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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 28 dicembre 2016

Stripes - Un plotone di svitati - Ivan Reitman

Il trio Bill Murray-Harold Ramis-Ivan Reitman, il primo attore, il secondo attore e regista, e il terzo regista, ha prodotto (solitamente abbinati l’uno all’altro, o magari girati di posto, con Ramis a volte attore e a volte regista) cose davvero ispirate negli anni "80, rimanendo letteralmente nella storia del cinema per film come Ghostbusters o Ricomincio da capo.

Ecco perché ogni tanto vado a vedermi qualche loro vecchio film, inevitabilmente meno famoso…

… e per un buon motivo, spesso, giacché i personaggi in questione hanno realizzato anche prodotti davvero mediocri, per usare un aggettivo quasi elogiativo, per non dire proprio demenziali, come il film recensito oggi: Stripes - Un plotone di svitati.
Che si aggiunge peraltro ad altri film davvero scarsi, come Polpette, Palla da golf, etc.

Vabbè, non può essere tutto oro…

Giacché ci siamo aggiungo peraltro che al gruppetto a volte si aggiungono altri personaggi assai famosi in quella decade statunitense, come John Candy (Io e zio Buck) o come Dan Aykroyd (un altro “acchiappafantasmi”, noto anche come "blues brother").

Ma ecco la trama di Stripes - Un plotone di svitati: John Winger (Bill Murray) è una specie di sbandato, non ha uno scopo nella vita e non riesce a tenersi lavoro e donna… ragion per cui, nel cercare di dare una svolta alla sua esistenza, decide di arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti, e coinvolge in tale impresa il suo amico Russell Ziskey (Harold Ramis), più posato e intellettuale, mentre John è il classico guascone combinaguai.

E si viene a creare una combinazione poco felice, una volta arruolatosi, con il sergente Hulka, a sua volta il tipico sergente di ferro dell’esercito.

Questo è il motivo per cui il corso di addestramento non va poi così tanto bene (anche perché i due si distraggono spesso con due ragazze conosciute sul posto), tanto che l’intero gruppo rischia di doverlo ripetere… a meno che un certo evento non vada davvero bene.

La trama è davvero semplice, e in essenza il film si regge tutto sulle battute e sulle improvvisazioni di Murray e dei suoi sparring partner… risultando però davvero meno efficace di altri prodotti similari, forse più strutturati e brillanti, in cui tali improvvisazioni avevano una ragione d’essere in quanto impreziosivano, senza però dover per forza essere esse stesse l’essenza del film.

Stando così le cose, Stripes - Un plotone di svitati di Ivan Reitman è un filmetto davvero da poco, che oscilla tra comico e demenziale, e oscilla male a mio avviso, con Bill Murray davvero sprecato per quello che in seguito ha dimostrato di saper fare.

Insomma, piuttosto meglio rivedersi Ghostbuster per la dodicesima volta…

Fosco Del Nero



Titolo: Stripes - Un plotone di svitati (Stripes).
Genere: comico.
Regista: Ivan Reitman.
Attori: Bill Murray, Harold Ramis, John Candy, Warren Oates, Sean Young, Judge Reinhold, Roberta Leighton, Dave Thomas, Timothy Busfield, John Diehl, John Larroquette, P.J. Soles.
Anno: 1981.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.

martedì 27 dicembre 2016

Sin City - Una donna per cui uccidere - Frank Miller, Robert Rodríguez

Anni fa avevo recensito Sin City, l’esperimento cinematografico targato Robert Rodriguez-Frank Miller, adattamento visivo della graphic novel omonima…

… piuttosto ben riuscito, e anzi vero e proprio gioiello per gli occhi.  
Il ricco cast, tra l’altro (tra gli altri, Jessica Alba, Rosario Dawson, Elijah Wood, Bruce Willis, Benicio Del Toro, Brittany Murphy, Clive Owen, Mickey Rourke, etc), risultava una componente ulteriore di bellezza e bravura, col tutto che, perfettamente eseguito, lasciava un solo margine di dubbio: al singolo spettatore piace quello stile mix di azione, dramma, sentimenti, splatter e senso del grottesco.

A me era piaciuto, da cui la visione di questo secondo episodio, che peraltro si è fatto attendere per ben nove anni, complici problemi vari di budget.

I registi sono i medesimi due, e il cast è in parte confermato: ci sono Mickey Rourke (Rusty il selvaggio, 9 settimane e ½, Orchidea selvaggia, Sin City), Jessica Alba (Sin City, Tutte pazze per CharlieLove guru, I fantastici quattro), Rosario Dawson (Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo, Sette anime, Men in black 2), Bruce Willis (L'esercito delle dodici scimmie, Il mondo dei replicanti, FBI - Protezione testimoniIl quinto elemento, La morte ti fa bella, Faccia a faccia), mentre tra i “nuovi” si fanno notare i bravi Eva Green (Dark shadows, La bussola d'oro, The Dreamers - I sognatoriCasino royale), Joseph Gordon-Levitt (500 giorni insieme, Inception, Looper - In fuga dal passato, Una famiglia del terzo tipo), la prima solita femme fatale (stavolta più fatale che mai, e più spogliata che mai), il secondo il solito giovane uomo di talento.

Il film è suddiviso in quattro episodi, che come facilmente intuibile si mischiano per personaggi e ambientazioni, risultando qualcuno più efficace e qualcuno meno efficace.
Nel dettaglio, tali episodi sono i seguenti quattro:
- Una donna per cui uccidere,
- Solo un altro sabato sera,
- Quella lunga, brutta notte,
- La grossa sconfitta.

Per farla breve, tra di essi ho preferito il primo episodio, anche perché tra i vari personaggi quello di Mickey Rourke e quello di Eva Green bucano proprio lo schermo, e in esso sono presenti entrambi… mentre non mi ha convinto il finale dell’episodio con protagonista Joseph Gordon-Levitt, ma era quello, per cui tant’è.

Nel complesso, Sin City - Una donna per cui uccidere mi è piaciuto, e non poteva essere altrimenti considerando la mole di bellezza visiva che propone, nonché il talento che c’è dentro...
… ma questo seguito senmplicemente non è all’altezza del primo film, da cui la valutazione meno elogiativa.

Comunque, sono certo che chi ha apprezzato il primo Sin City si sarà guardato anche Sin City - Una donna per cui uccidere.

Fosco Del Nero



Titolo: Sin City - Una donna per cui uccidere (Sin City: a dame to kill for).
Genere: drammatico, sentimentale, azione, grottesco.
Regista: Frank Miller, Robert Rodríguez.
Attori: Mickey Rourke, Jessica Alba, Eva Green, Joseph Gordon-Levitt, Josh Brolin, Rosario Dawson, Bruce Willis, Powers Boothe, Dennis Haysbert, Ray Liotta, Stacy Keach, Jaime King, Christopher Lloyd.
Anno: 2014.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 20 dicembre 2016

La guerra dei mondi - Byron Haskin

Ogni tanto mi guardo qualche vecchissimo film, e con vecchissimo intendo proprio vecchissimo, degli albori del cinema.
Finora i film più antichi che ho visto sono stati i classici Metropolis e Faust
… e quest’oggi segue un altro grande classico (che segue a sua volta un altro classico: Il signore delle mosche), per quanto non così vetusto: il celeberrimo La guerra dei mondi tratto dal romanzo di Herbert Wells, che peraltro è stato rimesso su schermo anche in tempi recenti, nel 2005 (il La guerra dei mondi con protagonisti Tom Cruise e Dakota Fannig).

Il remake spielberghiano-cruisiano non mi aveva entusiasmato troppo, tanto da avere una valutazione nettamente mediocre, mentre speravo vivamente nell’originale, che in questi casi di solito, nonostante il tempo passato, dà alcune lunghezze al suo remake.

In questo caso, però, non ho visto tale fattore, e anzi mi sono trovato di fronte a un film non troppo coinvolgente, e anzi davvero poco credibile in tante fasi della sua sceneggiatura, a cominciare col modo in cui si risolve il forte squilibrio tecnologico a favore degli stranieri, per continuare col tipico stereotipo dell’eroe americano senza macchia, super-coraggioso e pure parecchio ottuso, e per finire con la componente religiosa decisamente fuori luogo, per non dire proprio immatura e infantile (Dio che parteggia per una razza piuttosto che per l’altra e fa vincere una, roba davvero da infanti).

Insomma, mi sa tanto che il genere dell’invasione aliena è uno di quelli che, dai suoi primordi, ha fatto passi da gigante in avanti, giacché a mio avviso tra questo La guerra dei mondi e un successivo Independence Day c’è un vero e proprio abisso… anche se pure qui abbondano i supereroi americani e il modo improbabile in cui le cose si risolvono a favore degli essere umani, ma vabbè.

