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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 24 agosto 2022

Ni no kuni - Yoshiyuki Momose

Ni no kuni è un film d’animazione uscito nel 2019 sulla scia del successo dell’omonimo gioco di ruolo, il quale peraltro ha già avuto un seguito. La scelta della produzione tuttavia è stata quella di ignorare i due videogiochi (La minaccia della strega cinerea, Il destino di un regno) e di proporre una storia originale, semplicemente ispirata al mondo nel quale le narrazioni dei due giochi sono ambientate.

Serve una premessa anche per la produzione: il videogioco di Ni no kuni era stato accolto con grande entusiasmo non solo per un’effettiva ottima realizzazione, ma anche perché si era trattato della collaborazione tra la casa di produzione di videogame Level-5 e la celebre azienda d’animazione Studio Ghibli, fondata e resa famosa da Hayao Miyazaki. In effetti, per stile e per atmosfera, col videogioco pareva proprio d’essere all’interno di un film di Miyazaki.

Purtroppo, però, il film ispirato al suddetto videogioco non è stato realizzato dallo Studio Ghibli, ma da Oriental Light and Magic, uno studio d’animazione ben meno prestigioso. Tuttavia, per non discostarsi troppo, è stato incaricato della regia Yoshiyuki Momose, il quale aveva al suo attivo svariate collaborazioni come animatore in film dello Studio Ghibli, tra cui Porco Rosso, I sospiri del mio cuore, Principessa Mononoke La città incantata.

La cosa, onestamente, si vede parecchio, giacché lo stile è quello e vi sono anche alcuni stilemi presi pari pari (i quali credo che ormai siano entrati a far parte dell’animazione giapponese, al di là del singolo studio di produzione).
Tuttavia, se la cifra estetica è notevole, a parte alcune clamorose cadute di tono dovute alla computer grafica, a Ni no kuni manca un animo di alto profilo.

Ecco la trama sommaria del film: Yu è un adolescente costretto fin da piccolo su una sedia a rotelle, per via di un incidente in cui tra l’altro morirono ambo i suoi genitori. I suoi amici più stretti sono il  volitivo Haru e l’affettuosa Kotona. Un giorno, subito dopo che Kotona viene e pugnalata da un misterioso assalitore, i due ragazzi si trovano proiettati in un regno incantato: sono sempre loro due, ma Yu non ha più problemi alle gambe… mentre Kotona è sparita. 
Vengono a scoprire che la principessa del regno, tale Astrid, è tale e quale a Kotona, e così si mettono in marcia per incontrarla e scoprire che fine ha fatto la loro amica.

L’incipit del film è favoloso, compreso l’impatto col mondo fantasy, il quale colpisce immediatamente per colori e immagini. Tuttavia, l’abbrivio si perde strada facendo, un po’ per una storia non irresistibile, un po’ per alcune scelte visive discutibili, come l’uso parziale di una computer grafica davvero pacchiana che fa a pugni con l’animazione disegnata a mano (viene da chiedersi come possano anche solo aver preso in considerazione la cosa... figuriamoci poi presentarla al pubblico).
La caratterizzazione dei personaggi non è affatto memorabile e a tratti la sceneggiatura non convince: purtroppo l'aspetto della sceneggiatura si dimostra non all'altezza di quello tecnico.

Il film si mantiene comunque su livello decenti, ma è ben lontano dai migliori prodotti dello Studio Ghibli… nonostante la somiglianza visiva.

Il voto reale di Ni no kuni sarebbe 6, ma lo alzo a 6.5 per premiare l’incantevole bellezza di alcune scene.

Fosco Del Nero 



Titolo: Ni no kuni (Ni no kuni).
Genere: animazione, anime, fantasy, avventura.
Regista: Yoshiyuki Momose.
Anno: 2019.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui



martedì 23 agosto 2022

L’angelo sterminatore - Luis Bunuel

L’angelo sterminatore è il sesto film di Luis Bunuel che vedo, dopo La via latteaIl fascino discreto della borghesiaQuell’oscuro oggetto del desiderioBella di giorno e Tristana: tutti quanti avevano ottenuto buone valutazioni, e L’angelo sterminatore non ha fatto eccezione, risultando forse il più bunueliano dei suoi film (almeno, di quelli che ho visto).

