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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 31 luglio 2019

Ghost in the shell 2 - Innocence - Mamoru Oshii

Vidi per la prima volta Ghost in the shell 2 - Innocence (chiamato anche L’attacco dei cyborg) ormai parecchi anni fa, poco dopo la sua uscita nel 2004…
… e rimasi folgorato per la bellezza visiva che proponeva, nonché per la colonna sonora di stampo lirico, con le due cose che, abbinate, creavamo momenti di vera e propria poesia.
Una poesia drammatica, tragica, profonda e anche impegnativa, ma pur sempre poesia.

Ho rivisto Ghost in the shell 2 – Innocence adesso, ad anni di distanza, con due risultati: la visione degli occhi fisici è risultata meno notevole, essendosi essi abituati nel mentre a meraviglie tecniche ancora più avanti rispetto alle opere, pur ottime, del 2004; la visione degli occhi interiori si è invece approfondita, e ho potuto apprezzare meglio i contenuti esistenziali del film di Mamoru Oshii.

Ma partiamo dalle basi: Ghost in the shell 2 - Innocence segue a distanza di nove anni il primo Ghost in the shell, col quale Mamoru Oshii aveva ottenuto un successo notevolissimo in tutto il mondo, e non solo in Giappone dove manga e anime sono pane quotidiano.
A proposito, ricordo che Ghost in the shell è ispirato al manga omonimo di Masamune Shirow… che per la cronaca era uno dei miei mangaka preferiti di quando ero un adolescente liceale (mi ricordo ancora di un giorno in cui mi portai Appleseed a scuola per leggerlo nel tempo libero).

A distanza di nove anni, e con un grande successo alle spalle, il rischio era alto: non bissare i contenuti importanti del primo film, magari puntando tutto sull’avanzamento tecnologico.
Oshii non ha saltato il pericolo, e anzi ha avuto il coraggio di tenere da parte il protagonista del primo film, il maggiore (la maggiore, e maggiorata) Motoko Kusanagi, la mezza donna e mezzo cyborg che era stata assorbita da una sorta di rete collettiva-coscienza collettiva.
Il protagonista di questo secondo film è il suo ex partner, Batou, anche lui mezzo cyborg, il quale porta avanti il suo lavoro e la sua vita solitaria, addolcita solamente dalla presenza di un buffo cane. Il casus belli stavolta è l’apparente follia di alcuni cyborg (detti “ginoidi”), i quali hanno ucciso i loro padroni; il modello, ritenuto difettoso, viene ritirato dal mercato, e la polizia indaga su quanto accaduto.

Come detto, tecnicamente Ghost in the shell 2 - Innocence è un film di fantascienza, con derivazione cyberpunk, ma ha dei contenuti interiori piuttosto smaccati e importanti, con tanto di citazioni di filosofi e maestri del passato (Confucio, Buddha, etc).
Anzi, devo dire che, non amando personalmente le ambientazioni molto tecnologiche da metropoli squilibrate del futuro, senza tali contenuti non lo avrei probabilmente apprezzato, o forse avrei apprezzato solo le scene di grande bellezza visiva e uditiva, ma non l’opera nel suo insieme.

A questo riguardo, mi sono segnato alcune frasi significative, che diranno molto alle persone interessate ai temi esistenziali, tra principio speculare, ego, stati di consapevolezza, dualità tra veglia e sonno, etc.

“Quello che definisci capire potrebbe non essere altro che un'illusione.”

“Per questo lo trovo così irritante, come guardare negli occhi il mio passato.”

“Non serve dare la colpa allo specchio se la nostra faccia non ci piace.”

“La scienza ha dimostrato che gli umani non sono macchine, ma che possono diventarlo.”

“Perché gli umani sono così ossessionati dal ricreare loro stessi?”

“Il segreto per andare avanti è non tradire mai se stessi.”

“Dice il saggio: fallo camminare da solo senza commettere peccati.
Con pochi desideri, come gli elefanti nella foresta.”

“C’è una realtà che protegge i segreti e una realtà che protegge la verità.
Non puoi servire tutti e due i padroni.
Di chi è al servizio la tua realtà?”

“Vita e morte vanno e vengono come marionette che danzano su un tavolo.
Una volta recisi i fili, crollano all’istante.”

“È peccato dormire come i morti.”

“Le inadeguatezze della consapevolezza umana diventano inadeguatezze di fronte alla realtà della vita.”

“Se non conosciamo bene la vita, come facciamo a conoscere la morte?
Lo dice anche Confucio.”

“Molti vanno incontro alla morte impreparati, armati solo di una fiduciosa ignoranza.”

“Se una creatura sembra viva, è viva realmente?
O al contrario, se un oggetto è senza vita, può vivere?”

“Noi umani siamo anche noi parte del nulla.”

“Se tutto in natura è calcolabile, anche gli esseri umani sono riducibili a parti elementari, meccaniche, della natura stessa.
Il corpo umano non è altro che una macchina che innesca le sue stesse molle.”

