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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 28 novembre 2018

La collina degli stivali - Giuseppe Colizzi

Con La collina degli stivali termino finalmente la visione dell’intera filmografia del duo Bud Spencer-Terence Hill… che, nonostante la mia grande passione per il suddetto duo, si era finora limitata ai film più recenti, quelli metropolitani ed esotici, tralasciando invece il genere western, ossia i primordi cinematografici della coppia.

Primordi ben diversi da ciò per cui Bud e Terence sarebbero divenuti celebri in seguito, ossia le commedie leggere e ironiche, con tanta azione e tanti buoni sentimenti; ma anche elementi non propriamente educativi, dall'alcol alle scommesse, dalle risse alle rapine, per quanto tutto di genere umoristico.

Invece, nella trilogia curata da Giuseppe Colizzi, ossia il regia che ha proposto i due sullo schermo per primo, dominano serietà e pistolettate, con sangue e morti ad ogni piè sospinto, così come cavalli, saloon, partite di carte, gioco d’azzardo, intrighi, alleanze e tradimenti, sceriffi, signorotti locali… il tutto per l’appunto in omaggio al genere western, qua rivisto in salsa italiana…
… e che in seguito sarà rivisto ancora di più l’introduzione del genere comico, avvenuta con Lo chiamavano Trinità, film di un anno successivo nel quale Bud e Terence si reincontreranno quasi per caso, e sotto la guida dell’ottimo E.B. Clucher (alias Enzo Barboni) inizieranno a mietere successi.

Fino a quel momento, dunque, serietà a tutto spiano, con Giuseppe Colizzi, regista di Dio perdona... io no! (decente), I quattro dell'Ave Maria (buono) e per l’appunto questo La collina degli stivali (mediocre), il quale regista avrebbe in seguito provato ad adattarsi anche al nuovo genere più leggero, con Più forte ragazzi!, ma senza ottenere un eccessivo riscontro (evidentemente era più propenso al genere drammatico).

Ma veniamo a La collina degli stivali, e vediamone la trama sommaria: Cat (un Terence Hill anche qui in veste di pistolero bello cattivo) è inseguito da un gruppo di banditi, viene ferito, ma riesce a sfuggire nascondendosi nel carrozzone di un circo itinerante, guidato dal brontolone Mamy (Lionel Stander). Il quale vorrebbe scaricarlo subito, mentre il trapezista Thomas (Woody Strode) si prenderà cura di lui, fino a ripresa avvenuta.
Accade poi che gli stessi banditi causino la morte del collega di Thomas, un giovane ragazzo di colore, e dunque Thomas affiancherà Cat nella ricerca di vendetta, nella quale si inserirà anche Hutch (Bud Spencer), comparso dopo parecchio dall’inizio.
Il “bestione”, ossia Bud Spencer-Hutch, non ha la minima intenzione di seguire ancora una volta Cat nelle sue missioni e vendette, non dopo le disavventure dei due precedenti film della trilogia, ma cambierà idea quando saprà che Sharp, un vecchio amico di entrambi, li ha nominati eredi di alcune concessioni di valore, di cui un tale Finch si sta impossessando in modo truffaldino.

Del genere ho già detto, e del mio gradimento basso pure.
In particolare, segnalo la grande distanza qualitativa tra I quattro dell'Ave Maria e La collina degli stivali, rispettivamente secondo e terzo film della trilogia, mentre il primo, Dio perdona… io no!, sta un po’ a metà strada, sulla sufficienza.

Da sottolineare alcune cose che caratterizzano il film: di gioco d’azzardo, sparatorie e violenza abbiamo già detto, e dunque ci rimane da dire di circo e personaggi circensi, ballerine e nani compresi, della musica assai vivace, spesso essa stessa circense ma a volte curiosamente simile e una della canzoni di Mary Poppins, della presenza nel film di “Geronimo” de I due superpiedi quasi piatti, nonché del fatto che nel film vi sono personaggi persino più grossi di Bud Spencer, con tutto che al tempo egli era giovane e forte.

