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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

martedì 29 marzo 2022

American hustle - L’apparenza inganna - David O. Russell

Di David O. Russell ho già visto e recensito I heart huckabees - Le strane coincidenze della vita e Il lato positivo, con esiti assai positivo in ambo i casi. Ho deciso di procedere dunque ad altre visioni, cominciando con American hustle - L’apparenza inganna, film del 2013 che ha ricevuto numerosi premi e nomination.

Il film peraltro è basato su una storia vera, e nel dettaglio sull’Operazione Abscam, portata avanti dall’FBI alla fine degli anni “70 per indagare sulla corruzione nel Congresso e in altre organizzazioni degli Stati Uniti.

Nel film peraltro è presente il trittico di attori che aveva fatto tanto bene l’anno prima ne Il lato positivo, ossia  Bradley Cooper, Jennifer Lawrence e Robert De Niro, per quanto non nelle vesti degli attori principali, che sono invece Christian Bale ed Amy Adams: il primo particolarmente imbruttito nella sua caratteristica di attore trasformista, e la seconda invece in vesti particolarmente sensuali.

Ecco la trama di American hustle - L’apparenza inganna: Irving Rosenfeld (Christian Bale; L'uomo senza sonnoEquilibriumThe prestigeThe new world - Il nuovo mondo) e Sydney Prosser (Amy Adams; Lei, Big eye, Come d’incantoArrival) sono due truffatori, oltre che amanti, i quali mentono sulle loro identità e sulla capacità di reperire fondi per persone bisognose di liquidità, allo scopo di intascare una commissione, ovviamente in nero, senza tuttavia dare mai niente in cambio.
Un giorno i due sono incastrati da Richie DiMaso (Bradley CooperUna notte da leoniLimitlessIl lato positivo), solerte agente dell’FBI, che promette di non perseguirli in cambio della loro collaborazione nell’incastrare personaggi ben più in vista: politici, sindaci, mafiosi, etc. I due si prestano, e così inizia un triangolo alquanto bizzarro, che finirà per coinvolgere anche il sindaco di Camden, Carmine Polito e il mafioso Victor Tellegio.

Il film essenzialmente è un film drammatico, per quanto il tono che usa il regista è quasi da commedia.
Commedia degli equivoci, verrebbe quasi da dire, o comunque commedia degli inganni, visto che la storia è una storia a chi inganna di più e meglio. 

Devo dire la verità: nonostante l’ottimo cast e la buona direzione, non ho gradito troppo American hustle - L’apparenza inganna: è un giochino mentale ed emotivo e poco più, e questo al di là che gli eventi narrati siano avvenuti così come descritti o in modo diverso.

Sufficienza stretta, dunque, con gli altri due lavori di Russell ch’erano, a mio avviso, assai più riusciti.

Fosco Del Nero



Titolo: American hustle - L’apparenza inganna (The hustle). 
Genere: drammatico, sentimentale.
Regista: David O. Russell.
Attori: Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jeremy Renner, Jennifer Lawrence, Jack Huston, Louis C.K., Michael Peña, Alessandro Nivola, Elisabeth Röhm, Dawn Olivieri, Robert De Niro.
Anno: 2013.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 23 marzo 2022

Il boom - Vittorio De Sica

Di recente mi sono rivisto Il sorpasso e Io la conoscevo bene, due classici del cinema italiano degli anni “60, girati rispettivamente da Dino Risi e da Antonio Pietrangeli, e con protagonisti principali rispettivamente Vittorio Gassmann e Stefania Sandrelli.
Giacché c’ero, ho deciso di cercarmi altri classici del cinema italiano di quei tempi, e il primo della lista è stato Il boom, girato da Vittorio De Sica nel 1963.

Occorre subito dire una cosa: non so come siano stati considerati i suddetti film all’epoca della loro uscita, ma appaiono tutti e tre, e con tutta evidenza, seppur a volte mascherati da commedia e a volte da film grottesco, un ritratto in parte fedele e in parte caricaturale dell’Italia di allora… e l’Italia di allora, ossia gli adulti di allora, e i giovani che stavano crescendo, sono poi le persone che hanno portato all’Italia di oggi: impossibile sottostimare gli effetti di tale passaggio.

Il sorpasso proponeva un protagonista guascone, dedito alla bella vita e al divertimento, incapace di impegnarsi, tanto nel lavoro quanto nelle relazioni sentimentali. Io la conoscevo bene presentava invece una protagonista che cercava di colmare il suo vuoto interiore con qualcosa di esteriore: le relazioni sentimentali, il successo facile… tanto da farsi sfruttare dagli altri. Il boom, dal canto suo, propone un protagonista arrampicatore sociale, partito dal basso e deciso a fare soldi e a essere considerato dalla classe sociale borghese: sposa la figlia di un generale, si mette in affari con personaggi abbienti, conduce uno stile di vita al di sopra delle sue possibilità economiche… ed è disposto a vendere un occhio (letteralmente) pur di pagare i suoi debiti e continuare a vivere in quel modo.

Il tutto parrebbe davvero surreale… se non fosse che, dettaglio dell’occhio a parte, tante persone vivevano (allora) e vivono (oggi) in questo esatto modo, tanto che Il boom acquisisce persino un valore didattico, se lo si guarda con occhi maturi e pronti al percorso interiore invece che a quello esteriore.

Ma andiamo a tratteggiare la trama del film: Giovanni Alberti (il sempre bravissimo Alberto Sordi) è un giovane imprenditore di Roma che vive negli anni del boom economico e che, pur di elevarsi a uno status sociale superiore rispetto a quello della sua nascita, e di assicurare alla sua bella moglie Silvia uno stile di vita dispendioso, ha contratto molti debiti, tanto da essere costretto, a un certo punto, a chiedere prestiti o favori a parenti e conoscenti vari, ricevendo però sempre rifiuti.
Un giorno, la signora Bausetti, moglie di un ricchissimo costruttore, gli propone di vendere a suo marito la cornea di un occhio, naturalmente dietro lauto compenso. Giovanni, che nel mentre ha visto diffusa la notizia delle sue difficoltà finanziarie, risolverebbe tutti i suoi problemi in un colpo solo… ma dovrebbe rinunciare a un occhio.

