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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 26 maggio 2021

The return of the king - Jules Bass, Arthur Rankin Jr.

Non avevo mai visto The return of the king, il secondo film di animazione diretto dal duo Jules Bass-Arthur Rankin Jr. dedicato al mondo di Tolkien, nonostante in precedenza avessi visto il primo dei suddetti due film, ossia The hobbit (metto i titoli in inglese sia per non confonderli con i più recenti film tratti dalla trilogia de Il signore degli anelli, sia perché al tempo i film d’animazione in questione non sono stati localizzati in italiano, tanto che me li sono visti entrambi in lingua originale con i sottotitoli). 

Peraltro, del duo Jules Bass, Arthur Rankin Jr. avevo visto altri due film d’animazione: l’ottimo L’ultimo unicorno e lo scarso Il volo dei draghi.
Parlando sempre di animazione, e tornando a Tolkien, avevo visto anche la versione animata de Il signore degli anelli girata nel 1978 da Ralph Bakshi, la quale peraltro non è completa in quanto copre solo mezza trilogia, mentre il secondo teorico film non ottenne i finanziamenti necessari.

Quanto a The return of the king, anch’esso non copre tutta la trilogia, come suggerisce lo stesso titolo, che è il titolo del terzo romanzo della saga, ma solo la sua parte finale, preceduta all’inizio da un’introduzione-riassunto che spiega come si è arrivati fin lì.

Quel che segue poi è ben noto, per quanto illustrato in maniera piuttosto differente dal famoso film di Peter Jackson: le battaglie dei guerrieri da un lato, Aragorn, Legolas, Gimli, Gandalf, e i vari regni umani, e la scalata di Frodo sul Monte Fato, assistito dall’amico fraterno Sam e ostacolato da Gollum nonché dalle forze oscure di Sauron.

Il film dura poco più di un’ora e mezza: assai poco confrontato alle versioni recitate de Il signore degli anelli, soprattutto a quelle estese, di durata epocale; ciò da solo illustra quanto il tutto sia piuttosto riassunto e proceda abbastanza veloce, lasciandosi alle spalle molti dettagli del libro originale.

Tra l’altro, proprio come era stato per The hobbit, anche The return of the king ha una componente musicale piuttosto importante: importante per quantità, visto che spunta fuori abbastanza spesso, ma anche per qualità, visto che le canzoni e le musiche riescono a immergere bene lo spettatore nell’atmosfera del film.
Anche per via del commento sonoro, i film animati di Jules Bass e Arthur Rankin Jr. possiedono un tono avventuroso e fantasy maggiore rispetto al dirimpettaio animato di Bakshi, che dal canto suo ha un’energia più intensa (quando lo vidi da bambino mi spaventò, per dire).

Di mio, ho gradito ambo le opere, e anzi col senno di poi ho il dispiacere che nessuna delle due sia completa rispetto alla saga de Il signore degli anelli: né il film monco di Bakshi né le avventure parziali di Bass-Rankin.
Un peccato, ma comunque entrambe le produzioni  rimangono quali buoni esempi dell’animazione dell’epoca, da cui si potrebbe pure prendere spunto per realizzare animazioni moderne; certamente più avanzate dal punto di vista tecnologico, ma con quel tipo di atmosfera.

Fosco Del Nero



Titolo: The return of the king (The return of the king).
Genere: fantasy, avventura, drammatico, musicale.
Regista: James Gunn.
Anno: 1980.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui



martedì 25 maggio 2021

Paura e delirio a Las Vegas - Terry Gilliam

Oggi siamo qui con Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam, film diretto nel 1998 e ispirato al libro Paura e disgusto a Las Vegas di Hunter S. Thompson.
 
Praticamente da sempre sono un grande fan di Terry Gilliam, in primo luogo per la sua lunga militanza tra i Monty Pithon e in secondo luogo per la sua attività di regista, con film sempre originali e sovente anche didattici.
Il mio preferito resta il film culto Brazil, ma nella mia classifica si piazzano bene anche L'esercito delle dodici scimmieLe avventure del Barone di MunchausenParnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo e The zero theorem - Tutto è vanità. Men che sufficienti I banditi del tempoLa leggenda del re pescatore e Jabberwocky, mentre proprio non mi era piaciuto Tideland - Il mondo capovolto

… che finora era l’unico vero e proprio fiasco, dal mio punto di vista, del regista statunitense-britannico; con oggi lo segue anche Paura e delirio a Las Vegas.

