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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 23 febbraio 2022

Mirai - Mamoru Hosoda

Il film recensito quest’oggi è un film d’animazione: Mirai, diretto da Mamoru Hosoda nel 2018.

Negli ultimi anni ho considerato Mamoru Hosoda il vero erede di Hayao Miyazaki come vertice dell’animazione nipponica: film come La ragazza che saltava nel tempoWolf children, ma soprattutto The boy and the beast, mi avevano fatto decisamente propendere per tale ipotesi…

… tuttavia Mirai, il suo ultimo lavoro, mi ha fatto in parte ricredere: Miyazaki difatti non ha mai fatto un buco nell’acqua, oscillando tra “ottimo” e “capolavoro”, mentre il film oggetto della recensione odierna presta il fianco a varie critiche.

Come prima cosa, andiamo a tratteggiarne la trama: Kun, affettuosamente chiamato dai suoi genitori Kun-chan (immagino che "Kun-kun" risultasse un poco ripetitivo), è un bambino di quattro anni che si trova a dover fronteggiare la nascita di una sorellina, Mirai, e la susseguente perdita di attenzione da parte dei suoi genitori, ora concentrati maggiormente sulla neonata.
Per il bambino, evidentemente abituato ad avere la massima attenzione da parte della madre e del padre, è una cosa inattesa e molto sgradita, tanto che non tarderà a fare i capricci, piangendo e rotolandosi a terra… cosa che farà per buona parte del film.
Da quel momento inizia una sorta di elaborazione interiore della nuova situazione, la quale, in modo molto fantasioso, coinvolgendo il cane Yukko, la Mirai e il sé stesso adulti, nonché i bisnonni e altri parenti, lo porterà a una maggiore comprensione e accettazione dello stato di fatto.

Mirai, in definitiva, è un film sull’accettazione e sul rapporto tra i fratelli piccoli.

L’intento di fondo del film è buono, e peraltro anche le precedenti opere di Hosoda, come dichiarato da lui stesso, avevano un riferimento di tipo intimo-familiare: Wolf children, ad esempio, esplorava il rapporto tra una madre single e i figli, nonché il rapporto tra i fratelli stessi; Summer wars mostrava uno spaccato di una tradizionale famiglia giapponese; The boy and the beast partiva da problemi familiari e portava a una sorta di educazione-addestramento del protagonista da parte di una figura paterna "sostitutiva"; La ragazza che saltava nel tempo parla chiaramente di adolescenza-gioventù.

Tuttavia, Mirai cede il passo ai suoi predecessori da entrambi i punti di vista: quello tecnico, che onestamente non mi è piaciuto molto se non per rare scene, e quello interiore-contenutistico, piuttosto semplicistico e infantile.

Tra The boy and the beast o Wolf children e Mirai, per essere onesti, c’è un abisso di qualità in mezzo, esterna e interna.
Peraltro, rendere il protagonista centrale di un film, in verità praticamente l’unico, estremamente noioso e piagnucoloso non è un buon viatico per realizzare un’opera piacevole e brillante.

Mirai, dunque, si salva solo in alcune scene visivamente molto belle (come il cane-uomo nel giardino), nell’idea della casa a gradoni, con giardino in mezzo, nell’intento di fondo di realizzare un’opera didattica… purtroppo però realizzato solo in parte. Forse, in verità, il film è più adatto alla visione dei bambini, e magari dei bambini capricciosi in cerca d’attenzione (per mostrare loro come appaiono dall'esterno). Quanto all’antico e validissimo assunto per cui un’opera di qualità per bambini debba essere anche un’opera di qualità per gli adulti (lo disse C. J. Lewis, se ricordo bene), qua non ci siamo.

Confido in una pronta ripresa nel prossimo film di Hosoda… magari non più sull’elemento familiare, che pare aver sfruttato a sufficienza, e forse anche troppo.

Fosco Del Nero 



Titolo: Mirai (Mirai no Mirai). 
Genere: anime, animazione, commedia, fantasy.
Regista: Mamodu Hosoda. 
Anno: 2018.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 22 febbraio 2022

Vamps - Amy Heckerling

Fin da ragazzino ho sempre amato il film Ragazze a Beverly Hills, al contempo fresco e intelligente… tuttavia non avevo mai potuto apprezzare nient’altro della regista  Amy Heckerling, che in effetti per il resto ha avuto una carriera mediocre, con qualche commediola e basta. 

All’interno di tale scarsa filmografia, ci avevo provato una volta con American school, ma senza grande successo, e ho deciso di riprovarci con Vamps, l’ultimo suo film, datato 2012.

Nel cast, c’è ancora una volta Alicia Silverstone, ormai un po’ invecchiata visti i diciassette anni di distanza da Ragazze a Beverly Hills, e Krysten Ritter, famosa soprattutto per la serie tv Non fidarti della str**** dell'interno 23 nonché per qualche piccola parte di contorno in altre serie televisive o in vari film (come Big eyes o I love shopping).
Nel cast si fanno notare anche Sigourney Weaver (AlienAvatarGhostbusters), Dan Stevens (Downton Abbey, La bella e la bestia), Wallace Shawn (La storia fantastica, Young sheldon) e Malcolm McDowell (Arancia meccanica, L'uomo venuto dall'impossibile).