In conclusione, credo che non vedrò mai più il primo e il terzo film della trilogia spaghetti western di Giuseppe Colizzi, mentre probabilmente mi rivedrò più avanti I quattro dell’Ave Maria, l’unico film della trilogia ispirato.

Fosco Del Nero



Titolo: La collina degli stivali.
Genere: western, azione, drammatico.
Regista: Giuseppe Colizzi.
Attori: Terence Hill, Woody Strode, Lionel Stander, Bud Spencer, Glauco Onorato, Enzo Fiermonte, Gaetano Imbrò, Alberto Dell'Acqua, Victor Buono, Romano Puppo, Luciano Rossi.
Anno: 1969.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 27 novembre 2018

Le avventure del Principe Achmed - Lotte Reiniger

Ieri mi son guardato un film d’animazione di breve durata, intendendo con breve durata un’ora circa.
Parlo de Le avventure del Principe Achmed, film d’animazione tanto anziano quanto particolare.

È anziano perché è una produzione del 1926, il che lo rende di diritto uno dei film più vecchi recensiti su Cinema e film (i competitor in tal senso sono Metropolis Faust), e il film d’animazione più vecchio in assoluto, fatto affatto trascurabile.
Ed è particolare perché in pratica è un film muto, accompagnato giusto ogni tanto da qualche frase scritta… in tedesco, nella versione che ho visto io, doppiata a voce in inglese, il che per quanto riguarda la mia comprensione è già meglio del tedesco.

Quanto al genere, siamo tra l’avventura e il fantastico, con l’ambientazione che spazia tra il Vicino Oriente e il Lontano Oriente, ossia tra mondo arabo (Asia dell’ovest) e mondo cinese (Asia dell’est), col tutto che s’iscrive nell’atmosfera de Le mille e una notte… e non a caso la storia è una di quelle raccontate nella celebre raccolta, con tanto di Aladino come uno dei protagonisti.

Da sottolineare che originariamente il film era in bianco e nero, pur con alcuni viraggi di colore, e che in seguito esso è stato restaurato e colorato in modo assai vivace, ciò che per l’appunto è la versione che circola oggidì.

Ecco in grande sintesi la trama del film: Achmed è un principe, il quale, suo malgrado, si trova trasportato da un cavallo alato presso altri reami e isole. Tutto è nato da un diverbio con uno stregone che ambiva alla mano della principessa sorella, in aiuto della quale il fratello è corso, per poi essere in qualche modo allontanato grazie all’ausilio di un cavallo volante.
Il giovane però è intelligente, e dopo un po’ di tempo capisce come si guida il cavallo; in tal modo riesce ad arrivare in svariati posti, e in uno di essi conosce la bellissima Peri Banu, principessa delle isole Wak Wak… la quale però viene insidiata proprio dallo stregone contro cui Achmed aveva alzato il braccio, determinando una sfida che si risolverà grazie all’aiuto di alleati… e qua entra in gioco anche Aladino.

Le avventure del Principe Achmed, che utilizza la tecnica delle silhouette e si rifà al teatro cinese delle ombre, è diviso in cinque atti, come fosse una commedia teatrale… e peraltro si era quasi perso dopo un bombardamento a Berlino, dove era conservato.
Ritrovato nel 1954, fu poi restaurato e colorato fino alla versione odierna, che ci consegna non solo il primo film d’animazione di cui si ha notizia, ma anche un bel prodotto, fantasioso e vivace… per quanto ovviamente assai distante dai gusti e dalle abitudini cinematografiche dello spettatore odierno.

Ad ogni modo, un po’ per il cimelio storico, un po’ per l’opera in sé, val la pena di vedersi almeno una volta questo Le avventure del Principe Achmed.

Fosco Del Nero



Titolo: Le avventure del Principe Achmed (Die abenteur des Prinzen Achmed).
Genere: animazione, avventura, fantastico.
Regista: Lotte Reiniger.
Anno: 1926.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 21 novembre 2018

The beach - Danny Boyle

The beach è il quarto film di Danny Boyle che recensisco sul sito, dopo Trainspotting, Piccoli omicidi tra amici e Sunshine
… anche se a dire il vero lo avevo già visto molti anni fa, così come ho visto, prima di aprire il blog, 28 giorni dopo, altro film che ha caratterizzato la carriera del regista inglese.