I temi solitamente affrontati dal regista spagnolo infatti son resi qui all’ennesima potenza, nonché affrontati in modo intenso visivamente ed emotivamente.

Ma andiamo con ordine, procedendo con la trama sommaria de L’angelo sterminatore, film tratto da un soggetto teatrale cui aveva partecipato lo stesso Bunuel: una sera, dopo una rappresentazione teatrale, una famiglia dell’alta borghesia invita a casa propria numerosi ospiti, anch’essi esponenti di quel mondo, per una cena. Tuttavia, iniziano fin da subito ad accadere cose insolite.
La prima è la fuga della servitù: pur senza motivi apparenti, la servitù sparisce, adducendo motivazioni poco convincenti. Rimane il solo maggiordomo, che inciampa clamorosamente servendo la prima portata. Dopo, una donna lancia un posacenere con forza contro una finestra, rompendola. Ancora: si vedono zampe di gallina, un gregge di pecore dentro il palazzo, etc.
La cosa più insolita è però un’altra: nessuno degli invitati, finita la serata, torna a casa sua, e anzi tutti si trattengono anche per la notte; verrà fuori infine che nessuno riesce ad abbandonare la villa, per una qualche invisibile forza contraria.
I giorni passano, e dall’esterno ci si rende conto che qualcosa non va… ma parimenti nessuno riesce a entrare nella villa, nonostante fisicamente non ci siano impedimenti.

La metafora è chiara ed è la solita di Bunuel: la classe borghese appare formalmente impeccabile, con i suoi begli abiti e i suoi modi eleganti, ma dentro di sé è una sentina di nequizie, le quali non tarderanno a emergere man mano che le condizioni si fanno difficili. Escon fuori così tutte le turpitudini essenziali di quegli esseri umani così impomatati: volgarità, lussuria, inganno, pochezza umana. 

Il simbolo del palazzo invalicabile è ugualmente chiaro: una volta che si entra dentro quel mondo, non è possibile uscirne, poiché si è diventati come quel mondo. 
Il simbolo nella storia è doppio, e va a colpire l’altro grande bersaglio di Bunuel: la religione. Una volta sciolto il vincolo del palazzo, il gruppo va in chiesa per ringraziare di essere stato graziato… e pure lì si trova imprigionato, senza poter uscire dall’edificio. Le due prigioni, quindi, sono le ipocrisie della classe borghese e della religione (quantomeno, quella di facciata e ipocrita; dubito che Bunuel ce l’avesse con i veri devoti e i mistici).

Alcuni dettagli: durante la storia muoiono alcune persone (ossia, alcune persone non reggono la falsità di quel mondo umano), mentre qualcun altro si dedica a richieste al demonio (dimostrando in ciò il proprio basso livello evolutivo); le pecore stesse, alcune delle quali vengono sgozzate (a sua volta messaggio chiaro: chi fa parte di quel mondo è disposto a violenze di ogni tipo per raggiungere i propri scopi), rappresentano il livello di gregge del grosso dell’umanità; infine, l’angelo sterminatore del titolo, che richiama i toni dell’Apocalisse, non si vede mai, ma aleggia su tutta l’opera.

Perché Bunuel non è uno dei tre-quattro registi più famosi della storia del cinema, e anzi al giorno d'oggi è misconosciuto?
La risposta sta nei suoi stessi film.

Fosco Del Nero 



Titolo: L’angelo sterminatore (El angel exterminador).
Genere: surreale, drammatico, psicologico.
Regista: Luis Bunuel.
Attori: Silvia Pinal, Enrique Rambal, Jacqueline Andere, José Baviera, Augusto Benedico, Claudio Brook, Antonio Bravo, César del Campo, Rosa Elena Durgel, Lucy Gallardo, Enrique García Álvarez, Ofelia Guilmáin.
Anno: 1962.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 17 agosto 2022

Bob hearts Abishola - Chuck Lorre

Ho visto quasi tutto quello che Chuck Lorre ha ideato e prodotto, nel corso degli anni e dei decenni: Pappa e cicciaDharma & GregThe Big Bang theoryMomYoung Sheldon, Il metodo Kominsky… e a breve mi vedrò anche Mike & Molly, che a suo tempo non mi ispirò granché ma che, col senno di poi, ho pensato di recuperare.
Evidentemente il suo umorismo mi va a genio.

