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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 26 ottobre 2016

Humandroid - Neill Blomkamp

Il film recensito oggi è Humandroid, diretto da Neill Blomkamp nel 2015.
Del registra sudafricano avevo già diretto il più famoso District 9, il quale peraltro gli aveva dato fama e un certo potere realizzativo, tanto da potersi permettere in seguito budget di un certo livello, nonché attori più consumati: in Humandroid abbiamo per esempio Hugh Jackman (X-Men, The prestige, Scoop, L’albero della vita) e Sigourney Weaver (Alien, Ghostbusters, Avatar)… piazzati peraltro nel ruolo del cattivo e in un ruolo praticamente insignificante.

I protagonisti del film sono invece il personaggio umano di Deon Wilson e quello robotico di Chappie.

E andiamo dunque a vedere la trama di Humandroid: siamo a Johannesburg in un prossimo futuro, allorquando si è deciso di risolvere i soliti problemi di delinquenza con l’ingaggio di una serie di androidi progettati dalla Tetraval, e in particolare dal giovane ingegnere Deon Wilson (Dev Patel), ciò a discapito di Vincent Moore (Hugh Jackman), che viceversa aveva proposto un altro tipo di robot, più potente e controllato da un’intelligenza umana a distanza, ma quindi meno indipendente in quanto ad azione.
Deon, dal canto suo, non si è accontentato di aver sviluppato il rivoluzionario progetto degli “androidi scout”, ma vuole realizzare una vera e propria coscienza non umana… fatto in cui incredibilmente riesce, dando vita, seppur in modo travagliato, a un androide che verrà poi chiamato Chappy, al quale, sempre in modo travagliato, sarà legato il suo destino.
In tale “travaglio” giocherà un ruolo fondamentale il trio di criminali Ninja, Yolandi e Amerika.

Quanto al film, esso, come era stato anche per District 9, spazia tra diversi campi: la tecnologia e la fantascienza, l’azione, il sentimentale e il drammatico.

Forse troppi, col rischio di aver messo su un discreto calderone, tra la questione tecnologica dei robot-androidi, la questione del controllo sociale, la questione etica, la questione dello sviluppo della coscienza (in pratica non affrontata, ma solo buttata lì), la questione del trasferimento della coscienza (anche questa non spiegata e messa solo lì come fatto acquisito).
Il risultato finale è un film tra fantascienza, coscienza, morale, dramma, sentimenti, azione e poliziesco, che però non eccelle in nessuno di tali ambiti, e che anzi risulta mediocre su tutti i versanti, facendosi notare in sostanza solo per l’originalità del robottino Chappy, il quale ovviamente attira le simpatie del pubblico un po’ per il suo essere originale un po’ per il destino avverso che lo colpisce, ma che non può certo risollevare da solo le sorti di un film privo di spessore, sia a livello di sceneggiatura che a livello di dialoghi.
E anche i personaggi portanti sono anonimi, occorre dirlo.

Insomma, se District 9, decisamente più originale, non mi aveva entusiasmato ma perlomeno si era guadagnato un voto discreto, Humandroid si situa decisamente sul livello della mediocrità.
Ma, in virtù di una certa vivacità di fondo, darò comunque una terza chance a Neill Blomkamp guardandomi anche il suo secondo film (Humandroid è il terzo), ossia Elysium.

Fosco Del Nero



Titolo: Humandroid (Chappie).
Genere: fantascienza, azione, drammatico.
Regista: Neill Blomkamp.
Attori: Sharlto Copley, Dev Patel, Ninja, Yolandi Visser, Hugh Jackman, Sigourney Weaver, Brandon Auret, Johnny Selema, Anderson Cooper, Maurice Carpede.
Anno: 2015.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 18 ottobre 2016

Maze runner - Il labirinto - Wes Ball

Wow.
Questo è il commento che mi girava in testa mentre guardavo Maze runner - Il labirinto, film di cui conoscevo solamente il nome, senza sapere nient’altro se non quello che lasciava intuire il titolo.

Non sapevo nemmeno che il film è tratto dal romanzo Il labirinto di James Dashner (il primo di una saga), e quindi ci sono arrivato praticamente pulito, senza pregiudizi o aspettative. 

