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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 23 settembre 2020

Quattro bassotti per un danese - Norman Tokar

Continua il periodo vintage-infanzia su Cinema e film, e nel dettaglio continua con Quattro bassotti per un danese, film che da bambino avrò visto svariate volte, ma mai da adulto.

Iniziamo ad essere più precisi: siamo nel 1966, alla regia c’è Norman Tokar, finora recensito in Una ragazza, un maggiordomo e una lady (un altro classico per famiglie, ma degli anni “70), mentre davanti alla macchina da presa vi sono Dean Jones, il volto maschile della Disney di quegli anni, e la più giovane e bellissima Suzanne Pleshette… che aveva una bellezza semplice ed elegante che ricordava quella di Audrey Hepburn e che ugualmente era già comparsa sul blog in un caso: Il fantasma del pirata Barbanera… insieme proprio a Dean Jones, il quale dal canto suo con questo film si porta a quota tre, visto che c’è da aggiungere all’elenco anche FBI - Operazione gatto.

Dai gatti ai cani, dunque, ed ecco la trama sommaria di Quattro bassotti per un danese, film dalla sceneggiatura piuttosto semplice: Fran e Mark Garrison sono una coppia bella e benestante, la cui cagna bassotto ha appena partorito tre cuccioli, tutti e tre femmine.
Il caso vuole che alla coppia venga “assegnato” anche un cane maschio, e di razza ben diversa: un alano (chiamato anche danese)… che dai miei ricordi di bambino mi ricordavo si chiamasse Brutus.
I cuccioli bassotti e il cucciolo alano crescono dunque assieme, coi primi mal digeriti dal marito e l’ultimo mal digerito dalla moglie, che lo accusa di ogni disastro casalingo che viceversa vede i bassotti come artefici nascosti.
Tuttavia i cani sono molto affiatati tra di loro, tanto che…

Quattro bassotti per un danese è un classico film per famiglie di quel periodo, talmente classico che anzi è uno dei rappresentanti più famosi della categoria di quel tipo di film della Disney.
Che sono puliti, positivi e gradevoli, è vero, e dunque vanno bene in ogni epoca e per grandi e piccoli, ma che parimenti non hanno grandi contenuti dietro, per non dire che non ne hanno nessuno e che sono solo simpatico svago.
La mia ricerca di un alter ego di Mary Poppins temo che sia destinata a rimanere vana.

Pur non elevandosi al rango di film educativo e ispirazionale, Quattro bassotti per un danese si propone comunque come esempio di film gradevolmente divertente, miglior intrattenimento per i più piccoli di tante produzioni contemporanee.

Fosco Del Nero



Titolo: Quattro bassotti per un danese (The ugly dachshund)
Genere: commedia.
Regista: Norman Tokar.
Attori:  Dean Jones, Suzanne Pleshette, Charlie Ruggles, Kelly Thordsen, Robert Kino, Makoto Iwamatsu.
Anno: 1966.
Voto: 6.5. 
Dove lo trovi: qui



martedì 22 settembre 2020

Il cowboy con il velo da sposa - David Swift

Continua la striscia di film di svariati decenni fa: questa volta siamo agli inizi degli anni “60 con Il cowboy con il velo da sposa, film che avevo visto da bambino ma che non avevo più rivisto…
… salvo però vedere il remake con Lindsay Lohan Genitori in trappola.

La doppia parte delle gemelle al tempo fu di Hayley Mills, che peraltro avevo incontrato di recente, più grandicella, in FBI - Operazione gatto, ottima protagonista in ambo i film.

Ecco la trama de Il cowboy con il velo da sposa, film tratto dal romanzo Carlottina e Carlottina: Sharon McKendrick e Susan Evers si conoscono ad un campo estivo per ragazzine facoltose e rimangono subito stupite per la loro eccezionale somiglianza, taglio di capelli a parte. Inizialmente si prendono in antipatia, ma tutto cambia nel momento in cui capiscono di essere gemelle, separate da piccole dai genitori, che divorziarono e che se ne presero una a testa.
Dal momento che i due sono ancora single, mai risposatisi, le due progettano di farli incontrare e di farli rinnamorare, e a tal scopo si scambiano i ruoli: la figlia della madre va a stare dal padre, in California, e la figlia del padre va a stare dalla madre, a Boston.
C’è però da superare un ostacolo: l’uomo sta per sposarsi con una donna giovane e ambiziosa.