Tra le sit-com, mi mancano così solo Due uomini e mezzo e Grace under fire, due tra le più vecchie; la seconda è difficile da trovare, mentre la prima potrei ugualmente recuperarla.

Ma rimaniamo su Bob hearts Abishola, l’ultimo lavoro di Chuck Lorre e tuttora in corso: nel momento in cui scrivo questa recensione, la seconda stagione è in corso di emissione negli USA, mentre in Italia è stata trasmessa solo la prima. Il mio articolo si basa dunque sulla sola prima stagione… la quale è sufficiente a comporlo dal momento che la qualità dell’umorismo è sempre la stessa, seppur con evidenti differenze d’ambientazione, personaggi e stile.

A proposito di personaggi, il protagonista centrale è interpretato da Billy Gardell, ch’era stato protagonista principale anche nella sit-com Mike & Molly e che aveva funto da personaggio secondario in Young Sheldon. Evidentemente è un fedelissimo di Lorre.

Ecco la trama sommaria di Bob hearts Abishola: a Detroit, Robert "Bob" Wheeler ha un infarto e, quando si risveglia in ospedale, conosce l’infermiera Abishola Bolatito, una donna nigeriana che vive col figlio Dele a casa degli zii Olu e Tunde… zii alquanto caratteristici.
Quanto a Bob, anch’egli è divorziato, ma non ha figli, e gestisce l’azienda familiare di calzini insieme alla madre Dottie, al fratello Douglas e alla sorella Christina.
Sul fronte Abishola, da citare anche la collega Gloria (interpretata da Vernee Watson, che mi ricordo come personaggio di supporto in altre sit-com: Il principe di Bel Air, The Big Bang theory) e l'amica Kemi (una donna nigeriana ben più vivace della posata Abishola).

Chuck Lorre è famoso per non sbagliare un colpo, e Bob hearts Abishola lo conferma: umorismo a raffica, ironia, ma anche una certa dose di dolcezza… per quanto sussistano le solite criticità delle sue produzioni: alimentazione sbagliata, farmaci in luogo di salute e natura, alcol e droghe, sessualità di basso livello, nonché la solita tendenza alle politiche del globalismo.
Un po’ sarà una questione sua di scarsa consapevolezza, un po’ sarà quel che gli chiede il padrone dell’asino da sistemare qui o lì (gli stessi messaggi di basso tenore evolutivo passano in The Big Bang theory, ne Il metodo Kominsky, in Mom, etc).
In tal senso, sarebbe una buona idea, nella propria vita, fare esattamente il contrario di quel che mostra Lorre come abitudini personali… per poi guardarsi le sue serie tv e godersi il suo umorismo. 

Molto probabilmente la serie andrà avanti per diverse stagioni, ma la valutazione, altrettanto probabilmente, rimarrebbe comunque questa.

Fosco Del Nero



Titolo: Bob hearts Abishola (Bob hearts Abishola).
Genere: serie tv, comico, commedia, 
Ideatore: Chuck Lorre.
Attori: Billy Gardell, Folake Olowofoyeku, Matt Jones, Maribeth Monroe, Christine Ebersole, Shola Adewusi, Barry Shabaka Henley, Travis Wolfe Jr, Vernee Watson, Gina Yashere. 
Anno: 2019-in corso.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.



martedì 16 agosto 2022

L’esorcismo di Emily Rose - Scott Derrickson

Avevo visto L’esorcismo di Emily Rose molti anni fa, da ragazzo, e al tempo mi aveva discretamente impressionato, come peraltro era capitato, e in misura ancora maggiore, per il suo più famoso concittadino, ossia L’esorcista.

