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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 24 giugno 2020

Bright - David Ayer

Oggi siamo in compagnia di Bright, film del 2017 diretto da David Ayer e con protagonista Will Smith.

Quest’ultimo è apparso già diverse volte nel blog, essendo fin dai tempi di Willy il principe di Bel Air uno dei miei personaggi televisivi preferiti: Io sono leggendaHitch, Men in blackHancockLa leggenda di Bagger VanceAfter Earth, Sette anime.
Del primo invece qua non si hanno notizie, visto che ha diretto solo film d’azione, polizieschi, thriller e drammatici: ossia i generi che evito in partenza… anche se probabilmente lo vedrò perlomeno in Suicide Squad, che ha viceversa una trama fantastica…

… un po’ come Bright, film che ha sì molta azione e dinamismo, e anche eventi drammatici, ma che essenzialmente è un fantasy, per quanto un fantasy urbano e metropolitano.

In esso, infatti, in una realtà alternativa vivono insieme esseri umani, orchi, elfi e fate, pur ciascuno con il proprio livello sociale. A dominare la società sono gli elfi, che metaforicamente corrispondono all’1% umano ricco e potente. Poi vengono gli esseri umani, la gente comune; dopo ancora gli orchi, che pagano l’alleanza di 2.000 anni prima con il Signore Oscuro e che rappresentano le classi sociali attuali meno tutelate negli Usa, neri e ispanici; e infine le fate, che sono considerate alla stregua di animali e che infatti vengono uccise senza problemi… ma che di fatesco non hanno molto in realtà, essendo creature brutte, fastidiose e sgradevoli.
In questo contesto si muove Daryl Ward, agente di polizia cui è stato assegnato come compagno Nick Jakoby, il primo poliziotto orco , inviso tanto agli orchi, che lo considerano un traditore della loro razza, tanto agli esseri umani, che non si fidano di lui. I due si troveranno in mezzo a una vicenda pericolosa: il possesso di una bacchetta magica, quella che gli Inferi, elfi rinnegati, intendono usare per far ritornare il Signore Oscuro (ok, non è molto originale) e quella che le bande di umani, orchi e persino poliziotti corrotti desiderano usare per i propri interessi personali.

L’Agente Ward, decisamente meno eroe dei protagonisti di tanti film similari, dapprima sembra adeguarsi alle cose, ma poi con un colpo di coda opera una scelta etica, per quanto molto pericolosa.

Bright è un film prodotto da Netflix, e con un budget elevato: ben 90 milioni di dollari… ciò per produrre un film direttamente per la piattaforma streaming ignorando le sale cinema: una scelta innovativa, che forse segnerà il futuro delle produzioni cinematografiche.

Non è però un film di grande spessore: inizia in modo assolutamente accattivante, tra la musica e le immagini che spiegano sinteticamente le premesse, tramite l’idea originale di murales cittadini, però, pur avendo tratteggiato un mondo interessantissimo, si dedica poi a trame ed eventi assolutamente banali e per larghissimi tratti prevedibili.
Il tutto sa davvero di spreco: tanto lavoro non per nulla, ma per poco.

Di fatto, Bright è un film d’azione e di denuncia sociale, se vogliamo dir così: tolta la patina fantastica, molto bella e riuscita peraltro, non rimane molto, se non elementi banali.
Peccato: se la tecnica, la bellezza esteriore, non si mette al servizio dei contenuti, della bellezza interiore, non rimane che mediocrità.

Fosco Del Nero



Titolo: Bright (Bright).
Genere: fantastico, fantasy, azione, thriller.
Regista: David Ayer.
Attori: Will Smith, Joel Edgerton, Noomi Rapace, Lucy Fry, Chris Browning, Andrea Navedo, Édgar Ramírez, Veronica Ngo, Alex Meraz, Happy Anderson.
Anno: 2017.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 23 giugno 2020

Le ali della libertà - Frank Darabont

Giacché mi ero visto Il miglio verde e The Majestic, con risultati discretamente positivi, e nonostante non ce l’abbia fatta ad andare avanti a vedere The mist, ho deciso di terminare la visione della breve filmografia del regista Frank Darabont con il suo primo film, che peraltro è probabilmente quello più famoso, e certamente quello più riuscito: Le ali della libertà.