Ma andiamo con ordine, partendo con la trama di Paura e delirio a Las Vegas: siamo nel 1971, e il giornalista Raoul Duke (Johnny Depp) viene incaricato dal suo giornale di scrivere un pezzo sulla gara motociclistica Mint 400, che si svolge nel deserto intorno a Las Vegas. Vi si recherà insieme al Dott. Gonzo (Benicio Del Toro), un corpulento samoano che gli fa da avvocato, oltre che da amico e compare di bevute e di droghe.
Droghe, al plurale, perché i due provano di tutto e di più, rendendo il loro viaggio una sorta di esperienza folle e allucinogena. Va da sé che il servizio salta, ma poco dopo si rende disponibile un altro servizio: un convegno formativo sulle droghe indetto dalla polizia. Il risultato non sarà troppo dissimile...
Durante il loro viaggio, viaggio in ogni senso, incontrano alcuni personaggi, tra cui spiccano un ragazzo autostoppista (Tobey Maguire), una giornalista televisiva (Cameron Diaz) e una pittrice (Christina Ricci).

Questa è la prima cosa che salta all’occhio: il film ha un grande cast di attori, principali e secondari, e probabilmente con i 18 milioni di budget ha pagato gli attori e poco altro. 
Tuttavia, il suo essere malriuscito gli ha fatto incassare appena 10 milioni, andando dunque in forte passivo.

Mettendo da parte i numeri, che comunque rivelano qualcosa, occorre dire che Paura e delirio a Las Vegas è, semplicemente, un esperimento mal concepito e realizzato: va bene il gusto per il grottesco, va bene anche l’effetto delle droghe ogni tanto, ma l’intero film è un susseguirsi di follia, e il meno che accade è maleducazione e imbroglio. Senza contare che è riuscito nell’invidiabile intendo di rendere brutti al contempo Johnny Depp, Benicio Del Toro, Tobey Maguire e Christina Ricci: un record invidiabile per un solo film. Tra la sgradevolezza visiva e la parlata sincopata che affligge l’intero film, i personaggi in questione arrivano vicino all’essere insopportabili.

Senza contare che, alla fine della fiera, non c’è una trama, ma solo un lungo viaggio, a metà in acido e a metà in automobile… e a volte le cose si sovrappongono (una delle tante cose diseducative dell'opera).

L’unica menzione positiva riguarda, dal mio punto di vista, qualche accenno interessante che fa il regista a tematiche esistenzial/invisibili, certamente non nuove nei suoi film, che anzi sovente ne son caratterizzati. Le propongo di seguito, pur senza commentarle.

“Mi trovato al centro di un rettiliario del cazzo, e qualcuno stava dando da bere a quei maledetti cosi. Tra non molto ci avrebbero fatto a brandelli.”
Su questo punto, aggiungo quattro elementi: il primo è che nella suddetta scena il protagonista vede i suddetti rettili in una sorta di lago di sangue, mentre fanno sesso orgiastico tra di loro (...). La seconda è che nella storia c’è un personaggio chiamato Lacerta (...). La terza è che in un certo momento uno dei due protagonisti vede l’altro con gli occhi rettiliani e con le corna (...). La quarta è che in un altro momento uno dei due cammina con un’enorme coda da rettile attaccata dietro (...). Un quartetto di elementi certamente non casuale.

“Vitamina C: più ne prendiamo, meglio è.”

“La giusta fine degli anni ''60: Alì battuto da un hamburger umano.”
“Due Kennedy uccisi dai mutanti.”

“Non avvicinarti all'ascensore, è questo che vogliono dai noi: intrappolarci in una scatola di metallo per poi portarci nel sottosuolo.”

“Cosa stavo facendo lì?
Che significato aveva quel viaggio?”

 “Puoi correre, ma non puoi nasconderti.”

“Ecco come val il mondo: tutta l’energia fluisce secondo i capricci della grande calamita.”

“Certe persone sono fondamentalmente marce.”

“Sii padrone di te, controllati.”

“Tu sei qui.
Lascia la paura e il disgusto.”