“La sventura, come la sorte, ci dà tre segnali: uno sguardo sommesso, un riconoscimento taciuto, un consiglio non richiesto.
Senza rendercene conto, diamo il benvenuto alla catastrofe.
Il nostro mondo non può permettersi di ignorare questi segnali.”

“Come fai a capire se questa realtà è autentica o è solo l’estensione di false illusioni generate da segnali virtuali?”
“Come faccio a capirlo? Me lo sussurra la mia anima.”

“Gli umani non sono altro che il filo di cui è tessuto il sogno della vita.
I sogni, la coscienza e quella che tu chiami anima non solo che squarci orditi nella tessitura invariabile della matrice.”

“Ognuno di noi segue percorsi molto diversi per verificare la propria esistenza.”

“Gli uccelli cercano rifugio nei cieli.
I pesci si immergono nelle profondità del mare.”

“Ricorda sempre: ogni volta che entrerai nella rete, io sarò sempre e comunque a tuo fianco.”

Dire che ce n’è abbastanza, e anzi personalmente ho gradito Ghost in the shell 2 – Innocence anche più del primo Ghost in the shell.

Fosco Del Nero



Titolo: Ghost in the shell 2 - Innocence (Inosensu).
Genere: anime, animazione, cyberpunk, fantascienza.
Regista: Mamoru Oshii.
Anno: 2004.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


martedì 30 luglio 2019

Final Fantasy XV - Kingsglaive - Takeshi Nozue

Final Fantasy XV - Kingsglaive è il terzo prodotto cinematografico tratto dall’omonima saga video ludica di Final Fantasy, che, detto per inciso, da ragazzino ho giocato fin da quando sono stati disponibili i giochi in italiano, seguendola nelle varie console ma perdendola di vista in questi ultimi anni, un po’ perché ho messo da parte i videogiochi, un po’ perché la saga si è commercializzata in modo piuttosto pacchiano, purtroppo, perdendo le atmosfere e il fascino degli episodi che ne avevano sancito la fama.

Final Fantasy XV - Kingsglaive, curiosamente, non è la conversione filmica di uno degli episodi dei videogiochi già usciti, ma costituisce il prequel di uno videogioco che sarebbe uscito di lì a breve: Final Fantasy XV, per l’appunto.

Andiamo a vedere la trama sommaria di questo Kingsglaive: nel mondo fantastico di Eos infuria la guerra tra il Regno di Lucis (e con questo nome già sappiamo chi sono i “buoni”) e l’Impero di Niflheim. Il primo dei due tende ad usare la magia, basata sui poteri di un grande cristallo gestito proprio dal Re Regis (nome davvero fantasioso per un re…); il secondo, invece, usa soprattutto le armi, ed è dotato di un livello tecnologico impressionante, con il quale sta schiacciando la resistenza di Lucis, di cui ha conquistato tutti i territori con l’eccezione della capitale Insomnia (nome davvero curioso per una città; come se la capitale d’Italia si chiamasse Mal di testa, oppure Gastroenterite o Ulcera), la quale è tuttavia protetta da una barriera magica impenetrabile.

I protagonisti della storia sono, dal lato dei buoni, Nyx Ulric e Libertus, due Kingsglaive, guerrieri magici al servizio del Regno di Lucis, e Lunafreya, Regina di Tenebrae (altro nome brillante), nonché il già citato Re Regis. Dal lato dei cattivi, invece, abbiamo l’Imperatore Iedolas, il Cancelliere Ardyn Izunia, e il generale del loro esercito, Glauca, un tipo bello grosso che sta dentro un’armatura tutta scintillante di colori.

Veniamo ora al commento sul film: tecnicamente è piuttosto impressionante, e mostra a che livello è arrivata la computer grafica moderna.
I paesaggi, le animazioni dei protagonisti, le scene d’azione, combattimenti compresi, son tutti assai spettacolari. Forse il livello più basso è dato dalle espressioni dei visi dei personaggi, che sarà difficile portare al livello degli attori veri e propri, ma il livello generale è decisamente ottimo e probabilmente maniacale nella sua realizzazione.
Anche il comparto sonoro fa la sua parte, mentre devo dire che il doppiaggio non mi ha convinto del tutto, pur se buono.

Il problema di Final Fantasy XV – Kingsglaive sta da un’altra parte, non certo nel livello tecnico: la sceneggiatura è deboluccia, la caratterizzazione psicologica dei personaggi è mediocre, i dialoghi son spesso deludenti e ugualmente deboli, e inoltre la commistione di generi è eccessiva: si passa dalla magia in pieno fantasy a mezzi robotici e corazzati da film di fantascienza; si passa da un anello che conferisce poteri e fa sparire chi lo indossa in stile Il signore degli anelli a mezzi ed animali in stile Star wars; si passa da scene post bellico-nucleari a città metropolitane moderne di stampo chiaramente nipponico. Davvero troppo e troppo confuso.
Persino i nomi di personaggi e luoghi sono troppo difformi tra di loro: alcuni di ispirazione anglosassone, molti di ispirazione latina, in qualche caso risultano ridicoli (la città Insomnia) o semplicemente banali (il Regno di Lucis, il Re Regis, il Regno di Tenebrae con la Principessa Nox), errore in cui sovente indulgono i giapponesi nel tentativo di dare un fascino occidentale alla loro storia.