Il film del 1998 con Lindsay Lohan, Genitori in trappola, non è stato l’unico remake che ha avuto questo film: c’è da mettere in conto anche quello del 1995 intitolato Matrimonio a quattro mani, recitato stavolta da due gemelle autentiche, Mary-Kate e Ashley Olsen (credo di aver visto anche quello da ragazzino, ma non ne son sicuro).
Inoltre il film in questione ha avuto anche tre seguiti: Trappola per genitori, Una trappola per Jeffrey e Trappola per genitori - Vacanze hawaiane: evidentemente il soggetto ha ispirato a lungo.

Ma ritorniamo a Il cowboy con il velo da sposa: il film mi è decisamente piaciuto, e anzi per certi versi esso fa venire nostalgia di un cinema meno spettacolare ma più autentico in quanto a contenuti umani, che riusciva a produrre bei film basandosi su una buona idea di partenza, e non puntando a spettacolarizzazione, effetti speciali o estremismi.
Anche oggi vi sono film di questo tipo, beninteso, ma tanto la società quanto il cinema come sua conseguenza ha preso nel mentre una direzione diversa, piuttosto lontana dai film per famiglie, al contempo semplici, ironici e dai buoni sentimenti come Il cowboy con il velo da sposa.

Peraltro, mi son deciso a vedere il binomio tra David Swift ed Hayley Mills, regista e attrice protagonista, anche ne Il segreto di Pollyanna, film di un anno prima.
Nella pur breve filmografia del suddetto regista, hanno conquistato una discreta fama anche Scusa, me lo presti tuo marito? e Come far carriera senza lavorare.

Concludendo la recensione de Il cowboy con il velo da sposa, si tratta di una bella commedia, che propone bellezza su diversi livelli: persone, natura, ambientazioni interne, sceneggiatura, recitazione. Non è niente di trascendentale, ma è un bel film.

Fosco Del Nero



Titolo: Il cowboy con il velo da sposa (The parent trap)
Genere: commedia.
Regista: David Swift.
Attori:  Hayley Mills, Maureen O'Hara, Brian Keith Charles Ruggles, Una Merkel, Leo G. Carroll, Joanna Barnes, Cathleen Nesbitt, Crahan Denton.
Anno: 1961.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 16 settembre 2020

Quella casa nel bosco - Drew Goddard

Era da molto che non guardavo un film horror, e la cosa non era nemmeno prevista giacché il genere, dopo avermi appassionato da adolescente, ha smesso di richiamare mia attenzione: la visione di Quella casa nel bosco è dunque un’eccezione, motivata dal fatto che mi ci sono imbattuto per caso ed avevo letto alcuni commenti esaltanti sul suo conto in quanto all’originalità e alla brillantezza, cosa in cui ho potuto facilmente credere essendo il film un soggetto di Joss Whedon, famoso per alcune serie tv passate (Buffy, Firefly, Dollhouse) nonché per alcuni film di successo recenti (The avengers, Justice League).

Anche l’altro nome coinvolto, il regista Drew Goddard, non mi era nuovo e deponeva favorevolmente alla visione, avendo egli scritto il soggetto di un film che vidi anni fa, Cloverfield, e che mi lasciò mezzo basito, perché non sapevo quello che stavo guardando e quindi non avevo assolutamente idea di dove sarebbe andato a parare. Il secondo film sceneggiato da Drew Goddard che vidi, tuttavia, ossia World War Z, mi colpì molto meno favorevolmente.

Passiamo alla trama di Quella casa nel bosco, che accennerò solo sommariamente per evitare di svelare tutto a eventuali futuri spettatori: la storia principale sembra in tutto e per tutto una classica storia di film d’orrore di serie B, quelli scontati, con protagonisti stupidi e stereotipati, zombie ed effetti splatter in abbondanza: un gruppo di cinque amici, studenti universitari, si reca a trascorrere il week-end in una casa nel mezzo di un bosco sperduto nel nulla… e nella cantina, la cui botola a un certo punto si apre da sola (e ancora non scappano), trovano svariate cose strane e inquietanti, tra le quali in qualche modo si troveranno a dover scegliere e che evocheranno un tipo di mostri piuttosto che un altro.
Tutto come da copione fin qui…

… ma parallelamente alla trama da horror B movie ce n’è un’altra, che per certi versi alleggerisce di molto la tensione del film, rendendolo non una commedia ma quasi… non dissimilmente da quanto Whedon fece con Buffy o da quanto Goddard fece con Cloverfield: l’avventura orrorifica in realtà è stata programmata a tavolino da un team di tecnici-scienziati che la gestisce in ogni dettaglio: telecamere nascoste, emissione di feromoni, luci sceniche, porte che si chiudono e via discorrendo. L’obiettivo del team è quello di confezionare una sorta di film horror (quello che sta vedendo lo spettatore in carne e ossa, nonché altri spettatori interni al film) ma anche di programmare il sacrificio dei cinque prescelti: la prostituta (Jules), l’atleta (Curt), l’intellettuale (Holden), il buffone (Marty) e la vergine (Dana).
Sacrificio a beneficio di chi?
Questo non lo svelo, come non svelo il finale.