Ebbene, Maze runner - Il labirinto è un film che per tutta la durata delle sue quasi due ore si mantiene teso, vivo, forte e vibrante, proponendo uno scenario davvero accattivante e affrontandolo in modo assolutamente soddisfacente… ovviamente per quanto lo permette il tempo a sua disposizione, e non dubito che il romanzo abbia potuto dedicare una maggiore attenzione ai vari eventi e allo scorrere del tempo nel “labirinto”. 

Ma andiamo con ordine e tratteggiamo la trama del film: Thomas (un ottimo Dylan O'Brien; noto solo per la serie televisiva Teen wolf) si sveglia in una specie di gabbia di metallo che sta salendo verso l'alto. Un ascensore, evidentemente, che non sa minimamente dove lo sta portando…
… come non sa chi è, dove è, e chi sono quei ragazzi che lo stanno guardando dall’alto al di fuori della gabbia-ascensore.
In seguito, passati i primi momenti di paura, gli viene spiegato che si trovano nella radura al centro del labirinto, e che per sopravvivere in quel posto pericoloso vi sono alcune regole, la più importante delle quali è non entrare mai nel labirinto a meno di essere dei “velocisti”, ossia coloro che hanno gambe, forza e attitudine mentale adatte ad affrontare i pericoli del labirinto: il fatto che cambia di continuo, ma soprattutto i cosiddetti “dolenti”, sorta di mostri tecnologici.
Evidentemente i ragazzi sono stati messi lì da qualcuno, ma non avendo memoria alcuna non sanno il perché e cercano di sopravvivere al meglio, capitanati da Gally, il primo a essere stato introdotto nella radura ben tre anni prima.
Thomas però non si accontenta di sopravvivere: vuole risposte, e vuole trovare un modo per uscire dal labirinto, spalleggiato da alcuni dei componenti del gruppo come Newt e Minho, cosa che scatenerà una serie di conseguenze…

Facile intuire in tutto ciò gli elementi dominanti della storia: tensione e dubbio, timore e terrore, conformismo e coraggio.

Per certi versi, Maze runner - Il labirinto non è un prodotto originale, nel senso che le sue varie componenti si ritrovano sparse qua e là in vari libri e film del passato: dalla neo-civiltà dei ragazzi de Il signore delle mosche alla microsocietà timorosa e superstiziosa di The village, dalle società distopiche e schiavizzate in stile La fuga di Logan (queste però con ambientazione iper-tecnologica e non naturalistica) ai giochi di Hunger games (che probabilmente non a caso lo precede di un anno), questi sì nella natura, e ugualmente competitivi e/o collaborativi proprio come in Maze runner.

Se le singole parti si ritrovano quale da una parte e quale dall’altra, il totale tuttavia è indubbiamente interessante, e per certi versi nuovo, e come detto è reso alla grande in un film davvero denso, teso e interessante dall’inizio alla fine.
Fine che ovviamente rilancia al secondo episodio, pur ponendo una fine temporanea al primo (il “labirinto”, per l’appunto).

Quanto basta, per quanto mi riguarda, per darmi appuntamento al secondo film della saga, già prodotto e dunque in attesa, e probabilmente, a meno di disastri nel secondo, ai successivi film.