Tornando al film di Byron Haskin, dopo averne parlato male ne accenno brevemente la trama per chi non la conoscesse: un bel giorno i marziani arrivano sulla Terra, alla ricerca di un pianeta abitabile, e ovviamente ben disposti ad eliminare qualunque razza autoctona per impossessarsene. Il tutto inizia con lo schianto in California di un presunto asteroide, che però si rivela essere una navicella aliena, che inizia la guerra e l’invasione del pianeta Terra.
Ad osservare il fenomeno, vi è il protagonista del film, lo scienziato Clayton Forrester, veterano del Progetto Manhattan (e già piazzare come protagonista un presunto sviluppatore della bomba atomica utilizzata nella Seconda Guerra Mondiale rivela il livello di partigianeria e di infantilismo della storia), cui si unisce ben presto la professoressa Sylvia Van Buren, presente sul posto in compagnia dello zio, il pastore Matteo Collins.
Da lì prende le mosse la storia, che man mano si allarga agli interi Stati Uniti e al mondo intero, con gli alieni nettamente più forti e inarrestabili… fino al “colpo di scena” finale, ammesso che si possa chiamare così quella specie di cosa che è stata piazzata come finale.

Andando a concludere, ribadisco che il mio scarso gradimento non deriva dal fattore “vecchiaia”, cosa che inevitabilmente lascia degli strascichi a livello di bellezza visiva e di efficacia degli effetti speciali (per i quali comunque il film ha vinto l’Oscar), ma proprio a livello di trama, di personaggi e di dialoghi, cose nelle quali il film rivela tutta la sua semplicità… e stavolta uso il termine in senso negativo.

In definitiva, ci sono vecchi film che invecchiano bene e altri che invecchiano male, e La guerra dei mondi mi pare appartenere a questa seconda categoria... sperando che i suoi appassionati storici mi perdonino la mia sincerità.

Fosco Del Nero



Titolo: La guerra dei mondi (The war of the worlds).
Genere: fantascienza, drammatico.
Regista: Byron Haskin.
Attori: Gene Barry,Ann Robinson, Les Tremayne, Robert Cornthwaite, Lewis Martin, Sandro Giglio, Ann Codee, Vernon Rich, Paul Birch, Jack Kruschen.
Anno: 1953.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 14 dicembre 2016

Tutta la conoscenza del mondo - Eros Puglielli

Mi pare che mi fossi appuntato il film Tutta la conoscenza del mondo dopo aver letto online che trattava tematiche esistenziali, anche se non ne sono sicuro.

Non può essere certo per il nome del regista del film, tale Eros Puglielli, che non avevo mai sentito e che in effetti ha diretto un paio di film e poi soprattutto fiction per la tv.

Non credo nemmeno che sia per la presenza nel film di Giovanna Mezzogiorno, pur essendo una delle mie attrici italiane preferite per via della sua forza e bellezza.

La prima ipotesi è quella più probabile, dunque, e vediamo come è stata affrontata la tematica esistenziale, la ricerca della verità e di qualcosa di più profondo nella vita, di cui parlano gli stessi personaggi del film.

Come prima cosa, tratteggiamo la trama di Tutta la conoscenza del mondo, la quale segue tre diverse direzioni narrative. Nella prima abbiamo Giovanna (Giovanna Mezzogiorno; L'ultimo bacio, Il viaggio della sposa, L'amore ritorna) ed Eleonora (Eleonora Mazzoni), due studentesse di filosofia decisamente agli antipodi in quanto a gusti personali, con la prima che elemosina attenzione presso il carismatico Professor Perotti (Giorgio Albertazzi) e la seconda studentessa  decisamente più standard, che stravede per il gruppo musicale dei Soncino.
Nella seconda seguiamo le peripezie dello zio di Giovanna, Claudio (Claudio Guain), appassionato di mistero e cultore di tematiche cospirazionistiche… nonché protagonista di un episodio bizzarro insieme al giovane Marco (Marco Bonini: evidentemente i produttori non si sono sforzati troppo con i nomi)... il quale è il protagonista a sua volta del terzo filone, quello di un giovane cantante di successo il quale sente però che nella vita c’è qualcosa di più importante.

Giovanna cerca il senso della vita nella cultura e nel carisma dei professori.
Lo zio lo cerca nei misteri e nelle cospirazioni.
Marco lo cerca in qualche maestro… a sua volta da cercare.

Detto questo, va detto anche che alla fine il film è decisamente più una commedia che non un film “ispirato” di genere esistenziale, ma perlomeno una cosa la mette in evidenza: chi segue le vie della mente finisce per perdersi, mentre chi si lascia andare alla vita e all’intuizione la strada prima o dopo la trova.

Come peraltro ben testimonia la frase finale di Tutta la conoscenza del mondo, la quale ne riassume un po’ il valore portante.
“In tutto questo tempo mi sono reso conto che la mente è uno strumento inadeguato per afferrare la realtà: è come misurare il mare a gocce, o contare le stelle dell’universo una ad una.
Basterebbe aprire gli occhi, togliere il vero dei pensieri che ci separa dalla vita, per assaporare l’intima relazione di tutte le cose, anche quelle che ci sembrano più pazze e contraddittorie. E per questo forse non basta tutta la conoscenza del mondo.”

Nel mezzo, abbiamo un film che è decisamente a basso budget e che per tanti verso è un po’ sempliciotto, ma che comunque ha qualcosa da dire e da dare, e che anzi è uno dei pochi esempi di cinema italiano brillante degli ultimi decenni.
Questo, ovviamente, tra i film che ho visto io: in tal senso, devo onestamente dire che Tutta la conoscenza del mondo è uno dei pochi film italiani che mi ha colpito tra quelli visti negli ultimi anni… insieme probabilmente a Viva l’Italia e a L’arte della felicità.

Peccato che sia finito nel dimenticatoio, tanto che non lo avevo mai sentito nominare prima di trovarlo per caso online.
Ribadisco: non è certo un capolavoro, ma va premiato per l’originalità e per il fatto di aver qualcosa da dare a chi lo guarda.

Menzione speciale per alcune scene davvero divertenti, ma anche per alcune frasi altrettanto valide, come le seguenti, le quali ben testimoniano la vocazione di fondo del film, pur nascosta nelle pieghe da commedia.

“Mi è apparso un uomo di luce, o un angelo, o qualcosa del genere, che mi ha salvato la vita.
E da allora io sento che la devo dedicare a qualcosa di più importante di queste quattro cazzate, lo capisci?”

“Io ho letto duemila libri, eppure mi sono reso conto che c'è una conoscenza assoluta. In fondo chi è che scrive i libri che contano? È gente che ha incontrato un maestro che le ha trasmesso, attraverso un cammino spirituale,  la vera conoscenza. È un'evoluzione interiore: questa è la vera conoscenza.”

“Ma tu come fai ad essere così?”
“Così come?”
“Così senza un dubbio, senza un'indecisione, che ne so, una domanda: chi sei? Dove vai? Niente proprio... sei un superficiale. Tu ti alzi la mattina, mangi, poi vai a lavorare, ritorni, rimangi, dormi e basta... non c'è altro.”

“Scusi, sa dove va questo treno?”
“Questo treno porta alla vera conoscenza.”
“È il treno che devo prendere io: la prego, mi faccia salire su quel treno. Io devo partire, devo partire!”
“Mi dispiace, non sei stato attento e hai perduto la tua possibilità.”

“Io voglio scoprire la realtà che si nasconde dietro questa realtà.”

“La possibilità è ora.”

Un'ultima cosa: il film è lesto a ironizzare sia sulla via della pura ragione e della cerebralità, che non porta da nessuna parte e che conduce a questioni di ego e a contraddizioni interiori, sia sulla via della fumosità new age, che conduce a creduloneria e ad assenza di discernimento.

Fosco Del Nero



Titolo: Tutta la conoscenza del mondo.
Genere: grottesco, commedia, fantastico, esistenziale.
Regista: Eros Puglielli.
Attori: Giovanna Mezzogiorno, Marco Bonini, Eleonora Mazzoni, Giorgio Albertazzi, Claudio Guain, Rolando Ravello, Cristiano Callegaro, Hal Yamanouchi.
Anno: 2001.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 13 dicembre 2016

Il signore delle mosche - Peter Brook

La recensione di oggi si riferisce a una sorta di piccolo film cult: Il signore delle mosche, il classico del 1963 diretto da Peter Brook… tratto dall’omonimo romanzo di William Golding, che peraltro ha avuto anche una con versione successiva nel 1990.

Forse la caratteristica principale de Il signore delle mosche è quella di non avere attori adulti, giacché tutti i protagonisti sono bambini o ragazzini nella prima adolescenza.