Genere di Vamps: commedia, con evidenti tendenze sentimentali e qualche venatura drammatica.
Di orrorifico, nonostante la trama, in realtà non c’è niente, com’era lecito aspettarsi dai nomi di regista e attori.

Ecco la trama sommaria di Vamps: Goody e Stacy sono due ragazze carine e super-curate che condividono un appartamento a Manhattan e che sono grandi amiche. Fin qui nulla di strano, se non fosse che le due sono vampire, ma vampire buone, che non si nutrono di sangue umano, preferendo dirigersi sul sangue di topi, che difatti allevano in casa loro e che bevono come fossero succhi di frutta, con tanto di cannuccia.
Sottoposte alle classiche limitazioni dei vampiri, in primis quella della luce, le due vivono di notte: escono, vanno a eventi e frequentano un gruppo di sostegno per vampiri in stile alcolisti anonimi, in cui i vampiri che hanno scelto di non bere più sangue umano, tra i quali c’è anche Vlad l’Impalatore in versione simpatico vecchietto, si sostengono l’un l’altro.
La donna che le ha trasformate, Ciccerus, non condivide tuttavia tale inclinazione, e sovente si dà all’assassinio.
Dall’altra parte, abbiamo il Dottor Van Helsing, noto uccisore di vampiri, e suo figlio Joey… ma anche un personaggio-leccapiedi di nome Renfield, per non farsi mancare niente.

Va da sé che Vamps è una sorta di parodia umoristica del genere vampiresco, simile nell’intento a What we do in the shadows, che ho visto per primo ma che lo segue di due anni, essendo datato 2014.
Il film di Amy Heckerling non fa tuttavia l’errore di essere solo citazionista, o solo commediola adolescenziale, ma propone molti elementi originali, a cominciare dall’incipit, davvero delizioso, in cui ho ritrovato la verve e la brillantezza di Ragazze a Beverly Hills

Purtroppo quella qualità non è presente in tutto il film, che alterna fasi vivaci e fresche ad altre più stantie e poco carismatiche.

Nel complesso, comunque, Vamps è un discreto film, che val la pena di vedere se si è appassionati del genere commedie vivaci, del genere vampiresco (ma proprio fan sfegatati in questo caso) o di uno dei tanti bravi attori presenti davanti alla cinepresa.

Una curiosità: nel 2012 Sigourney Weaver aveva 63 anni: portati benissimo… forse il vero vampiro è lei, che peraltro, curiosamente, ha speso praticamente tutta la carriera tra alieni, fantasmi e possessioni varie. Il ruolo del vampiro mi mancava.

Fosco Del Nero 



Titolo: Vamps (Vamps). 
Genere: commedia, fantasy.
Regista: Amy Heckerling. 
Attori: Alicia Silverstone, Krysten Ritter, Sigourney Weaver, Dan Stevens, Richard Lewis, Wallace Shawn, Justin Kirk, Malcolm McDowell, Zak Orth, Marilu Henner, Scott Thomson, Todd Barry.
Anno: 2012.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 16 febbraio 2022

Seinfeld - Jerry Seinfeld, Larry David

In Italia la sit-com Seinfeld non ha avuto alcun successo, anche perché non ha mai goduto di una programmazione sulle reti principali, ma al tempo non me ne perdevo una puntata su Telemontecarlo… e non comprendevo come mai la serie non godesse di spazi migliori, visto che, di mio, la trovavo di ottima qualità.

Più avanti ho scoperto che, mentre da noi è stata snobbata per qualche motivo misterioso, negli USA viceversa la serie ebbe a suo tempo un successo clamoroso, tanto da definire dei nuovi standard per il genere, fino ad allora basato su contesti familiari o al massimo lavorativi. 
Seinfeld introdusse viceversa la vita di tutti i giorni come perno centrale di una serie tv, tra tempo casalingo, spesa, commissioni, uscite tra amici, relazioni sentimentali, e via discorrendo.

Gli autori, Jerry Seinfeld e Larry David, la definirono non a caso “una serie sul nulla” e, a certificare tale status, si mantennero sempre fedeli al loro motto “no hugging, no learning”, ossia “niente abbracci, niente apprendimento”: le situazioni melense sono bandite dalla serie, che rimane assolutamente umoristica anche quando affronta eventi difficili come licenziamenti e morte (cosa che comunque capita molto di rado) e che non mostra alcuna crescita dei personaggi. Si tratta di una sit-com atta a far ridere, punto e basta.

Non a caso, il suo protagonista, colui che dà il nome alla stessa serie, di lavoro faceva il comico di palcoscenico… e lo fa anche nella serie, visto che essa è fortemente basata su elementi autobiografici, come ad esempio le figure dei genitori di Jerry.

Tanto fu il successo di Seinfeld, Jerry Seinfeld e Larry David, che i due autori arrivarono a guadagnare diversi milioni di dollari per ogni puntata prodotta… e la serie è andata avanti per nove stagioni (dal 1989 al 1998) per un totale di 180 episodi. E non fu interrotta per un calo di ascolti, ma perché Jerry Seinfeld, all’apice del successo, ormai ricco oltre ogni dire, decise di ritirarsi dalle scene, nonostante la decima stagione della serie fosse stata già approvata (il che prova peraltro che l'opera non fu colpita dai tipici e notevoli cali di ascolto delle serie televisive piuttosto lunghe).