La trama de Il boom è quasi paradossale, ma molto veritiera nell’essenza: in tanti vendono sé stessi, parti del loro corpo o parti del loro spirito, in cambio di un qualche successo economico o sociale. Il film di De Sica, così, non fa altro che testimoniare quello che evidentemente era già visibile nell’Italia di allora e che sarebbe esploso poi… a proposito di boom.

Fosco Del Nero



Titolo: Il boom. 
Genere: drammatico.
Regista: Vittorio De Sica.
Attori: Alberto Sordi, Maria Grazia Buccella, Gianna Maria Canale, Ettore Geri, Mariolina Bovo, Elena Nicolai, Alceo Barnabei, Federico Giordano, Antonio Mambretti. 
Anno: 1963.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 22 marzo 2022

Downton Abbey - Michael Engler

Dopo essermi visto, e con gran gusto, le varie stagioni della serie televisiva Downton Abbey, non potevo non vedermi anche l’omonimo film realizzato alcuni anni dopo la conclusione della serie, la quale aveva lasciato in verità milioni di fan delusi, ma rinfrancati perlomeno dalla produzione cinematografica in questione, la quale ha avuto un notevole successo, con i suoi quasi 200 milioni di dollari di incassi.

Dico subito che, per quanto mi riguarda, il film è di qualità un poco inferiore rispetto allo sceneggiato televisivo, ma sufficiente per bissarne il valore.

Ecco in sintesi la trama del film Downton Abbey: siamo nel 1927, ossia un paio d’anni dopo le vicende della serie tv, e la tenuta di Downton Abbey va avanti, diretta ora dalla primogenita Mary (purtroppo, pettinata molto peggio di prima) e dal cognato Tom Branson (vedovo della defunta Sybil e nel mentre un po’ imbolsitosi). L’altra sorella, Edith, è felicemente sposata col Marchese di Hexam, mentre i vegliardi, ossia la Contessa Madre e oramai anche Conte e Contessa in carica, vivono serenamente la loro età avanzata… ormai parecchio avanzata per Violet Crawley-Maggie Smith.

Ciò che scuote l’intera Downton Abbey, nonché il paese che le gravita attorno, è la notizia della visita reale: Re George, sua moglie Mary, parenti stretti e servitù alloggeranno a Downton per una notte, di passaggio lungo il loro viaggio per lo Yorkshire.
È una grande notizia, ma la cosa causa diverse criticità: l’aspetto organizzativo generale, l’antico dissidio tra Lady Violet e la cugina Lady Bagshaw relativo a un’eredità, le passate velleità repubblicane e insurrezionali dell’irlandese Tom Branson, la pretesa della servitù reale di sostituire in toto la servitù di Downton, privandola così del piacere di organizzare e servire l’evento con le maestà britanniche, l’inesperienza del nuovo maggiordomo Barrow, rimpiazzato per un paio di giorni da Carson, ch’era andato in pensione alla fine della serie televisiva.

Insomma, queste sono le scuse per metter su un’altra volta lo spettacolo di Downton, con la sua bellezza e la sua eleganza. Per tale spettacolo, che dura circa due ore, è stata fatta la scelta di orientarsi con decisione verso la commedia, trascurando la parte drammatica dello sceneggiato televisivo, la quale era in verità ben forte (guerra e convalescenziario, giovani morti in incidenti automobilistici, violenze sessuali, prigione, maternità scandalose e quindi nascoste, etc). Nel film il peggio che c’è è un arresto in un club per omosessuali, nonché un modesto e incerto tentativo di regicidio.

Assolutamente da citare, in tali piccoli scontri, la contesa tra Lady Violet e Lady Bagshaw… ossia rispettivamente la Professoressa Mc Granitt e Dolores Umbridge di Harry Potter e l'Ordine della Fenice: impossibile non ipotizzare che la cosa sia stata voluta, anche considerando la genesi anglosassone di ambo i prodotti.

Come detto, complessivamente ho gradito il film Dowton Abbey, per quanto meno della serie tv. Anzi, serie e film hanno molto da insegnare, al popolino, a livello di eleganza, compostezza, disciplina e arguzia. Dal passato, comprese le classi sociali del passato, occorre prendere il meglio e mettere da parte il peggio… ma non metter da parte tutto quanto, il che sarebbe un approccio alquanto infantile.

Fosco Del Nero



Titolo: Downton Abbey (Downton Abbey). 
Genere: commedia.
Regista: Michael Engler.
Attori: Hugh Bonneville, Jim Carter, Michelle Dockery, Elizabeth McGovern, Maggie Smith, Imelda Staunton, Penelope Wilton, Tuppence Middleton, Joanne Froggatt, Stephen Campbell Moore, Laura Carmichael. 
Anno: 2019.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 15 marzo 2022

Le jaguar - Francis Veber

Sono divenuto all’istante un fan di Francis Veber quando vidi La cena dei cretini, un capolavoro travolgente di comicità... e questo ancor prima che il film finisse, tanto che col tempo sono andato a vedermi tutti i film diretti dal regista francese. Non molti, ahimé.


In tale elenco, mancava ancora qualcosa da vedere, ed ecco la recensione di Le jaguar, che non ho mai trovato in italiano, giacché non è mai stato localizzato nella nostra lingua e dunque mi sono rassegnato a vedere in lingua originale coi sottotitoli in inglese. Meglio di niente… anche se la dissonanza tra il parlato francese e lo scritto inglese mi ha costretto a un qualche sforzo.