Curiosità: nel film ha una piccola parte anche Sigourney Weaver… la quale, chissà come mai, ha sempre a che fare con razze aliene, fantasmi, mostri, antiche divinità e roba del genere… evidentemente c’è portata, diciamo così.

Dico la verità: non ho capito tutto l’entusiasmo intorno a Quella casa nel bosco, e peraltro non sono il solo dal momento che ho visto che il pubblico si è diviso relativamente al film, tra chi lo considera geniale e chi ne è rimasto deluso.
Originale lo è certamente, ma è tanto banale nel fattore “horror B movie” quanto è sconclusionato e leggerino nel fattore “storia dietro alla storia”. Il finale poi è alquanto ridicolo.

Insomma, non basta un’idea originale per fare di un film un buon film; ci vuole anche un’ottima esecuzione, e questa è mancata. O, se si preferisce dirla in un’altra maniera, il buon soggetto non ha avuto un’adeguata realizzazione, probabilmente perché si è approfittato dell'esecuzione più facile e meno impegnativa.

Fosco Del Nero



Titolo: Quella casa nel bosco (The cabin in the woods)
Genere: horror, splatter.
Regista: Drew Goddard.
Attori:  Kristen Connolly, Chris Hemsworth, Anna Hutchison, Fran Kranz, Jesse Williams, Richard Jenkins, Bradley Whitford, Brian White, Amy Acker, Sigourney Weaver.
Anno: 2011.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui



martedì 15 settembre 2020

Questo pazzo pazzo pazzo mondo - Stanley Kramer

Con Questo pazzo pazzo pazzo mondo, film di Stanley Kramer, facciamo un altro tuffo nel passato: gli ultimi quattro film recensiti nel blog erano rispettivamente degli anni “60, “70, “80 e “80, e quello odierno prolunga la striscia, e anzi è il più vetusto di tutti, essendo datato 1963.

Avevo peraltro già incontrato il regista Stanley Kramer ne L’ultima spiaggia, un film di genere alquanto differente: dall’uno all’altro si passa dalle catastrofe nucleari a una commedia comica piena di gag visive.

Ecco la trama di Questo pazzo pazzo pazzo mondo: un ladro, appena uscito di prigione, va a recuperare il bottino di una delle sue rapine, ben 350.000 dollari (cifra notevole anche oggi, e al tempo ancor di più). Tuttavia, ha un incidente automobilistico, finisce fuori strada e, in punto di morte, rivela ai suoi soccorritori, cinque uomini che avevano assistito all’incidente, la locazione del tesoro sepolto.
Poco dopo arriva la polizia, che stava seguendo l’uomo, ma i cinque non riferiscono quanto ascoltato e dopo, per conto loro, parlano della cosa e cercano di trovare un accordo sulla spartizione del futuro possibile bottino. Non trovano però un criterio adatto (per numero di soccorritori, per numero di mezzi automobilistici, per numero di passeggeri totali, mogli e suocere comprese o altro ancora), e dunque ne deriva una frenata corsa a chi arriva prima nella suddetta località, distante circa 320 chilometri.
Il film è per l’appunto la ripresa di tale folle corsa, che avviene con ogni mezzo possibile: macchina, camion, aereo, bicicletta. In mezzo, alleanze, imbrogli, risse, esplosioni… di tutto.

Questo pazzo pazzo pazzo mondo è un film simpatico e dinamico, cosa necessaria in relazione alla sua lunghezza; ne esistono tre versioni, che vanno dall’originale di 192 minuti (oltre tre ore) alla versione più breve di 154 minuti (due ore e mezza)… comunque non poco.

Io ho visto la terza versione, quella più breve, e devo dire che da un certo punto in poi confidavo che la corsa giungesse rapidamente al suo termine, perché due ore e mezza di gag, incidenti, distruzioni e risse sono abbastanza dal mio punto di vista.