Andiamo subito a riferire in grande sintesi la trama: Richard (Leonardo Di Caprio; Inception, Shutter Island, Django unchained, Celebrity, Revolutionary road) è un giovane americano che si è recato in viaggio a Bangkok, Thailandia, la porta “divertente” per l’Oriente, alla ricerca di nuove avventure.
Durante il viaggio, però, a un certo punto si rende conto che sta frequentando i posti “americani” del posto, finendo per fare le stesse solite cose, solamente in terra straniera.
Offertagli casualmente un’opportunità di evadere da tale Daffy (Robert CarlyleTrainspotting, C’era una volta - Once upon a time), il quale comunque sembra un bel po’ fuori di testa, il giovane decide di coglierla al volo, andando alla ricerca di una fantomatica e misteriosa spiaggia, una sorta di paradiso terrestre.
Lo accompagneranno nel suo viaggio Françoise (Virginie Ledoyen; Una top model nel mio letto, Saint Ange, Otto donne e un mistero, Solo un bacio, per favore) ed Etienne (Guillaume Canet; Amami se hai il coraggio), una coppia di ragazzi francesi con cui formerà una sorta di triangolo.
Da citare anche il personaggio di Sal (Tilda Swinton; Il curioso caso di Benjamin Button, Burn after reading - A prova di spia, Il ladro di orchidee), sorta di guida carismatica del gruppo della spiaggia.
Quanto alla spiaggia in questione, si tratta di un posto che effettivamente pare una sorta di eden… ma che naturalmente si rivelerà meno edenico di quanto sembrava a prima vista.

The beach è un curioso miscuglio di generi: parte dall’“americano in vacanza”, unisce ben presto l’avventura, abbastanza presto anche il genere sentimentale, e poi via via Il signore delle mosche, drammatico, turbe psicologiche e finale con ritorno alla realtà.

Non è poco, e il tutto rischia di esser troppo… e difatti il film va a fasi, alcune più efficaci e altre meno. L’aspetto avventuroso prevale nel ricordo dello spettatore, e ugualmente quello sociale ed inter-relazionale, mentre l’ultima parte del film, tra psicologia e violenza poco convincente, finale compreso, sa parecchio di artefatto.

Nel complesso comunque The beach è un bel film, ben girato, bello da vedere, forte nelle sensazioni, e con un ottimo cast, tra Leonardo Di Caprio, Virginie Ledoyen, Tilda Swinton, Robert Carlyle e contorno vario.

Fosco Del Nero



Titolo: The beach (The beach).
Genere: avventura, sentimentale, drammatico.
Regista: Danny Boyle.
Attori: Con Leonardo Di Caprio, Virginie Ledoyen, Tilda Swinton, Guillaume Canet, Hélène De Fougerolles, Robert Carlyle, Daniel York, Patcharawan Patarakijjanon.
Anno: 2000.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 20 novembre 2018

Southland tales - Cosi finisce il mondo - Richard Kelly

Richard Kelly ha diretto solo tre lungometraggi: il celebre Donnie Darko, il discretamente noto The box, e il film mediano Southland tales - Cosi finisce il mondo, mediano sia come data di produzione, sia come fama.

Dal momento che i precedenti due film che avevo visto trattavano chiaramente determinate tematiche (Donnie Darko il controllo mentale e The box il controllo globale da parte di un’élite nascosta), e con ottima proprietà e conoscenza degli argomenti, davo per scontato che anche questo Southland tales - Cosi finisce il mondo sarebbe stato della stessa pasta…
… e così è stato, e anzi forse ancor più che negli altri due film si vede la “passione” (chiamiamola così) di Richard Kelly per le tematiche da "massoneria occulta", intramezzate con accenni a tematiche esistenziali.