La prima cosa da dire di Le jaguar è che avrei riconosciuto lontano un miglio il marchio di Veber: lo stile, l’umorismo, la scelta dei nomi dei protagonisti, che come noto è ricorrente nelle opere del regista francese. In questo caso, abbiamo Jean Campana e François Perrin… proprio come ne La capra, e l’uguaglianza non è casuale, visto che i due film hanno un evidente parallelismo.
Difatti, i nomi dei due protagonisti sono uguali, in ambo i film uno dei due è più razionale e l’altro più originale (ma i ruoli sono invertiti tra i due film), in ambo i film c’è un personaggio bislacco che spariglia le carte e che chiude il triangolo (ne La capra è Marie, ne Le jaguar è Manu… stesse lettere iniziali, e persino il titolo del film propone sempre un animale), in ambo i film l’ambientazione è esotica (il Messico per La capra e il Brasile per Le jaguar).
 
La stessa scelta degli attori gridava a gran voce “Francis Veber”, giacché abbiamo subito in bella vista Jean Reno (Sta' zitto, non rompere, Due fuggitivi e mezzo, ma anche Wasabi, Subway) e Alexandra Vandernoot (La cena dei cretini, Le placard). Quanto a Patrick Bruel, è una primizia sia per Veber (almeno, che io ricordi) sia per questo blog.
Tra gli altri attori, da citare la bella Patricia Velasquez (la Anck-su-Namun de La mummia) e il duro Danny Trejo (amico di Rodriguez e Tarantino).

Ecco la trama sommaria di Le jaguar: Jean Campana è uno studioso della cultura tribale e sciamanica amazzonica, e sta accompagnando in qualità di interprete e guardia del corpo l’indigeno Manu a Parigi, per un evento ufficiale a sostegno della foresta amazzonica, quando l’uomo sudamericano si imbatte in François Perrin, un giovane uomo affabulatore e scaltro, ma parecchio bugiardo e manipolatore. Manu, tuttavia, vi vedrà un’anima buona, e sosterrà che si tratta del “prescelto”, di colui che dovrà restituirgli l’anima che gli è stata rubata.
"Da chi", "come" e "dove" sono gli interrogativi che si pone Campana, mentre Perrin crede si tratti di un mucchio di sciocchezze… tuttavia si presta a partire per il Brasile perché in città è braccato dagli sgherri di un malavitoso a cui deve dei soldi. Così comincia l’avventura che coinvolgerà i due uomini, ma anche il cattivo Kumaré e la bella Maya, oltre che lo stesso sciamano Manu, seppur a distanza e sopra il letto di un ospedale parigino.

Le jaguar è un bel film, non c’è molto da dire: come tutti i film di Veber di quegli anni (“80 e “90) non è imperdibile, ma è vivace e gradevolissimo. Tuttavia, per quanto mi riguarda, i suoi migliori lavori rimangono La cena dei cretini, Una top model nel mio letto e Le placard… ossia i suoi ultimi lavori, anche se non ho visto il suo ultimissimo film, datato 2008 e che è stato un fiasco al cinema, fatto che con tutta probabilità ne ha interrotto la sua non troppo prolifica ma qualitativamente ottima carriera.
Quanto a La capra, sta una spanna sopra a questo Le jaguar, comunque discreta produzione per umorismo, recitazione e originalità.

Fosco Del Nero 



Titolo: Le jaguar (Le jaguar). 
Genere: commedia, fantastico.
Regista: Francis Veber.
Attori: Jean Reno, Patrick Bruel, Harrison Lowe, 
Patricia Velasquez, Danny Trejo, Roland Blanche, François Perrot, Francis Lemaire, Alexandra Vandernoot, Gil Birmingham.
Anno: 1996.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.




mercoledì 9 marzo 2022

Jumanji - Joe Johnston

Credo che questa sia la seconda volta che vedo Jumanji, il famoso film del 1995 con protagonista Robin Williams che ha dato luogo negli anni a diversi seguiti (Jumanji - Benvenuti nella giungla e Jumanji - The next level).

La prima volta avvenne da ragazzino ed ero curioso di vedere com’era nel mentre invecchiato questo film del 1995, visto ora con gli occhi di un adulto.

Discretamente bene, lo dico subito, col film che mantiene inalterata la sua verve, la sua freschezza, il suo dinamismo e la sua originalità.
Anche gli effetti speciali si son mantenuti bene, ma d’altronde a dirigere il film c’era proprio un esperto di effetti speciali, quel Joe Johnston che li aveva curati per la trilogia originale di Star wars… mica poco.
Tra i film all’attivo come regista, qualche discreto successo di pubblico, come Pagemaster - L'avventura meravigliosa o Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi, ma niente di indimenticabile (a me non son piaciuti neanche quei due, a dire il vero).

Ecco la trama sommaria di Jumanji, col film che si muove su diversi livelli temporali, tre per la precisione: nel primo, nel 1869, due bambini si avventurano nel cuore della notte in un bosco e seppelliscono una misteriosa cassa sotto terra; nel secondo, nel 1969, Alan Parrish, anche lui bambino, ritrova la suddetta cassa, la apre, e con l’amica Sarah inizia a giocare col gioco da tavolo che vi trova dentro; nel terzo, nel 1995, altri due bambini, Peter e Judy, ritrovano il suddetto gioco e iniziano anch’essi a giocare, con ciò richiamando dalla dimensione alternativa del gioco il piccolo Alan, nel mentre diventato grande. Il grosso del film si basa sulle vicende di questo terzo filone, il quale peraltro dà vita a una diversa linea temporale, e quindi a un 1995 alternativo.