Certo, Questo pazzo pazzo pazzo mondo mostra tutto col sorriso, e propone anche battute e personaggi curiosi, però il fatto che essenzialmente non ha una trama né profondità lo limita alquanto, riducendolo a semplice film di svago e di distrazione.
In questo senso, svolge bene la sua funzione, e rimane un film dinamico e vivace, peraltro pieno di cameo di volti noti dell’epoca.

Curiosità: fu il primo film presentato in Cinerama, una tecnica di proiezione allora all’avanguardia… e chissà che anche tale fattore non abbia contribuito al suo successo, con ben sei nomination per gli Oscar e due per i Golden Globe del 1964.

Fosco Del Nero



Titolo: Questo pazzo pazzo pazzo mondo (It's a mad mad mad mad world)
Genere: comico.
Regista:  Stanley Kramer.
Attori: Peter Falk, Sid Caesar, Dick Shawn, Terry Thomas, Jimmy Durante, Mickey Rooney, Spencer Tracy, Ethel Merman, Milton Berle, Zasu Pitts, Edward Everett Horton.
Anno: 1963.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 9 settembre 2020

Footloose - Herbert Ross

Di recente ho trovato in rete una lista-classifica di alcuni classici degli anni “80, e ho deciso di vedermi quei film che non mi ero mai visto.
Tra questi c’era anche Footloose, film tanto famoso quanto poco ispirante ai miei occhi, data la sua focalizzazione su musica e ballo; nella mia esperienza, infatti, ho constatato come la gran parte dei film che punta sul ballo e musica sia di basso valore.

Naturalmente speravo di essermi sbagliato... ma purtroppo no e, anzi, devo dire che Footloose è uno dei film più vuoti e inutili che abbia mai visto.

Ecco la sua trama sommaria: il giovane Ren McCormack (Kevin Bacon; Tremors, Linea mortale) si trasferisce da Chicago a Beaumont, passando così da una grande città, metropolitana e culturalmente vivace, a una piccola cittadina di provincia, e provinciale oltre le sue stesse aspettative, tanto da aver messo al bando musica rock e balli, oltre che droga e alcol. L’alfiere di tale proibizionismo moralistico è il pastore Shaw Moore (John Lithgow; Interstellar, Una famiglia del terzo tipo), la cui figlia Ariel (Lori Singer; Stati di alterazione progressiva, L'uomo con la scarpa rossa) si rivela invece ribelle e anticonformista, e perciò attratta da Ren.
Nel cast anche la matura Dianne Wiest (Hannah e le sue sorelle, La rosa purpurea del Cairo, Settembre, Edward mani di forbice) e l’allora giovanissima Sarah Jessica Parker (Sex and the city).

Footloose oscilla tra commedia, film drammatico, film musicale, film sul ballo e film sentimentale, ma fa acqua da ognuno di questi punti di vista. 
Forse l’elemento del ballo è quello che si salva di più… ma a questo punto uno si guarda un balletto vero e proprio, o un musical danzereccio, e fa prima.

Il resto del film, ossia la quasi totalità, è di una mediocrità e di un vuoto sconcertanti, e fa quasi ridere pensare che il film fosse o volesse essere una bandiera dell’allora gioventù e dei suoi valori. La sceneggiatura è banale, i dialoghi son pacchiani a dir poco, i personaggi superstereotipati… e per di più persino la colonna sonora è di livello scarso; peraltro, più che il millantato rock, che è ben altra cosa, si tratta di disco-pop anni “80, forse la musica più inutile mai inventata, che infatti si è sgonfiata come una bolla di sapone e praticamente non esiste più (al contrario, la musica di valore, rock, pop o elettronica che fosse, è rimasta nella storia e tuttora ascoltata e praticata).

Poi, per carità, chi da un film non pretende sceneggiature, caratterizzazione di personaggi e dialoghi di livello può anche apprezzare la vivacità e il ritmo di Footloose… ma inserirlo in una classifica dei migliori film del periodo è una follia.

Fosco Del Nero



Footloose - Herbert Ross (film musicale)
Titolo: Footloose (Footloose)
Genere: commedia, drammatico, sentimentale, musicale.
Regista:  Herbert Ross.
Attori: Kevin Bacon, Lori Singer, Dianne Wiest, Sarah Jessica Parker, John Laughlin, Timothy Scott, Jim Youngs, Chris Penn, Frances Lee McCain, H.E.D. Redford.
Anno: 1984.
Voto: 3.5.
Dove lo trovi: qui



martedì 8 settembre 2020

Abigail - Aleksandr Boguslavskiy

Tenetevi forte, perché il film recensito quest’oggi vi farà sobbalzare sulla sedia.
Parlo di Abigail, film russo uscito nell’agosto del 2019 e diretto da tale Aleksandr Boguslavskiy. Solitamente, i film che recensisco seguono una coda di circa due anni di recensioni già pronte, ma per questo caso ho fatto un'eccezione e ho recensito subito il film facendogli saltare la fila. 