Chiudo la recensione con alcune frasi interessanti presenti nel film, e approfitto per sottolineare che la trama essenziale del film (persone che si svegliano in una realtà, non si ricordano niente di chi erano in precedenza, non sanno nemmeno cosa devono fare e sulle prime si limitano a sopravvivere, salvo poi farsi domande più ampie su chi sono e dove sono) potrebbe tranquillamente essere equiparata al percorso evolutivo umano e alla reincarnazione da una vita all'altra. 
Tra l'altro il posto in cui "ci si risveglia" è un labirinto, il che sarebbe una metafora dentro un'altra metafora, giacché anche l'essere umano deve trovare un'uscita nel labirinto dell'esistenza in cui è stato precipitato. In verità, al film potrebbe essere data un'impronta gnostica in modo piuttosto smaccato, almeno per la parte interna al labirinto, senza contare il finale: vi sono dei creatori, vi è un mondo d'illusione, vi sono degli avversari. Anche la ditocomia tra coloro che desiderano "andare oltre" e coloro che preferiscono "rimanere nella materia" si inserirebbe assai bene in una lettura spirituale di questo tipo. A tal proposito, Gally, il leader di coloro che desiderano rimanere nella radura, simbolo del mondo materiale, a un certo punto dice "Non si può fuggire da questo posto" e "Io appartengo al labirinto". Dunque, c'è chi desidera rimanere nell'inganno della materia e chi intende uscirne e trovare la libertà. Gally rappresenta l'ego, mentre Thomas rappresenta l'anima... e infatti sin dall'inizio della storia vi sono frizioni tra i due.
Altra possibile metafora: la suddivisione in "classi" della storia ricorda molto la suddivisione in caste della cultura indù, la quale, lo evidenzio per chi non lo sapesse, in origine non aveva affatto una natura discriminatoria, ma era tesa all'accompagnamento evolutivo dell'individuo secondo la sua "matrice spirituale".
Ultima considerazione: la storia ha una chiara impronta distopica e si inserisce nel filone della distopia così di moda negli ultimi decenni... e probabilmente per un buon motivo.

Il film è peraltro letteralmente inondato di frasi dal sapore simbolico-esistenziale, talmente tante che vien da pensare che la cosa non sia casuale, e che la storia sia stata pensata quantomeno su fondamenta simboliche, salvo poi procedere a livello narrativo in un certo modo.

"Chi sei?
"Non lo so."

"Nessuno di noi ricorda niente del passato."

"Devi scegliere."

"Io credo sia ora di scoprire contro chi lottiamo."

"Chiunque ci abbia messo qui ha creato anche quei mostri."

"I Creatori hanno voluto così."

"Questo posto non è quello che pensavamo: non è una prigione, è un test."

"Quello che importa è chi siamo adesso e cosa facciamo in questo momento."

"Preferisco rischiare la vita lì fuori che morire qui dentro."

"Questo non è il nostro mondo."

"Questo posto non è casa nostra.
Ci hanno richiusi qui: siamo stati intrappolati."

"Dev'esserci una via di uscita."

"Tutto quello che vi è successo è stato fatto per una ragione."

"Forse non lo avete ancora capito, ma siete molto importanti."

"Tu sei entrato nel labirinto e hai trovato l'uscita."

Fosco Del Nero



Titolo: Maze runner - Il labirinto (The maze runner).
Genere: fantascienza, drammatico.
Regista: Wes Ball.
Attori: Dylan O'Brien, Kaya Scodelario, Thomas Brodie-Sangster, Will Poulter, Patricia Clarkson, Aml Ameen, Ki Hong Lee, Blake Cooper, Dexter Darden, Chris Sheffield, Jacob Latimore.
Anno: 2014.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 12 ottobre 2016

Il libro della vita - Jorge R. Gutierrez

Il libro della vita - The book of life è stato proprio una bella sorpresa, davvero inaspettata.
Vi sono arrivato per caso, credo per via di qualche citazione trovata in rete, ed è stato davvero un ottimo caso.
Il regista di questo brillante film d’animazione è tale Jorge R. Gutierrez, che non avevo mai sentito e che difatti non aveva mai diretto alcun film.
Più facile invece ricordarsi del produttore Guillermo del Toro, regista di buoni film come Il labirinto del fauno, La spina del diavolo o Hellboy, nonché produttore di film altrettanto buoni come Le 5 leggende, The orphanage, Kung fu Panda 2.

La cosa curiosa delle produzioni di Guillermo del Toro è che spesso oscillano tra l’horror, il grottesco e il prodotto per l’infanzia, con percentuali varie da caso a caso.

Ne Il libro della vita le percentuali sono così suddivise: prodotto per l’infanzia 50% e grottesco 50%, senza horror…

… anche se a dirla tutta il film prende le mosse dal mito messicano del “Giorno dei Morti”, sorta di Halloween in salsa messicana, il quale non a caso si tiene tra l’1 e il 2 novembre, e difatti nel film è pieno di morti e fantasmi vari.
Da sottolineare anche la componente musicale del film, discretamente importante e di buona fattura.