Altri dettagli: la serie ha avuto un forte impatto collettivo, tanto da generare modi di dire e di fare, nonché da render famosi alcuni siparietti, alcune gag, o alcune intere puntate, come quella del ristorante cinese o del poliziotto della biblioteca.
Essenzialmente, se in seguito è esistito Friends, si deve a Seinfeld (New York, Manhattan, gruppo di amici, vita di tutti i giorni). A sua volta Friends ha influenzato le serie venture, da How I met your mother a Will & Grace, fino a The Big Bang theory, per cui l’impatto complessivo di Seinfeld è stato enorme…

… e non del tutto in positivo, devo dire, giacché, se umoristicamente la serie è a un livello eccelso, tra battute, mimica, personaggi e situazioni, a livello umano si presenta piuttosto carente: niente abbracci, e quindi niente emotività, e niente apprendimento, e quindi personaggi che non imparano niente e rimangono essenzialmente adolescenziali ed egocentrici come all’inizio della serie. Non cattivi, ma tendenti all’ego e quindi orientati ai loro desideri, alle loro speranze, alle loro paure, all’aspetto mentale e materiale della vita piuttosto che ad aspetti più profondi e sottili.

Altro elemento per cui Seinfeld ha fatto scuola e che lo stesso Friends ha poi elevato a potenza: le comparsate di personaggi famosi che hanno recitato nella sit-com per una o per un paio di puntate. Tuttavia, a differenza di Friends o di altre serie successive, gli ospiti di Seinfeld son più difficili da riconoscere per il pubblico italiano, un po’ perché la sit-com è ormai abbastanza risalente (le prime puntate sono di 32 anni fa!) e un po’ perché si trattava di personaggi più “statunitensi” che “internazionali”. Friends, come dicevo, ha elevato a potenza il meccanismo, portando come ospiti le più grandi star cinematografiche di quel periodo, come Brad Pitt, George Clooney, Julia Roberts, etc. In effetti, la presenza di ospiti di maggiore o minore rilievo è diventato un indice di qualità e di popolarità delle sit-com degli anni a venire.

Ma andiamo a tratteggiare le vicende di Seinfeld: Jerry Seinfeld (Jerry Seinfeld) è un comico di buon successo e vive a Manhattan, accanto allo strambo vicino Cosmo Kramer (Michael Richards); il suo migliore amico, dai tempi del liceo, è George Costanza (Jason Alexander) il quale è insicuro e psicotico tanto quanto Jerry viceversa è posato e tranquillo. Del gruppo fa parte anche Elaine Benes (Julia Louis-Dreyfus), ex ragazza di Jerry, una tipetta vivace e dal carattere tosto.
I quattro si incontrano, spesso a casa di Jerry o in qualche altro luogo, e parlano delle cose della loro vita: incontri, lavoro, acquisti, viaggi, etc. Il tutto, come detto, rimane piuttosto bloccato visto che i quattro non portano avanti un percorso di crescita e nemmeno progetti personali come matrimoni, famiglia o figli: rimangono tutti celibi e nubili dall’inizio alla fine, nonché discretamente superficiali ed egoici, come detto, per quanto mai cattivi o antipatici.

Curiosità: nella serie recita, in un ruolo secondario, Jerry Stiller, il padre del più famoso Ben Stiller.

Un ultimo dettaglio: sulla serie si è abbattuta la cosiddetta “maledizione di Seinfeld”, che consiste nel fatto che i suoi attori principali non son riusciti ad avere successo nel resto della loro carriera… ma che, si è visto a posteriori, è una tendenza tipica delle serie televisive di grande successo, comprese quelle già citate o altre tipo Dharma & Greg: quando un attore è stato così a lungo e così fortemente identificato in un personaggio, è difficile per il pubblico vederlo in altre vesti, o almeno così sembrano credere i produttori cinematografici.

Ascolti, incassi, premi e umorismo a non finire: se non avete mai visto Seinfeld ma amate il genere delle sit-com, sarebbe certamente una buona idea dargli una possibilità.

Fosco Del Nero



Titolo: Seinfeld (Seinfeld). 
Genere: serie tv, comico.
Ideatore: Jerry Seinfeld, Larry David.
Attori: Jerry Seinfeld, Jason Alexander, Julia Louis-Dreyfus, Michael Richards, Wayne Knight, Estelle Harris, Jerry Stiller, Heidi Swedberg, Len Lesser, Liz Sheridan, Barney Martin.
Anno: 1989-1998.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.



martedì 15 febbraio 2022

Zombieland - Doppio colpo - Ruben Fleischer

Vidi il primo Zombieland, ossia Benvenuti a Zombieland, poco dopo la sua uscita sul mercato americano, e ben prima che fosse importato in Italia, tanto che lo vidi in lingua originale.
Il film mi piacque molto, così fresco e originale, tanto che non ho avuto dubbi se vedermi il suo seguito, Zombieland - Doppio colpo, uscito a ben dieci anni di distanza.

Dieci anni son molti per un seguito, soprattutto se si mantengono i medesimi attori, che nel mentre son passati da bambini a ragazzi, da ragazzini a uomini e donne, e da uomini di mezz’età a uomini quasi sessant’enni, com’è stato il caso rispettivamente di Abigail Breslin, di Jesse Eisenberg ed Emma Stone, e di Woody Harrelson.