Ecco la trama: Abigail vive in una città in cui c’è stata una terribile epidemia, la quale ha causato la chiusura dei confini e il coprifuoco. Si vive nella paura di contrarre il terribile virus e a tal scopo delle forze armate perennemente presenti sul territorio controllano le singole persone, accostando un macchinario alla loro fronte, per vedere se sono infette.
Se lo sono, le portano via, e di quelle persone non si sa più niente.
La piccola Abigail, una notte, ha visto in tal modo portar via suo padre, e a distanza di decenni, convinta che non sia in realtà morto, lo sta ancora cercando. Nelle sue ricerche, scopre che non c’è mai stata alcuna epidemia e che il virus era una scusa per tenere sotto controllo e spaventata la popolazione.
Coloro che vengono portati via, inoltre, non sono infetti, ma sono persone con un certo dono-talento magico-spirituale. Esse vengono prima prelevate e poi uccise o asservite agli scopi del sistema, che continua a mentire a tutta la popolazione, la quale non può uscire la sera dopo un certo orario, né può riunirsi in gruppi o men che meno manifestare. Qualunque gruppo per strada viene disperso dai poliziotti, che portano una grande maschera sul volto.

Chi ha uno sguardo un minimo sveglio si sarà accorto (almeno lo spero per lui) che è esattamente quello che sta succedendo in questo periodo in tanti paesi del mondo, con l’unica differenza che qua da noi non si vorrebbero portare via e zittire persone con un potenziale magico, ma persone sveglie che si rendono conto di quello che succede. Sostituiamo alla parola “talento” la parola “risveglio” (o "consapevolezza" o "coscienza") è il paragone diviene perfetto.

Un breve commento sul film, e poi passo a citarne qualche contenuto diretto.
Come genere, abbastanza ibrido, Abigail si trova a metà strada tra The village, 1984 ed Harry Potter; del primo ha la questione del confine invalicabile oltre il quale non si sa cosa c’è; del secondo ha la struttura societaria distopica e manipolatrice; del terzo ha l’elemento magico, visibile soprattutto nelle scene d’azione.

Se la sceneggiatura ha una base ottima, e anche la realizzazione visiva non è malvagia, tra gli effetti speciali e l’ambientazione esotica dell’Europa dell’est (TallinnPietrogrado, Mosca... e probabilmente non è un caso che sia un prodotto russo e non di Holllywood), il film difetta purtroppo nel carisma, a partire da un casting alquanto mediocre; non è un difetto da poco, visto che un buon casting è metà film già in partenza (nel bene o nel male). La protagonista, in particolare, poteva essere scelta meglio… o almeno pettinata meglio.

Il voto è comunque positivo un po’ per i temi importanti e un po’ per lo sforzo realizzativo e la bellezza visiva.

Passiamo ora a indagare più da vicino i contenuti di Abigail, cominciando con qualche citazione.

“Il confine ci ha garantito pace e tranquillità per molti anni, purtroppo però l’epidemia è comparsa di nuovo. Il numero delle persone infettate cresce di ora in ora. Dobbiamo stare uniti e collaborare per affrontare al meglio la crisi. Gli ispettori del Dipartimento di Sorveglianza sono già al lavoro: controlli a tappeto sulla popolazione per individuare i contagiati in fase precoce. Il morbo è altamente contagioso. Stiamo facendo tutto ciò che è in nostro potere per evitare che si diffonda”: dice la propaganda del regime tramite i megafoni disposti ovunque… suona familiare?

“All’inizio la malattia non dà sintomi riconoscibili, e l’infezione può essere rilevata soltanto da un dispositivo speciale”; nel mentre che vien detto questo si vede un poliziotto che punta un apparecchio alla testa di una persona… suona familiare?

“Per motivi di pubblica sicurezza chi sarà trovato infetto verrà messo in quarantena e sottoposto a un’iniezione letale indolore”: suona familiare? Abbiamo dunque un riferimento ai tamponi, alla quarantena e al successivo siero-vaccino, che ovviamente era già in agenda.

“Chiunque darà rifugio ai contagiati dal morbo sarà considerato un traditore e accusato di alto tradimento per aver messo a rischio la salute pubblica”: il tono vi suona familiare?

“È iniziato il coprifuoco: tutti sono tenuti a rimanere in casa”: non notate delle somiglianze?