I protagonisti principali del film sono così i due grandi Alan (Robin WilliamsAl di là dei sogniL’uomo bicentenarioL’attimo fuggentePatch AdamsWill hunting - Genio ribelle) e Sarah (Bonnie Hunt; Il miglio verde, Beethoven), e i due piccoli Judy (Kirsten DunstIntervista col vampiro, Piccole donneMelancholiaElizabethtown, Spider-Man, Il giardino delle vergini suicide) e Peter.
Anche se il protagonista principale della pellicola è proprio Jumanji, il gioco che dà il nome al film e col quale letteralmente tutto può succedere: essere risucchiati nella giungla del gioco o vedersi la casa invasa da una frotta di animali di grossa taglia, come elefanti o rinoceronti. Senza contare enormi zanzare tigre o le piante rampicanti, alcune carnivore.

Jumanji non è un film imperdibile, ma è tuttora un validissimo prodotto: uno di quei film per famiglie vecchio stampo, divertenti, variopinti e puliti.
Eccellente l’interpretazione di Kirsten Dunst, al tempo bambina prodigio e in seguito promessa mantenuta del cinema.

Fosco Del Nero 



Titolo: Jumanji (Jumanji). 
Genere: fantasy, avventura.
Regista: Joe Johnston.
Attori: Robin Williams, Bonnie Hunt, Kirsten Dunst, Patricia Clarkson, Jonathan Hyde, Bradley Pierce, Bebe Neuwirth, David Alan Grier, Adam Hann-Byrd, Laura Bell Bundy.
Anno: 1995.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui



martedì 8 marzo 2022

Il Mahabharata - Peter Brook

La recensione di oggi è dedicata a un film particolare per differenti motivi: Il Mahabharata di Peter Brook.

Il primo, ovvio motivo è che si tratta della conversione cinematografica del famoso poema epico-religioso indiano.

Il secondo è che non si tratta, almeno nella versione che ho visto io, di un solo film, ma di tre film… o di un film diviso in tre parti, se preferite. Ciascuna parte è di circa 1 ora e 40 minuti, e dunque ciascuna parte è un film vero e proprio in quanto a lunghezza. So peraltro che l’opera originaria girata da Brook constava di circa 9 ore, poi ridotte a meno di 6 per la programmazione televisiva e infine a 3 per il cinema e il mercato dell’home video.

L’ultimo motivo, collegato al primo, è che non si tratta di un film “normale”, ossia dedito al mero intrattenimento, ma, coerentemente all’opera cui esso si riferisce, contiene al suo interno molti richiami di tipo spiritual-evolutivo, che proporrò, almeno in parte, come citazioni a fine articolo.
In tale vocazione di fondo, il prodotto non si discosta molto da un altro film di Peter Brook che ho già recensito, ossia Incontro con uomini straordinari, dedicato alla vita di G. I. Gurdjieff. Del regista in questione ho recensito anche il classico Il signore delle mosche, anch’esso film discretamente impegnato, ma più sul versante psicologico-sociologico che non su quello spirituale.

Passiamo alla trama de Il Mahabharata, che non potrà essere che sommaria visto che nell’intera storia succedono tante cose, impossibili da riassumere in poche righe: i Pandava e i Kaurava sono le filiazioni dei due fratelli Pandu e Dhritharashra. Esse non sono in buoni rapporti e, anzi, si profila tra di loro una guerra, con fortissimi guerrieri su entrambi i versanti, con tanto di armi magiche, semidivinità, uomini immortali e via discorrendo. I primi son cinque, mentre i secondi sono cento… ma i primi sono affiancati da Krishna, uomo-avatar incarnazione del dio Vishnu, con tutto ciò che ne consegue.
All’interno del primo gruppo, si distingue Arjuna, mentre all’interno del secondo Karna, i quali non a caso sono nemici giurati tra di loro, oltre che fratellastri (pur senza saperlo). 
Anche se, a onor del vero, il titolo più elevato, di potenziale erede al trono, sarebbe da un lato assegnato a Yudhishthira per i Pandava e a Duryodhana per i Kaurava.
La storia parte con il narratore Vyasa, il quale è sia narratore sia protagonista attivo della storia, e si conclude grossomodo come era iniziata, con Vyasa che termina il racconto del suo poema epico, il quale nel mentre è stato trascritto da Ganesha, il dio uomo-elefante figlio di Shiva.

Prima di dedicarmi alla lunga lista di citazioni, alcune parole sull’opera in generale. Il Mahabharata è un modo di fare cinema non troppo popolare, per il semplice fatto che è molto impegnato e impegnativo, e la gente davanti alla tv o davanti allo schermo del cinema tendenzialmente vuole svagarsi, non impegnarsi. Perciò, è per definizione un film per pochi occidentali, o forse per molti orientali, anche se ho il dubbio che gli indiani possano ritenerlo un po’ troppo spurio; d’altronde, il regista è britannico, il cast è multinazionale, e forse persino troppo: da un film sul Mahabharata ti aspetteresti attori tutti indiani, magari delle varie e numerose etnie dell’India, e invece dentro c’è letteralmente di tutto: indiani, mongoli, cinesi, caucasici, africani di diverse zone dell’Africa. Si dica, per esempio, che Arjuna, uno dei protagonisti principali, è interpretato dall’italiano Vittorio Mezzogiorno.
Onestamente, avrei preferito un casting più fedele alla zona geografica di riferimento, ma tant’è: è stato fatto così. Andrebbe pur detto che la storia, già antica di suo, racconterebbe di un'epoca ancora più antica, nella quale in India si sarebbe mossi gli Arii, popolazione indoiranica che invase la valle dell'Indo scendendo dal nord: la presenza di più razze sarebbe così credibile... anche se non nei livelli proposti dal film (mediterranei, africani, britannici, etc).
La lingua originale, in tale casting multinazionale, è ovviamente l’inglese; ho dunque affiancato l’audio inglese (piacevole da sentire) ai sottotitoli in italiano (facili da leggere, anche se a volte non del tutto fedeli all’originale).