Me lo sono riguardato ora per vedere che effetto mi avrebbe fatto.

La sceneggiatura del film si rifà alle vere vicende di Anneliese Michel, una ragazza tedesca morta a 25 anni dopo alcuni anni di intensi drammi personali, che causarono grande eco e un procedimento giudiziario nel quale furono condannati per negligenza e omicidio colposo i genitori e i due sacerdoti che eseguirono l’esorcismo.

Ecco la trama de L’esorcismo di Emily Rose: Emily è una giovane ragazza che vive in una provincia piuttosto povera. Un giorno, riceve la bella notizia di una borsa di studio, con la quale potrà frequentare il college. Tuttavia, proprio al college, durante una notte, riceverà quello che col senno di poi identificherà come un attacco demoniaco, premessa della vera e propria possessione che comincerà di lì a breve.
Essendosi rivelati inutili medici e farmaci, Emily e famiglia decidono di rivolgersi a Padre Moore, il sacerdote della parrocchia locale, che comincia il rituale dell’esorcismo.

Il film, in verità, non è narrato in senso cronologico, e nemmeno propone l’unica linea narrativa della vita di Emily, ma mescola gli eventi del processo con i fatti che hanno portato al processo stesso, operando peraltro un curioso parallelismo, visto che all’avvocato che difende il sacerdote, Erin Bruner, capiteranno parimenti eventi e attacchi di qualche tipo, per quanto ben più lievi.

Il procedimento narrativo parallelo e secondo flashback si rivela piuttosto efficace, e parimenti efficaci sono ambo i due filoni, con quello orrorifico che, per forza di cosa, risulta più interessante e pregno di tensione e senso del terrore.

L’opera cerca di rimanere a cavallo tra le due interpretazioni del fenomeno, quella psichiatrica e quella spirituale, anche se, per ovvie esigenze cinematografico-spettacolari, pende dal lato della seconda.

Ne approfitto, in chiusura di recensione, per citare un paio di frasi tratte da L’esorcismo di Emily Rose.

“Lei è nel mezzo di una battaglia spirituale: le forze delle tenebre cercano di allontanarla dalla luce. Non glielo permetta.”

“Possessione è il termine che sta a indicare un’esperienza umana diretta riferita da un grandissimo numero di individui in ogni parte del mondo. Durante le mie ricerche ho incontrato tante persone che hanno avuto la sensazione di essere invase da entità soprannaturali.”

“In base alla mia analisi della documentazione, mi sono convinta che Emily Rose avesse doti da sensitiva: era una persona che entrava in contatto con quella che Carlos Castaneda chiama 'la realtà separata'. I sensitivi sono individui diversi da tutti gli altri: sono in grado di avere visioni del futuro o di vedere i morti, e sono più predisposti rispetto alle altre persone all’invasione di entità quali demoni e spiriti.”

Fosco Del Nero



Titolo: L’esorcismo di Emily Rose (The exorcism of Emily Rose.).
Genere: horror, drammatico.
Regista: Scott Derrickson. 
Attori: Laura Linney, Tom Wilkinson, Campbell Scott, Jennifer Carpenter, Colm Feore, Joshua Close, Kenneth Welsh, Duncan Fraser, Jr Bourne, Mary Beth Hurt.
Anno: 2005.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui



mercoledì 10 agosto 2022

Your lie in april - Kyohei Ishiguro

Da qualche parte, online, veniva consigliato l’anime Your lie in april, diretto da tale Kyohei Ishiguro: ambo i nomi mi erano sconosciuti, cosa peraltro normale, dal momento che non sono molto aggiornato né sul mondo dei manga né su quello degli anime.

Ho tuttavia dato seguito al consiglio, dal momento che la descrizione sommaria del prodotto m’ispirava… e ho fatto molto bene.
Per certi versi, Your lie in april è una storia deliziosa.

Essa è la trasposizione in video dell’omonimo fumetto elaborato tra il 2011 e il 2015, con la serie animata, composta di ventidue episodi, che ha seguito a breve la conclusione dell’opera disegnata.