Andiamo subito a tratteggiare la trama del film: siamo nel 1947, quando il vice-direttore di banca Andy Dufresne (Tim Robbins; Allucinazione perversaBull Durham - Un gioco a tre mani, Mister hula hoop, The lucky ones - Un viaggio inaspettato, Howard e il destino del mondo) viene accusato del duplice omicidio di sua moglie e del suo amante… che in effetti aveva pensato di compiere, con tanto di pistola appresso, salvo poi desistere dal suo intento.
Gli vengono imposti due ergastoli, da scontare nel carcere di Shawshank, un luogo di assassini, stupratori, sodomiti e assortimento vario, anche se nel mucchio si trovano anche delle brave persone, come il “procuratore” Red (Morgan Freeman; Non è mai troppo tardi, Lucy, OblivionUn'impresa da Dio) o il bibliotecario Brooks (James Whitmore; Il pianeta delle scimmie).
Andy passerà quasi vent’anni nel carcere, tra alterne fortune, comprensive sia di violenze sessuali subite da un gruppo chiamato “Le sorelle”, sia del successo nel metter su una biblioteca di gran valore per un carcere, utile anche allo studio e al recupero di tante persone, pur in un ambiente difficile sia per la violenza di tanti detenuti, sia per la violenza delle stesse guardie.

Evidentemente Frank Darabont è attratto dalle tematiche pesanti, giacché in ogni suo film vi sono violenza, tristezza, dramma, ingiustizia, sopraffazione.
O forse è semplicemente un dritto che mette su scenari che fanno presa su largo pubblico, ovviamente portato a simpatizzare per il malcapitato e sfortunato di turno.

Tuttavia, occorre essere onesti e dire anche che il regista sa il fatto suo, tanto a livello di regia quanto a livello di montaggio, e che utilizza dei cast di spessore nonché delle sceneggiature ugualmente accattivanti: in questo caso, il film prende le mosse da un racconto di Stephen King (come era stato per Il miglio verde e The mist, peraltro).
In mezzo a tanta violenza e sopraffazione, c’è perlomeno l’elemento della speranza a fare da sfondo, nonché una sorta di effetto karmico per cui alla fine le persone ottengono quello che si meritano… perlomeno agli occhi del pubblico comune, cui è destinato il film.

Nel complesso, Le ali della libertà è un buon film, di buona fattura e di buon successo (tra gli altri riconoscimenti, dieci candidature ai Premi Oscar, due candidature a Golden Globes e Saturn Award, etc)…
… ma per onestà devo dire anche che, se pure vi fossero stato disponibili altri film di Frank Darabont, non li avrei guardati, giacché il suo tratteggiare eventi drammatici e tristi mi ha già stancato.

Fosco Del Nero



Titolo: Le ali della libertà (The shawshank redemption).
Genere: drammatico.
Regista: Frank Darabont.
Attori: Tim Robbins, Morgan Freeman, Bob Gunton, William Sadler, Clancy Brown, Gil Bellows, James Whitmore, Mark Rolston.
Anno: 1994.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 17 giugno 2020

Sliding doors - Peter Howitt

Avevo visto Sliding doors molto tempo fa, ma talmente tanto tempo, ed evidentemente con non troppo interesse, che della trama non mi ricordavo niente e sapevo solo quello che è diventato un concetto diffuso, e addirittura un modo di dire: “sliding doors”, in italiano “porte scorrevoli”, espressione per indicare il concetto per cui a volte basta poco, una minima differenza, per creare un bivio e portare a due diversi percorsi di vita, e finanche molto diversi.

Per questo motivo, il film in questione è spesso inserito anche nelle liste di film esistenziali suggeriti…
… anche se, curiosamente, l’essenza del film è esattamente opposta a ciò per cui viene ricordato e suggerito.

Difatti, mentre il film viene ricordato per il concetto della “porta scorrevole”, ossia del singolo evento che genera percorsi di vita  assai differenti, in realtà la morale di fondo dell’opera è esattamente opposta, e vien mostrata nel finale: si parla del destino, di ciò che deve comunque succedere a prescindere dai singoli eventi.