Altre due parole sull’opera: scenografia molto bella; costumi anche; ottima caratterizzazione dei personaggi; dialoghi ispirati; senso di sacralità che pervade tutto quanto, anche nei momenti tragici e durante la guerra; pochi ma efficaci effetti speciali; il tutto sa più di teatro che di cinema, e infatti è stato girato interamente in interno, mai in esterno.
La valutazione complessiva de Il Mahabharata è ottima.

Passiamo ora alle citazioni tratte dall’opera, che renderanno bene l’idea, all’occhio capace di coglierle, del suo valore interno.

Ma prima delle citazioni, una curiosità: nella storia si racconta di una donna che rimane incinta e ha un bambino pur essendo vergine (come Maria e Gesù), la quale mette in una cesta il bambino, lasciato andare in un fiume, per poi essere cresciuto da altri e divenire un uomo importante (come Mosè)… a testimonianza che si tratta di topos spirituali precedenti l'ebraismo e il cristianesimo.

“Se mi ascolterai bene, alla fine sarai diverso.” 
(dice il saggio Vyasa a inizio storia a un ragazzino, toccandolo sul cuore e riferendosi al progresso interiore)

“Ecco i nostri due figli, Nakula e Sahadeva, inseparabili come pazienza e saggezza.”

“Mi metto un velo sugli occhi, lo stringo bene, non lo toglierò mai più.”

“Posso rinunciare a ricchezze e piaceri.
Desidero soltanto imparare.”

“Il mondo pullula di infinite creature. 
Quelle che vediamo e quelle che non vediamo.”

“Tre dei governano l’universo.
Tre, che sono anche uno: Brahma il creatore, Shiva il distruttore e il terzo è Vishnu.”

“Resisti a ciò che resiste in te: diventa te stesso.”

“Tutto quello che vidi lì mi fece impazzire: il palazzo, impareggiabile, fu costruito da Maya, il sommo architetto. È il palazzo dell’illusione, dove i pensieri diventano realtà.”

“Io non amo niente, io non sono niente.”

“Che ognuno vada fino ai propri limiti.”

“A volte penso che l’uomo non è niente: la sua natura gli è imposta, nulla viene da lui. Quello che facciamo o pensiamo è solo un gioco. Siamo ombre mobili.”

“Un minimo di coraggio è tutto quello che ti serve: guardati intorno, guarda le cose come sono."

“Ora ti tolgo il velo.”

“È un’arma che può distruggere il mondo: puoi scoccarla con l’arco, ma anche con gli occhi: le tue parole, i tuoi pensieri. È un’arma che non puoi richiamare, senza limiti, senza pietà. Non potrai mai disfartene, mai darla indietro.”

“Chi sei?”
“Il Dio Dharma, tuo padre. Sono la costanza, la ragione, l’ordine del mondo.”
“Hai preso la forma di un lago.”
“Sono tutte le forme.”

“Vyasa, perché inventi questo poema?”
“Per scolpire il dharma nel cuore degli uomini.”

“Nessuna strada è totalmente tracciata: sei tra i vivi, e vivi.”

“Yudhishthira, si dice che siamo entrati nell'era della distruzione: è vero?”
“Vedo sorgere un'altra era, in cui dei re barbari guidano un mondo corrotto e vizioso. Degli uomini malaticci, spaventati, induriti, vivono vite miserabili. Già canuti a sedici anni, si congiungono carnalmente con animali. Le loro donne, prostitute, si vendono con bocche avide. Vacche asciutte, sterili. Alberi rachitici, senza vita. Niente più fiori, niente più purezza. Ambizione, corruzione, commercio. È l'Era di Kali, l'epoca oscura: campagne desertiche, città infestate dal crimine.”

“Ti posso solo assicurare questo: non potrai scegliere tra la pace e la guerra.”
“Cosa potrò scegliere?”
“Tra una guerra e un’altra.”
“L’altra guerra dove si svolgerà? Sopra un campo di battaglia o nel mio cuore?”
“Non c’è una reale differenza.”

“Ho ricevuto un regno sul quale stampai una cifra: uno.
Non lo mutilerò. Non lo dividerò in pezzi. Lo manterrò intatto, come quando mi fu dato.”

“Un cattivo re è un morbo contagioso: insozza la sua epoca.”

“Digli: svegliati, alzati.
Il tuo corpo è bello, e il tuo corpo è nobile, ma se vivi col timore di morire, perché averti dato la vita?
Brucia come una torcia, fosse anche solo per un istante.”

“L’occhio che illumina ogni cosa veglierà su di noi.”

“Una cosa è sicura, Krishna: faremo un lungo viaggio insieme.”
“Sì, e un giorno ci ritroveremo di nuovo.” 
(parlano poco prima della guerra, dando per scontata la loro morte)

“Cosa fa Krishna?”
“Parla ad Arjuna.”
“Cosa gli dice?”
“Gli dice: ‘Sii disinteressato. Combatti senza desiderio. Devi agire ma senza farti sopraffare dall’azione. Nel cuore dell’azione devi sentirti libero da ogni legame’.”

“Come posso mettere in pratica ciò che vuoi da me? La mia mente è mobile, instabile, evasiva, febbrile, agitata, ostinata. Domarla è più difficile che ammansire il vento.”
“Impara a guardare con gli stessi occhi un tumulo di terra e un cumulo d’oro, una vacca e un saggio, un cane e l’uomo che mangia il cane. Esiste un’altra intelligenza al di sopra della mente.”
“La passione ci trascina, la malvagità ci offusca i sensi: come faccio a trovare questa intelligenza, con quale volontà?”
Per rispondere a questa domanda, Krishna guidò Arjuna attraverso la foresta dell’illusione. Cominciò a insegnargli lo yoga antico della saggezza, e la strada misteriosa dell’azione. Gli parlò a lungo, molto a lungo, tra i due eserciti che si preparavano a distruggersi.