Ecco la trama sommaria di Your lie in april: Kosei Arima era un bambino prodigio del pianoforte, educato severamente da sua madre, ex pianista che aveva dovuto smettere per problemi di salute, ma ha egli stesso smesso di suonare, ancora giovanissimo, subito dopo la morte della madre, con cui aveva avuto un dissidio. Tra paura, sensi di colpa, eccessi di aspettative, shock durante un’esibizione dal vivo, ha vissuto un blocco che lo ha allontanato dalla musica per vari anni.
I suoi migliori amici Tsubaki e Watari gli sono rimasti sempre vicino, nonostante il suo carattere un po’ scostante: il primo è un bravo giocatore di calcio, mentre la seconda è forte nel softball.
Un giorno, comparirà nella loro vita, e soprattutto in quella di Kosei, Kaori Miyazono, una bravissima violinista, ma soprattutto una ragazza vivace e spigliata, che porterà brio nella vita di tutti quanti, Arima in primis, riavvicinandolo anche alla musica.

Your lie in april è davvero un bel prodotto: è molto bello da vedere, con i suoi colori vivaci, ed è molto bello da sentire, dal momento che propone molta musica classica. I personaggi, inoltre, sono ben caratterizzati e ben doppiati, e la storia si mantiene sempre interessante dall’inizio alla fine.

Unico neo, dal mio punto di vista, è un certo indulgere nella malinconia e nel melenso, caratteristica tipica di molte produzioni nipponiche. C’è proprio una ricerca del melo-drammatico che probabilmente da loro va di moda (beh, anche da noi), e che personalmente non gradisco. Anche il finale si iscrive in questo tipo di “umore”. Peccato.

Your lie in april di Kyohei Ishiguro rimane comunque una ottima serie di animazione, la quale propone molta bellezza visiva, musicale e umana.

Fosco Del Nero



Titolo: Your lie in april (Shigatsu wa kimi no uso).
Genere: commedia, musicale, drammatico. 
Regista: Kyohei Ishiguro.
Anno: 2015.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui



martedì 9 agosto 2022

Suss l’ebreo - Veit Harlan

Sarò molto diretto: mi sono cercato e visto il film Suss l’ebreo in quanto in qualche gruppo online veniva suggerito come testimonianza attuale legata al mondialismo e alla sua agenda totalitaria.

Ufficialmente, Suss l’ebreo è un film del 1940 della propaganda nazista atta a svilire la popolazione ebrea. Il regista Veit Harlan, difatti, fa letteralmente di tutto (e ci riesce assai bene) per rendere odioso il protagonista della storia, il Suss presente nel titolo.

Ma andiamo con ordine e procediamo con la descrizione sommaria della trama: siamo nella regione tedesca del Wurttemberg nel 1737, quando Karl Alexander viene incoronato Duca; il suo è un potere vincolato da quello del Consiglio, oltre che dalla costituzione su cui ha giurato. 
Poco dopo l’incoronazione, il Duca riceve, in deroga al divieto per gli ebrei di entrare a Stoccarda, un gioielliere ebreo, tale Suss Oppenheimer, il quale si propone non solo di vendergli ricchi gioielli a basso costo, ma anche di finanziare alcune attività che il Consiglio si era rifiutato di sovvenzionare. In breve tempo, Oppenheimer diviene un consigliere fidato del Duca, giacché tende a esaudire ogni suo desiderio, ricambiato in ciò da un potere sempre crescente: dapprima diviene proprietario delle strade del Wurttemberg e poi Ministro delle Finanze.
La sua avidità e la sua laidezza sono evidenti a tutti tranne che al Duca, che anzi viene trascinato verso una probabile guerra civile.

È alquanto difficile commentare un prodotto come Suss l’ebreo, ma lo farò comunque. 
In primo luogo, l’opera è tecnicamente di valore: la scenografia è bella, i costumi sono belli, la recitazione buona, la tensione scenica sempre presente; al tempo fu un film molto costoso, ripagato tuttavia dagli enormi successi al botteghino.
Quanto ai contenuti, è chiaro che non ha senso svilire interi popoli: in ogni popolo e in ogni religione vi sono mele buone e mele marce, per quanto è pur evidente che ciascuno popolo (e così ciascuna religione, ciascuna cultura e ciascuna razza) ha la sue tendenze fisiche e psichiche.