E vediamo il perché andando a tratteggiare per sommi capi la trama del film: siamo nel 1984 (evidentemente un anno al tempo assai indicato per ambientare delle società alternative, per quanto l’esempio di George Orwell sia affatto simile a questo lavoro successivo) ed è in corso una guerra atomica.
Durante una tempesta, un aereo che doveva portare alcuni rampolli britannici in Australia, in teoria al sicuro dalla guerra, precipita lungo il tragitto: gli adulti accompagnatori muoiono tutti, e così molti bambini, mentre solamente in venti circa si salvano.

Dispersi in un’isola deserta, senza adulti a dirigere i lavori, e senza sapere quanto staranno da soli e se eventualmente arriveranno i soccorsi e dopo quanto tempo, i ragazzi sono di fatto costretti a darsi una sorta di ordinamento e di organizzazione.
Le priorità sono presto decise: un fuoco sempre acceso per attirare l’attenzione di eventuali aerei di passaggio e la ricerca del cibo.
Dopo una votazione, viene nominato capo del gruppo Ralph, che sconfigge nella suddetta votazione Jack, che comunque avrà il comando del gruppo dei cacciatori, addetti per l’appunto alla ricerca del cibo.

La rivalità tra i due, il primo decisamente più ragionevole e organizzatore e il secondo decisamente più istintivo e prevaricatore, tornerà in evidenza in seguito, quando il distacco diverrà insanabile, e i due gruppi si divideranno, con tanto di episodi di violenza piuttosto gravi. 

Vi sono alcune considerazioni da fare su Il signore delle mosche.
La prima è che il film ritrae dei ragazzi-bambini, ma di fatto parla della società degli adulti, incapace di organizzarsi in modo civile e responsabile, tanto da ricorrere prima o poi alla violenza… e non a caso la storia prende le mosse da una guerra atomica su base mondiale.

La seconda considerazione è ovvia: il tema centrale del film è quello della ragione da un lato e della cieca violenza dall’altro, col film che in questo senso sembra parlare assai chiaro, e in modo pessimistico: l’essere umano è incapace di autocontrollarsi, di rispettare il prossimo e di vivere in modo civile. I ragazzi – ma, ripeto, sono più bambini che ragazzi – di fatto si trasformano tutti in selvaggi, compresi segni tribali sul corpo.

Un’altra considerazione interessante riguarda l’associazione tra la caccia, la carne, il sangue, la violenza, il disordine sociale e il non rispetto dei diritti individuali: sono proprio i “cacciatori”, assetati di violenza, di sangue e di carne, a generare tutti i problemi.
Il tema del vegetarianesimo non è affatto accennato, né il collegamento tra il cibo e le energie interiori (e quindi il carattere, e quindi il percorso destinico della persona), ma la cosa nel film è di fatto assai forte, tanto da essere impossibile non notarla.

Nel complesso, ho gradito sufficientemente Il signore delle mosche, film che in un certo senso ha fatto storia, e che è stato ripreso per certi versi da film successivi, come il recente e di buon successo Maze runner - Il labirinto.

Fosco Del Nero



Titolo: Il signore delle mosche (Lord of the flies).
Genere: drammatico, psicologico.
Regista: Peter Brook.
Attori: James Aubrey, Tom Chapin, Hugh Edwards, Roger Elwin, Tom Gamanm, Nicholas Hammond.
Anno: 1963.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

martedì 6 dicembre 2016

The lucky ones - Un viaggio inaspettato - Neil Burger

La recensione di oggi è dedicata al film The lucky ones - Un viaggio inaspettato, diretto nel 2007 da Neil Burger.
Si tratta di un regista che mi era già noto, avendo di lui già visto l’ottimo Limitless e il buono The illusionist.

Anche due dei tre protagonisti del film mi erano già ben noti: uno è il bravo Tim Robbins, e l’altra è l’altrettanto brava Rachel McAdams, normalmente impegnata in parti più da ragazza attraente e un po’ antipatica, mentre qua nei panni di una soldatessa assai vivace.

Andiamo dunque a vedere per sommi capi la trama di The lucky ones - Un viaggio inaspettato, film che oscilla continuamente tra commedia e drammatico.

Fred Cheaver, Colee Dunn e TK Poole sono tre ex soldati, appena congedati (per infortuni fisici) dall’esercito statunitense in missione in Iraq, e che non vedono l’ora di tornare alle proprie vite. Fred Cheaver (Tim Robbins; Mister hula hoop, La vita segreta delle parole, Mystic river) ha una moglie e un figlio già grande, sulla soglia di una prestigiosa università (per frequentare la quale però servono soldi, e subito).
Colee Dunn (Rachel McAdams; Mean girls, 2 single a nozze, Midnight in Paris, Sherlock Holmes) è una ragazza molto loquace, assai mascolina e non troppo sveglia.
Stessa cosa – non troppo sveglio – che si può dire anche per TK Poole (Michael Peña; Crash - Contatto fisico, Ant-man), ragazzo ispanico fissato col fatto di essere e di dover essere un leader, ma in realtà assai insicuro… e peraltro preoccupato dal fatto di essere stato ferito al basso ventre e di non riuscire più a “funzionare” con la sua ragazza.
Il trio si trova per via di uno sciopero aereo, cosa che li porta a suddividersi il costo dell’affitto di una macchina, e che li porte ovviamente – la cosa era già scritta e prevedibile fin dall’inizio – a familiarizzare e a conoscersi meglio.

Essenzialmente The lucky ones - Un viaggio inaspettato è un road movie, che peraltro, in materia di soldati, ricorda molto l’altro road movie con un triangolo di soldati con Jack Nicholson, L'ultima corvé, film però dal tono più serio e melodrammatico di questo The lucky ones, che nonostante affronti drammi umani (una famiglia che si sfascia, il non sapere dove andare, incidenti fisici discretamente seri, etc), lo fa in modo lieve, o comunque non pesante.

La cosa che colpisce più del film, tuttavia, non sono tanto i problemi personali “oggettivi”, ossia un certo infortunio o qualche problema sentimentale (cose piuttosto frequenti, immagino, per chi fa quel tipo di vita), quanto l’incontro tra i tre personaggi, tutti e tre, ognuno a suo modo, un po’ inetti a vivere, psicologicamente disadattati.
E quindi anche tristi e con un certo senso di vuoto interiore, cosa che non viene mai elicitata a voce alta ma che è palese, e che anzi a mio avviso costituisce il centro del film.

Che complessivamente non ho gradito troppo per il semplice fatto che non vi ho trovato nulla di troppo interessante… ma che comunque ho visto scorrer via con una certa speditezza, da cui la valutazione tiepida ma non disastrosa.

Fosco Del Nero



Titolo: The lucky ones - Un viaggio inaspettato (The lucky ones). Genere: drammatico, commedia.
Regista: Neil Burger.
Attori: Rachel McAdams, Tim Robbins, Molly Hagan, Michael Peña, Katherine La Nasa, Arden Myrin, Spencer Garrett.
Anno: 2007.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 29 novembre 2016

Molière in bicicletta - Philippe Le Guay

Il film recensito quest’oggi viene dalla Francia: Molière in bicicletta.

Peraltro, proviene da due nomi non nuovi per Cinema e film: il regista è Philippe Le Guay, mentre uno dei due attori principali è Fabrice Luchini, entrambi già visti nell’ottimo Le donne del 6° piano e nel meno buono Il costo della vita.

L’altro attore principale è ugualmente un volto conosciuto: Lambert Wilson è difatti comparso in Matrix revolutions e in Babylon A.D., per quanto sempre con parti minori.

Riferite le fonti, veniamo ora alla trama sommaria di Molière in bicicletta: Gauthier Valence (Lambert Wilson) è un attore francese di successo, che sta andando forte con una fiction in tv e che si reca dal suo vecchio collega e amico Serge Tanneur (Fabrice Luchini) per proporgli una parte nella commedia teatrale che ha in programma. Impresa ardua, dal momento che Serge si considera ormai ritirato dalle scene… e per di più non ne vuol sapere della parte minore che Gauthier gli ha proposto (quella di Filinte), mentre vorrebbe nel caso quella principale (quella di Alceste, da cui il titolo originario del film).

I due, nel mentre che Serge decide se ha voglia o no di tornare sul palcoscenico, provano le parti scambiandosele di giorno in giorno (tirano a sorte per chi fa Alceste), e nel mentre vi è l’occasione per parlare della vita… e delle delusioni della vita, e qua mi riferisco soprattutto alla figura di Serge, piuttosto disilluso e pessimista (e quindi molto vicino al misantropo di Molière), mentre Gauthier è decisamente più propenso a prendere il meglio di quello che può.

Ho già detto che ho un debole per il cinema francese, che possiede ancora quell’eleganza e quella leggerezza che da noi si è persa ormai da molto tempo, presi da gretti cinepanettoni da un lato e da polpettoni melensi dall’altro.