Per ravvivare il cast, peraltro, son stati aggiunti degli altri attori, già discretamente famosi, proprio come era stato per il primo Zombieland, che aveva visto come ospite d’onore Bill Murray: stavolta è la volta di Rosario Dawson, Zoey Deutch e Luke Wilson (che ricordo, rispettivamente, in  Sin City, Prima di domaniI Tenembaum).

Quanto al regista, nel mentre non ha avuto una buona carriera, nonostante l’inizio sfolgorante di Benvenuti a Zombieland, il che non deponeva bene per questo seguito a distanza decennale… per il quale non era incoraggiante la mera statistica secondo cui il secondo film di un primo film eccellente raramente sta all’altezza del suo predecessore (specie se girato a distanza di parecchi anni).

Purtroppo, è stato così anche per Zombieland - Doppio colpo, che rimane vivace e offre qualche spunto interessante, ma peggiora nettamente nell’umorismo e nelle trovate, alcune davvero ridicole e anzi offensive per determinate categorie (vegetariani, pacifisti, etc).

Ecco la trama di Zombieland - Doppio colpo: Columbus, Tallahassee, Wichita e Little Rock sono ancora vivi e son diventati una sorta di famiglia. Tuttavia, Little Rock inizia a sentire stretta la vita che conduce, probabilmente invidiando anche la relazione della sorella maggiore col ragazzo, e la stessa Wichita torna a sentirsi un po’ troppo legata a Columbus. 
Quanto a Tallahassee, si diverte e gioca a fare il padre con Little Rock… la quale però a un certo punto scappa insieme a Wichita, lasciando i due uomini da soli, fino a che non incontrano Madison, una ragazza bella ma un po’ superficiale. 
Decisisi a partire anche loro, incontreranno delle altre persone vive, nonché ovviamente molti zombie, che nel mentre hanno imparato a riconoscere e distinguere in vari gruppi: gli Homer, gli Hawking, i Ninja, i Bolt e infine i T-800, i più pericolosi

Una sceneggiatura un po’ forzata e stantia, nonostante qualche nuova e bella trovata, un umorismo più grossolano, dei personaggi caratterizzati in modo forzato: queste sono le lacune di Zombieland - Doppio colpo, che non mi ha convinto nemmeno nel doppiaggio italiano, soprattutto per il personaggio di Wichita… ma magari in inglese il film è più convincente.

In definitiva, come per molti altri casi, sarebbe stato meglio non girare il seguito del primo film, o al massimo girarlo a stretto giro di posta, e non dopo dieci anni.

Curiosità: entrambi i film hanno guadagnato circa 80 milioni di dollari: il primo spendendo e incassando di meno, e il secondo, sulla scia del successo del primo film, spendendo e incassando un poco di più.

Fosco Del Nero



Titolo: Zombieland - Doppio colpo (Zombieland - Double tap). 
Genere: commedia, comico.
Regista: Ruben Fleischer.
Attori: Woody Harrelson, Jesse Eisenberg, Abigail Breslin, Emma Stone, Zoey Deutch, Rosario Dawson, Avan Jogia, Ian Gregg, Luke Wilson.
Anno: 2019.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 9 febbraio 2022

Ladyhawke - Richard Donner

Ovviamente avevo già visto Ladyhawke, il film fantasy classico degli anni “80, ma non da quando avevo aperto il blog Cinema e film, tanto che questa nuova visione vale a redarne la recensione, e una recensione matura, svicolata dall’adolescenza e dai decenni “80-“90, giacché capita che i film di quegli anni invecchino male… o bene, a seconda della qualità del film.

Partiamo dal curriculum: a dirigere il tutto c’è Richard Donner, che in quegli anni trasformava in oro qualunque cosa toccasse, e svariando in vari generi: oltre a Ladyhawke, abbiamo anche I GooniesOmen - Il presagio, S.O.S. fantasmi, Superman, Arma letale. In effetti, Donner è stato uno dei registi che ha più caratterizzato la fine degli anni “70 e tutti gli anni “80.

Davanti alla macchina da presa, invece, abbiamo Michelle Pfeiffer (Stardust, Le streghe di Eastwick, Dark shadows, Madre!, White oleander, Scarface, Le relazioni pericolose), al tempo giovane e dalla bellezza abbacinante), Matthew Broderick (Wargames - Giochi di guerra, Il rompiscatole, Una pazza giornata di vacanza), al tempo ragazzino dall’aria un po’ guascona, e Rutger Hauer (Blade runner, The hitcher - La lunga strada della paura, La leggenda del santo bevitore), al tempo uomo bello e prestante.

