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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

venerdì 26 dicembre 2014

Interiors - Woody Allen

Interiors, film di Woody Allen del 1978, vanta due primati in seno alla carriera cinematografica del regista americano: è il primo film drammatico, dopo svariati film comici e commedie; ed è inoltre il primo film in cui Allen non compare anche come attore.

A mio avviso, entrambe le cose sono due difetti, e Interiors, uno dei pochi film di Allen che mi mancavano da vedere all’interno della sua ricca filmografia, prova quanto già avevo largamente veduto nella produzione filmica recente: nel genere drammatico egli rende molto di meno… semplicemente perché ha natura di comico.

Con buona pace delle sue ambizioni, nonché di quegli stessi film (commedie…) in cui il protagonista era un regista che voleva cambiare genere, passando dalla commedia al dramma, osteggiato in ciò sia dalla critica che dal pubblico (Stardust memoriesHollywood ending).

Ma veniamo alla trama di Interiors, che in pratica ruota intorno alla famiglia Marshall: padre, madre, e soprattutto le tre sorelle, tra cui primeggia la vecchia musa di Allen, Diane Keaton (cito al volo il classico Manhattan), che interpreta Renata, la maggiore e più talentuosa delle tre, seguita da Joey e da Flyn. Ad esse si aggiungono i mariti delle prime due, Frederick e Mike. Praticamente tutti hanno occupazioni in campo artistico o espressivo, tra la scrittura, il giornalismo, la decorazione d’interni.

Ad essi si aggiunge anche il padre, Artur, che un bel giorno annuncia alla famiglia che vuole separarsi dalla moglie per vivere per conto suo, cosa che darà il via ad energie latenti ma già presenti, soprattutto per via della moglie Eve, semidepressa e fortemente attaccata a marito e famiglia. 

Interiors ha avuto un’accoglienza eccellente da parte della critica, e ha vinto numerosi premi. Senza dubbio il film è tecnicamente ben fatto, e certamente un ottimo regista come Allen, pur se cambia genere, non diventa un incapace tutto d’un tratto.
La fotografia è ottima, per esempio… mentre incuriosisce la totale assenza di colonna sonora, cosa che ne fa un film molto silenzioso e introspettivo (fatto peraltro intuibile già dal titolo).

Il fatto è che, semplicemente, se ai film tradizionali di Woody Allen, tutti gag, ironia, vivacità e fisime psicologiche, togli gag, ironia e vivacità… rimangono solo i problemi psicologici, esattamente come in Interiors.
E personalmente lo trovo uno spettacolo un po’ deprimente.
Ben fatto, certo, ma deprimente, o comunque semplicemente noioso, tanto che consiglio il suddetto film solo a chi ama i film psicologico-drammatici, con tanto di pianti, litigi e scenate, tentati suicidi, problemi coniugali, separazioni, morti.


Fosco Del Nero



Titolo: Interiors (Interiors).
Genere: drammatico, psicologico.
Regista: Woody Allen.
Attori: Diane Keaton, Richard Jordan, Geraldine Page, Mary Beth Hurt, Kristin Griffith, Maureen Stapleton, E.G. Marshall, Sam Waterston.
Anno: 1978.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 24 dicembre 2014

La storia del cammello che piange - Luigi Falorni, Byambasuren Davaa

“Questo film è solo una lagna: bambini che si lagnano, pecore che si lagnano, strumenti musicali che lagnano, canti che sono delle lagne, perfino la natura con il suo vento sembra lagnarsi. E i cammelli? Non vi preoccupate, si lagnano anche loro. Si vede proprio che questo film è stato girato con occhi occidentali: alla fine desidererete vivere in una grossa metropoli.”

In rete ho trovato questo commento-recensione al film proposto quest’oggi, ossia La storia del cammello che piange, film documentario che è stato anche la prova di laurea del regista, Luigi Falorni, ad una scuola di cinema tedesco.

Il commento è un po’ ingeneroso, però occorre ammettere due cose: intanto, che è divertente (il commento, non il film), e in secondo luogo che sintetizza abbastanza bene il film, che in effetti è costituito da un’ora e mezza di lamenti e rumori più o meno strazianti.

