affatto normale, con al suo interno personaggi di un certo spicco, a partire dalla nonna per proseguire col nipote ribelle Wabisuke.
Di mezzo, nientemeno che il social network più utilizzato di questo prossimo futuro, Oz, un’intelligenza artificiale che pare intenzionata a distruggere tutto e tutti, e che ovviamente se la prenderà in particolare proprio con la famiglia Jinnouchi.
In tale quadro, le abilità matematiche di Kenji si inseriscono alla perfezione, per quanto egli rimarrà comunque sullo sfondo della vivace famiglia.

Ora il mio commento, prima quello tecnico: l’animazione è bella e limpida, ma ormai è cosa quasi scontata nelle animazioni odierne, specialmente quelle giapponesi di qualità. E d’altronde Mamoru Hosoda non è stato definito a caso il nuovo Miyazaki (e con più titoli di altri registi, devo dire).
La colonna sonora è elegante e vivace, e accompagna bene le vicende.
Non mi è invece piaciuta molto l’animazione all’interno dell’animazione, ossia il mondo virtuale di Oz, un po’ sempliciotto.

Il mondo virtuale, peraltro, non mi ha convinto nemmeno come idea di base; a parte la credibilità di fondo, ovviamente non elevata, ma proprio non mi è piaciuto il modo in cui è stato affiancato alla realtà.
Realtà che è essa stessa un po’ deboluccia, lineare e senza grandi spunti (se non quello vago dell’importanza tradizionale della famiglia giapponese, cui peraltro si affianca la modernità del mondo online), anche se ogni tanto spunta qualche bel momento.

Personalmente, comunque, la classifica dei film di Hosoda (tutti comunque assai belli visivamente) è la seguente:
1. The boy and the beast (primo per distacco),
2. Wolf children (delicato e commovente),
3. La ragazza che saltava nel tempo (originale e interessante),
4. Summer wars (anch’esso per distacco, data la qualità dei suoi dirimpettai).

Per Summer wars dunque un ultimo posto, dovuto però più all'ottimo livello dei suoi avversari che alla sua imperizia. Il che è un ottimo e beneaugurante viatico per una carriera brillante proprio come è stata quella di Miyazaki (che dal canto suo invece si dice che possa averla terminata).

Fosco Del Nero



Titolo: Summer wars (Sama wozu).
Genere: animazione, anime, commedia, fantastico.
Regista: Masoru Hosoda.
Anno: 2009.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

martedì 21 agosto 2018

47 ronin - Carl Rinsch

Mi ero appuntato 47 ronin per non mi ricordo più quale motivo; forse banalmente per il suo essere ambientato nel Giappone feudale, o forse anche per gli elementi fantastici inseriti nel film.
O per ambo le cose, apprezzando io tanto le ambientazioni made in Japan, sia il genere fantastico.

Il film peraltro si ispira alla storia reale dei 47 ronin, storia assai famosa in Giappone e che fa parte della cultura collettiva locale, simbolo di onore, fedeltà e sacrificio.
Se ambientazione e trama fanno parte della storia reale, il film contiene anche, come si diceva, elementi fantastici: animali mitologici, magia, orchi e streghe.

Ecco in grande sintesi la trama di 47 ronin: Kai (Keanu ReevesMatrixConstantineThe gift - Il dono, A scanner darkly - Un oscuro scrutareLe riserve, La casa sul lago del tempo, Dracula) è un mezzosangue concepito da un inglese e una contadina giapponese, mal visto dai “purosangue” locali.
Peraltro, egli è stato trovato, ragazzino, in fuga dalla terra dei demoni, di cui ha anche il marchio sulla testa, altro fatto per cui è decisamente poco apprezzato, per non dire inviso e ripudiato, in primis dal samurai Oishi.
Tuttavia, il signore di Ako, Asano, lo prende in simpatia e lo accoglie nel suo feudo, così come lo prende in simpatia sua figlia Mika, con la quale si sviluppa un rapporto assai tenero, che sfocia da adulti in un amore proibito, per quanto forte.
Proprio tale amore, nonché la fedeltà imperitura verso il signore Asano, nel mentre costretto al seppoku dallo shogun, motiverà la partecipazione di Ako alla vendetta contro Lord Kira, autore del tradimento ai danni del suo vecchio signore.
Con lui, tutti i samurai di Asano, ora senza padrone e quindi divenuti ronin, ossia guerrieri senza signore e considerati allo sbando.