Andiamo dunque a tratteggiare in grande sintesi la trama de Il libro della vita - The book of life: la cornice della storia è data da una visita al museo da parte di alcuni ragazzini un po’ vivaci, presi in cura da una guida che, in alternativa alla solita visita del museo, racconta loro la storia del giorno dei morti messicano.
Il tutto inizia nell’antica città di San Angel, un tempo al centro del Messico: in essa vivevano i piccoli Joaquín Mondragon, figlio di un famoso guerriero, Manolo Sanchez, rampollo di una famiglia di toreri, e Maria Posada, figlia del generale della città. I due ragazzini già da piccoli sono invaghiti della bella Maria, ma la rivedranno solo da grandi, una volta che lei tornerà dal collegio in cui l’aveva mandata suo padre a seguito dell’ennesima sua intemperanza.
Maria torna ancora più bella di prima, ancora più ambita dai due eroi… e per una certa coincidenza la cosa sarà oggetto di una scommessa tra la Muerte, sovrana della Terra dei Ricordati, e Xibalba, sovrano della Terra dei Dimenticati: se Maria sposerà Joaquin vincerà la scommessa Xibalba, mentre se sposerà Manolo vincerà la Muerte.
Inizia da qui un rutilante rincorrersi di avvenimenti, tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi.

Comun denominatore tra i due mondi: il colore. I paesaggi, ma anche i personaggi, sono tratteggiati in modo davvero pittoresco e bello, tanto da fare de Il libro della vita un’esperienza cinematografica più unica che rara.

In tale contesto, la trama quasi passa in secondo piano, anche se pur’essa si fa notare per la sua vivacità, facendo davvero onore al “giorno dei morti”. Almeno, credo, ma quantomeno ne fa una pubblicità davvero accattivante.

In pratica siamo di fronte a un Nightmare before Christmas dai tratti ispanico-messicani, il quale, oltre alla bellezza visiva, alla vivacità della trama e a qualche personaggio interessante, propone anche dei temi importanti: il coraggio, il cammino individuale, la determinazione, l’amore, il perdono. Nonché qualche altro elemento singolare: per esempio una curiosa trinità (energia maschile, energia femminile e sorta di entità divina neutra) o il simbolo del cuore alato (che peraltro deriva proprio dall’unione dell’energia femminile e di quella maschile).

Insomma, c’è tanto ne Il libro della vita, tanto che ve ne consiglio la visione.
E vi lascio con alcune citazioni, anch’esse “interessanti”: 

“Chiunque può morire. Questi ragazzi avranno il coraggio di vivere.”

“Scrivetevi una storia vostra.” 

“Segui semplicemente il tuo cuore.”

“Che importa dove andrai, tu mi ritroverai sempre lì.”

Fosco Del Nero



Titolo: Il libro della vita (Book of life).
Genere: animazione, fantastico, commedia, avventura, musicale.
Regista: Jorge R. Gutierrez.
Anno: 2014.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

martedì 11 ottobre 2016

Questa terra è la mia terra - Hal Ashby

Quest’oggi recensisco il quinto film di Hal Ashby che ho visto, dopo Oltre il giardinoHarold e MaudeL’ultima corvè e Shampoo: Questa terra è la mia terra, film tratto dall’omonima autobiografia di Woodrow Wilson Guthrie, chiamato Woody Guthrie, noto cantante folk statunitense attivo negli anni “30 e “40.

Siamo difatti nel 1936: gli Stati Uniti stanno vivendo il dramma economico e sociale successivo alla grande depressione, e Woody, come tante altre persone, è alle prese con la povertà.
A differenza di molti, però, sembra prendere la vita con grande leggerezza e filosofia. In positivo, ciò gli permette di procedere senza drammi; in negativo, lo porta a dimenticarsi di avere moglie e figli, che trascura per proseguire il suo peregrinare negli Stati Uniti.
Un bel giorno gli viene l’idea di tentare la fortuna in California: molla tutto e parte. In treno da abusivo, peraltro, rischiando a più riprese botte e spari di fucile…
… vizio che non perde nemmeno quando le cose sembrano andargli meglio più avanti, per il semplice fatto che egli non è uno che mette radici, ma una persona che ama il viaggio, con la sua avventura e i suoi rischi, come esplicita bene anche una sua frase che appare in sovrimpressione a fine film, praticamente a chiuderlo.