Persino i dialoghi tra i protagonisti, già rari e poco intensi per conto loro, sono sottotitolati solo in parte, col risultato che allo spettatore rimane solo ciò che vede e ciò che sente.
Sì, giacché il film, che è più un documentario che un film, non ha una trama, se non il poco che segue: siamo nel Deserto del Gobi, nella Mongolia del sud. Una famiglia di allevatori di cammelli aiuta una giovane cammella a partorire il suo primo figlio… che però lei poi non accetterà, negandogli il suo latte, perché albino.

La famiglia cerca allora in tutti i modi di far accettare il figlio alla madre, e alla fine ricorrerà ai servigi di un violinista fatto arrivare da una città lontana, il quale… giustificherà il titolo del film.

Se non c’è quasi trama, e se non ci sono che pochi dialoghi, e privi essenzialmente di significato, e ovviamente senza colonna sonora o altre frivolezze, rimane per l’appunto un prodotto-documentario, che forse interesserà gli appassionati dell’Estremo Oriente, o della vita desertica, ma che rischia di annoiare seriamente lo spettatore medio.

Con tutto che anche il panorama proposto, molto polveroso e monotono, non aiuta lo spettatore per quel poco che era rimasto…

Si dica che, alla fine, la cosa più vivace (e forse più riuscita, ciò che è inquietante) è la carrellata finale dei personaggi… che però dura pochissimo.

Insomma, non me ne voglia il regista, ma La storia del cammello che piange, e lo dico da appassionato del mondo orientale che, giusto per dirne una, si è appena letto un libro sugli ultimi decenni di Cina e dintorni, proprio non mi ha preso per nulla: e forse, pur a parità di trama e ritmo, sarebbe stato meglio rinunciare a un poco dell’aspetto documentaristico per introdurre un po’ di aspetto poetico, quasi del tutto assente anch'esso.

Fosco Del Nero



Titolo: La storia del cammello che piange (Die geschichte vom weinenden kamel).
Genere: documentario.
Regista Luigi Falorni, Byambasuren Davaa.
Attori: Janchiv Ayurzana, Chimed Ohin, Amgaabazar Gonson, Zeveljamz Nyam, Ikhbayar Amgaabazar, Odgerel Ayusch, Enkhbulgan Ikhbayar,Uuganbaatar Ikhbayar.
Anno: 2003.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 18 dicembre 2014

La morte ti fa bella - Robert Zemeckis

Teoricamente La morte ti fa bella avrebbe dovuto essere un capolavoro assoluto, data la paternità e l’interpretazione.
Da un lato difatti abbiamo Robert Zemeckis (regista di Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Ritorno al futuro, Ritorno al futuro - Parte 2, Ritorno al futuro - Parte 3, La leggenda di Beowulf, Contact, A Christmas carol), mentre dall’altro abbiamo un quartetto che al tempo (1992) non era mica da ridere: Bruce Willis (L'esercito delle dodici scimmie, Sin City, FBI - Protezione testimoniFaccia a faccia, Il quinto elemento, Looper - In fuga dal passato), Meryl Streep (Il diavolo veste Prada, La mia Africa, Manhattan), Goldie Hawn (Shampoo, Tutti dicono I love you) e Isabella Rossellini (Velluto blu, The OdysseyRoger Dodger).

Se vogliamo poi aggiungere un altro nome, uno dei due sceneggiatori è David Koepp, e si tratta di una grande firma come sceneggiatore: Mission impossible, Jurassic Park, La guerra dei mondi, Indiana Jones e il regno del teschio di cristalloCarlito's way

A ciò si aggiunge anche il premio Oscar per gli effetti speciali, e sembrerebbe una marcia trionfale…

… ma purtroppo non è così: La morte ti fa bella è uno di quei film che commettono l’errore di specchiarsi in se stessi, fiduciosi che i loro elementi di originalità o la bravura dei protagonisti basti ad elevarne il livello.