Partiamo prima con una descrizione sommaria della trama, in realtà piuttosto intricata: il film, girato nel 2006, è ambientato in un 2008 ultrafuturistico e leggermente cyberpunk in cui le armi sono facilmente disponibili, in cui è scoppiata la Terza Guerra Mondiale a causa di un attacco nucleare di terroristi orientali ai danni degli USA (e già questo inizio basta a tratteggiare un’opera come o fortemente disinformata o fortemente propagandistica e disinformante). In tale scenario, la pubblica piazza è divisa tra coloro che vorrebbero un maggior controllo politico e poliziesco, a costo di rinunciare alla privacy e alle libertà (altro tema notoriamente caro alle élite), e coloro che si oppongono a tale proposta, e che combattono anche a colpi di azioni dimostrative, riprese video recitate, etc.
Essenzialmente, da un lato abbiamo la USIdent,  diretta da Nana Mei Frost (Miranda Richardson; Il mistero di Sleepy Hollow, Harry Potter e il calice di fuoco, Spider), moglie di Bobby Frost, il candidato repubblicano alla presidenza statunitense, e dall’altro lato abbiamo il gruppo dei Neo-Marxisti, che tentano di influenzare le elezioni a danno dei repubblicani, anche danneggiando la famiglia Frost.
Cui appartiene, giacché ne ha sposato la figlia MadelineBoxer Santaros (Dwayne Johnson; La mummia - Il ritorno, Il Re Scorpione, Fast & Furious 5), famoso attore che ha di recente perso la memoria in un misterioso incidente e che è uno dei personaggi maggiormente seguiti dalla telecamera.
Un altro è Roland Taverner (Seann William Scott; American pie, Road tripFatti, strafatti e strafiche), un poliziotto reduce dall’Iraq e anch’egli dal recente passato un po’ nebuloso, e un’altra ancora è Krysta Now (Sarah Michelle Gellar; Buffy l’acchiappavampiri, PossessionCruel intentions), una famosa attrice porno che dirige anche un programma televisivo.

Ecco dunque una sintetica lista degli “argomenti” affrontati da Southland tales - Cosi finisce il mondo: guerra mondiale, terrorismo, lotta al terrorismo globale, controllo politico, diminuzione della libertà e dei diritti civili, conflitti tra culture (nella lista dei cattivi figurano Iraq, Libia, Iran, Afghanistan, Siria, Corea del Nord, Russia… ossia il già fatto e il da fare negli elenchi del mondialismo), manipolazione delle elezioni e della comunicazione di massa, pornografia, violenza in generale, cancellazione della memoria, controllo mentale, esperimenti su cavie umane e soprattutto su soldati, contraccezione, aborto, masturbazione e sesso puramente fisico, presenza massiccia di armi e sparatorie…

… e a tali argomenti, curiosamente, si aggiungono argomenti apparentemente assai distanti: Gesù e la resurrezione (una protagonista si chiama Krista, tra l’altro), i Vangeli e l’Apocalisse, una macchina chiamata “Karmafluido”, il disegno della kundalini che campeggia sulla schiena di una donna orientale, l’anima, la quarta dimensione, il “mistero della creazione”, “il segreto della razza umana”, etc.

Senza contare qualche riferimento, che piace sempre tanto agli esponenti di quel mondo lì (ammesso che Kelly lo sia, cosa che Donnie Darko fin da subito ha fatto sospettare grandemente… a proposito, in Southland tales vi sono anche l’attore che fece il padre del ragazzo posseduto, nonché l’attrice che fece la sostenitrice dell'uomo pedofilo, quasi a garantire “il genere”; inoltre a uno dei personaggi viene bucato un occhio con una pallottola, esattamente come al coniglio di Donnie Darko, altro evidente riferimento): Bin Laden, Philip Dick, Dion Fortune, etc (rispettivamente terrorismo-politica, fantascienza visionaria, esoterismo).
Se qualcuno lo vuole considerato un riferimento, o persino un'anticipazione, a un certo punto si parla di un'“Operazione Q”.