Ecco la trama di Ladyhawke: siamo nel Duecento, nella provincia francese (per quanto il film sia stato girato quasi interamente in Italia), immersi nel Medio Evo, nella religione, nella superstizione e nell’uso della forza.
Il giovane Philippe Gaston, un ladruncolo imprigionato nella città di Aguillon in attesa dell’esecuzione per impiccagione, riesce a fuggirne passando per le fogne. Inseguito dai soldati, viene salvato dal forte e carismatico Etienne Navarre, ex capitano della guardia e in rotta col potente Vescovo di Aguillon... e per un motivo ben serio: il Vescovo, in un impeto di gelosia verso la bella Isabeau D'Anjou, ha ricorso alla magia nera e ha trasformato Etienne in un lupo e Isabeau in un falco. 
Ma non perennemente: l’uomo diventa lupo la notte, per poi ridiventare uomo all’alba, e la donna diventa falco di giorno, ridiventando donna al tramonto. Di fatto, i due innamorati possono anche vivere insieme, ma senza mai incontrarsi come uomo e donna.
Il frate Imperius, che al tempo causò involontariamente la maledizione, cerca ora di porvi rimedio, aiutato dal ladruncolo Philippe.

Essenzialmente Ladyhawke è una fiaba fantasy, che ha sia carisma, che bellezza, che dolcezza: in effetti, non le manca niente, né visivamente, né come recitazione. Anzi, appartiene alla vecchia scuola cinematografica che si permette anche silenzi e spazi e punta sull’atmosfera, che il film possiede in abbondanza, più che sul dinamismo. Una cosa del film è tuttavia invecchiata male: la colonna sonora evidentemente in stile anni “80, la quale è quasi sempre fuori luogo e che sarebbe stato meglio evitare, magari in favore di qualcosa di più neutro (musica classica, musica d'atmosfera).

È un peccato veniale, comunque, all’interno di un film bello ed evocativo, contenente anche qualche spunto dal sapore nettamente esistenziale, cosa che non mi ricordavo (nel senso che senza dubbio molti anni fa non ero in grado di accorgermene).
A tal scopo, mi sono segnato alcune frasi interessanti, che riporto di seguito, le quali a dire il vero paiono abbastanza slegate dal contesto narrativo, e messe invece per conto proprio… il che, dal mio punto di vista, fa acquisire loro maggiore importanza e consegna al film una simbologia e una profondità ulteriori.
Tra l’altro il protagonista parla spesso con Dio, mentre dal lato dei cattivi è citato un patto col Diavolo, il che parrebbe evidenziare una tematica spirituale, per quanto secondaria rispetto a quella narrativo-fiabesca. D’altro canto, è evidente il simbolo della dualità: uomo-donna, giorno-notte, sole-luna, eclissi e superamento della dualità con la riunificazione delle due energie opposte (“una notte senza il giorno e un giorno senza la notte”). Tra gli altri dualismi, a ben vedere c'è anche quello “maestro-allievo”, anch'esso dal sapore molto esistenzial-spirituale.
A dirla tutta, col senno di poi considero tale valore aggiunto di genere esistenziale uno dei motivi per cui il film è diventato un classico.

“Forse sto sognando, eppure sono sveglio.
Vuol dire che sono sveglio e sto sognando di dormire, o piuttosto può essere che dormo e sogno di essere sveglio, e mi chiedo se sto sognando.”

“Stai sognando.”

“Non ho visto ciò che i miei occhi hanno visto; non credo ciò che la mia mente crede. Mio Dio, queste sono cose magiche, sono cose misteriose di cui ti prego, Signore, non rendermi partecipe.”

“Vi sono strane forze che agiscono nella tua vita, forze magiche che ti circondano.
Io non le capisco, però mi spaventano.”

“Ho detto la verità, Signore; come puoi chiedermi di comportarmi bene se continui a confondermi così?”

“Sempre insieme, eternamente divisi.”

“Un giorno conosceremo quella felicità che un uomo e una donna sognano.”

In chiusura, un ultimo appunto. Nel film la maledizione viene spezzata proprio nell’istante in cui il giorno e la notte si uniscono, il che sa molto di Tao e di riunione degli opposti, per l’appunto, e che da solo è un insegnamento evolutivo importante. Tale impresa riesce grazie alla forza di Volontà del guerriero, alla Compassione del ragazzino e alla Conoscenza del monaco… e anche questo è un insegnamento di una certa portata, per chi è in grado di vederlo (i tre livelli fisico, emotivo e mentale lavorano insieme in modo armonico per un bene superiore).
 
Fosco Del Nero



Titolo: Ladyhawke (Ladyhawke).
Genere: drammatico, fantasy.
Regista: Richard Donner.
Attori: Michelle Pfeiffer, Matthew Broderick, Rutger Hauer,  Leo McKern, Donald Hodson, John Wood, Ken Hutchison, Valerie O'Brien, Venantino Venantini, Alfred Molina, Giancarlo Prete.
Anno: 1985.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



martedì 8 febbraio 2022

Ragazze a Beverly Hills - Amy Heckerling

Forse qualcuno si sorprenderà della valutazione assegnata a Ragazze a Beverly Hills, ma il film era una delle mie commedia preferite di quand’ero adolescente… e lo è tutt’oggi, nel senso che lo valuto ancora come un prodotto intelligente, fresco e persino educativo.

Ma andiamo con ordine: Ragazze a Beverly Hills è stato diretto nel 1995 da Amy Heckerling e pare sia vagamente ispirato a Emma di Jane Austin… che però non ho mai letto, quindi non vi so dire in che modo e misura.