Ed è un peccato, perché l’idea di fondo era originale, e in taluni momenti il film fa intravedere la classe dei suoi interpreti, nonché momenti di autentica atmosfera, legati soprattutto alle scene con Isabella Rossellini.

Tuttavia, i dialoghi sono banalotti, i personaggi danno prova di intelligenza davvero scarsa e poco credibile, e la morale di fondo è ugualmente sempliciotta, pur se condivisibile.

Ma abbandoniamo questa critica feroce e andiamo alla trama de La morte ti fa bella: siamo nel 1978, quando Helen Sharp, un'aspirante scrittrice un po' insicura, presenta al suo fidanzato Ernest Menville, chirurgo di ottime prospettive, la sua amica Madeline Ashton, attrice non particolarmente dotata ma con un’aria da grande donna, tanto da aver fama di femme fatale.

Fatale, almeno, per la relazione tra Ernest e Helen, col primo che finisce per sposare proprio Madeline, e la seconda che si sfoga col cibo, diventando nel giro di sette anni un’obesa a rischio psicosi…

… ma ricomparendo, dopo altri sette anni, come cinquantenne in forma e charmant.

Passiamo così dal 1978 al 1992, ed è qui che si svolge il grosso del film, che poi vedrà il finale nel 2023.
E a tal proposito va detto che il finale con cui è stato diffuso il film non era quello programmato in origine, che viceversa era molto difforme, tanto che, per seguire il nuovo finale, sono state tagliate numerose scene e persino un intero personaggio.

Tornando a me ed alla mia severa valutazione, devo aggiungere che ho anzi un po’ sofferto nel vedere la bellissima Goldie Hawn di Shampoo così mal ridotta e che ho sofferto in generale nel vedere Meryl Streep, attrice magari tecnicamente brava ma che non mi è mai piaciuta. Quanto a Isabella Rossellini, non fa altro che mostrare il proprio corpo, mentre Bruce Willis è l’unico che dà mostra di bravura nell’interpretare un ruolo che mai gli era stato cucito addosso, dando segno di avere qualcosa in più della monoespressione da duro normalmente dipintagli addosso dai registi.

Insomma, anche il cast in teoria eccellente non mi ha impressionato poi tanto…
… anche se forse, semplicemente, la buona idea originale non è stata ben sviluppata, specialmente nella seconda parte del film, un po’ caciara e confusa.

E, ripeto, peccato.

Fosco Del Nero



Titolo: La morte ti fa bella (Death becomes her).
Genere: fantastico, commedia.
Regista: Robert Zemeckis.
Attori: Bruce Willis, Meryl Streep, Goldie Hawn, Isabella Rossellini, Sydney Pollack, Adam Storke, Ian Ogilvy, John Ingle.
Anno: 1992.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 17 dicembre 2014

La leggenda di Bagger Vance - Robert Redford

Mi sembra quasi impossibile che questo gioiello di film mi sia sfuggito per ben quattordici anni: tanti ne ha difatti La leggenda di Bagger Vance, film diretto nel 2000 da Robert Redford.

Il mio stupore cresce peraltro considerando il ricco cast del film, comprendente tra l’altro alcuni dei miei attori preferiti: Will Smith, per esempio, ma anche Matt Damon, affiancati da Charlize Theron, oltre che da vari altri attori minori (tra cui quel Bruce McGill che sa molto di McGyver).

Andiamo subito alla trama del film, e poi parliamo dei suoi contenuti, davvero belli e interessanti: nella città di Savannah, in Georgia, l’intraprendente Adele Invergordon (Charlize Theron; Aeon FluxHancockLa maledizione dello scorpione di giada), per salvare l'impresa di famiglia, decide di organizzare il più grande torneo di golf di tutti i tempi e coinvolge nell’iniziativa i due più famosi golfisti in attività: Bobby Jones e Walter Hagen… a cui si decide, su suggerimento del piccolo Hardy Greaves, di affiancare un giocatore del luogo, individuato in Rannulph Junuh (Matt Damon; Dogma, Rounders - Il giocatoreWill hunting - Genio ribelle), ex enfant prodige del golf, persosi però negli anni seguenti tra la guerra e l’alcol.
Ad aiutarlo in quella che sembra una missione impossibile, il misterioso caddie Bagger Vance (Will Smith; Man in black, Io sono leggenda, HitchHancock, ma anche Independence DayIo, robot, nonché l'indimenticabile sitcom Willy il principe di Bel Air)… che man mano si rivelerà essere un vero e proprio maestro di vita.