Tanto che letteralmente riconosco a vista un attore o un’attrice francese, per via delle loro movenze e della loro mimica particolari.

Detto questo, ho gradito sufficientemente Molière in bicicletta, anche se non mi ha entusiasmato: c’è qualcosa di interessante, e il film ha una sua originalità, nonché una sua bellezza visiva per via dei panorami marini dell’Isola di Re, però si perde un po’ troppo nel dramma umano, finale compreso, risultando per certi versi un po’ pesante… e riequilibrando così la tipica leggerezza del cinema francese.

In questo senso, gli ho preferito, e di molto, Le donne del 6° piano, per non parlare dei vari film di Francis Veber (ma con Veber stiamo andando decisamente più verso la commedia), da La cena dei cretini a Una top model nel mio letto.

Comunque, anche Molière in bicicletta è vedibile… ma una volta al massimo.

Fosco Del Nero



Titolo: Molière in bicicletta (Alceste à bicyclette).
Genere: drammatico, commedia.
Regista: Philippe Le Guay.
Attori: Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa, Laurie Bordesoules, Camille Japy, Annie Mercier, Ged Marlon, Stéphan Wojtowicz, Christine Murillo.
Anno: 2013
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

martedì 22 novembre 2016

Todo modo - Elio Petri

Quest’oggi recensisco un film davvero bizzarro, che non conoscevo neanche di nome e che onestamente non avrei pensato potesse essere stato prodotto dall’Italia di allora: siamo nel 1976 e il film in questione è Todo modo, diretto da Elio Petri (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in paradiso), famoso per i suoi film impegnati dal contenuto socio-politico.

Dicevo che non avrei mai pensato che fosse stato diretto un film di tal genere in quegli anni (ispirato all'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia) giacché esso, pur non riferendosi ufficialmente a personaggi reali della scena politica italiana di allora, sostanzialmente ne mette alcuni su schermo (MoroAndreotti, Fanfani, etc), e con commistioni allora probabilmente assai coraggiose…
… per quanto poi il tempo abbia mostrato che nel film c’era più verità di quanta se ne poteva immaginare (o dichiarare) allora.

Il film peraltro è assolutamente poco noto per due motivi: un mese dopo la sua uscita fu ritirato-sequestrato, mentre due anni dopo avvenne il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, anticipato in modo inquietante da questo film, dal momento che essenzialmente Moro è il personaggio centrale della pellicola, cosa che di fatto ha posto nel dimenticatoio Todo modo… film che inoltre ha preceduto il fenomeno di "Mani pulite" del 1992 e degli anni seguenti, nonché messo l’indice sulle segrete correnti di potere in Italia, tra il mondo politico, il mondo economico e il mondo religioso.

Ma andiamo a vedere la trama del film in grande sintesi: mentre in tutto lo stato dilaga una pericolosa epidemia (affrontata con la vaccinazione obbligatoria nazionale…), un nutrito gruppo di uomini di potere (politici, banchieri, industriali, affaristi, giornalisti...), si riunisce nell’albergo-eremo di Zafer, una sorta di comunità spirituale gesuita (…) diretta dal carismatico Don Gaetano (Marcello Mastroianni, eccellente nell'interpretazione), con lo scopo da un lato di mondarsi dai peccati commessi tramite i cosiddetti “esercizi spirituali” di Ignazio di Loyola, e dall’altro di decidere la nuova direzione del paese (…).
A tale consesso partecipano gli uomini più influenti in assoluto nella nazione, tra cui un importante uomo politico da tutti chiamato “il Presidente” (un incredibile Gian Maria Volonté: si dice che per il ruolo studiò talmente tanto Aldo Moro che i primi giorni di riprese furono scartati perché egli era persino troppo simile al politico salentino).
Tra gli altri personaggi, si segnalano il politico Voltrani (un imprevedibile Ciccio Ingrassia), la moglie del “Presidente” Giacinta (Mariangela Melato), il vicequestore Scalambri (un Renato Salvatori piuttosto appesantito rispetto a Poveri ma belli).

Per la cronaca, il film inizia con queste precise parole... anche se poi ci si rifugia nell'eremo dove è ambientato e il contesto sociale generale praticamente viene ignorato: 
"Attenzione, attenzione, a tutti i cittadini, attenzione: l'epidemia continua a mietere vittime tra la popolazione del proprio paese. L'unico modo per combattere l'epidemia è la vaccinazione obbligatoria. Tutti i cittadini di tutte le età sono tenuti a presentarsi per la vaccinazione contro l'epidemia presso i centri appositamente istituiti dalla Croce Rossa per la campagna antiepidemica".

Chi non è a digiuno di letture di genere “cospirazionistico” già sarà saltato sulla sedia a sentir nominare insieme epidemie, vaccinazione obbligatoria, gesuiti, e ovviamente la commistione tra la politica e la religione all’interno della quale si decidono le sorti di una nazione… e ancora non ho parlato di statue “curiose”, di dipinti con divinità con le corna, di volti di mostri, di omosessualità latente sparsa un po’ ovunque, del continuo riferimento al colore rosa, nonché dell’onnipresenza dell’elemento video il quale, ovviamente a scopo “didattico e di comunicazione”, trasmette di continuo notizie, recitazioni e immagini varie, a volte anch'esse inquietanti. 
Persino la locandina del film, che apparentemente non c'entra nulla con i suoi contenuti giacché non viene tagliata a pezzi nessuna donna (d'altronde, questo è un film al maschile, proprio come gli ambienti religiosi e di potere dell'epoca), lascia intendere ciò che si affronterà in esso: lo smembramento dell'essere umano e della società umana, completamente dominata da tali poteri nascosti (e da poteri ancora più nascosti che hanno facoltà di vita e di morte rimanendo celati e impuniti).

A proposito di ciò, e degli avvenimenti pubblici, il Presidente a un certo punto dice: "I fatti avvenuti negli ultimi dieci anni nel nostro paese hanno mai avuto una spiegazione plausibile, secondo lei?". A confermare che le decisioni venivano, e vengono, prese al di fuori dei contesti pubblici, secondo quanto deciso in altre sedi, non certamente quelle politiche... e spesso senza un senso logico (i tempi contemporanei sono l'ennesima riprova di tale fenomeno).
Vien detta anche questa frase, che pare anch’essa alludere a tale concetto, per quanto tra le righe: “Spero non mi darà il dolore di dirmi che c’è ancora uno Stato”.

In effetti, dettaglio più dettaglio meno, l’intero film sa molto di torbido, di lascivo e per l’appunto di inquietante. Non a caso va a finire in sangue e delitti, che sanno molto di omicidi rituali, anch'essi in pieno stile massonico-occulto, persino da contrappasso dantesco-punitivo (ovviamente qua si parla della massoneria "cattiva", non di quella "buona" che ha lo scopo di elevare l'uomo e la società umana, o di quella "neutra", per modo di dire, che ha come unico scopo lo svago o il farsi vicendevoli favori).

Formalmente Todo modo parla di politica e della Democrazia Cristiana al potere in quei tempi, ma in un senso più sotterraneo sembra che parli dell'élite occulta, della massoneria (la quale non a caso è citata), della commistione tra potere temporale e riti magici.

Alcune frasi lasciano pensare a significati meno socio-politici e più esistenziali-sottili, come quando si parla del dualismo degli opposti, o come nelle frasi seguenti, interessanti e didattiche per quanto assai caricate a livello emotivo.

"Piangete, siete morti senza saperlo."

"L’inferno è qui vicino, è sotto terra, ad un passo, ci siamo dentro."

"Dall'espiazione non si può fuggire."

"Il peccato non esiste se non c'è il potere ad esercitarlo.
Voi avete il potere."

"Ora ritiratevi, meditate su questo tema nel chiuso delle vostre stanze, nell'intimo delle vostre coscienze: uno sarà preso, l'altro sarà lasciato. Dove ci sarà un cadavere, là si raduneranno le aquile."

"Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, chiudigli gli occhi, in modo che non possa vedere con i suoi occhi, né udire con i suoi orecchi."

"Il peccato degli uomini del potere è degno dell'inferno più d'ogni altro."

"Se gli esercizi spirituali sono condotti bene, qualcosa succede sempre."

"Siamo morti che seppelliscono morti."

"Che cos'è la volontà divina? Non è anima e non è mente, non è immaginazione né opinione, né ragione né pensiero, non è numero, ordini, grandezza, piccolezza, uguaglianza, disuguaglianza, non è viva e non è vita, non è spazio, materia, scienza, non è bontà, né malvagità, non è tenebre né luce, non è errore né verità."

"Bisogna aspettare che tutto si compia."

"Descendamus ut ascendamus."

