Il film recensito quest’oggi è Captive state, girato da Rupert Wyatt nel 2019... ossia questo stesso anno in cui scrivo.
Uno dei protagonisti è John Goodman, che non vedevo in un film da
La papessa, ma che ricordo soprattutto per Il grande Lebowski… e ovviamente per la sit-com Pappa e ciccia, nonché per Blues Brothers - Il mito continua.
Quanto al regista Rupert Wyatt, non ho mai visto niente di lui.
Ecco la trama sommaria di Captive state, che comincia con un incipit piuttosto intenso: in un futuro prossimo, la Terra viene invasa da una potentissima razza aliena, che la sottomette quasi senza colpo ferire, installandosi in alcune zone chiuse al pubblico. La resistenza umana viene spazzata via e viene presto instaurata una sorta di dittatura incruenta: tutto continua praticamente come prima, con l’umanità che prosegue a vivere le sue vite e i Legislatori (così vengono chiamati gli alieni, giacché oramai detengono il potere) che governano grazie a degli intermediari umani.
Abbiamo quindi una dittatura morbida, dei collaborazionisti e una resistenza, divenuta nel frattempo molto sotterranea, quasi invisibile, dato lo strapotere dei nemici.
Il film, molto evocativo nel suo abbrivio, comincia con la scena della morte dei genitori di Rafe e Gabriel, colpevoli di aver tentato di fuggire da Chicago, già occupata dagli alieni; poi si fa un salto in avanti di parecchi anni, con Gabriel che vive la sua vita, monitorato dal Detective William Mulligan, ch’era amico dei suoi genitori, e il fratello maggiore Rafe dato per disperso e morto negli eventi insurrezionali.
La resistenza tuttavia non è del tutto morta, cosa di cui Mulligan pare convinto, tanto che si darà un gran daffare per scovare i suoi ultimi rappresentanti... che dal canto loro battono molto sul concetto per cui non bisogna fidarsi dei Greci, cavallo di Troia compreso.
Captive state ha evidenti pregi e altrettanto evidenti difetti.
Tra i primi, una storia ben costruita, una buona fotografia, una buona colonna sonora, una discreta tensione scenica, la simbologia della “dittatura elastica”, con tanto di élite e servitù, applicabile a molti contesti socio-politici del passato e del presente.
Tra i secondi, un carisma insufficiente, un cast di attori dalla presenza altrettanto insufficiente… e soprattutto il fatto che la storia è copiata ai limiti del plagio. Difatti, Captive state prende pari pari la sua struttura dal romanzo Gli anni alieni, di Robert Silverberg, tanto che, dopo la visione del film (ma già dopo l’introduzione a dire il vero), ero sicuro che cercando informazioni sul film avrei trovato ch’esso era tratto, o quantomeno ispirato, al suddetto libro di Silverberg, e invece niente.
Certo, le due trame sono differenti, anche perché la storia di Silverber si suddivide in due romanzi ed è piuttosto lunga, ma la struttura delle due vicende è la medesima: una razza aliena invade la Terra; la sua superiorità è schiacciante tanto che praticamente non si combatte; gli alieni si rinchiudono in alcune zone inaccessibili agli uomini; si crea una casta di collaborazionisti; la resistenza è decimata ma è ancora viva, sullo sfondo, in attesa di poter piazzare il suo contrattacco, penetrando nelle suddette zone.
La cosa mi costringe ad assegnare a Captive state una valutazione bassa… ma globalmente, tenendo conto del solo film, non sarebbe comunque stata eccellente, giacché l’opera ha i punti deboli che ho evidenziato in precedenza.
La ritengo comunque interessante in quanto inserita nel più generico filone distopico (con o senza alieni), in cui l’umanità viene asservita da qualche potere centrale e resa serva e suddita… ciò che è esattamente quello che avviene ora, e questo è esattamente il motivo per cui son stati prodotti molti film di questo tipo.
Fosco Del Nero
Titolo: Captive state (Captive state).
Genere: fantascienza, drammatico.
Regista: Rupert Wyatt.
Attori: John Goodman, Ashton Sanders, Jonathan Majors, Vera Farmiga, Kevin Dunn, James Ransone, Alan Ruck, Kevin J. O'Connor, D.B. Sweeney, KiKi Layne, Ben Daniels.
Anno: 2019.
Voto: 4.
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