Diciamo subito che la trama de La leggenda di Bagger Vance è davvero lineare, essenzialmente priva di colpi di scena o di intrighi, il che probabilmente scoraggerà le persone attratte da movimento e spettacolo…

… mentre al contrario i contenuti della storia, nonché i dialoghi brillanti, attireranno le persone che amano per l’appunto profondità e crescita interiore.

Perché è esattamente di questo che tratta il film: la crescita interiore del protagonista, Rannulph Junuh, che si ritrova davanti un evento utile a fargli fare il successivo passo nella sua evoluzione personale, e una guida arrivata lì “per caso” ad aiutarlo.

E del film non c’è altro da dire, se non che è tratto dall’omonimo romanzo di Steven Pressfield.
Non vi sono altri commenti da fare, ma vale certamente la pena leggersi qualche frase del film, tutte del co-protagonista Bagger Vance, che apparentemente parla del golf, ma di fatto parla del cammino di crescita personale cui è chiamata ogni persona (non solo Rannulph Junuh)... e che rappresenta una sorta di guida spirituale-angelo custode.

“Il ritmo del gioco è come il ritmo della vita.”

“Il trucco sta nel trovare il proprio swing.
Tu hai perso il tuo swing... dobbiamo andare a cercarlo.
Ora è da qualche parte, nell'armonia di tutto quello che c'è.”

“Dentro ciascuno di noi c’è un solo vero autentico swing. Una cosa con cui siamo nati, una cosa che è nostra e nostra soltanto, una cosa che non ti può essere insegnata e non si impara, una cosa che va ricordata sempre. E col tempo il mondo può rubarci quel nostro swing, che può finire sepolto dentro di noi, sotto tutti i nostri avrei voluto, e potuto e dovuto. C’è persino chi si dimentica com’era il suo swing… Ascolta i sogni: continua a fare lo swing col bastone fino a che sarai parte del tutto.”

“Non ti preoccupare di colpire la palla o di dove andrà... basta che muovi il bastone, che senti il bastone.
Continua a fare lo swing col bastone fino a che non sarai parte del tutto.”

“Fa in modo di entrare in contatto con se stesso, trova la concentrazione E ha tanti colpi tra cui scegliere, ma c’è soltanto un colpo che è in perfetta armonia con il campo, un colpo che è il suo, un colpo autentico. E lui sceglierà proprio quel colpo. C’è un colpo perfetto che cerca di raggiungere ciascuno di noi, non dobbiamo far altro che toglierci dalla sua traiettoria, lasciare che lui scelga noi.” 

“Vedi quella bandiera? È un bel drago da sconfiggere. Ma se lo guardi con occhi gentili, vedrai il punto in cui le maree, e le stagioni, e il roteare della Terra, tutto si incontra. E tutto ciò che è diventa uno. Tu devi cercare quel posto con il tuo cuore.”

“Cercalo con le mani, sentilo. Le tue mani sono più sagge di quanto sarà mai la tua testa. Ma non ti ci posso portare io, spero solo di poterti aiutare a trovare la via.”

“C’è un tempo per fare quel colpo, e c’è un tempo per lasciarlo nella sacca. Secondo te che momento è adesso?”

“Quello di cui sto parlando io è un gioco. Un gioco che non si può vincere, ma solo giocare.”

“Junuh aveva coperto come smettere di pensare senza addormentarsi.”

“Non c’è un’anima su tutta la Terra che abbia un fardello più pesante di quanto possa sopportare… … però questo lo hai portato abbastanza a lungo: è tempo di andare avanti e di liberarsene.”