A parte tale elemento, che può interessare o meno, Todo modo (titolo che deriva dalla frase di Ignazio di Loyola “Todo modo para buscar la voluntad divina”, ossia “Ogni mezzo per cercare la volontà divina”) è un film pesantemente drammatico, persino più drammatico nei suoi contenuti emotivi che non in quelli delittuosi e sanguinolenti, il quale non offre niente di lieve ma al contrario solo pesantezza, tristezza e mal di vivere.

Val la pena guardarlo solo come testimonianza di quanto riportato in recensione, nonché per alcune grandi interpretazioni (grandi e grottesche a dir poco)… ma se ciò non vi interessa potete farne a meno.

Due curiosità: la prima è che le musiche sono di Ennio Morricone, altro fattore meritorio; la seconda è che il regista è morto prematuramente pochi anni dopo il film... secondo alcuni a causa proprio dell'opera in questione. Curiosamente, nella trama dell'ultimo film di Petri un uomo che lavora per la televisione italiana riceve minacce di morte da alcuni sicari e poi viene effettivamente ucciso. Probabilmente ai registi non porta troppo bene trattare di poteri nascosti: vedasi anche il caso di Stanley Kubrick, morto anche lui prematuramente subito dopo aver diretto Eyes wide shut.

Fosco Del Nero



Titolo: Todo modo.
Genere: drammatico, giallo, grottesco.
Regista: Elio Petri.
Attori: Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni, Ciccio Ingrassia, Franco Citti, Michel Piccoli, Mariangela Melato, Renato Salvatori, Tino Scotti, Giulio Donnini, Cesare Gelli.
Anno: 1976.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 16 novembre 2016

The life of David Gale - Alan Parker

La recensione odierna è dedicata al film del 2003 The life of David Gale.

La prima informazione relativa è “negativa”, nel senso che il regista, Alan Parker, non mi dice niente di niente, e difatti non ha mai prodotto un capolavoro vero e proprio, limitandosi a polpettoni drammatici che corrispondono poco al mio gusto.

La seconda informazione è però una buona notizia: il protagonista, il David Gale del titolo, è interpretato da Kevin Spacey, attore che mi piace molto e che probabilmente è molto attento ad accettare certi copioni, dal momento che ha partecipato a numerosi film interessanti, e mai a buchi nel’acqua: tra gli altri, cito American beauty, K-Pax - Da un altro mondo, The big kahuna, Un sogno per domani, Il negoziatore, L’uomo che fissa le capre, Seven, etc. 

Unendo tali elementi, dovrebbe venir fuori un film perlomeno sufficiente, e infatti così è stato… dal mio punto di vista, ovviamente. The life of David Gale è sufficientemente interessante e misterioso, anche se un po’ morboso e meno realistico di un film di fantascienza (e meno convincente pure).

Per motivi che non posso precisare senza svelare il finale del film… che peraltro avevo incautamente scoperto leggendo un’altrettanto incauta recensione online, rovinandomi dunque tutto il progresso del film, che gioca proprio su quel mistero… anche se, da un altro punto di vista, ne ho potuto apprezzare l’incedere secondo l’ottica del personaggio centrale.

Ed ecco in breve la trama sommaria del film (senza finale, tranquilli), che peraltro parte dalla fine e racconta la storia in parte nel presente filmico e in parte a ritroso nel tempo: David Gale (Kevin Spacey) era un uomo di successo, professore universitario e persona brillante, e tra le altre cose era l’uomo di punta del comitato per l’abolizione della pena di morte. Cosa decisamente paradossale, giacché ora lui stesso è nel braccio della morte, in attesa dell’esecuzione.
Il reato per cui è stato condannato: stupro e omicidio, ai danni della sua ex collega di comitato Constance Harraway (Laura Linney; The Truman show, Kinsey, The Exorcism of Emily Rose). A pochi giorni dall’esecuzione, decide di rilasciare un’intervista, e sceglie la giornalista Bitsey Bloom (Kate Winslet; Creature del cielo, Revolutionary roadTitanicShakespeare in love), che si reca da lui e tesse la trama della sua vita, fino ad arrivare a una sorprendente verità… seguita poi da una verità perfino sconvolgente. 

The life of David Gale essenzialmente si gioca sul dramma dell’uccisione – personale e statale – e sulla ricostruzione storica delle vicende del personaggio centrale, che poi costituiscono il motore centrale del film.

Se in esso c’è un qualche interesse dovuto alla curiosità che esso genera, nonché al ruolo ben recitato da Kevin Spacey, cui gli altri ruotano intorno, alla resa dei conti il film non è gran cosa, e si guadagna una stretta sufficienza solo perché ben realizzato, cosa che fa passare sopra sia al suo essere davvero poco convincente nella sua trama, sia nel suo essere un po’ pesante nei contenuti drammatici (stupri, omicidi, pena di morte, malattie, drammi familiari, etc).

Fosco Del Nero



Titolo: The life of David Gale.
Genere: drammatico, giallo.
Regista: Alan Parker.
Attori: Kevin Spacey, Kate Winslet, Laura Linney, Gabriel Mann, Matt Craven, Rhona Mitra, Leon Rippy, Cleo King, Constance Jones, Lee Ritchey, Cindy Waite, Jim Beaver.
Anno: 2003.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

martedì 15 novembre 2016

Maze runner - La fuga - Wes Ball

Se avevo aperto la recensione di Maze runner - Il labirinto con un “wow”, purtroppo mi tocca aprire la recensione di Maze runner - La fuga con un “che peccato”.
Il peccato è stato rovinare, letteralmente rovinare e disperdere totalmente, il credito di ambientazione, di suspense e di interesse che aveva creato il primo film.

Tanto era stato efficace il primo film a creare un’atmosfera misteriosa e accattivante, tanto è stato banale e piatto il secondo nel suo continuo correre e ricorrere all’azione (va bene che nel titolo c’è la parola “runner”, ma forse si è esagerato).

Ad ogni modo, come prima cosa passo a tratteggiare in grande sintesi la trama di Maze runner - La fuga: dopo essere miracolosamente usciti dal labirinto intorno alla radura, oggetto del primo film, Thomas e i suoi pochi amici superstiti vengono portati da soldati e da alcuni elicotteri in una zona fortificata e vigilata, dove incontrano molti altri ragazzi come loro, scappati da altri labirinti. Viene offerto a tutti un rifugio, da mangiare, camere sicure in cui dormire…
… ma a Thomas qualcosa non quadra, come gli verrà presto confermato da Aris, uno dei primi ad essere stato portato in quel luogo.
Inizia così un’altra fuga, questa ancora più consistente della precedente, tra gruppi armati e gruppi di di vario genere, per non parlare dei gruppi di zombie-infetti, con Thomas e i suoi amici sempre di corsa.

E così torniamo al punto precedente: il film è quasi tutto un correre e uno scappare, ora dai soldati di Wckd ora dagli zombie (degli zombie particolarmente atletici e prestanti, peraltro)… e che il misterioso e affascinante Maze runner - Il labirinto sia stato trasformato in un film sugli zombie è francamente deludente.

Come deludente è l’intero film al di là del discorso degli zombie, composto praticamente di una banalità dietro l’altra: situazioni banali, dialoghi banali, personaggi banali.
Tra l’altro, la stessa scelta di Aidan Gillen (il Ditocorto de Il trono di spade), per il personaggio di Janson, praticamente configurava un'anticipazione di come si sarebbe svolta la trama, data l’estetica e l’energia del personaggio (un po’ infingarda, per così dire... e nel doppiaggio non si sente la voce originale dell'attore, anch'essa ambigua e strisciante).

Ma in generale, al di là del discorso sugli zombie e sulla poca originalità, sono molte le cose dubbie del film e che lasciano perplessi: scelte poco credibili di alcuni personaggi, dialoghi forzati, dialoghi mancanti laddove avrebbero dovuto esserci, la poca intelligenza dimostrata in tanti casi, etc.

Insomma, Maze runner - La fuga è stato una grande delusione: valido dal punto di vista estetico, è però un grosso buco nell’acqua da ogni altro punto di vista, tanto da rendere probabilmente inutile la prosecuzione della saga (cinematografica, intendo; i romanzi non li ho letti e non so come siano). 
Comunque, se siete appassionati di film d’azione o di film sugli zombie, o anche di film in cui si corre molto, potrebbe pure piacervi.

Fosco Del Nero



Titolo: Maze runner - La fuga (Maze runner: the scorch trials).
Genere: fantascienza, azione, drammatico.
Regista: Wes Ball.
Attori: Nathalie Emmanuel, Aidan Gillen, Dylan O'Brien, Kaya Scodelario, Thomas Brodie-Sangster, Giancarlo Esposito, Ki Hong Lee, Patricia Clarkson, Barry Pepper, Lili Taylor.
Anno: 2015.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 8 novembre 2016

Ho solo fatto a pezzi mia moglie - Alfonso Arau

Ho visto tutti o quasi tutti i film di Woody Allen, e dico “tutti o quasi” perché ho perso il conto e non so di preciso se me ne manca qualcuno.