In questo senso, il film assume connotati parecchio diversi, e persino educativi, nel senso che un destino c’è, anche se non è inteso come fatto di vita, o come persone da conoscere, come si banalizza nei film e nella letteratura romanzata e spesso romantica: il destino esiste in quanto percorso interiore da compiere.
Nel film la protagonista femminile doveva conoscere il co-protagonista maschile, mentre nella nostra vita noi dobbiamo affrontare certe energie-apprendimenti. Se si sposta il concetto dagli eventi di fuori agli apprendimenti di dentro, il film è perfetto e didattico (e nelle liste esistenziali dunque ci sta), altrimenti vien visto come una banalizzazione romantica.

Ma andiamo alla trama di Sliding doors: Helen Quilley (Gwyneth Paltrow; I Tenenbaum, Paradiso perduto, Shakespeare in love, Il talento di Mr. Ripley) è fidanzata e convive con Gerry (John Lynch; Nel nome del padre, Best), il quale però la tradisce con Lydia (Jeanne Tripplehorn; Travolti dal destino), sua ex fidanzata. Un giorno, tornando a casa prima del solito perché era stata licenziata, la donna prende la metropolitana e trova il fidanzato con la sua amante… oppure non lo trova perché perde la metro, a seconda di come sono andate le cose con le "sliding doors", e da lì il film inizia a seguire le due vicende.

Le quali come detto finiscono in qualche modo per confluire e per mostrare una sorta di “destino”, per quanto in modo molto molto diverso l’una dall’altra.
Da citare anche il personaggio di James (John Hannah; La mummia, La mummia - Il ritorno, Quattro matrimoni e un funerale, Il ritorno del maggiolino tutto matto), che poi è quello che a livello di gag e di battute movimenta la storia.

Segue ora un altro commento sul film, meno esistenziale e più tecnico (tecnico si fa per dire). 
Sliding doors è un discreto film: la protagonista principale è simpatica e carina, e ben interpretata nelle sue due versioni da Gwyneth Paltrow; nel film c’è sufficiente vivacità; i dialoghi sono spesso ispirati, ironici e anche di buona cultura; l’ambientazione inglese ha il suo fascino.
Dal lato negativo, abbiamo alcuni dialoghi e comportamenti piuttosto forzati, nonché un certo senso di sentimentalismo discretamente diffuso, per quanto in parte smorzato dall’umorismo.

Nel complesso, il film se la cava bene, ma non fa impazzire, e si segnala solo per la particolarità del doppio filone, il quale peraltro è portato avanti molto bene, e persino nelle stesse scene, con ingressi ed uscite dei personaggi ben calcolati.

Curiosità: Sliding doors è stato ispirato da Destino cieco, un film polacco del 1981.

Fosco Del Nero




Titolo: Sliding doors (Sliding doors).
Genere: fantastico, commedia, drammatico, sentimentale.
Regista: Peter Howitt.
Attori: Gwyneth Paltrow, John Hannah, John Lynch, Jeanne Tripplehorn, Zara Turner, Douglas McFerran, Paul Brightwell, Nina Young, Virginia McKenna, Kevin McNally, Terry English, Peter Howitt, Joanna Roth.
Anno: 1997.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


The Majestic - Frank Darabont

Dopo aver visto da poco Il miglio verde, sono passato a un libro film diretto da Frank Darabont, ossia The Majestic, film che partiva dal vantaggio, secondo il mio punto di vista, di avere come protagonista principale l’eclettico e dinamico Jim Carrey piuttosto che il gommoso e ingessato Tom Hanks.

In realtà ambo i film mi sono piaciuti grossomodo in egual misura, una misura discreta seppur non traboccante, per quanto per motivi differenti.

La mano di Darabont, comunque, si sente in entrambi i casi, ed è un sentire piuttosto melodrammatico-nazional popolare, per così dire, cosa che rende i suoi film a tratti stucchevoli e pesanti (si fa per dire, è giusto per dare un’idea).