In effetti, pur nel marasma del grottesco e delle follia, nel film vi sono degli elementi interessanti, e il viaggio fisico e psichedelico del protagonista può ben esser rapportato metaforicamente al viaggio esistenziale dell’essere umano, irto di difficoltà, soggetto a manipolazioni e illusioni e allucinazioni (d’altronde, parliamo del regista che ha diretto BrazilL’esercito delle dodici scimmie e The zero theorem)… ma rimane il fatto che il film è brutto, al di là del suo significato simbolico. Per cui io vi dico ambo le cose e  poi vedete voi se vi va di vederlo.

Ultima considerazione, questa davvero poco edificante: nel film è citata la droga adrenocromo (ossia sangue con una reazione adrenalinica in corso), associata ai riti del satanismo e all’estrazione da un corpo umano vivente dopo ch’esso ha provato un’intensa paura, se non proprio terrore… proprio come secondo si dice che avvenga nei circoli satanisti e pedofili (nello stesso film il personaggio che fornisce la suddetta droga è accusato di molestie ai bambini… mentre un altro personaggio, dopo l'assunzione di tale droga, si trasforma in una sorta di Bafometto vivente).
Riguardo all'adrenocromo, nel film vien detto: “C'è un solo modo di procurarselo: dalle ghiandole dell'adrenalina di un corpo umano vivente”.
E anche: “Quello non aveva soldi per pagarmi. Mi ha offerto del sangue umano e ha detto che mi avrebbe fatto viaggiare come mai in vita mia”. L'individuo che ha pagato il protagonista con l'adrenocromo, dal canto suo, vien definito come un “fanatico satanista”.
Il film è divenuto noto, in certi ambienti di ricerca, proprio per tale motivo; ancora una volta, considerando il regista, tali elementi paiono non essere casuali.

In sintesi, in Paura e delirio a Las Vegas vengono tirati in ballo le droghe, Charles Manson, i pipistrelli, i rettili, il bere il sangue umano, i nazisti, la prostituzione, i tunnel sotterranei: difficile ritenere che si tratti di una miscellanea del tutto accidentale.
Se per un verso il film è davvero brutto, per un altro verso sembra un film di denuncia (per quanto meno evidente rispetto a quel ch'è stato Eyes wide shut, il quale infatti è costato la vita al suo autore).

Fosco Del Nero



Titolo: Paura e delirio a Las Vegas (Fear and loathing in Las Vegas).
Genere: grottesco, drammatico.
Regista: Terry Gilliam.
Attori: Johnny Depp, Benicio Del Toro, Tobey Maguire, Ellen Barkin, Gary Busey, Christina Ricci, Mark Harmon, Cameron Diaz, Katherine Helmond, Michael Jeter, Penn Jillette.
Anno: 1998.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui



mercoledì 19 maggio 2021

Guardiani della galassia - Volume 2 - James Gunn

Raramente mi è capitato di vedere un secondo episodio tanto peggiore rispetto al suo predecessore, e dire che il cinema è pieno di esempi di questo tipo, e dire che Guardiani della galassia - Volume 2 non doveva raccogliere un’eredità pesantissima quale quella di un Alien, di un Ritorno al futuro, di un Il signore degli anelli, di un Blade runner, ma semplicemente replicare un discreto film di fantascienza d’azione.

Beh, missione fallita, occorre dire.
Difatti, mentre il primo Guardiani della galassia, pur senza avere pretese colossali o senza vantare alcuna originalità, si distingueva per dei personaggi ben caratterizzati, per un umorismo brillante, per il dinamismo e per la bellezza visiva, di tali elementi purtroppo son rimasti, nel secondo episodio, solamente gli ultimi due; mentre i personaggi son divenuti delle macchiette, a cui si sono aggiunte altre macchiette sotto forma di personaggi nuovi, e l’umorismo è divenuto davvero pacchiano e grossolano, con una caduta di stile difficile da spiegare se non quella della ricerca di un target di pubblico ancora più popolano e largo.
Il ricorso a vecchie salme del cinema hollywoodiano come Kurt Russell (e lui passi ancora) e Sylvester Stallone (e lui proprio no) si iscrive in tale ricerca del sensazionalismo, tipica dei film che hanno pochi contenuti proprio da offrire (alla lista degli attori “navigati” aggiungiamo anche le piccolissime parti di Glenn Close e Benicio Del Toro).