Inoltre nella storia manca passione, manca profondità, e inoltre l’incipit non è molto chiaro, anzi è confuso, e non aiuta il film a decollare… e infatti non decolla mai, per quanto offra un intrattenimento sufficiente, per quanto un po’ confuso e stereotipato.

Nel complesso, Final Fantasy XV - Kingsglaive è uno di quei film che val la pena di vedere almeno una volta per la sua bellezza visiva, ma che difficilmente verrà visto altre volte (perlomeno da me).

La sensazione che mi ha dato Final Fantasy XV - Kingsglaive è simile a quella che mi ha dato Final Fantasy VII - Advent children, e non a caso il team di produzione è lo stesso: prodotti tecnicamente molto ben realizzati, tuttavia indirizzati al pubblico dei rispettivi videogiochi e non a un pubblico cinematografico più generale. E purtroppo parlo, almeno per questo ultimo film, di un pubblico più terra terra, in linea con la qualità più terra terra che sono andati a incarnare gli ultimi Final Fantasy, ben distanti dalla magia di un Final Fantasy VIII, o dello stesso Final Fantasy VII, probabilmente i due episodi che più hanno colpito nel segno (ma ne ricordo anche di precedenti altrettanti belli, per quanto tecnologicamente più scarsini per ovvi motivi cronologici).

A riprova di ciò, Final Fantasy XV – Kingsglaive praticamente non ha un finale… perché tanto la storia prosegue col quasi omonimo gioco; scelta discutibile e certamente poco rispettosa dello spettatore del solo film.

Una curiosità finale: gli attori protagonisti hanno vaghe somiglianze con attori reali, ma non so se ciò è stato fatto in modo voluto o se si è trattato di cosa casuale.

Fosco Del Nero



Titolo: Final Fantasy XV - Kingsglaive (Kingusugureibu: Fainaru Fantaji fifutin).
Genere: anime, azione, fantastico, fantasy.
Regista: Takeshi Nozue.
Anno: 2016.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 24 luglio 2019

Slow step - Mitsuru Adachi

Slow step è il quarto manga di Misturu Adachi che leggo, e praticamente in rapida successione, giacché mi sono avvicinato al fumettista giapponese solo adesso.
Per la precisione, segue Rough, Touch e Miyuki.

Altra precisazione da fare: mentre i precedenti tre erano più lunghi (dai dodici ai ventisei volumetti), Slow step è più breve e si ferma a soli sette, peraltro non particolarmente spessi, mentre tra i dodici di Miyuki, per dire, me ne ricordo alcuni piuttosto corposi.

Un’altra differenza di una certa consistenza è il mutare della fattezze dei personaggi: mentre negli altri fumetti praticamente i volti dei protagonisti maschile e femminile erano identici, e così pure i personaggi secondari si ricordavano l’un l’altro, in questo manga tale somiglianza va parecchio a scemare, e anzi sparisce anche il binomio sentimentale prevedibile, quello per l’appunto per cui il protagonista maschile e la protagonista femminile, quelli con sempre gli stessi volti, finivano per avvicinarsi e stare assieme. 

Slow step propone difatti una protagonista femminile, Minatsu Nakazato, una studentessa e giocatrice di softball, e tre protagonisti maschili, tutti pretendenti: i compagni di scuola Shu Akiba e Naoto Kadomatsu, entrambi pugili, e il giovane professore Kango Yamazakura, anch’egli pugile (gli sport invece sono gli stessi degli altri fumetti di Adachi: baseball, softball, pugilato o nuoto).

Per complicare le cose, Minatsu spesso interpreterà anche il personaggi fittizio di Maria Sudo, tramite parrucca, occhiali e abbigliamento differente… ma è sempre lei.

Altra piccola differenza rispetto agli altri manga: mentre negli altri le cose sono un po’ più chiare, qua rimangono sospese e ambigue fino alla fine, scelta che personalmente non ho apprezzato molto, ma tant’è.

Slow step non è malaccio, col suo tono leggero e scanzonato, però un po’ per l’essere abbastanza inconcludente, e un po’ per la sua brevità, non ha il tono profondo degli altri tre fumetti di Adachi che ho letto, ragion per cui la valutazione è inferiore.

Inferiore, ma comunque discreta, e difatti in programmazione di lettura vi sono già altri due titoli del buon Mitsuru Adachi: il breve Misora per sempre e il lungo H2.

Vediamo che spunterà il titolo di miglior manga di Adachi tra questi sei.