Come sempre (almeno, per i film che ho visto io), ad Ashby piace tratteggiare personaggi che sono fuori dal mondo.
Non solo perché sono strani (e i suoi personaggi principali lo sono invariabilmente, da Chance di Oltre il giardino passando per Maude di Harold e Maude), ma perché sono proprio fuori dal mondo: ossia, vivono nel mondo, ma non sono del mondo in senso stretto, e sembrano come camminare per una loro via a se stante, fuori da ogni logica comune e obiettivo tipico mondano.

Così è per Woody, il protagonista di Questa è la mia terra, sorta di avventuriero sereno e composto, che non va alla ricerca di ricchezza o di gloria personale, ma che cammina per il semplice gusto di camminare, e difatti egli stesso a un certo punto ci dice che non riesce a stare fermo e che deve sempre muoversi... per la gioia di moglie, figli e amici.

In effetti, Questa terra è la mia terra (titolo che sembra messo al contrario, nel senso che Woody non prova attaccamento per nessun luogo o nessuna persona; difatti a metà film canta una canzone intitolata "Io non ho una casa") è un film sul cammino, sul percorso personale, sulla ricerca e sulla libertà sopra ogni cosa… anche e soprattutto su rapporti personali, denaro e sicurezza.
E in questo senso è bello vedere la fiducia nella vita con cui Woody Guthrie, pur tra difficoltà e anche batoste, pur nel suo senso di insoddisfazione.

Anche se, a dire il vero, forse i quasi 140 minuti del film sono eccessivi, e alla lunga rischiano di annoiare.

Curioso notare come i film di Ashby terminino sempre in modi un po’ particolari, che sembrano alludere a concetti esistenziali o a simboli esoterici: per esempio, Oltre il giardino si concludeva con Chance che camminava sull’acqua, e ciò poco dopo la simbologia massonica della tomba, mentre Questa terra è la mia terra in modo meno clamoroso, ma comunque con una delle simbologie massoniche per eccellenza: Woody se ne va via da un edificio con il pavimento a scacchi, rifiutando ancora una volta la società moderna e le sue proposte allettanti in favore della libertà e del proprio cammino personale (lascia il pavimento a scacchi di un palazzo in cui gli avevano appena proposto un ricco contratto, soldi e fama e ritorna al suo cammino solitario).

In questo senso, il film è persino didattico, per quanto non entusiasmante come ritmo, dialoghi e personaggi. Ma comunque ha ricevuto parecchi premi, segno che un qualche segno lo ha lasciato.

Chiudo la recensione di Questa terra è la mia terra con due frasi estrapolate dal film: la prima sul camminare e la seconda sul possesso materiale, che poi sono i due filoni conduttori del film, per un verso o per quello opposto.

“Camminare è meglio che sostare.
Con chi stai a parlare?
Uno sta camminando, perché sta parlando?
Continua a camminare, continua a camminare…”

“Io non ci riesco a starmene qui dentro.
Sento sempre che dovrei essere da qualche altra parte, qualsiasi altra parte.”

“Quando ero diretto qui ho conosciuto gente di ogni tipo: c’erano vagabondi, scrocconi, c’erano famiglie che erano state sfasciate, povera gente che cercava un qualsiasi lavoro, e uomini che cercavano di arrivare in qualche posto, qualsiasi posto.
Avevano tutti una cosa in comune, ed era che ognuno di loro aveva qualcosa da darmi.
Trovi poi l’uomo che ha un po’ di soldi, ed è sempre tutto teso, ansioso: la sua umanità se n’è andata, e se n’è andata perché lui ha paura. Ha paura che gli tolgano la sua roba.
Ha persino paura di sorridere perché qualcuno potrebbe strappargli i denti di bocca.”