Ma andiamo subito alla trama di The Majestic, film del 2001: Peter Appleton (Jim Carrey; The Truman show, Yes man, Man on the moon, Ace ventura - L'acchiappanimaliThe number 23) fa lo sceneggiatore nella Hollywood degli anni “50, quando viene accusato di essere un comunista. Subisce inoltre uno sfortunato incidente, che lo porta a precipitare con la sua macchina in un fiume, a sbattere la testa e a perdere la memoria. Si risveglierà nei pressi della cittadina di Lawson… che guarda caso anni prima aveva perduto, in qualità di disperso in guerra, un suo giovane, a cui Peter pare assomigliare davvero tanto: tale Luke Trimble.
Tanto che il padre (Martin Landau; Ed Wood, Crimini e misfatti, Spazio 1999 - Oltre lo spazio tempo) è convinto che si tratti del figlio, e man mano se ne convincono tutti quanti, compresa la sua ex fidanzata Adele (Laurie Holden; The walking dead, Silent Hill).

The Majestic è un film molto curato: nelle atmosfere di quegli anni, tanto la confusionaria Hollywood quanto la tranquilla provincia di Lawson. Il casting è di ottimo livello, tra la vecchia guardia e attori più giovani ma già affermati. C’è in esso una certa bellezza, come peraltro negli altri film di Darabont, che dunque è attento in quel senso.

Alcuni momenti sono toccanti in senso positivo, fedeli rappresentanti di ciò che è certamente successo in molte parti del mondo tra guerra, ricostruzione e commemorazione. Peccato che quel senso del melodramma un po’ popolano ogni tanto esca fuori, come nel caso della caccia alle streghe maccartista verso i potenziali comunisti, che fa virare il finale del film, fino ad allora commovente e tenero, verso il ridicolo. Peccato davvero, ma evidentemente Darabont non ne può proprio fare a meno… o semplicemente scrive per un ampio pubblico che ama quel tipo di manifestazioni emotive.

A questo punto, visti Il miglio verde e The Majestic, e iniziato a vedere The mist, salvo poi abbandonarlo per manifesta incapacità (la tendenza drammatico-emotiva-popolare del regista in esso si fa davvero pesante, e stavolta non per modo di dire), mi resta da vedere il rimanente dei suoi quattro film, che forse è il più famoso: Le ali della libertà. Il quale peraltro son sicuro di aver visto in passato, ma di cui non ricordo molto.

Fosco Del Nero



Titolo: The Majestic (The majestic).
Genere: drammatico.
Regista: Frank Darabont.
Attori: Jim Carrey, Martin Landau, Laurie Holden, Bruce Campbell, Frank Collison, Cliff Curtis, Bob Balaban, Jeffrey DeMunn, Hal Holbrook.
Anno: 2001.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 10 giugno 2020

Crimson Peak - Guillermo Del Toro

Il film recensito oggi è Crimson Peak di Guillermo Del Toro.
Di Guillermo Del Toro ho amato Il labirinto del fauno, mentre ho apprezzato La spina del diavolo ed Hellboy.
Viceversa, ho gettato la spugna con la serie tv The strain, che proprio non mi stava piacendo.
Anche Crimson Peak non mi è piaciuto molto, e andiamo a vedere perché.

Cominciamo con la trama sommaria del film: siamo alla fine del diciannovesimo secolo a Buffalo, nella buona società del posto. Lì vi troviamo Edith Cushing (Mia Wasikowska; Alice in wonderland, Solo gli amanti sopravvivono, Tracks - Attraverso il desertoJane Eyre), una ragazza che teoricamente ha tutto, ma che in realtà vive in modo disagiato: sia perché le capita ogni tanto di vedere dei fantasmi, sia perché proietta il suo disagio interiore nel mondo esterno. Quell’irrequietezza, quel senso di stranezza, la porta a preferire al suo vecchio amico d’infanzia Alan McMichael un nuovo arrivato, un giovane baronetto, tale Thomas Sharpe (Tom Hiddleston; Thor, Solo gli amanti sopravvivono), che inizierà da subito a farle la corte.
Il padre, sospettoso, s’informerà sul conto suo e della sorella Lucille (Jessica Chastain; The help, InterstellarThe tree of life), dando però il via a una serie di eventi che certamente non aveva desiderato…

Descritto brevemente l’inizio del film, passiamo ora a inquadrarne il genere: siamo sul gotico-thriller con venature horror, anche se è più un “horror d’atmosfera” che non un “horror da paura”: l’obiettivo del film infatti non è quello di spaventare lo spettatore, ma di infondergli un senso di inquietudine, cosa in cui il film riesce discretamente, ma solo in parte.