47 ronin è un mix di tali generi: combattimento e azione, dramma e sentimenti, storia e fantasia.
Alla storia dei 47 ronin è stata aggiunta la storia di Ako, molto hollywoodiana, che comunque ben si inserisce nel filone di onore, coraggio e vendetta per cui la storia dei 47 ronin è divenuta famosa.
In più qui abbiamo la componente del razzismo (mazzosangue e purosangue) e la componente magico-mitologica, che contribuisce a dare al film un corpo ancora più epico.

Certo, se ci si aspettava una riproduzione fedele dell’aspetto storico si rimane per forza delusi, ma se si guarda il film in sé e per sé, senza nessuna attesa di partenza, allora ci si trova di fronte un film onestamente bello: la fotografia è molto bella, i costumi sono molto belli, la sceneggiatura è interessante e tosta, anche se per i miei gusti un po’ troppo dicotomica nel senso di buoni e cattivi, vittime e carnefici.
Anche i personaggi sono sufficientemente interessanti e caratterizzati, per quanto non memorabili, occorre dirlo.

Quanto al tono generale, esso tende al drammatico e al triste, dal principio sino alla fine, e in ciò la singola persona scelga in base al suo gusto.
Nel complesso, comunque, 47 ronin è un film ben fatto, che non a caso aveva dietro di sé un budget assai ricco.
I risultati al cinema e presso la critica tuttavia non sono stati esaltanti.

Fosco Del Nero



Titolo: 47 ronin (47 ronin).
Genere: drammatico, sentimentale, azione, fantasy.
Regista: Carl Rinsch.
Attori: Keanu Reeves, Hiroyuki Sanada, Tadanobu Asano, Rinko Kikuchi, Kô Shibasaki, Rick Genest, Cary-Hiroyuki Tagawa, Haruka Abe.
Anno: 2013.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 15 agosto 2018

La storia della principessa splendente - Isao Takahata

In questo periodo sto facendo incetta di film d’animazione, di ogni provenienza: Giappone, Usa, Europa.
Il protagonista della recensione di oggi è La storia della principessa splendente, girato da Isao Takahata nel 2013.

Isao Takahata, per i meno appassionati del genere, significa oltre che Giappone anche Studio Ghibli, di cui è stato socio fondatore insieme ad Hayao Miyazaki, con l’uno che è spesso regista e l’altro produttore e viceversa.
Se Miyazaki si è fatto notare come il regista dei film d’animazione più belli al mondo (basta citarne un paio a caso senza nemmeno impegnarsi troppo: Principessa MononokeLa città incantataNausicaa della Valle del vento), Takahata si è distinto anch’egli in fase di regia, producendo opere, per quanto assai diverse da quelle del suo collega, comunque a loro modo interessanti.

Di lui, per esempio, ho già recensito il simpaticissimo e ispiratissimo Pom Poko, e i meno brillanti Pioggia di ricordiLa grande avventura di Hols (e non c'è ancora recensito c'è il valido Una tomba per le lucciole).
Diciamo che tra Miyazaki e Takahata a livello di regia non c’è paragone… ma anche il secondo ha buoni elementi dalla sua parte.

Come questo stesso La storia della principessa splendente, film d’animazione d’altri tempi, in ogni senso.

È d’altri tempi perché ci parla del Giappone di qualche secolo fa, ed è d’altri tempi perché, nell’epoca della computer grafica, ci porta una storia completamente disegnata a mano (come peraltro tutti i film dello Studio Ghibli, a parte qualche dettaglio) e in uno stile assai fumettoso.
Gli sfondi sono praticamente acquerelli, mentre le animazioni risultano semplici e grezze, ma non per questo spiacevoli.
È proprio una scelta di stile, la quale praticamente bissa il precedente film di Takahata, ossia I miei vicini Yamada, del 1999, che però non ho ancora visto (rimedierò quanto prima).