Fosco Del Nero



Titolo: Questa terra è la mia terra (Bound for glory).
Genere: biografia, commedia, drammatico, avventura.
Regista: Hal Ashby.
Attori: David Carradine, Ronny Cox, Melinda Dillon, Randy Quaid, Gail Strickland, Wendy Schaal, Ji-Tu Cumbuka, Ted Gehring, John Lehene, Elizabeth Macey, Susan Vaill.
Anno: 1976.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 5 ottobre 2016

Un medico, un uomo - Randa Haines

La recensione di oggi è dedicata a un film del 1991 che non avevo mai sentito e che mi hanno consigliato: Un medico, un uomo.
La regista è Randa Haines, che non avevo ugualmente mai sentito (e che in effetti ha diretto solo pochi film, nessuno di successo), mentre l’attore protagonista è William Hurt (che viceversa ha avuto una buona carriera: Dark City, Alice, Into the wildThe villageStati di allucinazioneFigli di un dio minore).

Ecco in sintesi la trama di Un medico, un uomo: Jack MacKee è un medico chirurgo di talento, tanto apprezzato quanto arrogante. Ha un’alta opinione di sé, tratta tutti con una certa distanza, compresi la moglie e il figlioletto, per non parlare dei colleghi o dei suoi allievi, ed è fermamente convinto che per essere un buon dottore, e in particolare un buon chirurgo, non serva provare affetto e vicinanza verso i pazienti, e che anzi questo sia un fattore che distrae e che “fa tremare la mano”.

Il suo punto di vista sul rapporto medico-paziente cambierà nettamente però quando lui stesso diverrà paziente per via di un tumore alle corde vocali, che lo metterà a dura prova sia come essere umano sia come professionista.
In tale percorso di cambiamento, sarà aiutato da Jane, una donna con un tumore al cervello in fase avanzata e prossima alla morte.

In breve, tutto Un medico, un uomo sta in queste poche parole e in questi eventi, e la cosa è chiara fin dall’inizio, per così dire: l’elemento rilevante del film non consiste tanto nella trama, tutto sommato assai semplice, quanto nei sentimenti del protagonista, che vengono vissuti “per procura” anche dallo spettatore.

Essenzialmente, stiamo parlando di compassione e di empatia…
… col tutto che, a dirla tutta, diviene un poco noioso e scontato alla lunga, anche perché il passaggio del protagonista, seppur apprezzabile, è assai prevedibile nell'evoluzione e un po' pesante nei modi.

E, tolto tale passaggio-cambiamento del protagonista, rimane un film drammatico su malessere interiore, paura, malattia e disfunzionalità del sistema sanitario.
E per fortuna che il protagonista è un tipo tendente all’umorismo, se no il film sarebbe stato ancora più pesante e noioso, e anzi ciò lo salva da una valutazione ancora più pesante.

Insomma, in conclusione, Un medico, un uomo è un film affatto imperdibile, che ha un valore elusivamente se il passaggio di cui sopra non si è ancora compiuto nello spettatore (medico, magari, o comunque operatore nel campo della salute), che dunque ne beneficerà con la visione.
A parte questo, si tratta di un film drammatico un po' lento e greve su tristezza interiore e malattia esteriore.

Fosco Del Nero



Titolo: Un medico, un uomo (The doctor).
Genere: drammatico.
Regista: Randa Haines.
Attori: William Hurt, Christine Lahti, Elizabeth Perkins, Ken Lerner, Wendy Crewson, Mandy Patinkin, Tony Fields, Charlie Korsmo, Adam Arkin.
Anno: 1991.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 4 ottobre 2016

Oblivion - Joseph Kosinski

La recensione odierna è dedicata al film Oblivion.
Non avevo mai visto niente del regista Joseph Kosinski, anche perché aveva diretto solo un lungometraggio: Tron: Legacy, ossia il seguito del film culto del 1982 Tron… che credo di aver visto molti anni fa, ma che non mi ha lasciato evidentemente un forte segno di sé, tanto che avevo ignorato il suo sequel.