Fosco Del Nero



Titolo: Slow step (Slow step).
Genere: manga, fumetti, commedia, sentimentale, adolescenziale.
Regista: Mitsuru Adachi.
Anno: 1986-1991.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 23 luglio 2019

Fantasia - James Algar, Samuel Armstrong, Ford Beebe, Norman Ferguson, Jim Handley, Wilfred Jackson, T. Hee, Hamilton Luske, Bill Roberts, Paul Satterfield, Ben Sharpsteen, Walt Disney

Era da un po’ che avevo in mente di riguardarmi l’ormai vecchissimo Fantasia, che peraltro era già vecchio quando io ero ragazzino, per cui ecco qua la recensione.

Intanto, datiamo il film Disney: siamo nel 1940, e la Disney, allora importante ma non un colosso, e anzi alle prese con la crisi di Topolino, meno amato rispetto al passato, era reduce da tre cartoni animati di successo… e si è lanciata per l’appunto nell’esperimento Fantasia, nato originariamente come episodio breve de L’apprendista stregone, con Topolino protagonista per l’appunto, e poi allargato a lungometraggio comprendente otto diversi segmenti, diciamo così, per un totale di circa due ore (per quanto nel tempo il montaggio sia stato modificato, con pezzi tolti e aggiunti).

Tali segmenti sono un connubio di immagini animate e suoni… e che suoni: a rispondere alla bacchetta di Leopold Stokowski, direttore orchestra, l’Orchestra di Filadelfia, chiamata a suonare, nell’ordine: Bach, Cajkovskij, Dukas, Stravinskij, Beethoven, Ponchielli, Musorgskij, Schubert
Insomma, il comparto audio è di livello assoluto, sempre per chi apprezza la musica classica.
Si aggiunga tra l’altro che Fantasia fu il primo film commerciale proiettato in stereofonia, altra sua primizia. 

Tuttavia, al tempo il film fu un netto insuccesso, talmente tanto grave che quasi portò l’azienda al fallimento; il film si è ripreso col tempo, paradossalmente colmando la lacuna economica col mercato dell’homevideo.
Da sottolineare però anche il fatto che nel 1940 si era nella seconda guerra mondiale, il che ha ridotto il bacino d’utenza dei cinema ai soli Usa, giacché l’Europa aveva altre questioni da risolvere. 

Detto della storia e del sonoro, veniamo al comparto video: il tempo, va da sé, ha lasciato il segno, e il 1940 è distante ormai quasi 80 anni, mica briciole. Al giorno d’oggi, difficile definire belli i disegni di Fantasia, specialmente quelli di alcuni segmenti, ma comunque alcuni di essi mantengono un fascino un po’ retrò, per così dire.

Ed ora veniamo al commento più velato: quando vedo un film Disney, specie se antico, sapendo le appartenenze di Walt Disney, nonché i problemi giudiziari avuti dall’azienda statunitense (pornografia, immagini subliminali, simboli poco edificanti... e si tratta di cose per cui l'azienda è stata condannata o ha patteggiato in tribunale), ho sempre un’occhio attento… e manco a dirlo, Fantasia tra le altre cose propone anche questo: bambini nudi, capri e fauni, diavoletti, donne nude o seminude (in versione umana, faunesca o demonesca), elogio dell’alcol, donne nere che servono uomini bianchi, stregoneria, un mago con gli occhi rettiliani (cui si aggiunge una certa presenza di rettili in tutto il film, dai dinosauri che dominavano sulla Terra a dei coccodrilli vestiti da sacerdoti malvagi che si apprestano a divorare un mammifero in stile rituale...), adorazione del sole, un mostro-diavolo, anime di morti, demoni alati, cimitero e altri spiriti che escono dalle tombe, entità tipo volador, rappresentazione dell’inferno, e per completare l’opera fantasiosa abbiamo anche delle nuvole a forma di dischi volanti.
E non fatemi dire niente sui filmati “scientifici” sulla genesi del mondo nonché dell’evoluzione animale di stampo darwiniano. Certo, c’è anche un Ave Maria finale con luci e monaci in processione che paiono accennare al percorso evolutivo, ma è  poca roba come “contraltare”.
Tutto questo in un film animato di una casa di produzione orientata all’infanzia e in un’epoca e in un luogo in cui animazione equivaleva a prodotto per l’infanzia.

Lo so, lo so, son sempre gli stessi concetti e immagini che si trovano nelle opere di certi personaggi; completamente casualmente secondo gli scettici-miopi e con un fine preciso secondo coloro che hanno studiato il fenomeno o che semplicemente non hanno gli occhi sbarrati.
Ognuno di voi valuti da sé.
Di mio credo che non rivedrò Fantasia mai più, un po' per questo e un po' per la pochezza tecnica.

Fosco Del Nero



Titolo: Fantasia (Fantasia).
Genere: animazione, musicale.
Regista: James Algar, Samuel Armstrong, Ford Beebe, Norman Ferguson, Jim Handley, Wilfred Jackson, T. Hee, Hamilton Luske, Bill Roberts, Paul Satterfield, Ben Sharpsteen, Walt Disney
Anno: 1940.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 17 luglio 2019

Stati di allucinazione - Ken Russell

Ken Russell ha fama di regista visionario, e forse il film Stati di allucinazione ne è la rappresentazione più palese, a cominciare dal titolo, che peraltro descrive fedelmente i contenuti dell’opera.