Quanto a La storia della principessa splendente, il film prende le mosse da un racconto popolare giapponese, Taketori monogatari (Il racconto di un tagliabambù) e in grande sintesi propone quanto segue: un giorno un anziano tagliatore di bambù, che vive con la moglie in una foresta, trova all’interno di un fusto di bambù una minuscola creatura la quale brilla di una luce propria. La porta alla moglie per fargliela vedere, e d’improvviso la creatura diviene un neonato, che i due decidono di allevare.
C’è subito un miracolo: l’anziana donna inizia a produrre latte dal suo seno. Seguono poi altri miracoli, con la piccola che cresce a un ritmo vertiginoso, letteralmente superando i vari bambini della zona, con cui gioca volentieri tra campi e alberi.
Un altro giorno, il tagliatore di bambù trova un enorme quantità di pepite d’oro, sempre all’interno di fusti di bambù, e capisce che il cielo desidera che la bambina, nel mentre chiamata Principessa, venga allevata nel lusso: compra quindi una lussuosa residenza in città e predispone per la giovane, ormai adolescente, e poi rapidamente ragazza e giovane donna, un futuro luminoso… tanto che la sua figura viene notata dai migliori scapoli dell’Impero: nobili, politici, ministri e persino dello stesso Mikado (titolo dell’Imperatore del Giappone).
Ma, così come la nascita di Principessa è stata miracolosa, così lo sarà la sua fine.

La storia della principessa splendente è un film davvero curioso: non solo per gli elementi già citati, che già basterebbero (una tecnica d’animazione originalissima e rara a vedersi, un’ambientazione per noi esotica e lontana nel tempo), ma anche per la sua energia interiore, quasi eterea e impalpabile… proprio come i suoi disegni.
Esso però procede a sbalzi, a volte rapido e a volte lento, tanto che lo si segue in modo un poco discontinuo, anche per via della sua lunga durata, oltre le due ore.
Lo dico chiaramente: nel mare magno della splendide opere dello Studio Ghibli, La storia della principessa splendente rischia di passare un po’ inosservata, e difatti non ha fatto gridare al clamoroso, però ha comunque numerosi momenti di bellezza.

E anche alcuni concetti di fondo interessanti: il solito amore per la natura, l’amore per la vita, la dualità tra coscienza e oblio-non ricordo.
Il finale, poi, è di una bellezza incantevole: da un lato pare porre in contrapposizione Terra e Luna, ma dall’altro sa molto di contrapposizione tra questioni mondane e questioni spirituali.

Forse La storia della principessa splendente non sarà la miglior produzione dello Studio Ghibli in assoluto (studio che peraltro rischia di chiudere i battenti, a quanto si dice), ma comunque è una bella opera, che non a caso è stata candidata ai Premi Oscar 2015 per il miglior film d'animazione.

Fosco Del Nero



Titolo: La storia della principessa splendente (Kaguya-hime no monogatari).
Genere: animazione, fantasy.
Regista: Isao Takahata.
Anno: 2013.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 14 agosto 2018

Amabili resti - Peter Jackson

Non avevo mai visto nient’altro del regista Peter Jackson se non la saga de Il signore degli anelli: con Amabili resti, film del 2009, ho risolto il problema.

E, peraltro, al contempo mi sono visto un film bello e delicato, nonostante il dramma trattato in esso, e che ha pure un importante insegnamento esistenziale di fondo, nonché qualche accenno di tipo esoterico riguardo alla vita oltre la morte.

Ma andiamo con ordine, e partiamo dalla trama: siamo nel 1973 nella provincia americana, che sembra tranquilla e serena ma che nasconde molte insidie. In una di queste casca l’adolescente la quattordicenne Susie Salmon (la talentuosa Saoirse Ronan; Ember - Il mistero della città di luce, Grand Budapest Hotel, Byzantium), che un giorno viene adescata e uccisa da un vicino di casa, George Harvey (il bravo e poliedrico Stanley Tucci; Il diavolo veste Prada, Hunger games), il quale grazie a una precisa preparazione del delitto, la fa franca.
Nel mentre, la famiglia di Susie va quasi a pezzi: il padre Jack (Mark Wahlberg; Boogie nights - L’altra Hollywood, E venne il giorno, I heart huckabees - Le strane coincidenze della vita) non si dà pace per la morte della figlia, e si fa in quattro per capire chi è il colpevole, convinto che sia stato qualcuno di conosciuto; la madre Abigail (Rachel Weisz; La mummia, Constantine, L’albero della vita, Il grande e potente Oz) va in crisi e lascia la famiglia per un lungo periodo, cercando la pace in una sorta di comunità.
Da segnalare anche il ruolo della giovane nonna Lynn (Susan Sarandon; The Rocky horror picture show, Le streghe di Eastwick, Alfie, Bull Durham - Un gioco a tre mani), che raggiunge i suoi cari dopo la morte della ragazzina per sostenere la famiglia.