A proposito dei contenuti propri, mentre il primo film si dichiarava esplicitamente debitore dei moderni film di Star trek, di cui è quasi un copia e incolla (con tanto di uno degli attori protagonisti in comune, ossia Zoe Saldana), Guardiani della galassia - Volume 2 diviene citazionista ai limiti del plagio, persino nei nomi: c’è la Sovereign di Mass effect (epopea fantascientifica a cui Guardiani della galassia non può neanche allacciare i lacci delle scarpe), c’è Ayesha de La donna eterna di Rider Haggard, c’è Ravager, personaggio di un fumetto Marvel, c’è Adam, le cui origini non hanno bisogno di essere spiegate, e c’è una divinità vivace e guascona di nome Ego che ricorda da vicino la figura di Zeus.

Detto della scarsa originalità e della scarsa qualità di Guardiani della galassia - Volume 2, andiamo a tratteggiarne la trama: il quintetto Peter Quill/Star-Lord, Gamora, Drax, Rocket e Groot, formatosi nel corso della prima avventura e ora divenuto una sorta di gruppo-famiglia, è alle prese con i Sovereign, razza aliena che ha loro commissionato un compito e che li rimunera consegnando loro Nebula, sorellastra di Gamora. Peccato che poco tempo dopo gli stessi Sovereign attacchino la nave del gruppo misto in quanto Rocket ha rubato alcune cose di valore.
Peter e amici vengono salvati da un misterioso uomo, che si rivela essere Ego, nientemeno che il padre scomparso di Peter, il quale non è un uomo qualunque, ma un celestiale, sorta di semi-divinità… che ha bisogno di Peter per una faccenduola…

Guardiani della galassia - Volume 2 è pacchiano in tutti i sensi: la trama è sconclusionata, i personaggi son divenuti macchie di se stessi, l’umorismo è diventato grossolano… davvero un peccato: il primo episodio non era certo un capolavoro imperdibile del cinema, ma era vivace e divertente, con un bell’umorismo ironico. Un po’ pesante, alla lunga, anche il continuo ricorso alla musica degli anni “80, piuttosto stridente con l’ambientazione fantascientifica.
Si salvano gli effetti speciali, ma solo quelli.

Fosco Del Nero



Titolo: Guardiani della galassia – Volume 2 (Guardians of the galaxy 2).
Genere: fantascienza, commedia, avventura, azione.
Regista: James Gunn.
Attori:  Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista,  Michael Rooker, Karen Gillan, Sylvester Stallone, Kurt Russell, Glenn Close, Benicio Del Toro, Sean Gunn, Chris Sullivan, Elizabeth Debicki.
Anno: 2017.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.



martedì 18 maggio 2021

American trip - Danny Leiner

Pur essendo da sempre appassionato di commedie e comicità, e non a caso fin da ragazzino grande fruitore di sit-com, non ho mai avuto tendenza verso il cinema demenziale, perché normalmente esso si dirige verso stupidità e volgarità.
Vi sono tuttavia delle eccezioni, legate non tanto al genere, quanto all’animo con cui un prodotto viene realizzato: una di queste è il film Fatti, strafatti e strafighe, che adoro letteralmente e che ho visto numerose volte, trovandolo sempre divertente e delizioso. Stupido e insensato, naturalmente, ma stupidamente delizioso.

A distanza di molto tempo ho voluto così dare una chance ad American trip, l’unico altro film diretto dal medesimo regista, Danny Leiner… che a quanto pare con i due suddetti film non ha avuto molto successo.
Questo suo secondo e ultimo lavoro tuttavia a una prima occhiata mi sembrava pendere dal lato più pacchiano della demenzialità… ma non avendo altri pretendenti a disposizione mi sono adattato.

Ecco la tram di American trip (da non confondere con Road trip, film giovanile anch’esso semi-demenziale): Harold Lee (il bravo John Cho, già visto nella serie televisiva Flashforward, in Solaris e negli ultimi film di Star trek) e Kumar Patel (Kal Penn, lui a me sconosciuto) sono due coinquilini e amici con una passione in comune: la marijuana. Tuttavia, i due son molto diversi caratterialmente: il primo è più posato, lavora in banca, è riservato e timido con le ragazze, mentre il secondo è irresponsabile e disinvolto.
Una sera, proprio mentre stanno fumando dell’erba, vedono in tv la pubblicità di un fast food, tale White Castle, e desiderano in modo spasmodico andarci. Si mettono così in macchina, non sapendo che quello sarà il viaggio più folle della loro vita.