Ecco la trama sommaria di Stati di allucinazione, film del 1980: il professore e ricercatore Eddie Jessup (William Hurt; Into the wild - Nelle terre selvagge, Un medico, un uomoAlice, Dark CityThe villageIl bacio della donna ragnoA history of violence), uno scienziato un po’ scostante ma brillante, conduce insieme a un amico e collega degli esperimenti all’interno di una vasca di deprivazione sensoriale.
Il suo obiettivo è studiare lo stato di coscienza umano, cosa per il quale assumerà anche droghe, sia sintetiche sia naturali, somministrate all’interno di un rito sciamanico.

Gli esperimenti non tardano a produrre risultati, da un lato di allucinazioni, dall’altro di comprensioni personali, ma anche dal punto di vista di una regressione vera e propria agli stati precedenti dello sviluppo della coscienza: ominidi e anche oltre…
Senza contare i risultati in termini di difficoltà relazionali con le persone che egli ha intorno, che anzi iniziano a considerarlo un po’ fuori di testa.   

Formalmente Stati di allucinazione vorrebbe indagare il mistero dell’evoluzione del genere umano, ma lo fa in modo, come dire, assai infantile, molto mentale, e infatti non approda a niente, se non a una trama fantascientifica che mette a dura prova lo spettatore più avvezzo ai film di genere fantastico.

Anzi, a dirla tutta il film si muove tra inesattezze scientifiche e antropologiche, che mischia con l’infantilismo esistenziale di cui sopra. 

A ciò si aggiungano anche degli effetti speciali che forse all’epoca saranno stati all’altezza, ma visti con gli occhi di oggi appaiono davvero goffi.

E, come dico sempre, un buon film, un film di valore, col tempo invecchia bene, effetti speciali o meno, mentre i film mediocri, semplicemente, finiscono nel dimenticatoio, o al massimo vengono ricordati per qualche bizzarria, come forse accade per questo Stati di allucinazione, che a mio avviso non merita la sufficienza né la visione.

Fosco Del Nero



Titolo: Stati di allucinazione (Altered states).
Genere: psicologico, fantastico, drammatico.
Regista: Ken Russell.
Attori: William Hurt, Blair Brown, Bob Balaban, Miguel Godreau, Charles Haid, Thaao Penghlis, Dori Brenner, George Gaynes, Evan Richards.
Anno: 1980.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 16 luglio 2019

Il forestiero - Ronald Neame

Ho sempre apprezzato Gregory Peck, e per converso le pellicole in cui egli ha recitato, anche se, ad onor del vero, ho probabilmente cominciato con le migliori, ossia Il buio oltre la siepe e L’ultima spiaggia, tanto che i film che ho visto dopo, ossia Vacanze romaneOmen - Il presagio e Il forestiero, si son piazzati svariate lunghezze dietro le prime e migliori.

L’ultimo film di tale lista, Il forestiero, è il film recensito quest’oggi, e con esso facciamo un viaggio indietro nel tempo di oltre un secolo, fino al 1903, anno di ambientazione del film, realizzato tuttavia nel 1954.

Ecco la trama del film, il quale è tratto da un’opera di Mark Twain: a inizio ventesimo secolo l’americano Henry Adams si trova per caso a Londra, a seguito di uno sbarco poco fortunato, e inizia a girare per la città per cercare qualcosa da fare. Gli va bene qualunque cosa: un lavoro, un piccolo prestito, ma sulle prime non trova niente, tanto che inizia ad avere fame.
Gira e gira, s’imbatte a un certo punto in due fratelli, due gentiluomini che hanno fatto una scommessa su come potrebbero andare le cose a chi avesse in suo pugno una banconota da un milione di sterline, all’epoca una cifra incredibile; i due non solo hanno fatto la scommessa, ma hanno fatto stampare dalla banca la suddetta banconota, e la danno per l’appunto a Henry Adams, il quale in pochi secondi vede così mutata la sua condizione da quella di povero in canna in forte difficoltà a quella di milionario a cui tutti si inchinano e regalano le cose.
La scommessa fatta dai due gentiluomini inglesi, in un’epoca in cui gli americani erano visti non come gentiluomini ma come gente di serie B, verte per l’appunto sul riuscire a cavarsela senza spender denaro.

In buona sostanza, siamo di fronte alla solita (solita per i tempi moderni, magari al tempo di Twain la cosa era una novità) commedia sul cambio repentino di condizione sociale ed economica e su come il fortunato protagonista lo gestisce.

Nulla di che, e infatti il film non presenta particolari scintillii: né nella sceneggiatura, né nei personaggi, né nei dialoghi… e anzi questi ultimi a un certo punto diminuiscono anche per via di un personaggio non parlante, tale Rock, che forse voleva essere originale ma che risulta un pochetto ridicoletto.