“Tutti gli uomini sono nati nell’illusione. Come raggiungere la verità se si è nati nell’illusione?”
Lentamente Krishna guidò Arjuna per i meandri del suo spirito; indicò i movimenti segreti del suo essere e il vero campo di battaglia, dove non servono né guerrieri né frecce, dove ognuno può combattere da solo. È il sapere più segreto. Gli mostrò tutta la verità, gli insegnò come il mondo va rivelandosi.
“Le mie illusioni svaniscono una dopo l’altra. Adesso, se sono capace di contemplarla, mostrami la tua forma universale. Ti vedo, e vedo pure tutto il mondo in un solo punto. Vedo la vita, la morte, il silenzio. Rivelami la tua natura. Sono precipitato giù negli abissi, ho paura.”
“Sono tutto quello che pensi, sono tutto quello che dici: ogni cosa è appena a me come le perle alla collana. Sono il profumo della terra, il calore del fuoco. Sono ciò che appare, sono ciò che scompare. Sono la beffa dell’imbroglione, sono il fulgore di tutto ciò che splende. Sono il tempo invecchiato. Tutti gli esseri precipitano nella notte e vengono poi riportati alla luce.”

“Chi crede di poter uccidere e chi crede di poter essere ucciso sbaglia comunque.”
“Nessun arma può trafiggere la vita che ho infuso in te. Nessun fuoco bruciarla, nessun’acqua allagarla, nessun vento può prosciugarla. Non temere più. Alzati, perché ti amo. Ora puoi dominare il tuo misterioso e incomprensibile spirito.”

“Tu inganni la tua natura, detesti chi ha le qualità che ti mancano. Eppure sei forte e grande.”

“Attraverso un lungo periodo oscuro con te. Questa lotta è assoluta. Tu e i tuoi fratelli siete l’unica luce del mondo. In ogni momento, ricordate questo: se il vostro cuore è affranto, chiuso, se si fa amaro, nero, asciutto, quella luce sarà persa.”

“La morte non esiste. La morte è negligenza, è ignoranza, mentre la vigilanza è immortalità. 
La morte non può divorare chi si scrolla la vita di dosso, non ha più potere di fronte all’eternità.
Il vento, la vita, scorrono partendo dall’infinito. La luna beve il soffio della vita. Il sole beve la luna. L’infinito beve il sole. Il saggio si libra in mezzo ai mondi. Quando il suo corpo viene distrutto e non rimane nessuna traccia di lui, allora la morte stessa è distrutta a sua volta, e l’uomo saggio contempla l’infinito.”

“Non puoi morire con gli occhi chiusi. 
Togliti il velo.”

“Sogno o sono sveglio?”

“Non hai visto né il paradiso né l’inferno. Qua non esiste né felicità, né castigo, né famiglia, né nemici. Alzati e vivi in pace. Qua le parole finiscono, come i pensieri. Questa era la tua ultima illusione.”

A proposito di quest’ultima citazione, è molto bella, simbolicamente parlando, la scena finale, in cui Yudhishthira, uno dei Pandava, il figlio dei Dio Dharma (che rappresenta, in essenza, il percorso evolutivo), è alle prese con la sua prova finale.

Al di là del numero di frasi di valore, comunque, è di valore soprattutto il simbolo e l’insegnamento dell’opera: la guerra interiore piuttosto che esteriore (il campo di battaglia è l'individuo stesso, col suo karma e il suo dharma), la lotta tra i fratellastri inferi dell’ego (i Kaurava) e quelli superiori dell’anima (i Pandava), l’energia kundalini sposa dei vari vortici-chakra, la contrapposizione tra la cecità e la vista con le varie discendenze e conseguenze, la teorica sovranità dell’anima (Yudhishthira), usurpata dalla personalità e dai suoi desideri terreni (Duryodhana), il rapporto tra maestro (Krishna) e allievo (Arjuna), etc. Il film è ovviamente una riduzione, dal momento che il Mahabharata è il poema più lungo di tutti i tempi, ma se si mettessero in fila anche solo gli insegnamenti del film, faremmo notte, per cui mi limito a quanto riportato sinora.

Fosco Del Nero



Titolo: Il Mahabharata (The Mahabharata).
Genere: fantastico, drammatico, religioso, filosofico, esistenziale.
Regista: Peter Brook.
Attori: Bruce Myers, Miriam Goldschmidt, Robert Langdon Lloyd, Vittorio Mezzogiorno, Andrzej Seweryn, Yoshi Oida, Tuncel Kurtiz, Georges Corraface, Sotigui Kouyaté, Antonin Stahly-Vishwanadan, Mamadou Dioume, Jean-Paul Denizon, Mahmoud Tabrizi-Zadeh, Mallika Sarabhai.
Anno: 1989.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 2 marzo 2022

Arrival - Denis Villeneuve

La recensione odierna è relativa a un film del 2016, quindi piuttosto recente, di Denis Villeneuve: Arrival (da non confondersi con il film The arrival del 1996).
Peraltro, avevo già recensito Villeneuve su Cinema e film di recente, per Blade runner 2049… e di sicuro lo vedrò almeno una volta in futuro per via del remake di Dune, sperando che ne venga fuori un film all’altezza... più efficace di quanto non sia stato Arrival.

Ma andiamo con ordine: il film è basato sul racconto Storia della tua vita, di Ted Chiang, e propone una trama formalmente di genere fantascientifico, con tanto di razza aliena, ma di fatto basata su elementi interiori, tra riflessione, comunicazione e filosofia.