“Puoi scegliere: fermarti o cominciare.”
“A fare cosa?”
“A camminare?”
“Per dove?”
“Per tornare indietro, dove sei sempre stato... e poi starai lì, fermo, immobile, e ricordare.”

“È successo troppo tempo fa.”
“Oh no, è stato solo un momento fa.”

“Gioca il tuo gioco: quello che soltanto tu eri destinato a giocare. Quello che ti è stato donato quando sei venuto al mondo.”

“Colpisci quella palla, non trattenere niente, dai tutto te stesso. Il momento è ora.”

“È tempo di uscire dalle ombre.”
“È tempo per te di scegliere.”

“Non sei solo: insieme a te ci sono io.
Sono sempre stato qui.”

“Te ne vai?”
“Sì, me ne vado.”
“Ho bisogno di te.”
“No, non hai bisogno di me. Ora non più”

Davvero non male.
Quanto basta per far diventare La leggenda di Bagger Vance uno dei miei film preferiti di sempre.

Un’ultima considerazione: la storia, nella sua essenza, ricorda molto l’episodio evangelico del pastore che va a cercare la pecorella smarrita. Bagger Vance, col suo afflato da guida/angelo, è il pastore, mentre Rannulph Junuh è la pecora che si era perduta e che viene riportata all’ovile. Non per nulla la guida, una volta conclusa la sua missione di “recupero”, se ne va, probabilmente per dedicarsi a qualche altra pecorella smarrita.

Fosco Del Nero



Titolo: La leggenda di Bagger Vance (The legend of Bagger Vance).
Genere: commedia, psicologico, sport, surreale.
Regista: Robert Redford.
Attori: Matt Damon, Will Smith, Charlize Theron, Bruce McGill, Joel Gretsch,J. Michael Moncrief, Lane Smith, Peter Gerety, Michael O'Neill, Thomas Jay Ryan.
Anno: 2000.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 11 dicembre 2014

Una commedia sexy in una notte di mezza estate - Woody Allen

Come ho già scritto in un’altra recensione, sto terminando di vedere tutta al filmografia di Woody Allen, uno dei miei registi preferiti di sempre: avevo già visto la quasi totalità dei suoi film, e sto per l’appunto sistemando gli ultimi tasselli.

Uno di questi era Una commedia sexy in una notte di mezza estate, vivace film del 1982 con protagonisti lo stesso Woody Allen, la sua futura compagna Mia Farrow, qua per la prima volta diretta da lui (sarebbero seguiti, tra gli altri, Hannah e le sue sorelle, La rosa purpurea del Cairo, Crimini e misfatti, Ombre e nebbia, Broadway Danny Rose… ma va assolutamente ricordato anche l’horror Rosemary's baby), e Mary Steenburgen (che di mio associo sempre a Ritorno al futuro - Parte 3).

Ecco in breve la trama del film: siamo a inizio Novecento, quando Andrew e Adrian, una coppia in crisi, ospita per alcuni giorni altre due coppie nella sua casa di campagna: una è composta da Leopold e Ariel, un attempato filosofo e una vecchia fiamma di Andrew; mentre l’altra è composta da Maxwell e Dulcy, rispettivamente il migliore amico di Andrew, dentista, e la sua assistente infermiera.

Tre coppie in larghi spazi: quindi, inevitabilmente, flirt e ammiccamenti vari, tanto da configurare dei veri e propri cambi di coppia.

Meno prevedibile, invece, è l’elemento fantastico inserito dal regista nel film: Andrew è un inventore dilettante, e tra le altre cose ha inventato una sfera che evoca presenze di spiriti ed energie, e ogni tanto fa vedere scene svoltesi nei dintorni nel passato o nel presente.
Curiosamente, l’oggetto, di forma più o meno sferica, ha al suo fianco una cavità aperta a forma di occhio, e quando l’oggetto è in funzione s’illumina una sorta di occhio verticale che fa molto occhio rettiliano-occhio che tutto vede-occhio de Il signore degli anelli. E contando le “vicinanze” di Woody Allen e della stessa Mia Farrow la cosa s’inserisce in quelle tante coincidenze del cinema americano.