Nel calderone ci finisce anche la solita relazione sentimental-romantica, anch’essa piuttosto banale, col risultato finale che Il forestiero è una commedia mediocre sotto ogni punto di vista, e che tra le sue attrattive ha forse la sola ambientazione inglese di inizio 900. 
E poi la bravura di Gregory Peck, ma è decisamente troppo poco per farne un film di valore.

Fosco Del Nero



Titolo: Il forestiero (The million pound note).
Genere: commedia.
Regista: Ronald Neame.
Attori: Gregory Peck, Jane Griffiths, Ronald Squire, Joyce Grenfell, A.E. Matthews, Maurice Denham, Reginald Beckwith, Brian Oulton, John Slater, Wilbur Evans.
Anno: 1954.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 10 luglio 2019

La tartaruga rossa - Michael Dudok de Wit

La tartaruga rossa è stato fortemente pubblicizzato come l’ultimo film uscito dallo Studio Ghibli, la celebre casa d’animazione giapponese, ma ad essere più precisi lo Studio Ghibli è solo uno dei cinque produttori della pellicola, che è una coproduzione franco-belga-nipponica.

La cosa è evidente, peraltro, in ogni cosa: nei disegni, nei tratti dei personaggi protagonisti, nella trama, nel fatto che manchino dei dialoghi.

La tartaruga rossa, difatti, non è un film muto, giacché vi sono musica e suoni vari, ma non ha una sola parola, cosa che piacerà poco in partenza a tante persone… beh, alla quasi totalità degli spettatori da cinema, direi.

Il tratto visivo è piuttosto bello, con l’animazione fatta a mano con acquerello e carboncino: disegni e colori sono di qualità, e la cosa certamente non sorprende.
Tra l’altro, se il prodotto non è propriamente un prodotto Ghibli, e infatti in cabina di regia c’è Michael Dudok de Wit, regista e animatore olandese alla sua prima esperienza nel lungometraggio, come produttore e supervisore c’è il solito Isao Takahata, il socio di Hayao Muyazaki nello Studio Ghibli, il che è una discreta garanzia.

Ecco in grande sintesi la trama de La tartaruga rossa: un uomo affronta un naufragio, e il mare in tempesta lo porterà su una piccola isola deserta, da cui, dopo essersi ambientato e aver visto cosa ha a disposizione a livello di acqua, cibo, alberi, etc, cerca di fuggire costruendosi una zattera d’emergenza.
Ci prova una, due, tre volte, ma ogni volta il suo mezzo viene distrutto da una creatura sottomarina che attacca la barca, e che si rivelerà essere una grossa tartaruga rossa.

Un giorno, sorpresa la tartaruga sulla spiaggia, l’uomo si vendica, colpendola violentemente alla testa, e poi capottandola, costringendola così ad affrontare sole, sete e fame, fino ovviamente alla morte.
Se non che la tartaruga… 

Non dico altro altrimenti svelerei l’essenza del film, che in sintesi va a descrivere diverse fasi della vita umana: i problemi e gli ostacoli, la scoperta, la solitudine, la speranza e la frustrazione, e poi l’amore, la vecchiaia e la morte. 

Il film è di valore, bello ed educativo, per quanto a mio avviso ben lontano dai capolavori dello Studio Ghibli, da La città incantata Il castello errante di Howl.

Il tocco Ghibli, paradossalmente, si nota più per dettagli come la presenza e la giocosità dei granchietti che popolano la spiaggia dell’isoletta. 

Nel complesso, La tartaruga rossa di Michael Dudok de Wit più che un film d’animazione classico è una sorta di poesia in lungometraggio, che credo non deluderà coloro che vorranno cimentarsi con essa e che non hanno paura di un film senza parole.

Fosco Del Nero 



Titolo: La tartaruga rossa (La tortue rouge).
Genere: anime, animazione, fantastico.
Regista: Michael Dudok de Wit.
Anno: 2016.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 9 luglio 2019

Maleficent - Robert Stromberg

Sono sempre un po’ titubante nell’accostarmi a un film Disney, per motivi ovvi.
Tuttavia, tendo a guardarmi perlomeno i film aventi avuto un grande successo: o per goderne anche io o per vedere come mai hanno avuto tutto quel successo.

Il candidato odierno è il famoso Maleficent, film diretto nel 2014 da Robert Stromberg, il quale peraltro era al suo esordio come regista, e infatti non l’avevo mai sentito.
Essenzialmente Maleficent è una rivisitazione della fiaba La bella addormentata nel bosco, di cui segue la storia non dalla solita prospettiva della ragazza addormentata, ma da quella della strega che l’ha fatta addormentare.