Detto questo, diciamo che Crimson Peak è un vero peccato: visivamente è un’opera magnifica, a partire dai costumi della società di fine ‘800 fino alla atmosfere lugubri e tinte di rosso di Allerdale Hall, il palazzo residenza dei due nobili inglesi. 
Anche la recitazione è ottima, col set di attori che fa benissimo la sua parte.

Ad essere carente è proprio la sceneggiatura: il film è scontato fin dal suo avvio, tanto che dopo poche decine di minuti avrei potuto scrivere pari pari come poi si è svolto. Dire che sa di già visto e di prevedibile è poco. Va bene la cura visiva, va bene l’attenzione per la realizzazione tecnica, ma se manca la sostanza il film non ha un gran valore, alla fine della fiera.
Questo peraltro è il rischio che corrono tutti i registi “esteti della forma”, e senza dubbio Guillermo Del Toro lo è, anche se solitamente nei suoi film non c’è solo forma.
Difatti, nonostante le due delusioni di Crimson Peak e di The strain, mi guarderò il suo ultimo film, La forma dell'acqua - The shape of water… sperando in meglio.

Chiudo la recensione con due belle frasi tratte dal film recensito.

“Forse notiamo le cose soltanto quando arriva il momento in cui dobbiamo vederle.”

“Il passato: tu guardi sempre al passato… non è là che mi troverai.”

Fosco Del Nero



Titolo: Crimson Peak (Crimson Peak).
Genere: horror, drammatico, sentimentale.
Regista: Guillermo Del Toro.
Attori: Mia Wasikowska, Jessica Chastain, Tom Hiddleston, Charlie Hunnam, Jim Beaver, Burn Gorman, Leslie Hope, Sofia Wells, Jim Watson
Anno: 2015.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 9 giugno 2020

Valerian e la città dei mille pianeti - Luc Besson

Non appena ho saputo dell’ultimo film di Luc Besson, ho deciso di guardarlo, e dunque ecco qui la recensione di Valerian e la città dei mille pianeti.

Son sempre stato un fan di Besson, considerato il più americano tra i registi europei, e con buona ragione. A testimoniarlo, produzioni come Il quinto elemento, Lucy o questo stesso Valerian e la città dei mille pianeti, anche se Besson ha diretto anche cose molto differenti, da Nikita a Leon, da Arthur e il popolo dei Minimei Subway, da Adèle e l'enigma del faraone ad Angel-A (questi ultimi due li adoro).

Un regista davvero eclettico, insomma, che ha il coraggio di osare (Nikita, Il quinto elemento, Lucy), nonché il coraggio di proporre cose vivacissime (forse Valerian e la città dei mille pianeti si guadagna la palma di film più vivace) e anche cose dai contenuti profondi (come il magnifico Angel-A).

Premessa: Valerian e la città dei mille pianeti è nato come film in 3D, però io l’ho visto su un normalissimo televisore casalingo, e la mia valutazione si basa su questo. D’altronde, non sono certo gli effetti spettacolari di un 3D che mi fanno valutare bene o male un film.
Da citare il fatto che il film è la conversione cinematografica della graphic novel Valérian et Laureline di tali Pierre Christin e Jean-Claude Mézièrs.