Ecco così che ad alcuni concetti tipici da ordine mondiale-1984, come i seguenti…

“Stiamo costruendo la vostra pace.”

“Sono qui per proteggerti. Devi fidarti di me.”

“Unità di pacificazione urbana” (poliziotti che ammazzano la gente disarmata)

“Pensate che la vostra privacy sia più importante che proteggere la vostra famiglia dai terroristi?
Beh, vi sbagliate; se non li fermerà il governo, lo farò io.”

 “Niente che droga, pornostar e tatuaggi non possan gestire.”

… si affiancano frasi dal sapore nettamente esistenziale, come le seguenti:

“Non si ferma quello che non può essere fermato.
Solo Dio può farlo.”

“Hai mai l'impressione di avere mille persone rinchiuse dentro di te?”

“Il futuro è come tu lo hai immaginato.”

“Tu non sei veramente qui.”
“Chi sono io?”

“Attraverso lo specchio troverai quello che cerchi.”

“Abbiamo visto le ombre della luce dell’aurora, come le ombre del sole che tramonta.
Poi la luce e le ombre sono diventate una cosa sola.”

“C’è una vita che porta alla fine della sofferenza.
La dovresti percorrere.”

“È tutto nella mia testa.
Potrei premere il grilletto adesso e svegliarmi… e quest’incubo finirebbe.”

“Io ti perdono”, cui segue una citazione dell’Apocalisse e una sorta di redenzione di un personaggio.

A proposito di Apocalisse, propongo una citazione delle tante che vengono fatte nel film:

“Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà.”

A voi stabilire-scegliere cosa comunica e suggerisce il regista. Il film comunque è piuttosto brutto, per cui non contate su questo.

Fosco Del Nero



Titolo: Southland tales - Cosi finisce il mondo (Southland tales).
Genere: fantastico, azione, drammatico.
Regista: Richard Kelly.
Attori: Dwayne Johnson, Sarah Michelle Gellar, Seann William Scott, Kevin Smith, Bai Ling, Curtis Armstrong, Mandy Moore, Justin Timberlake, Janeane Garofalo, Christopher Lambert, Jon Lovitz, Holmes Osborne, Miranda Richardson.
Anno: 2006.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 14 novembre 2018

The lost future - Mikael Salomon

Ogni tanto mi tento qualche nuovo regista, cui magari arrivo dalle filmografie di qualche attore.
È stato questo il caso di The lost future e di Mikael Salomon, mai sentito il primo e mai sentito il secondo… quest’ultimo regista propenso a film di genere avventuroso e adrenalinico, ossia non proprio il genere a me favorito, cosa che spiega come mai non lo conoscessi, nonostante svariati film prodotti.

Anche se, devo dire, più che il genere è probabilmente la qualità ad avermelo reso sconosciuto: questo, perlomeno, giudicando The lost future, una sorta di B-movie di genere apocalittico-futuristico di davvero scarsa originalità e spessore.

Ecco in sintesi la sua trama: in un futuro non meglio precisato, e dopo esperimenti ed eccessi scientifici ugualmente non meglio precisati, l’umanità è tornata alla barbarie, età della pietra o giù di lì. Anzi, è andata persino peggio: buona parte della popolazione è stata contagiata da un virus che l’ha trasformata in zombie cannibali (che originalità ambo gli elementi).
A difendersi da tali zombie, una sparuta comunità umana, in cui il giovane Savan, figlio del capo villaggio, fa da belloccio della situazione, amato dalla belloccia Dorel, di cui però è invaghito anche l’ugualmente belloccio Kaleb, portato però più all’intelletto che non all’azione bruta.
Un attacco degli zombie-mutanti spariglierà le carte, e porterà proprio il suddetto trio alla ricerca avventurosa di una cura per la malattia, incontrando altri sopravvissuti che non si pensava vi fossero, aiutati anche da Amal, amico del defunto padre di Kaleb.