E anche della vita degli spettatori, molto probabilmente.
American trip in effetti non risparmia nulla, o quasi nulla, al suo spettatore, rivelandosi esattamente quel che mi aspettavo: un prodotto meno elegante e pulito di Fatti, strafatti e strafighe, che aveva una sua bellezza sia visiva sia scenica ma anche interiore, ma che comunque si presenta rutilante e dinamico, letteralmente stracolmo di personaggi bizzarri o inquietanti… o entrambe le cose assieme. In questo non lascia tregua a chi lo guarda, anche in scene apparentemente trascurabili, come il vecchio uomo anziano che in una sala d’attesa cerca di sfiorare il mignolo di uno dei due protagonisti, sedutogli accanto. E vi risparmio la descrizione del personaggio di Agonia, che da solo giustifica qualcosa, ma non so bene se la visione o la non visione del film, ma che in ogni caso rimarrà impresso nella vostra memoria.

American trip rispetto al suo predecessore risulta molto più popolare e rozzo, in ogni senso, comprese regia e fotografia, non so se per scelta o per minor fortuna nelle riprese… tuttavia, mentre Fatti, strafatti e strafighe è finito lì, American trip ha avuto ben due seguiti, seppur non diretti da Danny Leiner.
Io avrei fatto il contrario, ma pazienza.

Due curiosità: nel film c’è un cameo di Neil Patrick Harris, attore non tanto noto in Italia ma molto popolare in America, protagonista di film come Starship Troopers - Fanteria dello spazio o di serie tv come How I met your mother, nei panni di sé stesso; c’è inoltre in una piccola parte Eddie Kaye Thomas, ossia uno dei protagonisti di American pie, mentre in Fatti e strafatti e strafighe c’era invece Seann William Scott, altro protagonista di American pie, a conferma del genere demenziale dei suddetti film.

Buon viaggio nel caso… e state attenti ad Agonia.

Fosco Del Nero



Titolo: American trip - Il primo viaggio non si scorda mai (Harold & Kumar go to White Castle).
Genere: comico, demenziale.
Regista: Danny Leiner.
Attori: John Cho, Kal Penn, Paula Garcés, Neil Patrick Harris, David Krumholtz, Eddie Kaye Thomas, Christopher Meloni, Fred Willard, Sandy Jobin-Bevans, Ethan Embry, Anthony Anderson.
Anno: 2004.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 12 maggio 2021

Due sotto il divano - Ronald Neame

Sono arrivato a Due sotto il divano dalla filmografia di Ronald Neame, già visto ne Il giardino di gesso ma soprattutto ne La strana voglia di Jean: nel primo la protagonista era la giovanissima Hayley Mills, nel secondo la già matura Maggie Smith, mentre in questo terzo film il protagonista è un uomo, Walter Matthau.

Il film è diventato un classico della commedia, tuttavia poco noto in Italia, forse anche per via di un titolo ridicolo, che non solo non corrisponde al titolo inglese, ma che non ha alcuna attinenza nemmeno con la sceneggiatura originale, che nel doppiaggio italiano è riferito a un dialogo tra i protagonisti che tuttavia manca nei dialoghi originali.
La cosa è doppiamente ridicola in quanto parrebbe un titolo ammiccante, mentre al contrario il film si presenta assai sobrio ed elegante, peraltro infarcito di musica classica, Mozart soprattutto, ma anche Rossini e Puccini, cosa che gli dà un’eleganza d’altri tempi… quei tempi che stavano morendo per l’appunto in quel periodo, cedendo il passo a prodotti cinematografici di diverso stile.

Peraltro, Walter Matthau era un melomane anche nella realtà, per la cronaca.