Ma lasciamo perdere le coincidenze-non coincidenze, e torniamo a Una commedia sexy in una notte di mezza estate, che mantiene esattamente quello che promette dal titolo: si tratta di una commedia vivace, con l’elemento sensuale al centro della scena… oltre al solito umorismo di Woody Allen, ovviamente, per l’occasione più semplice e meno nevrotico del solito.

Nel complesso, Una commedia sexy in una notte di mezza estate è un buon film: non tra i migliori lavori di Allen, ma nemmeno tra i peggiori, il che vuol dire, contando la filmografia del regista, un buon prodotto.

Fosco Del Nero



Titolo: Una commedia sexy in una notte di mezza estate (A midsummer night's sex comedy).
Genere: commedia, comico, sentimentale.
Regista: Woody Allen.
Attori: Woody Allen, Mary Steenburgen, Mia Farrow, Tony Roberts, José Ferrer, Julie Hagerty, Michael Higgins.
Anno: 1982.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 10 dicembre 2014

La grande avventura di Hols - Isao Takahata

La recensione di oggi è dedicata al film d’animazione La grande avventura di Hols.
Un film d’animazione giapponese, ad esser precisi. E, ad esser più precisi, un film d’animazione diretto da Isao Takahata, cofondatore dello Studio Ghibli e collaboratore storico di Hayao Miyazaki, suo produttore di alcuni film, tra cui Nausicaa della Valle del vento e Laputa - Castello nel cielo, nonché regista egli stessi di alcuni classici dell’animazione giapponese, come Pom Poko, Omohide poro poro e Una tomba per le lucciole.

Sempre per essere il più possibile precisi, La grande avventura di Hols è stato tradotto con diversi titoli, tra cui La grande avventura di Horus, La grande avventura del piccolo principe Valiant e Il segreto della spada del sole.

Si tratta di un film non particolarmente lungo, neanche un’ora e venti, e piuttosto risalente, essendo datato 1968, cosa che si vede grandemente nel tratto grafico, davvero rozzo rispetto al giorno d’oggi…

… e probabilmente anche in una sceneggiatura ugualmente semplicistica, diretta con uguale probabilità a un pubblico giovanile molto più di quanto sarebbero stati i lavori successivi tanto di Takahata che di Miyazaki, che spesso si sono soffermati su questioni come l’ecologia, la natura, la felicità delle persone, etc (anche se ho letto che i fan sfegatati del duo Takahata-Miyazaki hanno lamentato una trasposizione pessima per formato video e per traduzione, cosa che avrebbe inficiato il valore finale dell'opera).

Ma veniamo a noi, ossia a La grande avventura di Hols ed alla sua trama: Hols è un giovane guerriero, e a dispetto della sua giovanissima età (è un adolescente), ha coraggio e forza da vendere. Tanto che non si deprime certamente per la morte del suo affezionato padre, e parte subito alla ricerca del villaggio da cui proveniva la sua famiglia.
Trovatolo, troverà però anche tanti problemi, generati essenzialmente dal cattivo Grunwald, il Signore dei Ghiacci, che prima propone al ragazzo di diventare suo amico e collaboratore, e poi, alla sua risposta negativa, gli dichiara guerra, scatenandogli contro i suoi lupi argentati e i suoi poteri malefici.
Hols, aiutato dal fidato orso Koro, da alcuni paesani coraggiosi, e a un certo punto anche dalla misteriosa Hilda, cerca con tutte le sue forze di sconfiggere Grunwald e di salvare così il villaggio.

La grande avventura di Hols è tutto sommato una storia semplice, e come detto è molto semplice anche il tratto grafico.
Pur in assenza di meraviglie tecniche, di una grande atmosfera o di colpi di scena (l’unico presente era abbastanza prevedibile), il film propone qualche momento di bellezza, legato soprattutto alla musica, alle voci e ai balli dei protagonisti.