Ho tuttavia il sospetto che la propaganda antisemita di quei tempi non fosse legata tanto ai singoli ebrei, quanto al gruppo transnazionale che ai tempi si faceva passare per ebreo, allo scopo di distruggerlo: parlo di coloro che un tempo furono khazari, poi ebrei askhenaziti e che poi si nascosero dietro ai templari, ai gesuiti e ai massoni… fino ad arrivare, sani e salvi, ricchi e potenti, con immutate manie di dominio, ai tempi contemporanei.

Non a caso, leggo in rete che uno degli altri film della propaganda tedesca antisemita si intitola I Rothschild… e non c’è bisogno di dire altro per chi non è totalmente sprovveduto.
Dunque, senza dubbio la propaganda era forzata e indegna nelle azioni versi la gente comune, ma motivata dalla conoscenza di certi movimenti sotterranei.

Se lo troverò, dunque, per amor di sapere mi vedrò anche I Rothschild.

Quanto a Suss l’ebreo, devo dire che chi lo citava come film rivelatore del fenomeno mondialista non si sbagliava: il protagonista della storia agisce esattamente come agisce il mondialismo, tra avidità, inganni, sopraffazioni, manipolazioni, violenze… e i giorni attuali ne sono un chiaro testimone.

Fosco Del Nero



Titolo: Suss l’ebreo (Jud Süss).
Genere: drammatico, storico.
Regista: Veit Harlan.
Attori: Ferdinand Marian, Heinrich George, Werner Krauss, Kristina Soderbaum, Eugen Klopfer, Albert Florath, Theodor Loos.
Anno: 1940.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



mercoledì 3 agosto 2022

Il metodo Kominsky - Chuck Lorre

Il metodo Kominsky merita un’introduzione prima della recensione vera e propria.
Il suo ideatore, Chuck Lorre, con gli anni si è fatto la fama di colui che non sbaglia un colpo: tra serie tv classiche e situation comedy ha infatti inanellato un successo dietro l’altro, oscillando tra buon successo e clamoroso successo.

Ecco alcuni dei titoli da lui ideati e prodotti: Pappa e cicciaDharma & GregDue uomini e mezzoMike & MollyMom… ma soprattutto The Big Bang theory, sit-com che ha praticamente ridefinito i termini del successo delle serie tv umoristiche, tanto da aver addirittura dato luogo a una serie tv correlata: Young Sheldon, la quale tuttavia non è una sit-com, basata su battute e risate, ma una serie tv più tradizionale, pur rimanendo nella commedia spigliata.

È un po’ il medesimo genere de Il metodo Kominsky, che infatti è il prodotto immediatamente seguente di Chuck Lorre (il quale attualmente ha in corso le due suddette serie tv, più le due sit-com MomBob hearts Abishola, il suo ultimissimo lavoro), per quanto Il metodo Kominsky sposti nettamente il tiro verso la terza età e i problemi a essa connessi.

Peraltro, Il metodo Kominsky è la prima collaborazione tra Lorre e Netflix, e conoscendo sia l’uno che l’altro mi attendevo un prodotto di un certo tipo, diciamo così…
… non a caso, la prima battuta di genere omo-transgender arriva dopo pochi secondi del primo episodio, e tutta l’opera (non molto lunga, in verità, con i suoi 22 episodi totali) ha le solite fondamenta di “quelle parti” (non a caso, la serie è ambientata a Los Angeles): apparenza, gioventù, divertimento, sessualità bassa se non proprio deviata, squilibri psicologici, droghe, alcol, farmaci, etc. 
È la solita propaganda di quei lidi, applicata stavolta al mondo della terza età, che può pubblicizzare meno sesso e divertimenti giovanili, ma ha campo libero su farmaci e alcol (i farmaci sono droghe autorizzate dalla legge, in fin dei conti).