Ecco in grande sintesi il prologo di Maleficent: il regno degli uomini e il regno fatato della brughiera vivono vicini, ma non corre buon sangue tra di loro, e anzi si evitano a vicenda. Un bel giorno, però, il piccolo Stefano si spinge fino alla brughiera delle fate per rubare una gemma preziosa, e incontra l’altrettanto piccola Malefica, una fata-demone alato che vive nel regno magico, tra creature fantastiche di ogni tipo. I due fanno amicizia, continuano a frequentarsi con gli anni, e da adolescenti si innamoreranno. Tuttavia, Stefano cambierà, e preso dalle ambizioni della società umana non tornerà più dalla sua Malefica.
Ci tornerà, molti anni più tardi, quando il re del suo regno, Enrico, promette la mano di sua figlia e il trono a chiunque ucciderà proprio Malefica, divenuta nel mentre una sorta di guardiano della brughiera fatata.

Segue un primo commento sul film: visivamente, è incantevole, e rende onore alla sua ambientazione. Non è del tutto convincente, a dire il vero, ma il risultato generale è ottimo.
Il cast non mi ha convinto del tutto: Angelina Jolie dà bella prova di sé nella parte della Malefica grande (anche la Malefica bambina era caruccia), ma il resto degli attori sta al livello di macchiette o poco sopra; una cosa davvero curiosa per quanto è netta.
Il film si fa seguire volentieri, ed è ben fatto, tuttavia molti episodi della sceneggiatura non convincono per niente. E qua seguono alcuni fatti del film, che chi non vuole leggere farebbe meglio a saltare andando al capoverso successivo: il nome stesso della fata, Malefica, dato a una bambina carina e gentile, è senza senso, letteralmente senza senso… specie se poi l’innamorato si chiama Stefano (!?); il ragazzo sparisce non dando seguito al suo amore, e vabbé, capita… ma poi torna dopo molti anni, e dopo una tentata invasione umana ai danni della brughiera, e lei si fida come se niente fosse; lui le taglia le ali e lei non si accorge di niente e non prova dolore… se ne avvede da sveglia; le ali di lei non vengono distrutte, ma conservate, e ovviamente troveranno il modo di tornare dal loro proprietario; il re affida la vita di sua figlia a tre fatine deficienti, che peraltro si fanno scoprire fin da subito. Questi elementi rendono la storia del film davvero poco credibile, persino meno rispetto alle creature arboricole senzienti.

Molto bello, invece, il percorso interiore di Malefica, che parte innocente, viene incattivita dalla vita (dando così ragione al genitore che aveva voluto chiamarla Malefica), ma poi torna all’amore, spezzando la catena che qualcuno le aveva imposto.
Tale percorso sa tanto di ruota destinica e di evoluzione interiore, e da solo rende il film meritevole di visione.

Mezzo punto in più per la presenza di un personaggio di nome Fosco… anche se uno che si chiama così dovrebbe avere garantito un ruolo più importante.

Fosco Del Nero



Titolo: Maleficent (Maleficent).
Genere: fantasy, drammatico.
Regista: Robert Stromberg.
Attori: Angelina Jolie, Elle Fanning, Sharlto Copley, Lesley Manville, Imelda Staunton, Juno Temple, Sam Riley, Miranda Richardson, India Eisley.
Anno: 2014.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 3 luglio 2019

Steamboy - Katsuhiro Otomo

Katsuhiro Otomo è un nome certamente noto tra gli appassionati di animazione giapponese, giacché egli è il regista dello storico Akira, film del 1988 che ha segnato la storia dell’animazione nipponica e mondiale.
Successivamente, Otomo si è dedicato soprattutto alla sceneggiature, o alla supervisione dei vari lavori, lasciando però la regia a qualcun altro: è stato così per esempio per Perfect blue o per Metropolis, mentre con Steamboy, assai più recente essendo datato 2004, egli è tornato a curare sia sceneggiatura che regia.
Con risultati altalenanti, dobbiamo dire.

Come prima cosa, cominciamo dalla trama: siamo nel 1866, in Europa, e precisamente nell’Inghilterra vittoriana, per quanto una sua versione alternativa, tutta immersa nella ricerca scientifica, nella sperimentazione tecnica, in macchine, locomotive e vapore… come testimonia il titolo stesso del film, che poi sarebbe anche il cognome del protagonista centrale della storia, e anzi dei tre protagonisti della storia: il nonno, il padre e il ragazzo Steam (da cui Steamboy, per l’appunto), con la parola inglese “steam” che vuol dire “vapore”.

I primi due sono importanti ricercatori e inventori, mentre il terzo, il ragazzo, non lo è ancora ma è sulla buona strada, e mastica e intuisce quel che basta.
Il problema è che non si tratta di una famiglia molto unita, per usare un eufemismo: nonno e padre non ci sono, sempre via a studiare e ricercare, e  il ragazzo cresce con la madre e la sorella… fino a che non riceve alcune visite inaspettate, tra cui quella dello stesso nonno Lloud, il quale gli dice che il padre Eddie è morto, e che gli rivela profondi e insanabili divergenze tra i due. Il nonno, difatti, vedeva la scienza in modo più teorico e conoscitivo, mentre il padre in modo assai più pragmatico, tanto da essersi messo a lavorare per la Fondazione Ohara, che produce e vende armi tecnologiche a qualunque offerente del mondo. 
Ray, il figlio-nipote, il "ragazzo-vapore", dovrà capire velocemente cosa succede, quale parte ha più ragione dell’altra, e chi merita più degli altri la sfera meccanica costruita dai suoi predecessori, e che in pratica ha “ereditato”.