Per il resto si fa seguire simpaticamente, giacché non è difficile simpatizzare per il volenteroso e generoso Hols (Horus nel film originario, da cui la Spada del Sole che a un certo punto trova), ma, come detto, il tutto rimane su livello si men che sufficienza.

Anni luce al di sotto di tutti i film di Miyazaki o anche di Pom Poko, per citarne uno di Isao Takahata, che viceversa, per bellezza, tematiche e originalità, vi consiglio.

Fosco Del Nero



Titolo: Alice (Taiyo no oji - Horusu no daiboken).
Genere: animazione, fantasy, avventura.
Regista: Isao Takahata.
Anno: 1968.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 4 dicembre 2014

Angeli e demoni - Ron Howard

Da poco mi sono visto Il codice da Vinci, che in questi anni non avevo mai visto perché, semplicemente, non mi ispirava troppo… anche per via del protagonista, Tom Hanks, che non mi è mai piaciuto troppo come attore.

L’ispirazione, peraltro, aveva trovato conferma nella realtà, visto che il film si è rivelato non più di un sufficiente thriller-action pieno zeppo di simboli e presunti misteri, tuttavia posti un po’ a casaccio qui e lì senza una visione di fondo unitaria.

Comunque, giacché c’ero, mi sono visto a seguito anche Angeli e demoni, il suo sequel: se il protagonista è il medesimo Tom Hanks (che già non era un attore brillante da giovane, e che ora ha una mimica facciale ancora peggiore, quasi una smorfia perenne sul viso, tanto che non mi spiego come mai continuino a dargli delle parti), cambia totalmente sia la scenografia, sia la trama: ci spostiamo da Parigi a Roma, e dai complotti del Priorato di Sion a quelli degli Illuminati

Coerentemente con la città, cambia anche la nazionalità degli attori, e si passa dall’avere nel cast molti francesi (il poliziotto Jean Reno, per esempio) all’avere molti italiani (la guardia vaticana Pierfrancesco Favino, o il carabiniere Victor Alfieri)… anche se poi ciò è marginale e lo schema del film resta il medesimo: Robert Langdon-Tom Hanks, affiancato da una bella donna (l'altra volta Audrey Tautou, stavolta Ayelet Zurer), corre per la città cercando di risolvere degli indizi, in una frenetica corsa contro il tempo.

E contro degli assassini da un lato folli, da un altro lato davvero machiavellici e astuti nelle loro macchinazioni, anche se per certi versi piuttosto sempliciotti, tanto da rendere a dir poco improbabile la complessità delle loro operazioni, culmine di secoli di macchinazioni.

E ciò vale soprattutto per Angeli e demoni, film ancora più superficiale, nella ricerca storica, del suo predecessore.

Certo, lo sostiene per lo meno la componente d’azione, nonché le bellezze di Roma, ma è davvero poco, specie se si conta che in mezzo c’è sempre il faccione di Tom Hanks con la sua smorfia onnipresente (ma come mai gli danno ancora delle parti?).

Contando inoltre la lunga durata del film, ben oltre le due ore, il tutto non vale a mio avviso la candela… e ciò senza contare il finale da un lato davvero poco credibile, e dall’altro il fatto che, proprio come era stato per Il codice da Vinci, si intuisce il colpevole ben prima dello scioglimento dei nodi finali.

Fosco Del Nero



Titolo: Angeli e demoni (Angels and demons).
Genere: thriller, giallo, storico.
Regista: Ron Howard.
Attori: Tom Hanks, Ewan McGregor, Ayelet Zurer, Stellan Skarsgård, Pierfrancesco Favino. Nikolaj Lie Kaas, Armin Mueller-Stahl, Norbert Weisser, Masasa Moyo.
Anno: 2009.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 3 dicembre 2014

Gli amanti del Circolo Polare - Julio Medem

Non mi ricordo perché mi ero segnato Gli amanti del Circolo Polare: forse me lo aveva consigliato qualcuno, o forse lo avevo segnato per via del regista, quel Julio Medem che aveva avuto tanti riscontri per La tierra o per Lucia y el sexo… che peraltro non ho mai visto, essendo questo il primo film del regista spagnolo che guardo.