“Gli ispettori lavorano a beneficio di tutti noi”: manipolazione mediatica già sentita?

“Ho dovuto scegliere se essere deportato o diventare un ispettore…”, dice un poliziotto semi-pentito e dubbioso.
“E hai scelto di indossare una maschera”, gli risponde la protagonista della storia.
A proposito, i poliziotti-ispettori vengono chiamati dai ribelli “i senzafaccia”, proprio perché se la coprono con una maschera-casco. Questa è una definizione fisica, ma non solo, giacché sta a indicare che si tratta di persone “spersonalizzate”, che hanno rinunciato alla loro individualità… esattamente quello che si sta tentando di fare in questo periodo storico.

Abbondano poi le scene di ispettori-poliziotti che picchiano e portano via persone comuni: per caso avete visto di recente qualche scena simile?

“Tutti devono obbedire al re”, dice una bambina.
“No, non è sempre così. Ci sono delle occasioni in cui, se si vuole restare umani, bisogna dire di no anche al re”, risponde il padre. “Ci sono delle occasioni in cui bisogna dire di no” è l’esatto opposto del collaborazionismo; è il contrario di “Eseguivo solo gli ordini”.

“A volte le cose non sono come sembrano”; a conferma del fatto che il film ha a che fare con apparenze che tuttavia si rivelano illusorie.

“Qualcosa di molto speciale si è risvegliato in te”; a conferma del film parla di totalitarismo da un lato e risveglio delle persone dall’altro.

“Non esiste l’epidemia: l’epidemia è solo una scusa che le autorità usano”; questa frase non ha bisogno di commenti.

“Non capisci, non ci lasciano vivere la nostra vita. Ci hanno ingannati, ci hanno costretti a tacere, e tutti fanno finta che vada bene così”; sempre sul dispotismo e sul gregge che lo accetta.

“La città è sommersa di bugie”; ciò quanto alla disinformazione dei mezzi di comunicazione.

“Accettare le loro menzogne significa essere d’accordo con loro e sottomettersi alla loro volontà”: questo è un punto importante, giacché, cognitivamente e ancor più esistenzialmente-energeticamente-spiritualmente, accettare qualcosa significa apporre la propria firma e aderirvi.

“La libertà è l’opposto della menzogna”; idem come detto sopra.

A riprova del livello di manipolazione mediatica collettiva, nella città è stato indetto un giorno di festa nazionale chiamato il “Giorno della salute pubblica”: una festività perfetta per una dittatura sanitaria.

“Il dono non muore; se uccidi chi ce l’ha si risveglia in qualcun altro”: questa frase, dal sapore più esoterico, non la commento.

“Siamo in guerra”; dice il leader della resistenza.

Lo scopo del regime, composto da persone “senza dono” è costituire una città di uguali, tutti senza poteri-dono e possibilmente senza personalità: è il mondialismo-globalismo con una popolazione appiattita, debole e asservita, con l’élite che domina apparentemente con fini nobili, ma di fatto per portare avanti il proprio potere e la propria agenda.
Quanto a quelli col dono-risveglio, essi vanno eliminati… o in alternativa asserviti agli interessi dominanti.
Il senso esistenziale di fondo è: piuttosto che lavorare su di me per elevarmi anche io, trascino tutti al mio livello basso, al livello del piattume della massa. È una vera e propria dichiarazione di mediocrità, appiattimento culturale e addormentamento dei popoli. In verità, è la scelta che devono fare i popoli contemporanei... anche se nessuno ve l'ha ancora detto.

“Concentrati, confida nel tuo potere: basta avere fiducia in sé stessi”: questa è la via di quelli col dono-talento-risveglio.

“È come se gli fosse stata risucchiata la forza vitale”: questa è la via di chi si sottomette.

“Possiamo vincere solo se crediamo in ciò per cui stiamo lottando: questa è la nostra occasione”; viene detto a fine film.

E poi: “Ora tutto può succedere, anche quello che non potrebbe. L’importante è che tu ne sia convinta: alza la testa”.

“Questa sarà una città di uguali; ma di forti, non di deboli”; questo è il programma dei ribelli: non uguaglianza al livello dell’appiattimento e dell’asservimento, ma al livello della libertà e della forza interiore. Sono due ottave differenti della medesima cosa.

“La nuova storia della nostra città inizia qui e oggi”, dice la protagonista una volta sconfitto il regime.