Il commento di Steamboy è assai facile: il film è tecnicamente molto bello, a tratti prezioso, con fondali e animazioni curatissime. L’incipit peraltro è interessante e accattivante. 
Tuttavia, il film si perde in se stesso e, dopo un’ora di buon interesse, nella seconda ora diviene una sequela quasi ininterrotta di azione, sparatorie, esplosioni, inseguimenti, combattimenti… sfociando persino nel ridicolo con gli effetti della Torre Steam.

Ora, se considerate che personalmente non amo né l’azione fine a se stessa, né i contesti troppo meccanici e tecnologici (cosa che poi era stata il motivo per cui ho tardato così tanto a vedere il film), avrete come risultato il fatto che non ho gradito troppo Steamboy, che per quanto mi riguarda non raggiunge nemmeno la sufficienza, nonostante la mole di lavoro tecnico che propone, e nonostante tenti anche di dare un sottofondo educativo all’opera, accennando, anche se in modo un po’ goffo, ai limiti della scienza, a quale è il suo scopo e a dove si dovrebbe fermare.

Insomma, Steamboy è un film un po’ freddino, troppo movimentato e tecnologico, e con contenuti non particolarmente profondi, e nemmeno brillante nei dialoghi.

Fosco Del Nero



Titolo: Steamboy (Steamboy).
Genere: animazione, anime, fantascienza, drammatico, commedia.
Regista: Katsuhiro Otomo.
Anno: 2004.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 2 luglio 2019

Testament of youth - James Kent

Non mi sovvengo cosa mi abbia portato al film Testament of youth, girato nel 2015 ma tratto dal romanzo Generazione perduta di Vera Brittain, scritto nel 1933. Forse la filmografia di Kit Harington, il noto Jon Snow della serie tv Il trono di spade… o forse qualcos’altro, chissà.

Ad ogni modo, a tale piccola premessa aggiungo che il romanzo è autobiografico, e racconta la vera storia di Vera Brittain, e di come lei ha vissuto la Grande Guerra, sarebbe a dire la Prima Guerra Mondiale.

La storia inizia poco prima della guerra, in una famiglia inglese in cui vi è una giovane e brillante ragazza, Vera per l’appunto (Alicia Vikander), la quale ha studiato a casa da autodidatta musica, lingue, storia e altro, al fine di poter poi frequentare un corso di studi vero e proprio… nonostante l’opposizione culturale ed economica del padre, che invece vuol mandare a studiare il solo Edward (Taron Egerton), il figlio maschio.
Proprio Edward intercederà per la sorella presso il padre, e alla fine entrambi andranno ad Oxford. La sorella ricambierà il favore, per quanto in modo involontariamente drammatico, e convincerà il padre a far arruolare il figlio nell’esercito inglese, subito dopo lo scoppio della guerra, che avrebbe dovuto essere facile e veloce (dovrebbero essere tutte “blitzkrieg”, ma divengono tutte drammi umani… per il semplice motivo che lo sono già in partenza come idea).

In guerra andrà anche Roland Leighton (Kit Harington), l’innamorato di Vera, nonché il comune amico Victor Richardson (Colin Morgan)… e infine ci andrà la stessa Vera, come infermiera più o meno lontana dal fronte.

Il titolo del libro e del film si deve al fatto che, una volta tornata a casa, e ripreso a studiare, Vera si rende conto, colpita irrimediabilmente dagli eventi bellici, di appartenere a una generazione perduta: perduta un po’ perché molti giovani sono morti e dunque la generazione è monca, e un po’ perché pure chi è rimasto è perduto dentro di sé, come svuotato. 

Testament of youth è un grosso e lungo melodramma umano, triste e straziante… proprio il genere di film che evito normalmente.
Intendiamoci, è molto ben fatto in tutto, e anzi è un proprio un prodotto di classe, tra scenografia, costumi, fotografia, cast… è tutto bello e ben riuscito.
Sta solo a voi vedere se volete nutrirvi di dramma e tristezza o se preferite altri tipi di cibo, da cui la mia valutazione sufficiente ma tiepida.

Fosco Del Nero



Titolo: Testament of youth (Testament of youth).
Genere: sentimentale, drammatico.
Regista: James Kent.
Attori: Alicia Vikander, Kit Harington, Hayley Atwell, Emily Watson, Dominic West, Miranda Richardson, Charlotte Hope, Colin Morgan, Anna Chancellor, Emily Bevan, Jonathan Bailey, Xavier Atkins.
Anno: 2015.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


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