Andiamo a tracciare la storia di Valerian e la città dei mille pianeti, film che oscilla tra fantascienza, commedia, azione e sentimenti: siamo molto nel futuro, nel 2740, e l’umanità non solo ha colonizzato lo spazio, ma ha trovato numerose razze aliene, le quali sono confluite tutte nella cosiddetta Città dai mille pianeti, che in realtà è un’enorme stazione spaziale. La quale ha un problema: al suo interno c’è una zona misteriosa, che si presume radioattiva, tossica o qualcos’altro… sta di fatto che non se ne hanno notizie da tempo e che ogni squadra che è stata inviata non ha fatto ritorno.
Vengono così incaricati della missione il Maggiore Valerian (Dane DeHaan; Chronicle, La cura dal benessere) e il Sergente Laureline (Cara Delevingne; Carnival Row, Kids of love), una coppia molto affiatata nonché in odore di relazione sentimentale, da lui ricercata e da lei negata.
Il film, tuttavia, si apre con la loro missione precedente: il recupero di un preziosissimo convertitore (che in realtà è un animaletto simpatico) presso il Big Market del Pianeta Kirian (che ricorda un po’ il Gran Bazar di Istanbul, e infatti porta essenzialmente lo stesso nome), vissuto in due dimensioni, interattive grazie a strumenti tecnologici.
Ma in realtà il film non si apre nemmeno con questa scena, bensì con l’ambientazione del pianeta Mul, dove vive in armonia e beatitudine una razza che ricorda vagamente quella di Avatar, che Valerian vede come in un sogno.

Tutte queste vicende si intrecceranno… in un modo non imprevedibile, e anzi discretamente facile da intuire, ma comunque sufficientemente efficace. 
Il valore di Valerian e la città dei mille pianeti, tuttavia, non sta nell’originalità della sceneggiatura, che anzi ricorda un po’ Avatar, un po’ Il quinto elemento, un po’ Star wars e un po’ Star trek, così come il recente Guardiani della galassia, ma nella vivacità della storia, che si segue più che volentieri nonostante duri 130 minuti suonati.

Merito sia della dinamicità del narrato, sia della bellezza visiva di panorami, costumi ed effetti speciali, ma anche di un cast azzeccato: se in ruoli secondari vi sono attori di fama come Clive Owen (Closer, Inside man, I figli degli uomini) ed Ethan Hawke (Predestination, Daybreakers - L'ultimo vampiro, L'attimo fuggente), in prima fila abbiamo una coppia che funziona: Dane DeHaan ed Cara Delevingne, che mi son piaciuti entrambi, soprattutto la seconda, che in verità come lavoro principale fa la modella, e l’attrice solo a tempo perso.
Nel cast, peraltro, c’è stato posto anche per Rihanna (anche qua si vede la mano del regista europeo più americano tra tutti), che interpreta un personaggio assolutamente secondario, il quale tuttavia ha l’occasione di ballare e di mettersi in mostra.
Piccole parti anche per i famosi, più nel passato che nel presente, Rutger Hauer (Blade runnerLadyhawke) e John Goodman (Il grande Lebowski, Arizona junior, Fratello, dove sei?).

Nel complesso Valerian e la città dei mille pianeti (il film francese dal più elevato budget di sempre con quasi 200 milioni di euro spesi) mi è decisamente piaciuto, tanto nella sceneggiatura quanto nel comparto tecnico. È ben sorretto dalla coppa principale, ben amalgamata, e inoltre porta un messaggio positivo: il rispetto per i popoli; che si tratti di un altro pianeta, di un altro continente o semplicemente di un altro stato, il concetto con cambia di una virgola.

Fosco Del Nero



Titolo: Valerian e la città dei mille pianeti (Valerian and the city of a thousand planets).
Genere: fantascienza, fantastico, azione, sentimentale.
Regista: Luc Besson.
Attori: Dane DeHaan, Cara Delevingne, Clive Owen, Rihanna, Ethan Hawke, Herbie Hancock, Kris Wu, Rutger Hauer, Sam Spruell, John Goodman, Sam Douglas, Eric Lampaert, Emilie Livingston, Roman Blomme, Aurelien Gaya.
Anno: 2017.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 3 giugno 2020

Solo gli amanti sopravvivono - Jim Jarmusch

Solo gli amanti sopravvivono è il terzo film di Jim Jarmusch che vedo, dopo Broken flowers, che non mi ha entusiasmato, e Dead man, che ugualmente non mi ha entusiasmato.
Solo gli amanti sopravvivono era il terzo e ultimo tentativo dedicato a quello che è considerato uno dei più importanti cineasti indipendenti.