Formalmente è una commedia giovanile, oscillante tra leggerezza e sentimenti, ma si distingue dai suoi simili, che negli anni successivi sarebbero scaduti talmente tanto da identificare in senso fortemente negativo il genere della “commedia adolescenzial-giovanile” per intelligenza, ironia e anche senso di responsabilità…

… nonostante esso sia ambientato in uno dei luoghi definiti come più superficiali del mondo occidentale: quella Beverly Hills resa famosa dalla serie tv Beverly Hills 90210 e sorta di periferia dorata di Los Angeles.

Ecco la trama sommaria di Ragazze a Beverly Hills: Cher (Alicia Silverstone; Vamps, Sbucato dal passato) e Dionne (Stacey Dash) sono le due sedicenni più in vista del liceo, in cui si muovono come regine. Ricche, belle, intelligenti e popolari, dedite allo shopping e alle feste, conoscono bene le dinamiche sociali dei vari gruppi giovanili e si muovono di conseguenza, non disdegnando di dare una mano qui e là, cosa che le rende benvolute da tutti.
Una di queste buone azioni è rappresentata dalla nuova arrivata Tai (Brittany Murphy; Ragazze interrotteThe ramen girl, Sin City, Oggi sposi, niente sesso… purtroppo morta giovanissima), una ragazza dall’aria un po’ scapestrata ma con del potenziale, che le due si decidono a tirare fuori.
Nel mentre, esse si dedicano anche alla storia d’amore tra due insegnanti (uno dei due è interpretato da Wallace Shawn, celebre caratterista e mitico personaggio de La storia fantastica e rivisto in tempi recenti nella serie Young Sheldon), oltre che ai loro desideri personali.
Cher ha anche da gestire il burbero padre (Dan Hadaya) e un fratellastro parecchio diverso da lei (Paul Rudd; Nudi e felici, Come lo sai).

Per quanto mi riguarda, Ragazze a Beverly Hills è un film delizioso, che ha il meglio delle commedie giovanili (la freschezza, l’ironia, l’innocenza) ma non il peggio (la superficialità, la volgarità, la stupidità). È persino privo del pregiudizio che spesso fa capolino in prodotti del genere, tanto che mi son deciso a guardare qualche altro film della regista, che tuttavia non ha fatto una gran carriera, per utilizzare un eufemismo.

Eccellente il casting, ottima la recitazione, Alicia Silverstone su tutti, brillanti i dialoghi e ottima anche la colonna sonora; alcuni personaggi son proprio memorabili, 

Ragazze a Beverly Hills peraltro è un film eccellente perché rappresenta in pieno un’epoca, quella degli anni “90… tanto quanto altri film ben rappresentano gli anni “60 o gli anni “80.
Come tutti i film con buoni contenuti, è invecchiato bene, il che forse è miglior criterio di valutazione a distanza di tempo.

Fosco Del Nero



Titolo: Ragazze a Beverly Hills (Clueless). 
Genere: commedia, sentimentale.
Regista: Amy Heckerling.
Attori: Alicia Silverstone, Stacey Dash, Paul Rudd, Brittany Murphy, Breckin Meyer, Donald Faison, Elisa Donovan, Jeremy Sisto, Dan Hedaya, Wallace Shawn, Twink Caplan, Justin Walker.
Anno: 1995.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 2 febbraio 2022

Good omens - Douglas Mackinnon

Quando ho saputo che era stata prodotta una serie televisiva basata sul libro Buona apocalisse a tutti!, ossia Good omens, son corso subito a guardarmela… non tanto perché avessi particolarmente apprezzato il libro in questione, che in verità non ho mai letto, ma perché sapevo che esso era una collaborazione a quattro mani tra Terry Pratchett e Neil Gaiman, il primo celebre per i suoi mondi fantasy e il suo umorismo british, e il secondo famoso per le sue opere brillanti e surreali.

Non a caso, ho letto svariati libri del primo, e ho visto svariate conversioni cinematografiche del secondo, tra cui Mirrormask, Stardust, Coraline e la porta magica, American gods.

Al progetto peraltro hanno partecipato nomi di discreto valore, oltre allo stesso Neil Gaiman in qualità di produttore, come gli attori David Tennant e Frances McDormand, che non si vede ma che dà la sua voce al narratore… voce ovviamente doppiata in italiano, e bene, come c’era da attendersi dall’ottima scuola di doppiaggio che c’è nel nostro paese.

Ecco la trama sommaria, molto sommaria, di Good omens: nei giorni nostri, le forze del Paradiso e quelle dell’Inferno hanno deciso di scatenare l’Apocalisse, l’evento che metterà di fronte i rispettivi eserciti, quantificati in 10.000 angeli e 10.000 diavoli, per la resa dei conti finale. L’evento che scatenerà tutto quanto sarà la nascita dell’Anticristo sotto forma umana, come previsto nelle Belle e accurate profezie di Agnes Nutter, una strega inglese del sedicesimo secolo che dietro di sé ha lasciato non solo quel manoscritto ricco di precisissime profezie (ad esempio, suggeriva di comprare le azioni della Apple negli anni “80), ma una genealogia di streghe dedite proprio allo studio di tali profezie. Una di queste è Anatema Device (Adria Arjona), mentre Newton Pulsifer (Jack Whitehall) è al contrario l’erede della famiglia che nel corso dei secoli si è battuta per bruciare le streghe in questione.
I personaggi principali della serie sono però, indiscutibilmente, altri due: l’angelo Azraphel (Michael Sheen; Midnight in Paris, Qualcosa di speciale) e il demone Crowley (David Tennant; Harry Potter e il calice di fuoco), inviati sul pianeta Terra per portare avanti la rispettiva agenda angelica e demoniaca, Apocalisse compresa, ma in realtà affezionatisi col tempo alla razza umana e alle sue piacevolezze, tanto da lavorare in segreto, e in combutta, per scongiurare invece la fine del mondo, giacché i due gradirebbero continuare a viverci.
In tutto ciò, compaiono anche i Cavalieri dell’Apocalisse, studiosi di occulto, bambini più o meno innocenti, angeli e demoni assortiti (in verità dipinti tutti come fastidiosi ed estremi nella loro faziosità).