Ecco la trama sommaria di Arrival: il film comincia riprendendo Louise Banks con la figlioletta Hannah, la quale ha una grave malattia che la porta a morire in giovane età. La scena successivamente si sposta in un altro tempo e in un altro luogo, sempre seguendo la figura di Louise: dodici astronavi aliene scendono su altrettante zone del mondo, scelte in modo apparentemente casuale (quindi non sopra le grandi metropoli allo scopo di distruggerle come in Visitors o in Independence Day) e attendono che gli esseri umani si mettano in comunicazione con loro.

Ogni paese “prescelto” organizza un’equipe di esperti di vari settori e, per l’aspetto comunicativo-linguistico, è chiamata proprio Louise, esperta di fama mondiale (nonostante la giovane età); tra gli altri esperti, da segnalare il fisico teorico Ian Donnelly, mentre la missione è sotto il comando del Colonnello Weber.
Le navi aliene sono soprannominate “gusci”, mentre le creature aliene son dette “eptapodi”, per via delle loro sette gambe.

Arrival, come detto, è un film di fantascienza sui generis: ci sono alieni e nave spaziali, è vero, ma non c’è azione e c’è solo riflessione, persino discretamente concettosa, per quanto in verità ci si perda essenzialmente in chiacchiere pseudo-filosofiche poco convincenti. 

La stessa sceneggiatura del film mostra diversi lati deboli: l’età troppo giovane della linguista per essere un’esperta di fama mondiale (non che la cosa sia vietata, ma appare improbabile); l’aspetto estremamente complicato della comunicazione aliena, che cozza contro il loro enorme livello tecnologico; l’aspetto poco sensato di consegnare un messaggio all’umanità suddiviso in dodici parti legate a dodici nazioni del pianeta, alcune bellicose o comunque in cattivi rapporti le une con le altre; il fatto di conoscere il futuro in anticipo (col solito dilemma temporale per cui lo si conosce ma si agisce per modificarlo… certificando così il fatto che in realtà non lo si conosceva come dato sicuro); l’aver bisogno dell’aiuto umano in un lontano futuro, nonostante il livello tecnologico e culturale immensamente superiore degli alieni; il solito americanocentrismo, per cui i cinesi e i russi recitano la parte dei cattivi (strano che nel gruppo dei cattivi non ci fossero anche la Corea del Nord e l'Iran… ma forse sarebbe stato eccessivo).

Si aggiungano anche delle relazioni umane poco credibili (sia a inizio che a fine film, e non dico niente per chi non lo avesse ancora visto), nonché parecchie riflessioni semplicistiche sulla natura della vita. 
Si aggiunga pure una notevole lentezza generale; il film non decolla praticamente mai.

Vi sono però anche dei lati positivi: una bella fotografia, una bella regia, il tema della comunicazione-incomunicabilità (applicabile anche al contesto umano, a livello macro come a livello micro), nonché la citazione dell’ipotesi linguistica di Sapir-Whorf secondo la quale la lingua che si utilizza è in grado di modificare il mondo mentale e interiore della persona...

... che è una cosa che ho pensato fin da ragazzino, pur non conoscendo la teoria in questione, giacché mi accorsi che quando parlavo in inglese, francese o spagnolo tendevo a processi interiori un poco differenti rispetto all’italiano: d’altronde, se la lingua si è formata in un certo modo, non sarà un caso, ma sarà il riflesso dell’energia-psicologia di un certo popolo e, a sua volta, quel linguaggio influenzerà in una certa direzione.

Ma lasciamo perdere tale concetto e andiamo a concludere la recensione: Arrival di Denis Villeneuve non è un disastro, ma non è nemmeno un gran film; la sensazione è che vorrebbe far sembrare di essere un gran film, colto, impegnato, elegante… ma non lo è, pur avendo comunque degli elementi di bellezza.
Peccato. 

Fosco Del Nero 



Titolo: The arrival (Arrival). 
Genere: fantascienza, drammatico, psicologico.
Regista: Denis Villeneuve.
Attori: Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O'Brien, Nathaly Thibault, Joe Cobden, Russell Yuen, Julian Casey.
Anno: 2016.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



martedì 1 marzo 2022

A quiet place - Un posto tranquillo - John Krasinski

A quiet place - Un posto tranquillo, film diretto da John Krasinski nel 2018, ha avuto un ottimo successo di pubblico e di critica, tanto da aver generato già un seguito. 
Tuttavia, nonostante il largo consenso di cui ha goduto, con tanto di vari premi e nomination, non mi ha convinto per niente.

Cominciamo dalla trama, esposta sommariamente: nel 2020 la popolazione umana e animale del pianeta è decimata, per non dire quasi del tutto scomparsa, a seguito dell’invasione di una potentissima razza aliena, cieca ma dall’udito finissimo. Le creature, che paiono degli alti aracnidi corazzati, giungono correndo non appena viene prodotto un rumore di una certa consistenza, e inevitabilmente uccidono colui che lo ha prodotto.
La razza umana ha appena fatto in tempo a capire di cosa si trattava prima di esser spazzata via, e i sopravvissuti sono pochissimi, anche perché qualunque minimo rumore viene punito nel giro di cinque-sei secondi.
La famiglia Abbott, composta dal padre Lee, dalla madre Evelyn, dalla figlia Regan, e dal figlio Marcus, è sopravvissuta, a circa 470 giorni dall’invasione, facendo silenzio e parlandosi col linguaggio dei segni, che già conosceva poiché la figlia maggiore è sordomuta.
Tuttavia gli errori sono sempre dietro l’angolo, e proprio per via di un errore un anno prima è morto il figlio minore Beau. Peraltro, Evelyn, interpretata dalla brava Emily Blunt (Il diavolo veste PradaLooper - In fuga dal passatoI guardiani del destinoI fantastici viaggi di Gulliver, Il ritorno di Mary Poppins), è incinta e prossima al parto, il che crea parecchi problemi…

Perché non mi è piaciuto molto A quiet place - Un posto tranquillo
Semplicemente perché la sceneggiatura non sta in aria: ha più buchi di uno scolapasta, e per un film non è un difetto di poco conto.