Che dire, niente male come contenuti… peccato per una certa mancanza generale di carisma che impedisce ad Abigail di essere un gran film. Il voto è comunque di incoraggiamento per la sostanza e per lo sforzo estetico.
Interessanti le interazioni tra il passato e il presente all'interno dei ricordi nascosti della protagonista: uno spunto molto originale e che non mi pare di aver mai visto altrove.

Fosco Del Nero



Titolo: Abigail (Abigail).
Genere: fantasy, distopico.
Regista: Aleksandr Boguslavskiy.
Attori: Tinatin Dalakishvili, Eddie Marsan, Rinal Mukhametov, Ravshana Kurkova, Gleb Bochkov, Artyom Tkachenko, Nikita Dyuvbanov, Marta Timofeeva.
Anno: 2019.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


mercoledì 2 settembre 2020

C’era una volta Windaria - Kunihiko Yuyama

Avevo in cascina da molto tempo il film animato C’era una volta Windaria… molti anni, ormai.
Finalmente ce l’ho fatta a vederlo, ricavandone una valutazione in parte deludente, o comunque non entusiastica.

Intanto, datiamolo: siamo nel 1986, il regista è Kunihiko Yuyama e si tratta dunque di un anime, il quale prende spunto da molti topos letterari e cinematografici… troppi, davvero troppi, tanto da far naufragare il film nella media-mediocrità.

Ecco in grande sintesi la trama di C’era una volta Windaria: nel continente di Windaria Alan e Maria, due innamorati, vivono felici nei pressi di Lunaria, una città-stato devota alla natura e alla vita semplice. In Windaria c’è però un altro regno, nella Terra delle Ombre, assai più tecnologico e bellicoso, che progetta di distruggere Lunaria in quanto vuole impadronirsi delle sue risorse idriche.
La guerra sembra imminente, nonostante gli eredi al trono del primo regno e del secondo regno, la bella Veronica e il bel Roland, siano segretamente innamorati e cerchino di mantenere la pace.
Mentre politica, generali ed eserciti dispiegano i loro mezzi, ad Alan, ragazzo apparentemente molto semplice ma dentro di sé assai ambizioso, verrà data una missione, che determinerà le sorti della guerra e del continente intero. 

Prima annotazione: molto male i nomi. Siamo nel periodo in cui non se ne parlava di lasciare i nomi originali delle storie giapponesi ed essi venivano italianizzati in modo ridicolo, tipo per l’appunto Maria o Veronica. Ma magari non del tutto, ed ecco dunque Roland o Alan... il che è anche peggio in quanto parecchio dissonante.
Per di più, il nome di un luogo geografico ha assonanza inglese (Windaria, sorta di “terra del vento”), mentre uno ha assonanza italiana (Lunaria, e dunque una “terra della luna”). Ma né la prima è caratterizzata dal vento né la seconda dalla luna: e qua si vede il lavoro dilettantesco che c’era dietro l'opera, utile probabilmente solo a presentare ai “bambini italiani” i “cartoni animati”.

Seconda annotazione: i cliché narrativi, davvero troppi, con tanto di quelle che sembrano citazioni vere e proprie. Abbiamo un’atmosfera alla Conan, il ragazzo del futuro, lo spunto centrale di Romeo e Giulietta (peraltro, a fine film compare pure un personaggio che dice: “Sono Juliet, e anch’io come te ho perduto la persona che amavo di più al mondo”), il conflitto tra la natura e la tecnologia che fa molto Studio Ghibli, antimilitarismo compreso, il topos dell’uomo ambizioso il quale dimentica i veri valori stando appresso agli obiettivi materiali ed egoici, il topos del figliol prodigo, il tutto condito con una salsa anime di genere fantasy.
Molta roba, niente di originale, e con la sensazione che si tratti di qualcosa "studiato a tavolino", ma del tutto privo di ispirazione artistica o didattica.

Dimenticavo: nel “mix tutti frutti” c’è anche una spruzzata di spiritualità: abbiamo l’albero della vita, abbiamo la dualità rappresentata dall’esercito maschile in azzurro e dall’esercito femminile in rosa, abbiamo il percorso di redenzione, abbiamo l’illuminazione. Questo elemento in verità è apprezzato, ma da solo non riesce a sollevare di molto il valore generale del prodotto, che rimane appena sufficiente, e forse neanche quello.
Ecco qualche frase sul tema.

“Volgendo lo sguardo in alto vidi l’albero della vita.”

“Albero della vita, nostro guardiano: dacci salute e felicità.”

“È stato tutto un incubo.”

“Io di solito non avevo timore di entrare nel bosco infestato: ho visto che le apparizioni tendono a  ignorare coloro che entrano senza paura.”