Film che peraltro è una coproduzione spagnolo-francese, e anche la seconda componente si intravede ogni tanto (non so perché, ma attori e film francesi li riconosco a vista; deve esserci una qualche risonanza dietro)… col film che però non si muove tra Spagna e Francia, ma tra Spagna e Finlandia, come peraltro suggerisce il titolo stesso.

Gli amanti del Circolo Polare è un film davvero particolare, sia perché procede a grandi balzi temporali rinunciando alla più comoda linearità, sia perché alterna due punti di vista, sia per il genere, oscillante tra sentimentale e drammatico, ma con qualche elemento surreale, o comunque introspettivo.

Il film racconta la storia di Otto e di Ana, due bambini che si conoscono a scuola, e che per una coincidenza instaurano un rapporto che va oltre il rapporto interpersonale, essendo più che altro un legame interiore-spirituale.
Altra coincidenza vuole che i loro genitori, Alvaro, il padre di Otto, e Olga, la madre di Ana, entrambi single seppur per motivi diversi (divorziato lui, vedova lei), si sposino tra di loro, rendendoli quindi i rispettivi figli fratelli acquisiti… e innamorati.

Gli amanti del Circolo Polare non è certamente il primo film che parla di una storia di amore tra due fratelli, che siano fratelli di sangue, fratellastri o fratelli acquisiti, ma senza dubbio è un film unico per il tono e il suo incedere.
Anche perché non commette affatto l’errore di concentrarsi su bigottismo o su sessualità, ma anzi indaga soprattutto l’aspetto esistenziale della vicenda, con il tema delle coincidenze a fare da padrone nel film.

Perlomeno, nella prima parte del film e nell’ultima, che peraltro ci presenta due finali diversi a seconda degli occhi di chi guarda: il punto di vista di Ana ci dice una cosa, mentre il punto di vista di Otto ce ne dice un’altra, assai diversa.

Tra l’altro, sia Ana che Otto sono due nomi palindromi, che si possono leggere allo stesso modo da una parte all’altra, proprio come il cognome del regista, Medem… e tale particolarità si aggiunge non solo a quella delle coincidenze e dei bambini-fratelli innamorati, ma anche al luogo che ospiterà la conclusione del loro rapporto: la Finlandia e il fenomeno del Sole di mezzanotte, quando il sole non tramonta per svariate decine di giorni di fila.

Tutte anomalie che rendono questo stesso film un’anomalia, che a tratti è di grande bellezza e ispirazione, che comincia peraltro con due bambini bellissimi, Otto e Ana da piccoli, e che va avanti prima con l’adolescenza e poi con la maturità (e qua il casting forse avrebbe potuto esser migliore, specialmente per l’Otto grande).

Prima parte del film bellissima, parte centrale di minor impatto, e parte finale ugualmente bella, ciò che rende Gli amanti del Circolo Polare un film meritevole di visione, particolare nella storia, nella fotografia e soprattutto nella sua energia interiore… nonché possibile fonte di ispirazione per chi è interessato alle tematiche dei segnali, delle coincidenze e dell’intuizione-sensazione interiore.

Chiudo con un paio di citazioni tratte dal film.

"La vita deve avere i suoi cicli: tutto nasce e muore."

"Le difficoltà della vita bisogna accettarle con un po' di buonumore, perché così come vengono se ne vanno. Non possono durare per sempre."

"Resterò qui per tutto il tempo che sarà necessario. Sto aspettando la coincidenza della mia vita, la più importante, anche se ne ho avute altre.
Potrei raccontare la mia vita come una serie di coincidenze."

Fosco Del Nero



Titolo: Gli amanti del Circolo Polare (Los amantes del Circulo Polar).
Genere: sentimentale, drammatico, surreale.
Regista: Julio Medem.
Attori: Nancho Novo, Najwa Nimri, Fele Martinez, Maru Valdivielso, Peru Medem, Sara Valiente, Beate Jensen.
Anno: 1998.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

Il mondo dall'altra parte