Ma questa è solamente la metà del film, perché l’altra metà si svolge, in parallelo con il “mondo reale”, in una specie di luogo di mezzo, in cui si trova l’anima di Susie, sorta di purgatorio in cui ella è parcheggiata in attesa dell’ingresso nel paradiso… a cui potrà accedere solo dopo aver lasciato andare i legami e gli attaccamenti alla vita terrena, in primis il desiderio di vendicarsi dell’uomo che l’ha privata della vita.

Il cast è di livello, dunque, ma ciò per cui il film si fa notare maggiormente è la fotografia, davvero sontuosa, in relazione soprattutto al mondo dell’aldilà, rappresentato con scenari letteralmente fantasy, e dai colori vivacissimi.
In ciò, peraltro, il film ricorda molto il precedente Al di là dei sogni, in cui ugualmente vi erano delle anime “al lavoro” nel mondo astrale, in attesa di sciogliere quanto dovevano sciogliere per poter infine andare oltre.
E in questo, in breve, consta l’insegnamento del film, che corrisponde a quanto descritto da tante tradizioni esoterico-spirituali.

Il tema di Amabili sogni è difatti il distacco: quello dei familiari di Susie in Terra e quello di Susie nel luogo di mezzo in cui si trova. Distacco da quello che è stato, che sia morte o perdita di altro tipo. 
Infatti, quando lasciano andare, ragazzina e familiari, la vita riprende, perché lo spazio che prima era occupato col ricordo, l’attaccamento e la sofferenza ora è di nuovo libero e disponibile.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Alice Sebold, che però non conosco.
Il genere si sarà capito: si tratta di un mix tra commedia (nella sua prima parte), dramma e fantastico… anche se probabilmente non è così fantastico come sembra a prima vista. 

Unica nota stonata, di cui non si comprende la presenza: il personaggio della nonna, un poco fuori contesto in quelle poche e inutili scene dedicatele; forse nel libro aveva una maggiore presenza, ma nel film è risultato un pesce fuor d’acqua.

Nel complesso, comunque, Amabili resti è un bel film: visivamente bello, emotivamente d’impatto, a tratti struggente, e con qualcosa d’importante da comunicare.

Fosco Del Nero



Titolo: Amabili resti (The lovely bones).
Genere: drammatico, fantastico.
Regista: Peter Jackson.
Attori: Saoirse Ronan, Stanley Tucci, Mark Wahlberg, Rachel Weisz, Susan Sarandon, James Michael Imperioli, Jake Abel, Amanda Michalka, Thomas McCarthy.
Anno: 2009.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 7 agosto 2018

Non lasciarmi - Mark Romanek

Quest’oggi recensisco un film non facile da recensire e che, a seconda di ciò su cui si pone l’accento, potrebbe meritare valutazioni assai differenti: parlo di Non lasciarmi, film del 2010 conversione cinematografica dell’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro e ambientato in un recente passato e presente alternativo distopico.

Ucronico e distopico, dunque, con i due termini che rispettivamente indicano che si sta sceneggiando una storia diversa da quella effettivamente avuta nella realtà (ad esempio, come se la Germania avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale, o come se l’Empoli avesse vinto tredici scudetti di fila) e che si sta sceneggiando una società di tipo dispotico-totalitario, in cui i diritti umani sono sospesi o fortemente limitati.

Il film è raccontato sotto forma di flashback, con la scena iniziale la quale, con i ricordi che man mano vanno avanti nel corso del tempo, diviene anche la finale. Inoltre è suddiviso in tre blocchi, secondo le età dei suoi protagonisti: bambini, ragazzi appena maggiorenni, adulti di circa 28 anni.

Peraltro, è impossibile valutare il film senza accennare almeno in parte alla trama, per cui nella recensione vi sarà qualche accenno ad essa, pur cercando di non svelare tutto quanto.