Sono passato direttamente all’opera seconda, dunque, la quale vede un protagonista di spicco: Tom Cruise, affiancato dalle belle Olga Kurylenko e Andrea Riseborough (ognuna a modo suo, e dal mio punto di vista la prima più della seconda) nonché da Morgan Freeman in una parte tutto sommato trascurabile per minutaggio. Stesso discorso di trascurabilità per Nikolaj Coster-Waldau (il Jaime Lannister de Il trono di spade).

Ed ecco la trama supersommaria di Oblivion, film che sin dal suo titolo pone in evidenza una qualche “dimenticanza” (da cui il titolo): siamo all’incirca nel 2070, in ciò che resta della Terra dopo una feroce guerra contro una razza aliena che l’ha invasa, gli Scavenger.
La guerra è stata vinta dagli umani, ma a caro prezzo: il pianeta è per buona parte radioattivo, e quasi tutti ormai si sono trasferiti su Titano, uno dei satelliti di Saturno.
E se è andata male alla Terra, alla Luna è andata ancora peggio, come è facile osservare guardando il cielo, laddove si vede ciò che è rimasto di lei.

In tale scenario post-apocalittico, seguiamo le vicende di Jack Harper e di Victoria Olsen, una coppia di tecnici addetti al controllo di un certo territorio e alla manutenzione di trivelle e robot vari.
Dico trivelle perché l’unica cosa per cui il pianeta è ancora buono è l’idrotrivellazione allo scopo di convertire l’acqua in energia.

Dette delle premesse, veniamo ora al commento del film.
La prima cosa è che il tutto non funziona molto bene: sì, gli effetti speciali ci sono, e si vede che si tratta di una produzione di un certo livello, ma è proprio il livello di coinvolgimento che è scarso e non decolla mai.
Peggio: si ha spesso la sensazione di una sceneggiatura un po’ campata per aria: e non perché Jack e Victoria vivano in un’altissima costruzione posta a 2000 metri di altezza e camminino tranquilli sul balcone in maglietta e si facciano il bagno nella piscina all’aperto nudi pur senza sentire minimamente freddo o vento, ma perché la storia non sta proprio in piedi (e qua preannuncio che faccio un po’ di spoiler): gli umani sopravvissuti vanno in giro conciati da alieni apposta per non farsi riconoscere dal protagonista (che viceversa sa che non vi sono più umani sul pianeta); circolano cani che a rigor di logica non dovrebbero esserci; la suddivisione in zone radioattive e vivibili fa un po’ ridere per la sua ingenuità; Jack incontra un suo doppio e praticamente non batte ciglio, ma anzi inizia a picchiarsi con lui; e soprattutto la megaintelligenza Tet (che non è mai specificato se sia aliena o robotica) si fa mettere nel sacco in modo davvero puerile.

Insomma, Oblivion fa una grande e ambiziosa introduzione… per poi sciogliersi come neve al sole come il film poco originale e un po’ pretenzioso che è.

Senza contare che, pur senza sapere assolutamente niente della trama, fin da subito avevo capito la questione degli “Scavenger” e dell’inganno della base-Tet.

In conclusione, come film Oblivion è davvero poca cosa… che si segnala solamente per essere l’ennesimo film di genere distopico-fantascientifico-futuristico (La fuga di LoganMatrixEquilibriumAeon FluxV per vendettaMetropolisThe islandL’uomo che fuggì dal futuroIn time, I figli degli uominiUltraviolet, etc), tanto che alla fine l’unica cosa curiosa che propone è proprio questa: coma mai tali film hanno così tanto successo da essere prodotti in massa (senza parlare dei libri: 1984Il mondo nuovoLa fattoria degli animaliFahrenheit 451)?
Ognuno risponda come preferisce, sapendo che le cose non avvengono per caso.

Fosco Del Nero



Titolo: Oblivion (Oblivion).
Genere: fantascienza, drammatico.
Regista: Joseph Kosinski.
Attori: Tom Cruise, Olga Kurylenko, Andrea Riseborough, Morgan Freeman, Nikolaj Coster-Waldau,  Melissa Leo, Zoe Bell, Catherine Kim Poon.
Anno: 2013.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.

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