Ecco la trama sommaria del film: Adam (Tom Hiddleston; Crimson peakThe avengersThor - The dark world) vive a Detroit, è appassionato di musica e si fa procurare del sangue pulito dal giovane Ian (Anton Yelchin; ll luogo delle ombre, Cuori in Atlantide, Star Trek - Il futuro ha inizio, Star Trek - Into darkness, Star trek - Beyond).
Eve (Tilda SwintonIl curioso caso di Benjamin ButtonIl ladro di orchidee, The beach) vive a Tangeri, è appassionata di libri e si fa procurare del sangue pulito dall’amico Christopher Marlowe (John Hurt; Orwell 1984, Oxford murders - Teorema di un delitto, Hellboy, V per vendetta). Già, perché i due sono entrambi vampiri, nonché innamorati, nonostante vivano a grande distanza l’uno dall’altra, il primo immerso nella decadenza visiva e culturale di una metropoli americana, e la seconda immersa nei dedali arabi che pullulano di spacciatori.
In effetti “decadenza” è una delle parole chiave di questo film di Jim Jarmusch, regista con tutta evidenza particolarmente attratto da decadenza, morte e disagi di vario tipo.
Nella storia entra Ava (Mia Wasikowska; Tracks - Attraverso il desertoAlice in wonderland, Madame Bovary), sorella minore di Eva, ragazza viziata e generatrice di guai, e per questo invisa ad Adam.

Cominciamo il commento al film: tecnicamente Solo gli amanti sopravvivono è un film di valore, che conferma il talento registico di Jim Jarmusch. La regia è buona, la fotografia è bella, cast e recitazione sono di qualità, l’attenzione per i dettagli, dai costumi agli oggetti, è notevole, e anche la colonna sonora piacerà a molti, per quanto la musica elettronica e dai toni cupi a me non risulta troppo gradita.
Tuttavia, occorre dirlo, ci sono solo ambientazione e tecnica registica, ma manca la storia… semplicemente regista e produttori se la sono dimenticata presi dalla costruzione della loro ambientazione dark. Il finale è piuttosto risibile, e non può certo da solo dare spessore al film, anche perché piuttosto banale. E davvero nel film non c’è altro che non la cura per la forma: vestiti old age, musica old age, drappi, e persino ghiaccioli di sangue zero positivo.
In pratica siamo di fronte a una versione adulta, più raffinata e decadente, di Twilight.

Tutto qua, ahimé… e con questa terza occasione sprecata direi che ho chiuso con l’originale ma poco sostanzioso Jim Jarmusch.

C’è però una cosa del film che ho largamente amato: i due vampiri chiamano gli esseri umani “zombie”, intendendo con ciò che, a dispetto del fatto di essere vivi (e, tecnicamente, più vivi di loro), di fatto essi sono morti nell’essere, nel modo di vivere, nella cultura e nel degrado, che infatti circonda grandemente i due protagonisti.
Non so quanto la cosa fosse intenzionale, ma certo che è un termine davvero ottimo per indicare lo stato di addormentamento in cui è immersa la quasi totalità dell’umanità.

Fosco Del Nero



Titolo: Solo gli amanti sopravvivono (Only lovers left alive).
Genere: drammatico, fantastico, sentimentale.
Regista: Jim Jarmusch.
Attori: Tom Hiddleston, Tilda Swinton, Mia Wasikowska, John Hurt, Anton Yelchin, Jeffrey Wright, Slimane Dazi, Carter Logan, Wayne Brinston, Ali Amine, Yasmine Hamdan, Kamal Moummad.
Anno: 2013.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


martedì 2 giugno 2020

Il violinista sul tetto - Norman Jewison

Del regista Norman Jewison finora avevo recensito un solo film, I soldi degli altri, uno dei suoi film minori.
Oggi arriva invece la recensione di uno dei film per cui è più famoso: Il violinista sul tetto (altri suoi film importanti sono Rollerball, Jesus Christ Superstar, La calda notte dell'ispettore Tibbs, Agnese di Dio).