Compaiono anche, e in larga misura, i Queen, soggetto principale della ricca colonna sonora della serie, che comprende anche una sigla di apertura bellissima, audio e video, e una musica di chiusura degli episodi ugualmente bella.

Insomma, Good omens è una serie realizzata con tutti i crismi, e credo anche un discreto budget. Certamente, il gradimento da parte dello spettatore dipenderà in larga misura dal suo apprezzare o meno l’umorismo britannico, spesso focalizzato sul nonsense o sulla bizzarria, ma in ogni caso non si può dire che la serie sia realizzata male.
Mini-serie, per la precisione, dal momento che vi è una sola stagione, e composta da soli sei episodi. In certi casi un po’ frettolosi, che forse si sarebbero potuti ampliare maggiormente, fino a comprendere qualche episodio in più, ma magari il tutto è stato calibrato sul budget messo a disposizione dal produttore, ch’è bastato comunque per la realizzazione di una mini-serie di tutto rispetto, originale, brillante, colorata e divertente.

Ci si è presi parecchie libertà riguardo alla schiere angeliche e a tutta la questione religioso-esistenziale, il tutto sfocia in un generico qualunquismo (cosa quanto mai paradossale per un prodotto così insolito), la morale di fondo non è proprio il massimo (non viene minimamente preso in considerazione il percorso evolutivo-spirituale e viene invece esaltato il materialismo), ma d’altronde non si tratta di un prodotto di quel tipo, ma di un’opera umoristica, e va presa per quello che è.

Fosco Del Nero



Titolo: Good omens (Good omens). 
Genere: serie tv, surreale, fantastico, comico.
Ideatore: Neil Gaiman, Terry Pratchett.
Attori: David Tennant, Michael Sheen, Adria Arjona, Ilan Galkoff, Frances McDormand, Sam Taylor Buck, Jag Patel, Simon Merrells, Lourdes Faberes, Benedict Cumberbatch, Jon Hamm. 
Anno: 2019.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



martedì 1 febbraio 2022

Carnival Row - René Echevarria, Travis Beacham

Carnival Row, serie tv di cui nel 2019 è stata prodotta la prima stagione e che è stata confermata perlomeno per la seconda, aveva potenzialmente tutto per piacermi, dall’ottimo cast a una sceneggiatura intrigante, per cui non ho esitato a guardarla.
Trovandovi, alla fine della prima stagione, molti punti di forza ma anche qualche punto debole. Andiamo a vedere quali.

I nomi dei due ideatori, René Echevarria e Travis Beacham, non mi dicevano nulla, e infatti  finora non ho frequentato i loro lidi, per dir così.
Il cast di attori, invece, mi diceva parecchio, e m’ispirava positivamente: il mitico Orlando Bloom (Il signore degli anelli, I pirati dei Caraibi), la bella  Cara Delevingne (Valerian e la città dei mille pianeti, Suicide Squad), la bravissima Indira Varma (Kamasutra, Matrimoni e pregiudizi, Il trono di spade), l’altrettanto bravo Jared Harris (Sherlock HolmesFringe) e altri ancora.
 
Anticipati alcuni dei protagonisti, andiamo alla trama sommaria di Carnival Row: il Patto, una federazione-nazione umana forte e aggressiva, attacca con violenza il Regno di Tirnanoc, dove vivono i Fatati, creature fino a quel momento ritenute fantastiche come fate, fauni, goblin, etc. Lo stato di Burgue, anch’esso umano, cerca di contrapporsi, ma senza esito, e i fatati vengono in buona parte trucidati. Molti però riescono a fuggire e vanno quasi tutti a Burgue, capitale dell’omonimo stato, e in particolare nel quartiere di Carnival Row, divenuto così in breve tempo un centro di malaffare, di prostituzione, di divertimento, per umani e non.
La sempre crescente presenza fatata, nonché i disordini e il diversissimo stile di vita, porta molti cittadini umani a covare rancori verso gli stranieri, tanto che si attiva una forte opposizione che li vorrebbe mandar via dalla città. Il cancelliere è Absalom Breakspear, e si troverà per l’appunto davanti a tale crescente dissenso, poco aiutato in verità dalla moglie Piety e dal figlio Jonah.
Altri fili della narrazione sono quelli dei due vicini di casa, apparentemente male assortiti, la tradizionalista Imogen Spurnrose e il ricco fauno Agreus Astrayton, e soprattutto dei due protagonisti indiscussi della storia, il detective Rycroft Philostrate e la fata Vignette Stonemoss, conosciutisi a Tirnanoc e poi allontanatisi in modo improvviso.