La storia segue il personaggio di Kathy (Isobel Meikle-Small), che dapprincipio, nell’Inghilterra degli anni "70, è una bambina che frequenta il Collegio di Hailsham, una scuola immersa nella campagna inglese che pare un modello di efficienza, sorta di situazione idilliaca per tutti i suoi allievi.
Tra di essi, vi sono Ruth (Ella Purnell) e Tommy (Charlie Rowe): la  prima è la migliore amica di Kathy, e il secondo è un ragazzino un po’ strano, spesso preso in giro dagli altri, che tuttavia la prima prende in simpatia e con cui la seconda poi si fidanza.
L’idillio però diviene incubo, almeno negli occhi dello spettatore, quando si scopre che tutti quei bambini sono dei cloni umani nati in laboratorio e fatti crescere con l’obiettivo di divenire donatori di organi all’abbisogna, normalmente dai 20 anni in su, quando servirà. Essi dunque sono destinati a morire giovani: dopo una, due o tre donazioni, dipende dal singolo caso…

In seguito essi, a diciotto anni, vengono trasferiti in un cottage, sempre nelle campagne inglesi, dove vivono senza far niente, mantenuti dallo Stato, proprio come animali da allevamento.
Kathy (Carey Mulligan), Ruth (Keira Knightley) e Tommy (Andrew Garfield) sono ancora assieme, e Ruth e Tommy sono ancora una coppia, con la cosa che in qualche modo irriterà la pur comunque serafica Kathy, che chiederà di divenire assistente (ossia assisterà i donatori che stanno per essere sottoposti a donazione obbligatoria), e man mano si allontanerà e perderà di vista i suoi amici d’infanzia.

La terza parte del film segue Kathy da grande, mentre svolge il suo lavoro… e inaspettatamente ritrova sia Ruth che Tommy.

Detto della trama, veniamo al commento del film, cominciando dai pro.
Non lasciarmi, a livello di realizzazione tecnica, è un gioiellino, soprattutto nella sua prima parte: la regia è ottima, e ottima è pure la fotografia. Buona la recitazione, e per me Carey Mulligan meglio di Keira Knightley, meno convincente.
Ancora, tutta la storia è pervasa da un’atmosfera dolce e tenera, a dispetto degli argomenti trattati.

Veniamo ora ai contro… che purtroppo sono pesantissimi.
Primo: l’idea di fondo del film, e ancora prima del romanzo, non è affatto originale, sia nella sua componente di “donazione di organi” (il film The island è di un anno prima del romanzo...), sia nella sua componente di “vita a termine” (cito il più vecchio film La fuga di Logan, che ho recensito anni fa).
Secondo: è totalmente inverosimile che i “donatori” non si ribellino al loro destino imposto da una società evidentemente violenta e insensibile o che numerose frange della società in questione non protestino per quell’evidente mancanza di rispetto dei diritti umani. Di base tutti i film, specie quelli con ambientazioni fantastiche, richiedono la cosiddetta sospensione dell’incredulità, ma qua siamo davvero oltre il limite, persino oltre il limite di film di fantascienza come Alien o Avatar.
Terza cosa: davvero assurdo anche che, per interpretare i ruoli di tre diciottenni, ossia i ragazzini appena trasferiti nel cottage, siano utilizzati tre giovani adulti di rispettivamente 25, 25 e 27 anni. Forse si è voluto evitare tre casting diversi per tutte e tre le fasce di età, ma la scelta è davvero opinabile, e questo al di là della bontà degli attori, che ovviamente è un altro discorso. In tal senso, molto meglio il casting degli attori bambini.

Altro elemento che non mi è piaciuto affatto: il fortissimo senso di rassegnazione dei “donatori”. Sono animali da macello, ma fa niente, e in fin dei conti anche le persone normali vivono meno di quanto vorrebbero: questo è il pensiero della protagonista con cui si chiude il film.

Non lasciarmi  è un film tecnicamente davvero bello, dunque, ma interiormente davvero povero e quasi biasimevole, oltre che, come detto, poco originale nella sua sceneggiatura.
La valutazione è una media tra tali fattori.

Fosco Del Nero



Titolo: Non lasciarmi (Never let me go).
Genere: fantascienza, drammatico, distopia.
Regista: Mark Romanek.
Attori:  Carey Mulligan, Andrew Garfield, Keira Knightley, Isobel Meikle-Small, Ella Purnell, Charlie Rowe, Charlotte Rampling, Sally Hawkins.
Anno: 2010.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

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