The lost future è semplicemente un film di seconda fascia, e forse anche terza.
Trama banalissima, bellocci a tutto spiano, il solito rivale cattivo, la solita società distopica, il solito disastro scientifico, i soliti zombie di mezzo, e la solita missione di salvataggio: tutto è scontato e banale, e niente emerge… se non qualche belloccia e belloccio ogni tanto, incredibilmente ben tenuti a livello di pelle e di capigliature nonostante il ritorno all’età della pietra.

Insomma, il film non è nulla di che, ed è forse utile solo a distrarsi per un’ora e mezza… per chi ha voglia di distrarsi.

Gli altri si dirigano verso lidi più appetibili.
Parlando di futuri disastrosi e distopici, meglio Maze runner o Hunger games.
Oppure, per chi ha voglia di fare un tuffo nel passato, La fuga di LoganBrazil.

Fosco Del Nero



The lost future (The lost future).
Genere: fantastico, avventura, drammatico.
Regista: Mikael Salomon.
Attori: Sean Bean, Corey Sevier, Sam Claflin, Annabelle Wallis, Eleanor Tomlinson, Hannah Tointon, Jonathan Pienaar, Danny Keogh.
Anno: 2010.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


martedì 13 novembre 2018

Rough - Mitsuru Adachi

In passato ho postato anche recensioni di fumetti, invariabilmente manga, così come di altre cose, dalla musica a vari video, salvo poi orientare il blog solamente sui film, come recita il nome stesso.

Tuttavia, vi ho lasciato le recensioni di manga, e ogni tanto, seppur molto raramente, ne aggiungo qualcuna, come è il caso odierno.

Per un lettore della vecchia scuola di manga, quelli classici, quelli considerati capolavori storici, è difficile trovare nuove proposte di valore in un mercato editoriale che nel corso degli anni, evidentemente per via di un aumentato successo, ha aumentato notevolmente le proposte sugli scaffali delle librerie, a discapito però della qualità media, che è crollata in modo quasi incredibile.

Quando ero adolescente, e avevo pochi soldi in tasca da dedicare ai manga, dovevo scegliere tra Ranma e Lamù, tra Kimagure Orange Road e Video Girl Ai, tra Ken il guerriero e Maison Ikkoku.
O ancora, tra Ushio e Tora e Appleseed.
E non sto menzionando nemmeno altri classici come Devilman o Captain Tsubasa, che allargherebbero ulteriormente i generi, e lo spazio temporale.

Letti tutti questi e gli altri classici del periodo, rivolgersi ai manga odierni è abbastanza sconfortante, giacché, come detto, il livello medio è molto calato. Avendo dunque voglia di un manga, ma di un manga di livello, sono andato a recuperare uno dei pochi autori classici che al tempo snobbai del tutto, ossia Mitsuru Adachi.

E, nel dettaglio, mi sono preso e letto Rough, il quale, insieme al suo “gemello” Touch, al tempo ignorai per il semplice motivo che la serie animata di quest’ultimo, Prendi il mondo e vai, mi era sempre sembrata scialba e senza mordente, cosa che mi ha fatto tagliare l’autore nel complesso.

Beh, pessima mossa allora e ottima mossa oggi, se posso riassumere così tutto quanto.

Anzi, aggiungo di più: Rough, nella commistione tra commedia, umorismo, relazioni sentimentali, relazioni d’amicizia e interessi personali, così diffusa nei manga di quel periodo (Orange Road, Video Girl Ai, Maison Ikkoku, etc), si è rivelato uno dei manga che più ha toccato le mie corde, con quella sua energia così viva ma al contempo così serena e morbida.

Per non parlare del fatto che i personaggi sono caratterizzati ottimamente, che i tratti del disegno, pur non esaltanti, sono puliti e lindi, e che la storia, pur anch’essa non eccezionalmente innovativa, trascina il lettore… proprio per la forza delle emozioni e dell’energia che vi è dentro, ciò che faceva della vecchia scuola di manga “la scuola di manga”, a differenza della quasi totalità dei manga odierni che puntano su azione, spettacolarismo, etc.