Di sicuro me ne mancava uno, in cui Woody Allen partecipava come attore, ma non come regista, cosa più unica che rara: il film in questione è intitolato Ho solo fatto a pezzi mia moglie (credo che l’unico altro film in cui Allen recita senza essere anche regista sia Provaci ancora, Sam).

La prima cosa che colpisce del film, diretto nel 2000 da Alfonso Arau (un regista minore noto solo per Il profumo del mosto selvatico), è il cast piuttosto cospicuo: oltre a Woody Allen (che ha recitato in troppi film per poterne citare pochi, ma giusto per la cronaca cito La dea dell’amoreManhattanAmore e guerraIl dormiglione), abbiamo Sharon Stone (Basic instinct, Allan Quatermain e le miniere di re Salomone, Catwoman, Atto di forza), Kiefer Sutherland (Dark City, Melancholia, Riflessi di paura), David Schwimmer (Ross di Friends), Fran Drescher (Francesca de La tata), la nostra Maria Grazia Cucinotta (Il postino, Il mondo non basta), e inoltre un giovanissimo Joseph Gordon-Levitt (che si è fatto notare da piccolo nella serie Una famiglia del terzo tipo e da grande in 500 giorni insieme, Inception, Looper - In fuga dal passato, Sin City - Una donna per cui uccidere).

Insomma, il cast è di buon livello… anche se a mio avviso è clamorosamente mal sfruttato: l’unico in una parte adatto ad essa è, manco a dirlo, Woody Allen, mentre gli altri sono sistemati tutti in parti da macchietta o da comparsa.

Ma veniamo alla trama di Ho solo fatto a pezzi mia moglie: Tex Cowley (Woody Allen), un macellaio texano, in un impeto di gelosia uccide la moglie plurifedifraga Candy (Sharon Stone), nota in tutta la città per la sua attività amatoria extramatrimoniale, e poi ne occulta il cadavere.
Si perde un pezzo per strada, però, giacché l’aveva squartata, ossia la mano, la quale viene ritrovata da una vecchia cieca di un paesino messicano vicino al quale l’uomo aveva sepolto il cadavere (male, a quanto pare).
La donna riacquista immediatamente la vista, tanto che la mano, a seguito anche di altri miracoli improvvisi e straordinari, diviene presto famosa come la mano dei miracoli, tanto da attirare frotte di paesani e di turisti ansiosi di ricevere il loro miracolo.

In questo bailamme di eventi si inseriscono il sacerdote Leo Jerome (David Schwimmer), la prostituta Desi (Maria Grazia Cucinotta), il poliziotto Bobo (Kiefer Sutherland) e altri personaggi minori (come la “tata Francesca”, qua una suora, o il prelato che curiosamente è interpretato da colui che in Friends faceva il padre di Ross... produzione in famiglia a quanto pare).

La prima cosa che colpisce di Ho solo fatto a pezzi mia moglie è la scenografia piuttosto pacchiana, talmente tanto pacchiana da rendere pressoché certo il fatto che si trattasse di un fatto voluto, a mio avviso comunque poco efficace.
Ma in generale tutto il film sa di pacchiano: non ci si impegna nemmeno a motivare la questione del miracolo, mentre ci si impegna solo ad affidare battute a Woody Allen, nonché ad inscenare gag di vario tipo tra i vari personaggi della storia… ma sempre senza troppa qualità.

Il che mi ha reso piuttosto evidente come mai Alfonso Arau non ha fatto carriera come regista.

Tanto che una delle cose del film che mi è piaciuta di più è una frase dal sapore esistenziale, sparata nel mucchio:
“Dio abita in noi.
Se il corpo è il tempio, la chiesa ci segue dovunque.”

A parte questa, l’unico motivo per vedere il film è la sua dinamica vorticosità, che come detto però è un po’ confusa e un po’ grossolana.
Peccato.

Fosco Del Nero



Titolo: Ho solo fatto a pezzi mia moglie (Picking up the pieces).
Genere: commedia, fantastico, grottesco.
Regista: Alfonso Arau.
Attori: Woody Allen, Sharon Stone, David Schwimmer, Kiefer Sutherland, Maria Grazia Cucinotta, Fran Drescher, Betty Carvalho, Brian Brophy, Enrique Castillo, Alfonso Arau, Joseph Gordon-Levitt.
Anno: 2000.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

martedì 1 novembre 2016

The box - Richard Kelly

Nel momento in cui ho iniziato a vedere The box, film del 2009, ero già sicuro in partenza, pur senza aver letto niente del film (non sapevo nemmeno la trama), che avrei affrontato tematiche esoteriche, dal momento che il regista del film era Richard Kelly, il regista dell’esotericissimo Donnie Darko.

Esoterico e assai oscuro, come suggerisce lo stesso nome, tanto da far pensare a qualcuno addentro al sistema di manipolazione di massa… o al contrario a qualcuno che lo sta denunciando, seppure in modo non diretto (anche se sarebbe una denuncia ben strana, che coglierebbero solo le persone che già sanno).

A ogni modo, i miei facili pronostici sono stati rispettati in pieno, e anzi persino più di quanto mi aspettassi.

Intanto, diciamo subito che The box riprende l’elemento centrale di Donnie Darko, ossia il controllo mentale, e anzi lo ripropone su larga scala, in uno scenario in cui tante persone sono vittime inconsapevoli del controllo mentale da parte di un gruppo segreto e potentissimo, che regola i destini degli individui.

Ma andiamo con ordine, e partiamo dalle basi.
Per prima cosa, citiamo il fatto che il film è tratto dal racconto Button, button (1970) di Richard Matheson (scrittore famoso per le tematiche orrorifiche: da Io sono leggenda, in cui si parla di vampiri, a La casa d’inferno, in cui si parla di presenze, possessioni e riti satanici), il quale a sua volta è stato tratto dal racconto fantastico Il mandarino, scritto nel 1880 da tale José Maria Eça de Queiroz (e questo non lo conosco).
Va precisato comunque che è stato preso spunto dal suddetto racconto, il quale poi è stato ampliato e largamente modificato da Richard Kelly in sede di realizzazione del film: l'opera dunque è essenzialmente sua.

Come seconda cosa, vediamo la trama per sommi capi: Norma (una Cameron Diaz che sta invecchiando non tropo bene; Tutti pazzi per Mary, The mask, Vanilla sky, Notte brava a Las Vegas, Essere John Malkovich) e Arthur Lewis (James Marsden, protagonista dell’indimenticabile Interstate 60, oltre che nei vari X-Men) sono una giovane coppia con un figlio, e costituiscono un po’ l’emblema dell’ambiziosa famiglia americana degli anni “70 (siamo nel 1976): belli, socievoli, con due carriere già avviate.
Sfortunatamente, però, in pochi giorni ricevono entrambi una brutta notizia sul fronte lavoro: lui non è stato accettato nel programma spaziale che gli avrebbe dato soldi e prospettive importanti, mentre lei vede annullata la borsa di studio del figlio data ai figli dell’insegnanti della scuola in cui lavora. 
Manco a farlo apposta (e infatti è fatto apposta), ricevono proprio in quei giorni una strana proposta, strana e allettante: un tipo misterioso, tale Arlington Steward (Frank Langella; La nona portaFrost/Nixon - Il duelloDiario di una casalinga inquieta), a cui manca parte della faccia per qualche incidente passato, consegna loro una misteriosa scatola con un bottone. Se premeranno il bottone, riceveranno un milione di dollari in contanti, ma una persona morirà come conseguenza della loro scelta. Se non lo premeranno, nulla di fatto.
I due sono ovviamente confusi: da un lato faticano a credere alla proposta, dall’altro lato si pongono scrupoli morali… ovviamente nel caso che essa sia veritiera. Alla fine Norma preme il pulsante, dando avvio al tutto.

Il tutto consiste nel dover affrontare una sorta di società segreta con tanti “dipendenti”, come li chiama il signor Steward, che fa capo invece a certi ignoti “datori di lavoro”, sempre per usare i termini dell’uomo dalla faccia ustionata, con gli esiti della stessa che, metaforicamente, mostrano la debolezza dell’uomo comune verso i poteri più forti di lui.

Faccio subito un elenco delle tematiche presenti nel film a scanso di equivoci: la morale alla base, il controllo delle masse, i poteri occulti, il trittico scienza-energia-magia (tre parole più imparentate di quanto non sembrerebbe a un occhio miope), il percorso evolutivo delle persone e dell’umanità nel suo insieme, gli alieni-dei-arconti (altre tre parole più ravvicinate di quanto non creda l’uomo ordinario… che sovente non le ce conosce nemmeno tutte e tre).