Ne approfitto così per evidenziare due cose.
La prima è che l’essere umano saggio va verso l’assenza di farmaci, di sieri e di droghe di qualsiasi tipo.
La seconda è che l’essere umano che non ha buttato la sua vita, arrivato a settant’anni, è divenuto un essere umano consapevole, non un adolescente che cerca ancora i divertimenti della gioventù per quanto il suo corpo più o meno decrepito ancora gli consenta (magari "sostenuto" da qualche pastiglia chimica).
Tutti i lavori di Lorre, invece, sembrano esattamente un elogio della scarsa consapevolezza e dell’addormentamento. Tuttavia, sono lavori eccellenti nell’umorismo e nell’esecuzione: è questo il motivo per cui li guardo, non certo quello didattico.
A loro modo, tuttavia, sono anch’essi didattici: basta fare nella propria vita esattamente il contrario di quello che essi pubblicizzano… e si è a posto. Valeva per The Big Bang theory e vale anche per  Il metodo Kominsky.

Veniamo ora alla trama sommaria  de Il metodo Kominsky: Sandy Kominsky (il sempre bravo Michael Douglas) è stato un attore di discreto successo, ma ha ottenuto i suoi più grandi risultati come insegnante di recitazione e porta ancora avanti la sua scuola, assistito dalla figlia Mindy (Sarah Baker, già vista in Young Sheldon). Il suo migliore amico è Norman Newlander (Alan Arkin), il quale ha appena perso la moglie Eileen (Susan Sullivan, già vista in Dharma e Greg), che è stato il suo agente e che è divenuto col tempo il suo migliore amico.
Altri personaggi ricorrenti sono Lisa (Nancy Travis), studente e fiamma di Sandy e Martin (un invecchiatissimo Paul Reiser), fidanzato di Mindy.

La comicità, pur non trattandosi di una sit-com umoristica, è sempre su ottimi livelli: Chuck Lorre in questo è una garanzia assoluta; se non sono battute vere e proprie, è brio e sagacia. Peccato che manchi, come sempre, la vera intelligenza, che non è quella dei farmaci o della tecnologia o del successo economico o del sarcasmo, ma è quella della saggezza e della consapevolezza interiore… ma questo è un altro discorso, e non si può pretendere tutto.

La serie ha messo su appena tre stagioni piuttosto brevi: otto episodi per le prime due e appena sei per la terza e ultima, la quale difatti è terminata in fretta e furia, con un paio di salti temporali. Già nella terza, comunque, la qualità della produzione era calata in modo quasi impressionante: probabilmente si sapeva che sarebbe stata l’ultima e si è finito il lavoro giusto per finirlo. Umorismo di livello più basso, personaggi importanti spariti, caratterizzazione di altri personaggi completamente mutata, molta più pacchianeria. Insomma, Il metodo Kominsky era cominciamo come esperimento interessante, pur se tarato dalla solita propaganda mondialista, ma è finito davvero male.

Viceversa, mi sono letteralmente innamorato di Young Sheldon e di ogni suo protagonista, persino oltre il mio gradimento già altissimo di The Big Bang theory: forse perché Young Sheldon, a differenza di altre opere dello stesso Lorre (probabilmente spinto in un certo modo dal finanziatore di turno), propone valori vecchio stampo, aiutato in ciò anche dall’ambientazione degli anni “70 del Texas (famiglia, chiesa, sport, etc).

Alle prossime opere di Lorre, dunque… ossia Mike & MollyBob hearts Abishola.
Sperando in minori influenze propagandistiche.

Fosco Del Nero



Titolo: Il metodo Kominsky (The Kominsky method).
Genere: serie tv, commedia.
Ideatore: Chuck Lorre.
Attori: Michael Douglas, Alan Arkin, Sarah Baker, Nancy Travis, Jenna Lyng Adams, Casey Thomas Brown, Melody Butiu, Emily Osment, Ashleigh LaThrop, Melissa Tang, Graham Rogers, Susan Sullivan.
Anno: 2018 - 2021.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



martedì 2 agosto 2022

Final fantasy - The spirits within - Hironobu Sakaguchi

Quando uscì, vidi a suo tempo Final fantasy - The spirits within, il film che portava il nome della celebre saga di videogiochi (in questo stesso blog ho recensito Final Fantasy VIII, probabilmente il più famoso tra tutti), pur non rappresentando nessuno dei suoi episodi. 
A dirigere il film suddetto è stato Hironobu Sakaguchi, il quale era anche il creatore di tanti Final fantasy, nonché di altri videogiochi. 