Ecco in grande sintesi la trama di Rough: Keisuke Yamato è il figlio di una famiglia giapponese produttrice di dolci tradizionali e fa nuoto, segnatamente dedicandosi ai 100 metri in stile libero; Amy Ninomiya è la figlia di una famiglia produttrice di dolci tradizionali e fa nuoto, segnatamente tuffi.
I due, che già si conobbero bambini, pur non ricordandolo da subito, inevitabilmente vengono a reincontrarsi, anche perché, oltre a frequentare la stessa scuola, frequentano anche la medesima piscina.
Il primo “reincontro” non è il massimo, con lei che dà dell’assassino a lui, per motivi sulle prime ignoti (beh, ma anche sulle seconde), ma poi i due si avvicineranno man mano, uniti anche dalla passione per il nuoto, in qualsivoglia sua forma.

Intorno ad essi, tanti altri personaggi, tutti ben caratterizzati: dai padri dei ragazzi, ai compagni di scuola e di piscina, fino ad altri nuotatori di livello nazionale, uno dei quali è una sorta di promesso sposo di Amy (Hiroki Nakanishi).

Rough, che dura 14 volumetti di varia lunghezza, è davvero bello, e racchiude in sé l’anima del manga di una volta… e non a caso è passato alla storia, con il suo successo, per quanto tardivo in Italia (ma non in Giappone dove è esploso fin da subito), poi recuperato nel tempo e bissato dal fratello Touch… che difatti sarà il prossimo manga che mi leggerò, e così potrò dire la mia, ai fan rispettivamente del primo e del secondo, sullo storico dualismo tra l’uno e l’altro.

Fosco Del Nero



Titolo: Rough (Rafu).
Genere: manga, commedia, sentimentale, sportivo.
Autore: Mitsuru Adachi.
Anno: 1989.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 7 novembre 2018

Sword of the stranger - Masahiro Ando

L’ultimo film d’animazione recensito sul blog porta il nome di Sword of the stranger, ed è un film diretto da Masahiro Ando nel 2007.

Parliamo dunque di un anime, ossia di un prodotto d’animazione giapponese, e anche l’ambientazione del film è giapponese, per quanto torniamo indietro nel tempo fino al Giappone feudale e all’epoca dei samurai… anche se in esso si stanno affacciando le prime armi da fuoco, come si vedrà.

Ecco in sintesi la trama di Sword of the stranger: un signore locale giapponese ospita alcuni emissari e guerrieri dell’imperatore cinese ming, per motivi non precisati.
Quel che è sicuro è che essi stanno disperatamente cercando  un bambino con un cane, i quali sono poi i protagonisti della storia: rispettivamente Kotaro, dall’animo assai pugnace nonostante la piccola statura e la conseguente piccola forza, e Tobimaru, un cane di media stazza molto protettivo e coraggioso.
I due sono scappati da un tempio per l’appunto perché inseguiti, e s’imbattono in un misterioso uomo, che si chiama Nanashi ma che non rivela loro il suo nome; egli è un samurai rinnegato, che ha fatto voto di non usare mai più la sua spada, che difatti è chiusa da un laccio.
I due, pur all’interno di un rapporto vivace e spigoloso, faranno amicizia e uniranno i loro sforzi, e si troveranno a combattere contro i guerrieri ming, in primis il forte e feroce e Rarou, un guerriero biondo di origine europea.
Tra i pochi altri personaggi di rilievo, il generale dei ming Byakuran e Shogen Itadori, generale giapponese esperto combattente con la lancia.

Sword of the stranger dura 100 minuti, e sono 100 minuti discretamente frenetici, specialmente da un certo momento in poi.
Sono numerose le scene di lotta, e in tal senso il film si distingue per un vivace dinamismo, peraltro eseguito impeccabilmente: l’animazione è di ottimo livello, sia nelle scene di movimento, sia negli sfondi.

Il film offre dunque una buona bellezza visiva, è doppiato in italiano assai bene e incuriosisce per il rapporto tra il bambino e il samurai...
… tuttavia non sfonda, e non raggiunge alti livelli come prodotto in generale.