“Prima dovrai raggiungere l’illuminazione, la pace dello spirito: la guadagnerai dando il meglio di te in questa vita.”

“La pace è l’unica strada verso l’illuminazione.”

“Io so che un giorno, dopo che avrò espiato tutte le mie colpe, potrò ricongiungermi con Maria, e insieme continuare il nostro viaggio verso l’assoluto.”

Come detto, il tutto è molto confuso, meticciato, poco originale e poco sviluppato per essere degno di attenzione e memoria. Il messaggio centrale che esce dal film è quello di molte animazioni giapponesi, Miyazaki in testa: la guerra è una follia, come sono folli le ambizioni dell'ego.
Il tratto grafico è ovviamente anziano, ma risulta sufficientemente gradevole alla vista e abbastanza fluido.

Fosco Del Nero



Titolo: C’era una volta Windaria (Pete’s dragon)
Genere: anime, animazione, fantastico, azione, sentimentale.
Regista:  Kunihiko Yuyama.
Anno: 1986.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



martedì 1 settembre 2020

Elliott, il drago invisibile - Don Chaffey

Nei miei frequenti viaggi indietro nel tempo bazzico spesso tra gli anni “60 e “70, alla ricerca di film di valore o semplicemente di film visti da bambino e di cui nel mentre mi ero dimenticato.
Così, mi sono imbattuto in Elliott, il drago invisibile, che non sono sicuro di aver visto da piccolo, e anzi credo di no, altrimenti mi sarebbe rimasto impresso nella memoria, ma che in compenso mi ricordo bene che avevo intravisto in una sorta di trasposizione cartacea, un libro illustrato per bambini tratto dal film. Lo avevo trovato nella biblioteca della mia scuola elementare e lo avevo guardato.

Ma bando ai ricordi e vediamo la trama sommaria di Elliott, il drago invisibile, film Disney del 1977 realizzato a tecnica mista, parte recitato e parte animato (una parte minore, comunque): Peter (Sean Marshal) è un povero orfanello di una decina d’anni di età, che è stato legalmente comprato (così vien detto nel film) dalla perfida famiglia Gogan, che lo sfrutta per farlo lavorare. Il ragazzo riesce a scappare, aiutato anche da Elliott, un drago invisibile che assiste il piccolo nelle sue avventure tra campagne e villaggi del Maine.
Di spostamento in spostamento, il bambino s’imbatte in Nora (Helen Reddy), una giovane donna che s’impietosisce e gli offre ospitalità nel faro di cui lei e suo padre sono custodi. Ma sono alle porte nuovi problemi: i Gogan continuano a cercare Peter, mentre il drago è ambito da tale Dottor Terminus, che lo vorrebbe smembrare e poi vendere come rimedio di salute.

Dopo i primi minuti di visione del film, e sentita la prima canzone un po’ melensa, avevo timore di trovarmi davanti a un film per famiglie troppo sdolcinato e melenso. Per carità, quella componente c’è, ma non è così forte, e il prosieguo del film gli renderà giustizia.
Tuttavia, occorre dire che le numerose canzoni che si sentono son molto meglio in lingua originale che in italiano, laddove diventano più melodico-melense, a volte persino col testo slegato dal contesto e nettamente cambiato (ma perché?).
Quindi, consiglio nel caso di procurarsi l’audio in lingua originale… o almeno le sole canzoni, magari con sottotitoli a supporto.

Elliott, il drago invisibile non è tecnicamente strepitoso, e forse non lo era nemmeno per quegli anni, che in fin dei conti erano gli ultimi anni “70. Per diversi altri aspetti è peraltro un po’ ingenuotto, ma d’altronde il suo target erano famiglie e bambini, per cui va bene.
La colonna sonora è di ottima qualità… in inglese, ma perde punti in italiano, come detto.
Personaggi piuttosto stereotipati, ma cast ottimo.

Il finale è letteralmente una copia di Mary Poppins, di cui forse voleva ripercorrere le orme (la presenza fantastica e forte che arriva, sistema le cose e poi, una volta risolto tutto, se ne va).
Nel complesso il film è discreto, ma non imperdibile.

Fosco Del Nero



Titolo: Elliott, il drago invisibile (Pete’s dragon)
Genere: commedia, musicale, fantastico.
Regista:  Don Chaffey.
Attori: Sean Marshal, Helen Reddy, Shelley Winters, Mickey Rooney, Red Buttons, Jim Dale, Jeff Conaway.
Anno: 1977.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


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