Ecco la trama sommaria di Due sotto il divano: l’agente della CIA Miles Kendig (Walter Matthau; Prima pagina, Lo strizzacervelli) viene declassato da agente sul campo ad archivista dal suo nuovo capo Myerson, un ometto un po’ ottuso ma al contempo tronfio, e sostituito con il suo allievo Joe Cutter, ben più giovane di lui.
Kendig non ci sta, e per vendicarsi mette su un piano mica da ridere: come prima cosa se ne va a Salisburgo, dalla sua vecchia fiamma Isobel Von Schonenber (Glenda Jackson), e poi si mette a scrivere le sue memorie, che intende consegnare a un editore una volta completate, che mettono particolarmente in ridicolo il suo capo e che inizia a spedire alle varie ambasciate del mondo, agitando varie agenzie di servizi segreti, in primis quella americana, che si muove per rintracciare l’uomo e per zittirlo a ogni costo.
Miles Kendig è però un agente navigato che sa il fatto suo, ed è sempre un passo avanti ai suoi rivali, americani o russi che siano. 

Due sotto il divano è un film d’indubbio valore: dinamico nel ritmo ma anche nei dialoghi, propone un umorismo garbato ed è arricchito da una certa dose di bellezza: la colonna sonora composta da ottima musica classica, i panorami americani ed europei, nonché alcuni personaggi ben caratterizzati.

Quel tipo di commedia che, almeno per ora, è uscita di scena dal panorama cinematografico, cedendo il passo a prodotti ben più commerciali e popolari. 

Poco male: chi vorrà potrà sempre recuperarsi sia Due sotto il divano sia gli altri film di Ronald Neame nonché quelli di altri meritevoli registi del passato.

Fosco Del Nero



Titolo: Due sotto il divano (Hopscotch).
Genere: commedia, avventura.
Regista: Ronald Neame.
Attori: Walter Matthau, Glenda Jackson, Sam Waterston, Herbert Lom, Lucy Saroyan, Ned Beatty, David Matthau, George Baker. 
Anno: 1980.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 11 maggio 2021

Eclipse - The Twilight saga 3 - David Slade

Anni fa avevo visto il primo Twilight, ed anche il suo seguito, New moon, ma mi ero fermato lì poiché avevo ritenuto che il primo film, sufficiente-discreto ma niente di più, avesse preso col secondo una deriva piuttosto melodrammatica e infantile, senza contare che le libertà prese sulle figure narrative dei vampiri e dei licantropi stavano divenendo troppe per i miei gusti.

Solo adesso ho avuto il coraggio di vedermi anche il terzo film della saga, Eclipse.

Ecco la sua trama sommaria: le questioni sono sempre le stesse dei primi due film. Da un lato Bella deve dipanare la matassa delle sue infatuazioni, tra Edward e Jacob, e dall’altro lato Victoria la sta ancora cercando per ucciderla e vendicarsi di lei ed Edward.
Stavolta però la vampira dissidente sceglie un piano indiretto, e inizia a crearsi una sorta di banda-piccolo esercito di nuovi vampiri, che ammazzano in quantità esseri umani e attirano le attenzioni sia dei Cullen che dei Volturi (i Volturi sono il terzo elemento di dubbio-criticità della storia, per l’appunto).
Ancora una volta, dunque, Edward deve proteggere Bella, aiutato anche da Jacob e dai licantropi, ma deve proteggerla anche dalle avance di Jacob stesso, con Bella che pare a tratti oscillare e sbandare.

Senza farla troppo lunga, Eclipse è quasi fatto a "copia e incolla", e ripropone gli stessi schemi e temi dei primi due film… che peraltro risultavano un po’ ripetitivi per conto loro senza bisogno di farci un’altra aggiunta. 
In sintesi:
- Bella è attratta sia dal vampiro che dal lupo mannaro (niente ragazzi normale per lei),
- i vampiri e i licantropi si guardano in cagnesco per tutto il tempo (soprattutto i secondi), 
- la vampira del primo film, Victoria, intende ancora vendicarsi di Bella (vuole tener fede al suo nome),
- i Volturi sono insidiosi (anch'essi desiderano tener fede al proprio nome),
- Bella ha bisogno di essere difesa (le belle d'altronde hanno sempre avuto bisogno di un cavaliere che le difendesse),
- Bella vuole essere trasformata ma Edward non vuole (secondo il classico dilemma "vengo anch'io, no tu no").