Ecco la trama del film de Il violinista sul tetto: siamo all’inizio del ventesimo secolo, in Ucraina, allora parte dell’impero dello Zar russo, in un villaggio chiamato Anatevka, e seguiamo le vicende del contadino-allevatore ebreo Tevye e della sua famiglia. 
Da un lato lui e sua moglie Golde non hanno nessun figlio maschio e ben cinque figlie femmine, di cui tre da maritare, cosa che in tempo di pace è l’argomento principale di discussione, tra pretendenti e sensali; dall’altro lato si sentono voci di repressioni ai danni degli ebrei, cosa che agita la comunità locale, altrimenti ben integrata col resto della popolazione cristiana.

Il commento sul film non può che cominciare dal titolo: il “violinista sul tetto”, scena con cui peraltro il film si apre, è il simbolo di una situazione di vita in cui si continua a vivere e ad essere felici per quanto si può, ma al contempo si è consci di vivere in equilibrio precario: dal tetto si potrebbe cadere, e comunque si dà per scontato che entro breve tempo si smetterà di suonare e si scenderà dal tetto, come purtroppo dovranno fare tutti i protagonisti della storia… che comunque nel mentre non rinunciano al loro umorismo tipicamente ebreo, che probabilmente è stato sviluppato in migliaia di anni di oppressioni e problemi sociali.

Il film si contraddistingue per due cose: la prima è che si tratta di un musical vero e proprio, con tanti intermezzi musicali, e pure di eccellente qualità. Anche se fa sorridere che degli ebrei che vivono nell’Impero Russo cantino in inglese… ma tant’è, sono esigenze di spettacolo.

La seconda cosa particolare del film è che ogni tanto si ferma tutto, tranne il protagonista Tevye, il quale parla da solo, riflette su quanto appena successo, guarda la telecamera, e spesso in quelle pause prende delle decisioni importanti. 

Il film si trova in equilibrio anche da un altro punto di vista: è una storia di mezzo tra la tradizione e il nuovo che avanza: da un lato abbiamo le tradizioni di un popolo e di una religione, nonché il ruolo ancora fortemente decisionale del pater familias, per non parlare di usi e costumi locali, che, per dirne una, non permettevano che un ragazzo e una ragazza ballassero insieme; dall’altro lato abbiamo il progresso sociale e culturale, nonché i sommovimenti politici, cosa che porterà conseguenze da ogni punto di vista: repressioni, incarceramenti, nuove prospettive sociali, etc.
Questo cambiamento dalla tradizione al nuovo che avanza sarà da alcuni rifiutato, da alcuni accettato solo in parte, e da altri ancora abbracciato nella sua totalità.

Il violinista sul tetto è un gran film, c’è poco da dire: la sceneggiatura è bella, l’ambientazione è bella, la colonna sonora è bella, i dialoghi sono ispirati e credibili, la recitazione all’altezza, e pure i costumi fanno la loro parte.
Inoltre il film ha un suo valore storico nel testimoniare quanto successo da qualche parte… sia in quel luogo e in quel tempo, sia in tanti altri luoghi e tempi e a popoli differenti.
D’altronde, il film non ha ricevuto tanti premi per puro caso: otto tra premi e nomination agli Oscar, quattro ai Golden Globes, tre ai Bafta, ma anche David di Donatello, Satellite Award e altri riconoscimenti.

Una curiosità: ho guardato Il violinista sul tetto dopo che l’ho sentito citato nella sit-com Big Bang theory… e me lo sono visto dal momento che era uno dei pochi film in essa citati che non conoscevo, mentre praticamente tutto il resto lo conoscevo e apprezzavo già.

Fosco Del Nero



Titolo: Il violinista sul tetto (Fiddler on the roof).
Genere: commedia, musicale.
Regista: Norman Jewison.
Attori: Topol, Norma Crane, Leonard Frey, Molly Picon, Paul Mann, Rosalind Harris, Michele Marsh, Neva Small, Paul Michael Glaser, Ray Lovelock, Elaine Edwards, Candy Bonstein, Shimen Ruskin.
Anno: 1971.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.


Il mondo dall'altra parte