Essenzialmente, Carnival Row procede per contrasti duali: il Patto e il Regno di Tirnanoc, la Città di Burgue e il quartiere Carnival Row, Rycroft Philostrate e Vignette Stonemoss, Imogen Spurnrose e Agreus Astrayton, Absalom Breakspear e Piety Breakspear, Jonah Breakspear e Sophie Longerbane e via discorrendo. La cosa è talmente evidente che non può essere un caso.
Questo non è un problema, mentre lo è la mancanza di elementi di fondo: tanto il prodotto è curato, visivamente parlando, tanto è carente nel fornire dettagli… per esempio sul Regno di Tirnanoc, sul Patto, su altre eventuali nazioni e città, etc. A conti fatti, le motivazioni di fondo delle varie nazioni sono misteriose (almeno per ora) e la stessa la geografia è nebulosa.

L’opera mostra degli altri difetti, ad esempio di credibilità: le dinamiche interne alla famiglia Breakspear non sono credibili, come è un po’ eccessivo il fenomeno della stregoneria, come sono eccessive alcune reazioni emotive (la protagonista verso il protagonista, gli umani verso i non umani, etc).
L’elemento del razzismo e della diversità, che è quanto la serie, in questa prima stagione, rappresenta con tutta evidenza, non è certamente originale come tema, e anzi viene affrontato in modo perfino umoristico: per esempio, i nobili Stonemoss non discriminano il vicino in quanto nero, ma in quanto fauno (ma la sovrapposizione è tuttavia chiara per lo spettatore). Stesso discorso per le diversità tra inglesi, scozzesi e irlandesi, tutte camuffate in svariati modi. Confido che la serie proporrà qualcosa in più rispetto a questo, altrimenti non potrà mai salire di tono, pur con una realizzazione tecnico-stilistica notevole e accattivante; a dirla tutta, l'universo narrativo è davvero convincente ed efficace.

Il fattore produttivo è, per l’appunto, la cosa maggiormente rimarchevole di Carnival Row: la scenografia, la fotografia, i costumi, il trucco, la colonna sonora, alcuni effetti speciali… è tutto rimarchevole e a tratti incantevole. In effetti, la costruzione dell’atmosfera generale è pienamente riuscita, mentre l’inserimento di contenuti (sia micro a livello di storie individuali, sia macro a livello di contesto generale), non lo è del tutto, o almeno ancora no.

Come detto, confido nelle prossime stagioni, fermo restando che il prodotto a me piace già.

Fosco Del Nero


ADDENDUM del 08/11/23: purtroppo, come temevo, la seconda stagione della serie, peraltro girata a diversi anni dalla prima, ha rappresentato una caduta della qualità media piuttosto rilevante. Intanto, perché è diventata molto più evidente la propaganda mondialista: inclusività da malati di mente, sessualità distorta, banalità su razzismo e dintorni, cultura alternativa da salotto televisivo, persino un riferimento a epidemie e covid... tutto quanto purtroppo prevedibile e persino diseducativo (d'altronde, vengono prodotte certe opere proprio per diseducare, specialmente le giovani generazioni, meno sagge e con meno riferimenti rispetto a quelle più esperienziate).
Forse ci si è "lasciati andare", come tematiche e come qualità media inferiore, perché ormai si sapeva che la seconda stagione sarebbe stata quella conclusiva e, come sempre in questi casi, il processo narrativo è stato troppo accelerato: alcuni fili sono stati tirati prematuramente, mentre altri nodi non sono stati mai sciolti per carenza di tempo e di sviluppo della storia; in altre circostanze, invece, si è assistito a "spettacolari" cambi di orientamento di alcuni personaggi... la classica soluzione di chi non sa più cosa scrivere ma intende comunque stupire lo spettatore, confondendo l'originalità e l'imprevedibilità con l'incoerenza (su questo le ultime due stagioni de Il trono di spade hanno, tristemente, molto da dire).
Ci si è comunque ben premurati di evidenziare che la protagonista ha scelto l'amante donna invece che l'amante uomo: dunque, all'interno della bisessualità, l'omosessualità-confusione ha vinto sull'eterosessualità-natura. Bontà loro e di tutti quelli che credono di saperne più della natura-esistenza.
Alcuni personaggi carismatici, nel frattempo, erano stati fatti morire, come i due interpretati da Indira Varma e Jared Harris, e i loro sostituti non sono stati minimamente all'altezza come interesse. 
Il tutto è un'occasione tremendamente sprecata: Carnival Row aveva tutte le carte in regola per essere un'opera dalla grande bellezza e perfino ispirante... mentre ha finito per concludersi in modo mediocre e, peggio ancora, manipolatorio e propagandistico. Pazienza.



Titolo: Carnival Row (Carnival Row). 
Genere: serie tv, fantasy, drammatico.
Ideatore: René Echevarria, Travis Beacham.
Attori: Orlando Bloom, Cara Delevingne, Waj Ali, Leanne Best, Maeve Dermody, Arty Froushan, Jamie Harris, Scott Reid, Anna Rust, Tracey Wilkinson, Indira Varma e Jared Harris.
Anno: 2019-2023.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.



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