Poco originale, dunque, e quel che è peggio è che rispetto al primo film, che aveva quantomeno una sua freschezza, qua il tono si fa via via più melodrammatico e pesante, e la storia è infarcita di criticità di sceneggiatura.
Ad esempio:
- i vampiri giovani sono più forti dei vampiri vecchi (almeno a parole; nei fatti però succede il contrario),
- Bella va in montagna tra la neve e le bufere, e ci va vestita leggerina (per di più, indossa la camicia con le maniche rimboccate; forse è troppo distratta da quei bei ragazzi per srotolarsele), costringendo così il licantropo Jacob, caldissimo, a tenerle caldo abbracciandola di fronte al fidanzato Edward, freddissimo e gelosissimo.
- molte scelte dei personaggi sono sia discutibili che poco intelligenti (per esempio, è senza senso l’attrazione fisica per un corpo freddo come un cadavere), come il fatto di dividersi continuamente, ma capisco che con delle scelte sensate non avrebbe potuto svilupparsi una storia così avventurosa.

Insomma, tolta la freschezza-tenerezza del primo film, in Eclipse rimane solo un melodramma su larga scala. 

In avvio di articolo ho scritto che avevo avuto il coraggio di vedermi il terzo film della saga; bene, il mio coraggio si ferma qui.

Fosco Del Nero



Titolo: Perfect sense (Perfect sense).
Genere: drammatico, sentimentale, fantastico.
Regista:  David Mackenzie.
Attori: Ewan McGregor, Eva Green, Connie Nielsen, Ewen Bremner, Stephen Dillane, Denis Lawson, Alastair Mackenzie, James Watson, Shabana Akhtar Bakhsh, Caroline Paterson.
Anno: 2011.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 5 maggio 2021

Perfect sense - David Mackenzie

Perfect sense non corrisponde esattamente al mio genere di film ideale, col suo carico di dramma così pesante, ma intendo comunque premiarlo in quanto storia assai originale, che prende le mosse da un’idea che non ho mai letto né visto in alcuna opera: segno che è ancora possibile realizzare lavori innovativi e brillanti.

Ecco la trama sommaria di Perfect sense, film diretto nel 2011 dal regista David Mackenzie (di cui finora ho avevo recensito il solo Spread, film segnalatosi purtroppo in negativo, pur avendo il merito di evidenziare il senso di vuoto interiore): in un futuro prossimo, il mondo conosce una crisi generale, non derivante tuttavia da qualche guerra o da qualche depressione economica, ma da quella che sembra un’epidemia, per quanto difficile da inquadrare e da affrontare: le persone stanno man mano perdendo il senso dell’olfatto. Si segnalano casi in tutto il mondo, e si occupa del fenomeno anche l’epidemiologa Susan (Eva Green; The dreamers - I sognatoriSin City  - Una donna per cui uccidereFranklynLa bussola d’oroArsenio LupinDark shadowMiss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali), la quale proprio in quel periodo in quel di Glasgow conosce il cuoco Michael (Ewan McGregor; TrainspottingSogni e delittiPiccoli omicidi tra amiciMoulin RougeL’uomo che fissa le capreBig fishStar wars 1 - La minaccia fantasmaThe islandStay - Nel labirinto della mente, Il cacciatore di giganti).
Dopo che tutti hanno perso l’olfatto, sorge il dilemma: è l’unico senso coinvolto o verranno persi anche gli altri? Quando la gente inizia a perdere anche il senso del gusto, iniziano i problemi sociali: devastazioni, violenza, sciacallaggio… mentre altri cercano di andare avanti al meglio,  mentre Susan e Michael vivono la loro storia d’amore un po’ particolare.

Sono arrivato a Perfect sense dalla filmografia di Eva Green, che non solo è molto bella e ancor più affascinante che bella, ma è anche una grande attrice, e inoltre sa scegliere bene i copioni cui aderire, come mostra il suo curriculum di film di valore ormai corposo. In Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali, ad esempio, è uno spettacolo, soprattutto in lingua originale.
Ewan McGregor è ugualmente uno dei miei attori preferiti, sin dai tempi di Trainspotting, passando per la saga di Star wars
Contando inoltre la trama intrigante del film, che lo vedessi era quasi scontato. 

Il film, peraltro, è una produzione prettamente nordica: Germania, Regno Unito, Danimarca e Svezia. E ambientato a Glasgow, in Scozia, come detto.