Difatti, oltre all’azione e al grande dinamismo c’è davvero poco, i personaggi sono un po’ stereotipati, la trama è essenzialmente semplice e persino banale (il guerriero misterioso ma generoso che aiuta il debole indifeso), e il film eccede un po’ troppo nello splatter, essendo in tal senso anche poco credibile.

Insomma, Sword of the stranger mi ha dato l’impressione di un’anime “all’americana”, se posso dir così: ottima realizzazione tecnica, tanta azione, ma trama e personaggi non particolarmente sviluppati, e in generale opera poco profonda.

Se dovessi suggerire un anime di genere dinamico-battagliero, ma con caratterizzazioni e contenuti ben più interessanti, direi The boy and the beast.

Fosco Del Nero



Titolo: Sword of the stranger (Sword of the stranger).
Genere: animazione, anime, avventura, azione, drammatico.
Regista: Masahiro Ando.
Anno: 2007.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 6 novembre 2018

Ballata dell’odio e dell’amore - Alex de la Iglesia

Alex de la Iglesia è uno di quei registi che si distinguono per portarsi appresso i suoi attori feticcio, di modo che i suoi film sono facilmente riconoscibili dagli interpreti, principali o secondari.

In questo caso, peraltro, il regista è facilmente riconoscibile dal genere e dall’impronta delle sue pellicole, grondanti senso del grottesco all’ispanica.

Ma andiamo a vedere la trama sommaria di Ballata dell’odio e dell’amore: siamo durante la Guerra civile spagnola, con Franco ancora al potere. Il regime sequestra un clown che ha combattuto con i ribelli e lo costringe ai lavori forzati. Il di lui figlio, Javier, da grande diventa anch’egli clown, e per la precisione un clown triste, il quale di solito fa coppia con un clown allegro.
Javier si troverà a far coppia con Sergio, clown allegro sul palco e persona estremamente violenta nella vita: verso la fidanzata Natalia, verso i colleghi, pure verso il suo capo nel circo.
Javier, pur non essendo proprio né un macho né un eroe, gli tiene testa: non ride alle sue battute e non si mostra troppo accondiscendente… anche perché invaghitosi della di lui fidanzata, una bella trapezista che non tarderà a ricambiare l’uomo.
Innescando un tourbillon di eventi violenti e folli, davvero violenti e davvero folli.

Di Alex de la Iglesia ho già visto tre film: i primi due son quelli che somigliano di più a Ballata dell’odio e dell’amore: Crimen perfecto - Finchè morte non li separi e La comunidad, entrambi pervasi da quel senso del grottesco e del film recensito oggi.
Il primo però più raffinato e immaginifico, e il secondo più crudo e persino splatter.

Il terzo invece, Oxford murders - Teorema di un delitto, è film di tutt’altro genere: intellettuale, sofisticato, elegante, assai distante dalle precedenti opere, segno che de la Iglesia ha un certo talento poliedrico.

Il problema di film come Ballata dell’odio e dell’amore è che, pur avendo qualcosa di bello, si perdono nell’eccesso: il film in questione conta 100 minuti di bizzarria, squilibrio e violenza. E quando dico squilibrio e violenza intendo sangue, cattiveria, sesso, problemi mentali… il che è un modo alternativo per dire che i personaggi son quasi tutti marci, come lo è il film in generale.

La domanda, dunque, molto banalmente è: vi interessa ricevere questa energia?

Se sì, sappiate che Ballata dell’odio e dell’amore nel suo genere, è un buon film di un buon regista.
Se no, molto semplicemente migrate altrove, magari sugli stessi Crimen perfecto od Oxford murders se non li avete ancora visti.

Fosco Del Nero



Titolo: Ballata dell’odio e dell’amore (Balada triste de trompeta).
Genere: grottesco, drammatico.
Regista: Alex de la Iglesia.
Attori:  Carlos Areces, Antonio de la Torre, Carolina Bang, Sancho Gracia, Juan Luis Galiardo, Enrique Villén, Manuel Tallafé, Manuel Tejada.
Anno: 2010.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

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