Vediamo i vari argomenti uno per uno (ma in modo il più possibile sintetico, e poi ognuno valuterà per conto suo).

Il tema più evidente nel film è il controllo mentale, proprio come era stato per Donnie Darko, e anzi qua in modo più massiccio e onnipervasivo.
Non solo Arlington Steward ha tanti “dipendenti”, e tanti da far sembrare la cosa davvero inquietante, ma i mezzi di comunicazione di massa sono praticamente onnipresenti: se non c’è la televisione, c’è la radio, quasi sempre accese… e se non ci sono loro, ci sono di mezzo polizia, governo o “man in black”.
A fine film diventa evidente peraltro che il governo sapeva benissimo dell’esistenza di tali uomini in nero, e quindi della questione dell’élite nascosta, la quale fa capo a entità non umane, ma è praticamente connivente semplicemente a causa del loro grande potere. In pratica, le lascia fare non potendo fare altro.

Da qui si passa al secondo tema di fondo: i riferimenti alla massoneria e al cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale (o qualcosa di molto simile).
Abbiamo in primo luogo una fortissima società segreta, con tanti dipendenti al suo servizio, infiltrata praticamente ovunque, e con una gestualità tipica. Tale gestualità peraltro richiama al contempo la lettera V e il numero 2: nel primo caso, sembra quasi una ripresa del simbolo dei Visitors (ancora l’elemento alieno e cospirativo... ripreso peraltro in epoca recente per la nota campagna legata al siero sperimentale); nel secondo è evidente, non solo in esso ma in tanti altri elementi, il riferimento al principio duale e alle due colonne massoniche Yakin e Boaz. Nel film spesso i protagonisti passano tra due elementi duali, quasi a simboleggiare un passaggio iniziatico: due colonne, due vasi di fiori, etc, e talmente tanto spesso da non lasciare adito a dubbi.
A proposito di due colonne, abbiamo anche un’immagine delle Torri Gemelle (potevano mancare anche loro e il loro “sacrificio” da parte dell’élite occulta?), nonché un pavimento a scacchi massonico (anch'esso non poteva assolutamente mancare).
Infine, pure l’elemento del sangue viene spesso richiamato.

Passiamo ora a un altro tema del film: gli alieni-dei-datori di lavoro.
Abbiamo detto del ricorrente simbolo della V, sia fatta con le mani sia disegnata e iscritta nel cerchio-Sole. Da subito comunque si ha la sensazione che Steward lavori per persone molto più altolocate di lui, sorta di semidivinità, o comunque entità molto più avanzate dell’essere umano.
Lo stesso nome “Steward” peraltro, indica un semplice addetto, una sorta di uomo esegui-ordini, come lui stesso dice di sé parlando dei suoi “datori di lavoro”. E dice anche che se nel caso gli succedesse qualcosa, semplicemente lui sarebbe rimpiazzato e la cosa proseguirebbe inalterata. Inoltre nel film spesso si accenna (anche tramite tv o radio perennemente accese) a una vita extra-umana: il presidente statunitense Ford in televisione parla de “La presenza della vita in altre parti dell’universo”, lo speaker alla radio parla dei “Segreti dell’universo”, etc.
L’hotel dove Steward e i suoi “dipendenti” hanno una sorta di quartier generale è l’Hotel Galaxy, che ovviamente richiama il cosmo sia nel nome sia nel suo simbolo (ricordatevi sempre che gli Illuminati e i loro “dipendenti” sono citazionisti per eccellenza e riempiono di riferimenti tutto ciò che producono).
Ancora, la moglie di Steward si chiama Climene, e peraltro si presenta con una posa altamente simbolica: se Steward è un semidio esecutore degli dei, lei è dunque una semidea… e infatti Climene è il nome di semidivinità greca.
In generale nel film vi sono svariati accenni alla mitologia e alla magia, e tutto lascia intendere che i cosiddetti “padroni di lavoro” siano entità sovraumane, che le si voglia chiamare dei o arconti o in altro modo.
Tutto ciò, peraltro, in un film che si apre con notizie (ancora la tv che parla…) relative alla ricerca di vita al di fuori del pianeta Terra… col film che risponde a tale annoso dilemma a suo modo.

Altro tema: l’evoluzione umana nell’esistenza, dalla caduta, passando per le scelte nel “luogo di mezzo” fino all’illuminazione.
La caduta dei novelli Adamo ed Eva si ha nel momento in cui essi premono il pulsante… e anche qui è “Eva” a prendere l’iniziativa.
Il dualismo delle energie maschile e femminile viene messo in risalto in vari altri momenti, come nella visione affiancata di un simbolo del Sole e di un simbolo della Luna.
Oltre all’elemento della dualità, spesso è messo in evidenza anche l’elemento triadico: per esempio nella composizione della famiglia Lewis (padre, madre, figlio), o nei tre portali, riferimento evidente alla triade-trinità (che ovviamente non è la trinità cattolica, ma il principio trinitario universale, presente in svariate tradizioni religiose, spirituali ed esoteriche).
Altro numero citato, seppur in modo poco visibile: il dodici, altro numero esoterico per eccellenza, afferente agli apprendimenti esistenziali.

Assai evidente anche l’elemento ciclico, praticamente da ruota del karma: coloro che hanno compiuto certe scelte dovranno inevitabilmente affrontarne le conseguenze, come l’esecutore-insegnante Steward evidenzia a più riprese.

A un certo punto della storia Norma e Arthur (Artù? Ricerca del Sacro Graal e dell'immortalità?) si rendono conto di essere nel bel mezzo di una prova. Steward dice: “È un posto che non è né qui né là: è un posto che sta in mezzo”.
Arthur riassume, seppur in modo un po’ infantile: “Questo è il purgatorio, vero?”. Aggiungendo poi: “E lei viene a chiudere il conti”, quasi avesse a che fare con una sorta di angelo del giudizio (e non andando troppo lontano dalla verità).
Notate che il “luogo di mezzo” nello gnosticismo era il luogo di purificazione in preparazione dell’ascesa, a proposito di dei-arconti.

A testimoniare ancora che si sta parlando di questo, Steward racconta di sé di essere stato colpito da un fulmine, e che dopo l’evento è “entrato in comunicazione con coloro che mandano i fulmini”: notate che in inglese fulmine si dice “lightning”, mentre luce è “light” e illuminazione è “lighting”, e Arthur trova un libro intitolato “Book of lightning”. Insomma, si sta parlando, e piuttosto apertamente, di luce, di caduta della luce e di riascesa della luce: non per niente, Steward ha perso mezza faccia, quindi simbolicamente mezzo ego, e dunque non è più un essere umano normale, come peraltro appare evidente, dalle sue energie molto equilibrate e centrate, sin dall'inizio della storia.

A proposito di riascesa, i due sposi finiscono nello stesso momento, ma separatamente, in una libreria a cercare informazioni utili a svelare i misteri che li circondano: libreria come fonte di sapere-conoscenza-gnosi. Tra l’altro qui Arthur viene come iniziato dalla moglie di Arlington, Climene.
Il protagonista poi subisce una sorta di battesimo-nuova nascita: entrato in un portale acquoso, dopo si ritrova sopra il letto di casa sua dentro un parallelepipedo di acqua, che all’improvviso si “rompe”: si “rompono le acque”, dunque, e lui dopo la prova iniziatica (doveva scegliere la via giusta tra le tre propostegli) rinasce.
Ma l’iniziazione richiede un prezzo-sacrificio: Arthur sacrifica la sua vita (in un senso) e quella di sua moglie (in un altro). Rinasce simbolicamente, e sembra avviato a divenire “uno di loro”, giacché a fine film è portato via non dalla polizia, ma proprio dai “men in black” (e suo figlio è preso in cura dall’élite nascosta, che come sempre si interessa assai da vicino alle nuove generazioni per "formarle").

A confermare ulteriormente che si sta parlando di illuminazione, ecco alcune espressioni e frasi che si sentono nel film:

“Via della salvezza.”

“Ascolta la tua coscienza.”

“Guarda dentro la luce.”

“Camminate dritti verso la luce. Non vi voltate indietro per nessun motivo.”

“Soltanto una persona può salvarti. Guarda nello specchio: la vedrai.”