Nonostante i temi pesanti, Perfect sense è un bel film.
Avrebbe potuto avere persino un valore didattico se il collegamento tra le emozioni e la scomparsa dei sensi fosse stato ben indirizzato, mentre al contrario è rimasto sul casuale, compresa anche un’emozione negativa: tristezza, gola, rabbia, felicità. Ci sarebbe voluto un esperto di tematiche esistenziali e di connessione tra organi fisici, sensi ed energie interiori. 
Peccato. 

Rimane comunque un film originale e godibile, per quanto certamente non allegro, e con qualche spunto valido al suo interno.

“C’è l’oscurità e c’è la luce; ci sono gli uomini e le donne.”

“Non mi chiedi perché non sono venuta a lavoro?”
“Eri malata.”
“Non malata, infelice.”
“È la stessa cosa.”

“Le persone fanno il meglio che possono.”

Fosco Del Nero



Titolo: Perfect sense (Perfect sense).
Genere: drammatico, sentimentale, fantastico.
Regista:  David Mackenzie.
Attori: Ewan McGregor, Eva Green, Connie Nielsen, Ewen Bremner, Stephen Dillane, Denis Lawson, Alastair Mackenzie, James Watson, Shabana Akhtar Bakhsh, Caroline Paterson.
Anno: 2011.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui



martedì 4 maggio 2021

Guai con gli angeli - Ida Lupino

Guai con gli angeli è il quinto film di Hayley Mills che vedo, dopo i più famosi F.B.I. - Operazione gattoIl cowboy con il velo da sposaIl segreto di PollyannaIl giardino di gesso e Magia d’estate. I primi tre, in particolare, le assicurarono al tempo un grande successo, andato poi scemando col tempo. 

In effetti, questo stesso Guai con gli angeli è opera di qualità nettamente inferiore alla media dei suddetti film e rappresenta tale parabola discendente (cosa curiosa, comunque, visto che al tempo l’attrice era ancora una ragazzina).

Ma andiamo a tratteggiare la trama di Guai con gli angeli: Mary Clancy  è un’adolescente ribelle che finisce in un collegio femminile gestito da suore, il San Francis College, il quale è diretto dalla Madre Superiora Rosalind Russell, donna di grande pazienza e di ferrei principi.
Mary, ragazza vivace e irrequieta, ne combinerà una dietro l’altra insieme alla sua amica Rachel Devery, con la quale collezionerà una serie di punizioni piuttosto notevole.
Non si arriva allo scontro diretto tipico di altri film similari in quanto il film è una commedia pulita e tutto sommato tenera, tipica di quegli anni (il film è del 1966), ma lo scontro tra Mary e la Madre Superiora avrà un esito alquanto inaspettato…
… e assai poco convincente, se posso permettermi un commento.

Essenzialmente, tutto il film si basa sulla graziosità di Hayley Mills, e anche di qualche sua collega attrice/studentessa, nonché sul vivace rapporto con il corpus di suore, Madre Superiora in primis. 
Pochino, in effetti, per farne un grande film, ma abbastanza per farne un prodotto gradevole, impreziosito dall’eleganza e dalla bellezza di quei tempi: costumi, acconciature, eloquio… un’eleganza che purtroppo si è perduta nei cinque-sei decenni che ormai separano quel film dal presente.

Guai con gli angeli in sé non è un prodotto imperdibile, e forse non varrebbe nemmeno la sufficienza, che tuttavia gli attribuisco proprio per tale bellezza di fondo, dovuta non tanto al film quanto all’atmosfera e allo stile di quel periodo.

Quando alla graziosa, dolce e vivace Hayley Mills, credo che mi vedrò Questo difficile amore, che leggo essere il suo ultimo film di buon livello, e forse dopo interromperò questa mia piccola biografia cinematografica. 

Fosco Del Nero



Titolo: Guai con gli angeli (The trouble with angels).
Genere: commedia.
Regista:  Ida Lupino .
Attori: Rosalind Russell, Hayley Mills, Binnie Barnes, Gipsy Rose Lee, June Harding, Camilla Sparv, Mary Wickes, Marge Redmond, Dolores Sutton, Margalo Gillmore.
Anno: 1966.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



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