L’ambito in cui si muoveva non gli era certo insolito, trattandosi di un film interamente in computer grafica, e particolarmente innovativa per l’epoca, tanto che il prodotto è passato alla storia non solo per il livello di dettaglio visivo, ma anche per il suo costo… solo parzialmente recuperato dagli incassi: in tal senso il film è stato un clamoroso insuccesso commerciale e ha quasi portato alla bancarotta la Square, la casa produttrice. 

Forse per questo i successivi film ambientati nell’universo di Final fantasy, ossia Final Fantasy VII – Advent children (2004) e Final fantasy XV - Kingsgslaive (2016), sono stati affidati a un altro regista.
Tuttavia, a mio avviso il Final fantasy di Sakaguchi non è affatto male, e anzi personalmente l’ho nettamente preferito ai suoi successori.

Fatta l’introduzione, veniamo ora alla trama di  Final fantasy - The spirits within: siamo nel 2065 e la Terra è invasa dai cosiddetti “phantom”, creature aliene che sembrano per l’appunto fantasmi e che sono capaci, al contatto con l’essere umano, di estrarne lo spirito, uccidendolo all’istante. Le persone sopravvissute vivono così in piccole città protette da barriere che impediscono ai phantom di entrare.
Gli unici che si avventurano all’esterno, in ciò che ora sono posti selvaggi, decaduti e desolati, sono solamente i militari e i ricercatori scientifici, che cercano una spiegazione e una soluzione al problema.
All’inizio del film si incontrano in un contesto del genere la scienziata Aki Ross, e il Capitano Gray Edwards, i quali peraltro si conoscevano già da prima. Se loro sono le braccia, le menti sono altre, e si danno battaglia nelle sedi ufficiali: il Dottor Cid, mentore di Aki, vuole comprendere e trovare una soluzione scientifica; il Generale Hein, invece, vuole bombardare e distruggere, anche a costo di rovinare il pianeta.

Forse il motivo del mancato successo di Final fantasy - The spirits within sta nel fatto di essere troppo meticcio: per certi versi sa di Alien (con tanto di truppa che viene sacrificata man mano fino a che non si salva la sola eroina donna), per altri ricorda un poco Dune (con enormi vermoni… fantasmi), per altri ancora sa di Blade runner (nelle atmosfere cyberpunk).

Questo “qualunquismo” si nota anche nelle caratterizzazione dei personaggi e nei dialoghi: non c’è nessun errore, e tutta fila liscio, ma non c’è nemmeno brillantezza da questo punto di vista. Il che è un peccato, visto che i temi affrontati da Final fantasy - The spirits within sono di valore: la ricerca scientifica, il conflitto tra ricerca e uso militare-distruttivo, la conoscenza del cosmo e della natura della vita, la natura in generale.

Inoltre, c’è molta bellezza visiva, e infatti il film ha ricevuto dei riconoscimenti per l’eccellente lavoro grafico: i paesaggi, le animazioni, le espressività dei volti dei personaggi. La distanza con la recitazione in carne e ossa è davvero molto bassa, aiutata in ciò anche da un doppiaggio italiano ottimo.

Nel complesso, premio il film con una discreta valutazione, evidenziando per l’appunto ciò che di bello propone, pur se sarebbe servito qualcosa in più a livello di caratterizzazione e di dialoghi. 
Più nel dettaglio, l’incipit è accattivante, ma nella seconda parte il film perde un po’ di mordente e si adagia su effetti speciali, esplosioni e simili.

Fosco Del Nero



Titolo: Final fantasy - The spirits within (Final fantasy - The spirits within).
Genere: fantascienza, animazione.
Regista: Hironobu Sakaguchi.
Anno: 2001.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



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