Veniamo agli ultimi temi del film… fortunatamente, giacché la recensione sta diventando parecchio lunga. Abbiamo alcuni riferimenti a Jean Paul Sartre.
Per esempio abbiamo la rappresentazione teatrale della sua opera No exit, in cui vi sono dei personaggi apparentemente rinchiusi come prigionieri in una stanza, i quali solo dopo scoprono che la porta era sempre stata aperta e avrebbero potuto andarsene in qualunque momento. Ciò che è un simbolo perfetto dell’esistenza umana. Perfetto a dir poco. Tra l’altro la scritta “no exit” appare tracciata sulla neve del parabrezza della macchina dei Lewis, a riprova che non è una cosa buttata lì (niente lo è con certi registi), ma un messaggio importante. 
Viene poi citata una stessa frase di Sartre, anch’essa davvero simbolica: “Ci sono due modi per fare il nostro ingresso nell'ultima stanza: liberi o non liberi” (ovviamente ci si riferisce alla libertà spirituale, quella interiore, e non a quella esteriore, che ha un valore assai minore).
Di Sartre si dica, al volo, che è stato un intellettuale internazionalista vicino a personaggi tipici da Nuovo Ordine Mondiale-Illuminati, come i suoi due “colleghi” Albert Camus e Bertrand Russell. Insomma, era probabilmente qualcuno che sapeva.
E non solo Sartre: come Donnie Darko citava Henry Graham Greene, anche lui totalmente addentro al sistema, così The box cita Jean Paul Sartre e Arthur Clarke, casualmente il primo vicino a certi ambienti e il secondo pure (massone, tra l’altro, come tanti autori di fantascienza di quel periodo, come anche Bertrand Russell).
Ecco la citazione di Arthur Clark, peraltro abbinata a un’immagine che è tutto un programma: “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”.
Ciò pare una critica velata alla scienza, o comunque a quella mentalità da scienziato ottuso non in grado di distinguere le cose dell’esistenza nei suoi ristretti parametri visivi, e non capace di distinguere tra se stessa e la magia.
Notate che il protagonista della storia, anche lui di nome Arthur, è uno scienziato, dall’aria molto razionale, che vive in un mondo di certezze e di sicurezza, il cui figlio bambino già non crede più a Babbo Natale… quel Babbo Natale che comparirà in mezzo alla strada generando un incidente e gli eventi successivi.

Parlando di Babbo Natale, vediamo ora alcuni riferimenti a Donnie Darko.
In Donnie Darko abbiamo la scena di Nonna Morte in mezzo alla strada che causa un incidente automobilistico, mentre stavolta in mezzo alla strada in stato catatonico c’è un tipo vestito da Babbo Natale... che ugualmente provoca un incidente. Babbo Natale dunque non esiste ma comunque crea conseguenze… proprio come la “magia”, e proprio come i “poteri occulti”: anche loro non esistono per l’uomo miope scientista, ma comunque hanno un forte impatto sull’esistenza, fortissimo a dire il vero, giacché decidono della vita, della morte e dei percorsi esistenziali.
Curiosità: Frank, l'uomo che in Donnie Darko indossa il costume da coniglio, è sfregiato a un occhio, come Steward è fregiato sul viso (questioni di ego? Una punizione? Un sacrificio?). Da citare anche la presenza in The box del padre di Donnie, come a certificare una "parentela".
Comunque, a dire il vero più che Donnie Darko, The box ricorda Eyes wide shut (soprattutto nella coppia di marito e moglie ignari che affrontano qualcosa molto più grande di loro), e difatti sembra in esso esservi qualche omaggio-riferimento a Stanley Kubrick… che come noto è morto in modo improvviso e sospetto proprio mentre terminava il suo film di denuncia contro le logge massoniche e i centri nascosti di potere e controllo.

In conclusione, ecco le tre chiavi di lettura del film, in ordine di “semplicità e visibilità”:
1. La più semplice e alla portata di tutti, quella dell’uomo ordinario: l’elemento morale.
2. Quella intermedia, dell’uomo complottista: l’élite che controlla tutto.
3. Quella più sottile, per l’uomo più sveglio e avveduto: il progresso spirituale della razza umana e gli accenni gnostico-evolutivi.
Esse non sono alternative, ma compresenti, e il livello di conoscenza e consapevolezza dello spettatore determinerà cosa vedrà.

Chiudo con altre tre citazioni tratte dal film che riassumono abbastanza bene i suoi contenuti esistenziali: da quello morale a quello interiore e simbolico.

“Se gli esseri umani non sono capaci o disposti a sacrificare i desideri individuali per il bene superiore della specie, non potrete sopravvivere, e i miei datori di lavoro saranno obbligati ad accelerare la vostra estinzione.”

“Vi sta mettendo alla prova.
Sta mettendo alla prova tutti noi.”

“Se mi è permesso chiederlo, perché una scatola?”
“La sua casa è una scatola. Una scatola con le ruote è la sua macchina: lì dentro va al lavoro, lì dentro torna a casa. Dentro casa sta seduto per ore a fissare una scatola che gli erode l’anima, mentre la scatola che è il suo corpo avvizzisce e poi muore. Dopo di che viene deposto nella scatola definitiva, dove lentamente si decompone.”
“È francamente deprimente, se la mettiamo in questo modo.”
“Lei non la mette in questo modo? Lo consideri uno stato temporaneo dell’essere.” 

Fosco Del Nero



Titolo: The box (The box).
Genere: drammatico, fantastico, esistenziale.
Regista: Richard Kelly.
Attori: Cameron Diaz, James Marsden, Frank Langella, James Rebhorn, Holmes Osborne, Sam Oz Stone, Gillian Jacobs, Michael Zegen, Celia Weston.
Anno: 2009.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 26 ottobre 2016

Humandroid - Neill Blomkamp

Il film recensito oggi è Humandroid, diretto da Neill Blomkamp nel 2015.
Del registra sudafricano avevo già diretto il più famoso District 9, il quale peraltro gli aveva dato fama e un certo potere realizzativo, tanto da potersi permettere in seguito budget di un certo livello, nonché attori più consumati: in Humandroid abbiamo per esempio Hugh Jackman (X-Men, The prestige, Scoop, L’albero della vita) e Sigourney Weaver (Alien, Ghostbusters, Avatar)… piazzati peraltro nel ruolo del cattivo e in un ruolo praticamente insignificante.

I protagonisti del film sono invece il personaggio umano di Deon Wilson e quello robotico di Chappie.

E andiamo dunque a vedere la trama di Humandroid: siamo a Johannesburg in un prossimo futuro, allorquando si è deciso di risolvere i soliti problemi di delinquenza con l’ingaggio di una serie di androidi progettati dalla Tetraval, e in particolare dal giovane ingegnere Deon Wilson (Dev Patel), ciò a discapito di Vincent Moore (Hugh Jackman), che viceversa aveva proposto un altro tipo di robot, più potente e controllato da un’intelligenza umana a distanza, ma quindi meno indipendente in quanto ad azione.
Deon, dal canto suo, non si è accontentato di aver sviluppato il rivoluzionario progetto degli “androidi scout”, ma vuole realizzare una vera e propria coscienza non umana… fatto in cui incredibilmente riesce, dando vita, seppur in modo travagliato, a un androide che verrà poi chiamato Chappy, al quale, sempre in modo travagliato, sarà legato il suo destino.
In tale “travaglio” giocherà un ruolo fondamentale il trio di criminali Ninja, Yolandi e Amerika.

Quanto al film, esso, come era stato anche per District 9, spazia tra diversi campi: la tecnologia e la fantascienza, l’azione, il sentimentale e il drammatico.

Forse troppi, col rischio di aver messo su un discreto calderone, tra la questione tecnologica dei robot-androidi, la questione del controllo sociale, la questione etica, la questione dello sviluppo della coscienza (in pratica non affrontata, ma solo buttata lì), la questione del trasferimento della coscienza (anche questa non spiegata e messa solo lì come fatto acquisito).
Il risultato finale è un film tra fantascienza, coscienza, morale, dramma, sentimenti, azione e poliziesco, che però non eccelle in nessuno di tali ambiti, e che anzi risulta mediocre su tutti i versanti, facendosi notare in sostanza solo per l’originalità del robottino Chappy, il quale ovviamente attira le simpatie del pubblico un po’ per il suo essere originale un po’ per il destino avverso che lo colpisce, ma che non può certo risollevare da solo le sorti di un film privo di spessore, sia a livello di sceneggiatura che a livello di dialoghi.
E anche i personaggi portanti sono anonimi, occorre dirlo.

Insomma, se District 9, decisamente più originale, non mi aveva entusiasmato ma perlomeno si era guadagnato un voto discreto, Humandroid si situa decisamente sul livello della mediocrità.
Ma, in virtù di una certa vivacità di fondo, darò comunque una terza chance a Neill Blomkamp guardandomi anche il suo secondo film (Humandroid è il terzo), ossia Elysium.

Fosco Del Nero



Titolo: Humandroid (Chappie).
Genere: fantascienza, azione, drammatico.
Regista: Neill Blomkamp.
Attori: Sharlto Copley, Dev Patel, Ninja, Yolandi Visser, Hugh Jackman, Sigourney Weaver, Brandon Auret, Johnny Selema, Anderson Cooper, Maurice Carpede.
Anno: 2015.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

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