Andiamo ad elencare: come è giunta la razza aliena sul pianeta? Non viene mai detto, anche perché nel film praticamente non si usano dialoghi, visto che parlando ci sarebbe il rischio di essere attaccati da un alieno. Di sicuro non viene dallo spazio, visto che si tratta evidentemente di animali predatori e non di essere senzienti.
Allora non è aliena come prospettato, ma terrestre? Ma allora come ha fatto tale razza a occupare l'intero il pianeta, tutto quanto, nel giro di breve tempo, e senza che l’umanità potesse accorgersi della cosa e opporvisi?

Questo è il secondo punto critico: basta fare un rumore e dopo pochi secondi si è attaccati da uno dei suddetti mostri… il che implica una loro presenza massiccia sull’intero globo.
Se dopo cinque-sei secondi vengo attaccato, vuol dire che, per veloce che sia quell’animale, deve già essere in zona, il che implica una presenza capillare della razza sul pianeta (però se non si fanno rumori e si va in giro non se ne vedono, il che vuol dire che la presenza non è così diffusa).

Inoltre, se ogni essere vivente viene ucciso dopo pochi attimi, allora ogni vita animale dovrebbe esser stata presto estinta sull’intero pianeta… e dunque come si nutrirebbe la razza predatrice, avendo già eliminato tutte le creature viventi (esseri umani compresi), perlomeno quelli da essa identificabili e lontani dalle zone rumorose?

Qua arriva un altro grande non senso del film: si sa che l’alieno ode i rumori che avvengono nelle zone silenziose, ma non può nulla se c’è qualche rumore più forte che copre tutto quanto, come lo scorrere di un fiume o lo scrosciare di una cascata. Infatti, il padre porta il figlio proprio in una zona simile vicino a casa loro, fiume e cascata, e gli spiega che lì sono al sicuro.
D'accordo, mi sta bene... ma allora perché non sono andati a vivere vicino alla cascata?? 
Vi è una legge non scritta per cui i personaggi dei film horror devono essere stupidi… ma qui si esagera.

Ultimo punto, anch’esso sufficiente a invalidare per bene la sceneggiatura e la sua credibilità: il grosso del film avviene a circa 470 giorni dall’attacco degli alieni, ossia quasi 16 mesi dopo.
Evelyn, a quel punto, è incinta da otto mesi e più, e ormai prossima al parto… il che vuol dire che il bambino è stato concepito sette-otto mesi dopo l’attacco. Quale persona sana di mente, che ci tiene a sopravvivere, concepisce un bambino sapendo che nei pressi c’è una razza aliena super-udente che attacca e uccide dopo cinque-sei secondo dall’emissione di un forte rumore? Pensavano forse che il neonato non avrebbe mai pianto, o che la donna non avrebbe emesso neanche un fiato durante il parto?
In effetti, il neonato nasce… e non piange, bontà loro e degli sceneggiatori.

Ancora: la famiglia va in giro a piedi scalzi per evitare di far rumore con le scarpe. A parte che la cosa mi pare eccessiva e poco sensata, visto che le scarpe non fanno rumore e nel film viene detto che le creature sono attirate solo dai rumori forti, non da quelli lievi; peraltro andare in giro nella natura, tra sassolini e spine, non mi pare l’idea migliore del mondo, poiché vi sarebbe il forte rischio di urlare per un qualche dolore. Ma facciamo finta che sia ok: tuttavia, è decisamente meno ok che un gruppo di persone che cammina scalzo non stia bene attento a dove cammina... e che lasci spuntare, in bella evidenza, un grosso chiodo dalle scale.
Sembra "quasi" fatto apposta affinché qualcuno ci metta un piede e poi debba trattenere un urlo... 
Tra l'altro, a Evelyn in quel chiodo si era impigliato un sacco, per cui avrebbe dovuto accorgersene e provvedere all'istante. 

Andiamo avanti: le creature aliene son cieche, vien detto… ma allora dovrebbero essere proprio loro la fonte maggiore di rumori, visto che dovrebbero andare a sbattere dappertutto, specialmente in contesti chiusi e dallo spazio ridotto come case e costruzioni umane. Dovrebbero dunque attirarsi continuamente a vicenda, e invece no: loro sono super-silenziose, sentono rumori a grande distanza e giungono all'istante sul posto!

Altro dettaglio: la madre sta per partorire, il padre e il fratello sono fuori in esplorazione, e cosa fa la figlia maggiore? Se ne va in giro da sola, lasciando nei guai la madre… ma questa incongruenza scompare di fronte a quelle elencate precedentemente.

Peccato, perché l’idea di fondo di A quiet place - Un posto tranquillo era valida, come è valida tutta l’esecuzione del film a livello tecnico: ottimi attori, bella fotografia, buona regia, buoni effetti speciali. Non ci sono dialoghi, come detto, e nemmeno colonna sonora, sostituita spesso da fastidiosi rumori di sottofondo, tesi a creare tensione ma più realisticamente producenti fastidio.

Nel complesso A quiet place - Un posto tranquillo mi è sembrato un film ben diretto, ma diretto soprattutto a un pubblico mediocre, amante della suspence generica e che non si fa troppe domande sulla coerenza di una trama. Peccato.

Fosco Del Nero 



Titolo: A quiet place - Un posto tranquillo (A quiet place). 
Genere: horror, fantastico.
Regista: John Krasinski
Attori: Emily Blunt, John Krasinski, Millicent Simmonds, Noah Jupe, Cade Woodward, Evangelina Cavoli, Ezekiel Cavoli, Doris McCarthy.
Anno: 2018.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.



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